N. 144 SENTENZA 20 marzo - 13 giugno 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Tutela  della  salute  e  diritto  all'autodeterminazione  in  ambito
  terapeutico -  Consenso  informato  e  disposizioni  anticipate  di
  trattamento (DAT)  -  Amministratore  di  sostegno  la  cui  nomina
  preveda l'assistenza necessaria o la  rappresentanza  esclusiva  in
  ambito sanitario - Potere di rifiutare, in assenza di DAT, le  cure
  necessarie al mantenimento in vita dell'amministrato. 
- Legge 22 dicembre 2017,  n.  219  (Norme  in  materia  di  consenso
  informato e di disposizioni anticipate  di  trattamento),  art.  3,
  commi 4 e 5. 
-   
(GU n.25 del 19-6-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi  4
e 5, della legge 22 dicembre  2017,  n.  219  (Norme  in  materia  di
consenso informato e  di  disposizioni  anticipate  di  trattamento),
promosso dal Tribunale ordinario di Pavia, nel procedimento  relativo
a G. A., in qualita' di amministratore di  sostegno  di  A.  T.,  con
ordinanza del  24  marzo  2018,  iscritta  al  n.  116  del  registro
ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani - Unione locale di
Piacenza  e  Unione  Giuristi  Cattolici  italiani  di  Pavia  "Beato
Contardo Ferrini"; 
    udito nella camera di consiglio del  20  marzo  2019  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il giudice tutelare del Tribunale  ordinario  di  Pavia,  con
ordinanza del 24 marzo 2018, ha sollevato, in riferimento agli  artt.
2,  3,  13  e  32  della  Costituzione,  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 4 e  5,  della  legge  22  dicembre
2017,  n.  219  (Norme  in  materia  di  consenso  informato   e   di
disposizioni  anticipate  di  trattamento),  nella   parte   in   cui
stabilisce che l'amministratore di sostegno, la  cui  nomina  preveda
l'assistenza necessaria  o  la  rappresentanza  esclusiva  in  ambito
sanitario, in assenza delle disposizioni  anticipate  di  trattamento
(d'ora in avanti: DAT), possa rifiutare, senza  l'autorizzazione  del
giudice  tutelare,  le  cure  necessarie  al  mantenimento  in   vita
dell'amministrato. 
    1.1.- Il giudice rimettente premette che, in favore di A. T.,  e'
stato gia' nominato, sin  dall'ottobre  2008,  un  amministratore  di
sostegno,  cui  allo  stato  non  e'  attribuita   ne'   l'assistenza
necessaria, ne' la rappresentanza esclusiva in ambito  sanitario.  La
relazione clinica del 21 febbraio 2018, tuttavia, ha certificato  che
A. T. risulta attualmente «in stato vegetativo in esiti di  stato  di
male epilettico in paziente  affetto  da  ritardo  mentale  grave  da
sofferenza  cerebrale  perinatale  in  sindrome  disformica   [recte:
dismorfica]» nonche' «portatore di PEG». Il giudice a quo rileva che,
pertanto, si rende necessario integrare  il  decreto  di  nomina,  ai
sensi  dell'art.  407,  comma  4,  del   codice   civile,   ai   fini
dell'individuazione dei poteri in ambito sanitario; in particolare  -
preso atto delle condizioni di salute, anche personalmente verificate
- «si profila come indispensabile l'attribuzione della rappresentanza
esclusiva in ambito sanitario, non  residuando  alcuna  capacita'  in
capo all'amministrato». 
    Cio' premesso, il giudice tutelare osserva che, entrato in vigore
l'art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219 del 2017,  e'  quest'ultimo
articolo   a   disciplinare   «le    modalita'    di    conferimento,
all'amministratore di sostegno, e di conseguente esercizio dei poteri
in   ambito   sanitario».   Ne   conseguirebbe   che   l'attribuzione
all'amministratore di sostegno di detti poteri (nella  specie,  sotto
forma di rappresentanza esclusiva)  «ricomprende  necessariamente  il
potere di rifiuto delle cure, ancorche' si tratti di cure  necessarie
al  mantenimento  in  vita  dell'amministrato»;  l'amministratore  di
sostegno, pertanto, avrebbe «il potere di decidere della vita e della
morte  dell'amministrato»  senza  che  tale   potere   possa   essere
«sindacato dall'autorita' giudiziaria». 
    Il giudice rimettente riferisce, dunque, che e' chiamato  a  fare
applicazione  del  censurato  art.  3,  comma  5,  dovendo   decidere
sull'attribuzione all'amministratore  di  sostegno  di  A.  T.  della
rappresentanza esclusiva in ambito sanitario. 
    1.2.- Ai fini del giudizio sulla  rilevanza,  il  giudice  a  quo
reputa «logicamente preliminare»  l'esegesi  dell'art.  3,  comma  5,
della  legge  n.  219  del  2017,  osservando,  in  particolare,  che
l'espressione «rifiuto delle cure», in considerazione della locuzione
«in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento»,  non  puo'
non concernere anche i trattamenti sanitari necessari al mantenimento
in vita; altrimenti detto, il rifiuto  delle  cure  puo'  interessare
«tutti i trattamenti sanitari astrattamente oggetto delle DAT». 
    Per escludere tale opzione  ermeneutica  -  prosegue  il  giudice
rimettente -  potrebbe  ipoteticamente  farsi  leva  sull'espressione
«cure  proposte»,  sostenendo  che   i   trattamenti   necessari   al
mantenimento in vita non possano  essere  inquadrati  in  termini  di
cure, di talche' il rifiuto non potrebbe riguardarli. Si tratterebbe,
tuttavia, di un'interpretazione incompatibile sia con la ratio legis,
volta  a  valorizzare  la  liberta'   di   autodeterminazione   anche
nell'ipotesi  di  trattamenti  sanitari  di  fine  vita,   sia   «con
l'acquisizione, tra i diritti inviolabili ex  art.  2  Cost.,  di  un
diritto a decidere sui trattamenti di fine  vita»:  in  quanto  tale,
essa appare al giudice rimettente non praticabile. 
    Lo stato d'incapacita', per altro verso, non potrebbe di per  se'
escludere  il  diritto  a  decidere  sui  trattamenti  necessari   al
mantenimento in vita, poiche' cio' determinerebbe la violazione degli
artt. 2, 3 [recte: 13] e 32 Cost. L'incapace e', infatti,  persona  e
«nessuna  limitazione  o  disconoscimento   dei   suoi   diritti   si
prospetterebbe come lecita»: deve pertanto essergli  riconosciuto,  e
ricevere tutela, il diritto all'autodeterminazione e al rifiuto delle
cure, potendo la condizione  d'incapacita'  influire  soltanto  sulle
modalita' di esercizio del diritto. 
    Una volta appurata la possibilita' che siano  rifiutati  anche  i
trattamenti necessari al mantenimento in vita, il giudice  rimettente
rileva che l'art. 3, comma 5, della legge n.  219  del  2017  prevede
espressamente che, in caso di opposizione del medico all'interruzione
delle cure, e' possibile l'intervento del  giudice  tutelare,  mentre
deve ritenersi, a contrario, che detto intervento non  sia  possibile
nel caso in cui il medico non si opponga. 
    1.3.- Il giudice tutelare precisa, poi, che la circostanza che il
procedimento abbia natura di volontaria giurisdizione non esclude  la
possibilita' di sollevare questione di  legittimita'  costituzionale.
In tal senso deporrebbe  la  giurisprudenza  costituzionale:  vengono
richiamate le sentenze n. 258  del  2017,  n.  121  del  1974  e,  in
particolare, la n. 129 del 1957. 
    1.4.- Nell'argomentare in punto di non manifesta infondatezza, il
giudice  rimettente  esordisce  ricordando  che  «[l]a  liberta'   di
rifiutare le cure presuppone il ricorso a valutazioni  della  vita  e
della morte, che trovano il loro fondamento in concezioni  di  natura
etica  o  religiosa,  e  comunque  (anche)  extra-giuridiche,  quindi
squisitamente soggettive» (Corte di cassazione, sezione prima civile,
ordinanza 3 marzo-20 aprile 2005, n. 8291). Cio' implica che in  tale
ambito   vengono    in    rilievo    «valutazioni    personalissime»,
indissolubilmente  legate  al  soggetto  interessato   e   alle   sue
convinzioni, insuscettibili d'essere  vagliate  oggettivamente  o  in
base al parametro del best interest (adottato invece dalla  House  of
Lords inglese, decisione del 4 febbraio 1993, Airedale NHS  Trust  v.
Bland). 
    La dichiarazione di rifiuto  delle  cure  e'  costituita  di  due
momenti essenziali:  quello  concernente  la  formazione  dell'intimo
convincimento, intrasferibile in capo a terzi, e quello rappresentato
dalla manifestazione di volonta', cedibile invece ad altri. E poiche'
l'amministratore  di  sostegno  non  e'  investito   di   un   potere
incondizionato di disporre della salute della persona incapace (Corte
di cassazione, sezione prima civile, 16 ottobre 2007, n.  21748),  ne
consegue che il rifiuto delle cure che egli manifesti deve essere  la
rappresentazione  della  volonta'   dell'interessato   e   dei   suoi
orientamenti esistenziali: l'amministratore non deve decidere ne' «al
posto  dell'incapace,  ne'  per  l'incapace»,  perche'   il   diritto
personalissimo a rifiutare le cure e' «la  logica  simmetria  d[e]lla
indisponibilita' altrui e  dell'intrasferibilita'  del  diritto  alla
vita». 
    Il giudice a quo osserva, pertanto, che, affinche'  la  decisione
sul rifiuto delle cure sia espressione dell'interessato e non di  chi
lo rappresenta, questa deve risultare dalle  DAT  o,  in  assenza  di
queste,   deve   ricorrersi   alla   ricostruzione   della   volonta'
dell'incapace, per mezzo di «una pluralita' di indici sintomatici, di
elementi   presuntivi,    mediante    l'audizione    di    conoscenti
dell'interessato o strumenti di altra natura», in modo da  assicurare
che la «scelta in questione non sia espressione  del  giudizio  sulla
qualita'  della  vita  proprio  del  rappresentante»  (e'   novamente
richiamata Cass., n. 21748 del 2007). 
    Secondo il rimettente, si tratterebbe di un processo  di  ricerca
serio e complesso, il quale renderebbe «imprescindibile» l'intervento
di un soggetto terzo  e  imparziale  quale  e'  il  giudice,  teso  a
tutelare   il   «carattere   personalissimo    e    [la]    speculare
indisponibilita' altrui del diritto  di  rifiuto  delle  cure  e  del
diritto alla vita». Se si consentisse all'amministratore di  sostegno
di  ricostruire  autonomamente  la  volonta'  dell'interessato,   «si
sentenzierebbe il concreto annichilimento della natura personalissima
del diritto a decidere sulla propria vita», poiche' si configurerebbe
«surrettiziamente»  il  potere  dell'amministratore  di  assumere  la
propria volonta' a fondamento del rifiuto delle cure. 
    Conseguentemente,   sarebbe    incostituzionale    l'attribuzione
all'amministratore  di  sostegno,  determinata   dalle   disposizioni
censurate, «di un potere di natura  potenzialmente  incondizionata  e
assoluta attinente la vita e la morte, di un  dominio  ipoteticamente
totale, di un'autentica facolta' di etero-determinazione». 
    L'«insanabile contrasto» sarebbe, innanzitutto, con gli artt.  2,
13 e 32 Cost. Il diritto a rifiutare le cure troverebbe fondamento in
tali norme costituzionali e dovrebbe considerarsi inviolabile, con la
conseguenza che sarebbe negata ad altri la possibilita' di  violarlo;
il  suo  essere  diritto  «intrinsecamente   correlato   al   singolo
interessato» escluderebbe  che  il  momento  della  formazione  della
volonta' possa essere delegato  a  terzi,  pena  un  suo  inesorabile
disconoscimento. Le  modalita'  d'esercizio  di  rifiuto  delle  cure
previste   dalle   disposizioni   censurate   sarebbero,    pertanto,
«radicalmente  inidonee  a  salvaguardare  compiutamente  la   natura
eminentemente  soggettiva  del  diritto  in   questione»,   negandone
l'essenza personalissima e determinandone la violazione. 
    Non varrebbe a superare il vulnus  la  possibilita'  d'intervento
del giudice, in caso di rifiuto opposto dal  medico  all'interruzione
dei  trattamenti  sanitari  necessari   al   mantenimento   in   vita
dell'interessato: si  tratterebbe  innegabilmente  di  un  intervento
giudiziale  «meramente   ipotetico   ed   accidentale»,   subordinato
all'eventuale esistenza di un dissidio tra rappresentante  e  medico.
Ne', ancora, potrebbe opporsi che, a ben vedere, le  norme  censurate
attribuiscono la valutazione finale circa il rifiuto  delle  cure  al
medico,   il   quale   potrebbe   effettuare   un   controllo   sulle
determinazioni  dell'amministratore  di  sostegno:  si   tratterebbe,
infatti, pur sempre di una valutazione medica «imperniata  su  canoni
obiettivi di "appropriatezza" e "necessita'"»,  che  disconoscono  la
natura personalissima e soggettiva del diritto di rifiutare le  cure,
non avendo il medico, d'altra parte, la possibilita'  di  ricostruire
la  volonta'  dell'interessato  e  di  accertare  la  conformita'   a
quest'ultima della decisione del rappresentante. 
    Le norme censurate sarebbero, inoltre, in contrasto con l'art.  3
Cost. in quanto manifestamente irragionevoli. La  loro  applicazione,
infatti,   determinerebbe    «un'incoerenza    di    ingiustificabile
significanza  all'interno  dell'architettura  di  sistema   delineata
dall'istituto dell'amministrazione di sostegno»: cio' perche', se  ai
sensi dell'art. 411 cod.  civ.  e'  necessaria  l'autorizzazione  del
giudice tutelare per il compimento degli atti indicati agli artt. 374
e  375  cod.  civ.,  attinenti  alla  sfera   patrimoniale,   sarebbe
irrazionale non prevedere analoga autorizzazione per  manifestare  il
rifiuto delle cure, «sintesi ed espressione dei  diritti  alla  vita,
alla salute, alla dignita' e all'autodeterminazione  della  persona»,
in  quanto  in  tal  modo  l'ordinamento  appresterebbe  a  interessi
d'ordine   patrimoniale   una   salvaguardia   superiore   a   quella
riconosciuta ai richiamati diritti fondamentali. Inoltre, a  conferma
dell'incongruenza  interna   al   sistema   dell'amministrazione   di
sostegno, il  giudice  a  quo  osserva  come  la  giurisprudenza  (e'
richiamato il decreto del Tribunale ordinario di Cagliari, 15  giugno
2010)  riconosca  la  necessita'  dell'autorizzazione   del   giudice
tutelare perche' il rappresentante avanzi la domanda di  separazione,
atto personalissimo, mentre le disposizioni censurate  non  prevedono
l'intervento giudiziale per  autorizzare  l'atto  personalissimo  del
rifiuto delle cure, «coinvolgente valori egualmente rilevanti e dalle
implicazioni certamente superiori». 
    Quale  ulteriore  profilo  di  irragionevolezza,  il   rimettente
osserva  che,  se  la  legge  n.  219  del  2017  e'  tutta   fondata
«sull'intento  di   valorizzare   ed   accordare   centralita'   alle
manifestazioni  di  volonta'  dei  singoli»,   tanto   da   prevedere
formalita' e procedure per la  loro  espressione,  non  si  comprende
perche' venga meno «la piu' elementare attenzione» per tale  elemento
volontaristico,  non  prevedendosi,  quando  si  tratti  di  soggetti
incapaci, meccanismo alcuno di tutela o controllo. 
    1.5.- Il giudice tutelare di Pavia, infine, chiede alla  Corte  -
ove venissero accolte le questioni di legittimita'  costituzionale  -
di dichiarare l'illegittimita' costituzionale in via  conseguenziale,
ai sensi dell'art. 27, secondo periodo, della legge 11 marzo 1953, n.
87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della   Corte
costituzionale), delle disposizioni impugnate anche  nella  parte  in
cui prevedono che il rappresentante legale della  persona  interdetta
oppure inabilitata, in assenza delle DAT, o il rappresentante  legale
del minore possano  rifiutare,  senza  l'autorizzazione  del  giudice
tutelare,   le   cure   necessarie   al    mantenimento    in    vita
dell'amministrato. 
    2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate  inammissibili  o,
comunque sia, non fondate. 
    2.1.- L'interveniente rileva, innanzitutto, che il giudice a  quo
- oltre a non  avere  mosso  censure  in  relazione  a  ciascuno  dei
parametri  costituzionali  evocati,  il  che  costituirebbe  autonoma
ragione d'inammissibilita'  per  difetto  di  motivazione  -  non  ha
argomentato circa l'impossibilita' di  interpretare  le  disposizioni
censurate in senso conforme a  Costituzione,  come  invece  richiesto
dalla giurisprudenza costituzionale «univoca  e  ormai  consolidata».
Interpretazione conforme a Costituzione che, a  suo  avviso,  sarebbe
invece possibile. 
    Succintamente ricostruita la recente  disciplina  in  materia  di
consenso informato e di DAT, il Presidente del Consiglio dei ministri
rileva che i diritti ivi riconosciuti devono essere garantiti anche a
chi non e' piu' in grado di opporre il  rifiuto  alle  cure  ma  che,
quando ne era capace, aveva chiaramente manifestato volonta' in  tale
senso. In tale prospettiva, si pone in evidenza che gli artt.  357  e
424 cod. civ. individuano nel tutore il  soggetto  interlocutore  dei
medici con riferimento ai trattamenti sanitari, mentre gli artt.  404
e seguenti cod. civ. sanciscono il potere di cura del disabile  anche
in capo all'amministratore di sostegno, secondo i poteri conferitigli
con il decreto di nomina: al diritto di ogni persona di  «manifestare
validamente la propria  volonta'  in  merito  all'accettazione  o  al
rifiuto dei possibili trattamenti sanitari»  conseguirebbe  l'obbligo
per il rappresentante legale di dare corso a tale volonta'. 
    Si tratterebbe di approdi che trovano  conferma,  oltre  che  nel
diritto internazionale (si richiama l'art. 6  della  Convenzione  del
Consiglio d'Europa per la protezione dei Diritti  dell'Uomo  e  della
dignita' dell'essere umano riguardo all'applicazione della biologia e
della medicina: Convenzione sui Diritti dell'Uomo e  la  biomedicina,
fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata e resa esecutiva  con  la
legge 28 marzo 2001, n. 145,  di  seguito:  Convenzione  di  Oviedo),
nella giurisprudenza della  Corte  di  cassazione  (oltre  alla  gia'
richiamata  sentenza  n.  21748  del  2007,  sono  citate  Corte   di
cassazione, terza sezione civile, sentenza 15 gennaio 1997, n. 364, e
sentenza  25  novembre  1994,   n.   10014).   In   particolare,   la
giurisprudenza di legittimita' avrebbe precisato che il  tutore  deve
agire  nell'esclusivo  interesse  dell'incapace,  ricostruendone   la
volonta' «tenendo conto dei desideri  da  lui  espressi  prima  della
perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volonta'  dalla  sua
personalita', dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi
valori di riferimento e  dalle  sue  convinzioni  etiche,  religiose,
culturali e filosofiche» (Cass., n. 21748 del 2007, citata). 
    Una  lettura  costituzionalmente  orientata  delle   disposizioni
censurate dovrebbe, pertanto, portare  a  ritenere  che,  essendo  il
diritto alla salute  un  diritto  personalissimo,  la  rappresentanza
legale «non trasferisce sul tutore e sull'amministratore di  sostegno
un potere incondizionato di disporre della salute  della  persona  in
stato di totale e permanente incoscienza». D'altra parte,  l'art.  3,
comma 4, della legge  n.  219  del  2017  espressamente  prevede  che
l'amministratore di sostegno deve tenere  conto  della  volonta'  del
beneficiario, in relazione al suo grado di capacita' di  intendere  e
di volere, quando la nomina comprenda l'assistenza  necessaria  o  la
rappresentanza esclusiva in ambito  sanitario:  circostanza,  questa,
che implicherebbe un vaglio specifico da parte del giudice. 
    Molteplici sarebbero, pertanto, gli elementi  che  depongono  per
una possibile interpretazione conforme delle  disposizioni  censurate
o, comunque sia, per l'infondatezza delle questioni  di  legittimita'
costituzionale: l'obbligo per il  rappresentante,  nel  rifiutare  le
cure,  di  agire  nell'interesse  dell'incapace,  ricostruendone   la
volonta'; la valutazione del medico, in  base  alle  sue  competenze,
sulla natura necessaria e appropriata delle  cure;  l'intervento  del
giudice in caso di opposizione del medico e su ricorso  di  qualsiasi
soggetto interessato laddove l'amministratore di sostegno  non  abbia
tenuto nella dovuta considerazione la volonta' del beneficiario. 
    2.2.- Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  reputa,  poi,
inammissibile, o altrimenti infondata, la richiesta del giudice a quo
di estendere in via conseguenziale la dichiarazione  d'illegittimita'
costituzionale ad altre  norme  parimente  poste  dalle  disposizioni
censurate. 
    Osserva l'interveniente che questa Corte, con la sentenza n.  138
del 2009, ha affermato che l'art. 27, seconda parte, della  legge  n.
87 del 1953 non sottrae  il  rimettente  dall'onere  di  motivare  in
ordine alle ragioni «che  lo  inducono  a  sospettare  dell'esistenza
dell'illegittimita' costituzionale» di  ciascuna  delle  disposizioni
legislative che viene a censurare: onere cui l'odierno rimettente non
avrebbe adempiuto. 
    3.- Hanno depositato un comune atto di intervento nel giudizio le
associazioni Unione Giuristi Cattolici Italiani -  Unione  Locale  di
Piacenza  e  Unione  Giuristi  Cattolici  di  Pavia  "Beato  Contardo
Ferrini", chiedendo che le questioni di  legittimita'  costituzionale
siano accolte. 
    3.1.- In punto di legittimazione all'intervento, la difesa  delle
associazioni afferma che,  in  considerazione  degli  scopi  sociali,
sarebbe evidente il concreto interesse delle intervenienti «a portare
il proprio contributo e ad interloquire» dinanzi a questa  Corte.  Il
«prevalente interesse etico» sottostante le questioni di legittimita'
costituzionale dovrebbe consentire una piu' larga  partecipazione  di
associazioni  «espressioni  della  societa'  civile»   nel   giudizio
costituzionale, a maggior ragione in  considerazione  del  «carattere
giusnaturalistico delle moderne costituzioni occidentali», le  quali,
compresa la Costituzione italiana, rimanderebbero  a  un  ordinamento
che «precede» quello della legge statale e che  «trova  il  suo  piu'
solido e profondo fondamento nell'ordine naturale delle cose, vale  a
dire nel diritto naturale». 
    3.2.- Nel merito, le intervenienti osservano come, in  base  alla
giurisprudenza di legittimita' e a quanto disposto nella  Convenzione
di Oviedo, dovrebbe escludersi  la  possibilita'  di  sacrificare  la
salute o il bene supremo della  vita  di  persona  incapace  di  dare
consenso, «in assenza di eventi ineluttabili quali una  malattia  che
non possa  essere  contrastata  se  non  incorrendo  nell'accanimento
terapeutico». La disposizione censurata, pertanto,  favorirebbe  «gli
abusi, con rifiuto delle cure e conseguente soppressione di  pazienti
incapaci» per interessi che possono essere i piu'  diversi,  estranei
al best interest del malato. 
    3.3.-   Ripercorsi   i   dubbi,   condivisi,   di    legittimita'
costituzionale del giudice a  quo,  le  intervenienti  osservano  che
l'«inadeguatezza» della normativa censurata persisterebbe  anche  nel
caso in cui questa Corte  ritenesse  possibile  l'interruzione  delle
cure solo una volta ricostruita, per opera del giudice  tutelare,  la
volonta' dell'incapace: sarebbe evidente, infatti, «il  carattere  di
fictio iuris di una tale metodologia», irrispettosa  della  «reale  e
ipoteticamente diversa volonta' che il  paziente  potrebbe  esprimere
attualmente, da se', se ne fosse in grado». 
    A parere delle  intervenienti,  infatti,  un  valido  consenso  o
rifiuto delle cure «non puo' insorgere anteriormente  al  verificarsi
del quadro patologico rispetto al quale si pone la necessita' di dare
l'informativa». Il problema della valutazione della  persistenza  del
rifiuto delle cure, dunque, esisterebbe e permarrebbe, secondo questa
prospettiva,  anche  in  caso  di  DAT  «proprio  per   la   naturale
volatilita' della volonta' delle persone rispetto ai  fatti  ed  alle
stagioni  della  vita»:  funzione  del  giudice  tutelare,  pertanto,
dovrebbe essere, in ogni caso, quella di autorizzare terapie che  non
costituiscano  accanimento  terapeutico  e  che   salvaguardino,   in
ossequio al principio di precauzione, i beni  della  salute  e  della
vita. 
    3.4.- La difesa delle intervenienti da'  altresi'  conto  di  una
nota dell'associazione di Pavia, che ritiene  utile  riportare  nella
«esatta  consistenza  testuale»,  nella   quale   vengono   delineati
ulteriori aspetti di illegittimita' costituzionale. 
    Si   afferma,   in   particolare,   che   la   possibilita'   per
l'amministratore di  sostegno,  anche  se  in  presenza  di  DAT,  di
rifiutare  o  interrompere  l'alimentazione,   l'idratazione   o   la
ventilazione artificiale sarebbe in contrasto con la  dignita'  umana
(art. 2 Cost.), con il diritto alla salute (perche' l'art.  32  Cost.
si riferisce ai trattamenti sanitari ed e' dibattuta la  possibilita'
di ricomprendervi gli anzidetti  trattamenti),  con  l'art.  3  Cost.
(perche' la legge n. 219 del 2017 equipara irragionevolmente  terapie
mediche e trattamenti di mero sostegno vitale). L'art.  3,  comma  4,
della  legge  n.  219  del  2017,  poi,  sarebbe   costituzionalmente
illegittimo perche', consentendo all'amministratore  di  sostegno  di
dover solo tenere conto della volonta' del soggetto  amministrato  in
relazione al suo  grado  di  capacita'  di  intendere  e  di  volere,
lederebbe il diritto personalissimo alla vita e alla salute che  solo
il  titolare  puo'  esercitare  (art.  2  Cost.)   ed   equiparerebbe
irragionevolmente chi  e'  totalmente  incapace  e  chi,  anche  solo
parzialmente, puo' invece manifestare la propria volonta' (artt. 3  e
32 Cost.). Sono  rappresentati,  infine,  vizi  di  costituzionalita'
ritenuti  ancora  piu'  radicali,  dubitandosi   della   legittimita'
costituzionale della privazione di  trattamenti  sanitari  salvavita,
siano o no presenti le DAT. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il giudice tutelare del
Tribunale ordinario di Pavia ha sollevato, in riferimento agli  artt.
2,  3,  13  e  32  della  Costituzione,  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 4 e  5,  della  legge  22  dicembre
2017,  n.  219  (Norme  in  materia  di  consenso  informato   e   di
disposizioni  anticipate  di  trattamento),  nella   parte   in   cui
stabilisce che l'amministratore di sostegno, la  cui  nomina  preveda
l'assistenza necessaria  o  la  rappresentanza  esclusiva  in  ambito
sanitario, in assenza delle disposizioni  anticipate  di  trattamento
(d'ora in avanti: DAT), possa rifiutare, senza  l'autorizzazione  del
giudice  tutelare,  le  cure  necessarie  al  mantenimento  in   vita
dell'amministrato. 
    Secondo il giudice rimettente, le norme censurate  si  porrebbero
in contrasto, innanzitutto, con gli artt. 2, 13 e 32 Cost., in quanto
sarebbe  necessario  che,  in  assenza  delle  DAT,  la  volonta'  di
esercitare il diritto inviolabile e personalissimo  di  rifiutare  le
cure, che troverebbe fondamento in  tali  norme  costituzionali,  sia
ricostruita in modo da salvaguardare la natura soggettiva del diritto
medesimo: salvaguardia che sarebbe garantita solo con l'intervento di
un soggetto terzo e imparziale quale e' il giudice. 
    Le disposizioni censurate, poi, si porrebbero  in  contrasto  con
l'art.  3  Cost.  sotto  plurimi   profili.   Innanzitutto,   poiche'
nell'amministrazione di sostegno, ai sensi dell'art. 411  del  codice
civile, e' necessaria l'autorizzazione del giudice  tutelare  per  il
compimento degli atti, attinenti alla  sfera  patrimoniale,  indicati
agli artt. 374 e 375 del medesimo codice, sarebbe  irragionevole  che
analoga autorizzazione non sia prevista per il  rifiuto  delle  cure,
«sintesi ed espressione dei diritti  alla  vita,  alla  salute,  alla
dignita' e all'autodeterminazione della persona». In  secondo  luogo,
dal   momento   che   secondo   la   giurisprudenza   e'   necessaria
l'autorizzazione  del  giudice  tutelare  perche'  il  rappresentante
avanzi    la    domanda    di    separazione    coniugale,    sarebbe
costituzionalmente  illegittimo   che   non   sia   invece   previsto
l'intervento giudiziale per autorizzare il rifiuto  delle  cure,  del
pari atto personalissimo «coinvolgente valori egualmente rilevanti  e
dalle   implicazioni   certamente   superiori».    Infine,    sarebbe
irragionevole che, se si  tratta  di  soggetti  incapaci,  non  venga
apprestata «la piu' elementare attenzione» per la loro volonta',  non
prevedendosi meccanismo alcuno di tutela o controllo,  quando  invece
la  legge  n.  219  del  2017  e'  tutta  fondata  «sull'intento   di
valorizzare  ed  accordare  centralita'  all[e]   manifestazioni   di
volonta' dei singoli», tanto da prevedere formalita' e procedure  per
la loro espressione. 
    2.-  Deve   essere   preliminarmente   dichiarato   inammissibile
l'intervento delle associazioni Unione Giuristi Cattolici Italiani  -
Unione Locale di Piacenza e Unione Giuristi Cattolici di Pavia "Beato
Contardo Ferrini". 
    2.1.-  Al  giudizio  di  legittimita'   costituzionale   in   via
incidentale possono partecipare, secondo quanto previsto dall'art. 25
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento della Corte costituzionale), e dall'art. 4 delle  Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, le parti
del giudizio a quo e, secondo che sia censurata una  norma  di  legge
statale o  di  legge  regionale,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri o il Presidente della Giunta regionale. Il richiamato art. 4
delle  Norme  integrative  prevede,  altresi',  la  possibilita'   di
derogare a tale regola, ferma restando la competenza di questa  Corte
a giudicare sull'ammissibilita' degli interventi di  altri  soggetti:
secondo la costante giurisprudenza, tali interventi sono ammissibili,
senza venire in contrasto con il carattere incidentale  del  giudizio
di costituzionalita', soltanto quando i terzi siano «titolari  di  un
interesse   qualificato,   immediatamente   inerente   al    rapporto
sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma o dalle  norme  oggetto  di  censura»  (ex
plurimis, sentenze n. 98 e n. 13 del 2019, n. 217, e n. 180 del 2018;
nello stesso senso, sentenza n. 213 del 2018). 
    Nel caso di specie  le  associazioni  intervenienti  -  le  quali
hanno, altresi', dedotto  questioni  di  legittimita'  costituzionale
ulteriori  rispetto  all'ordinanza  di  rimessione,  per  cio'   solo
inammissibili - non possono essere considerate titolari  di  un  tale
interesse qualificato, posto che l'odierno giudizio  di  legittimita'
costituzionale non e'  destinato  a  produrre,  nei  loro  confronti,
effetti immediati, neppure indiretti. Esse, infatti, non vantano  una
posizione  giuridica  suscettibile  di  essere   pregiudicata   dalla
decisione di questa Corte sulle norme oggetto di censura, ma soltanto
un generico  interesse  connesso  al  perseguimento  dei  loro  scopi
statutari. 
    3.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   eccepito
l'inammissibilita' delle questioni  di  legittimita'  costituzionale,
perche' il rimettente non avrebbe prospettato «specifiche censure con
riguardo  a  ciascun  parametro   costituzionale   richiamato»,   con
conseguente difetto di motivazione. 
    3.1.- L'eccezione e' palesemente destituita di fondamento. 
    Il giudice rimettente, evocando a  parametro  congiuntamente  gli
artt. 2, 13 e 32 Cost., ha in tutta evidenza ritenuto che l'addizione
richiesta a questa Corte sarebbe imposta dal  combinato  disposto  di
tali norme costituzionali. Del resto, non solo la  giurisprudenza  di
questa Corte ha gia'  riconosciuto  che  il  principio  del  consenso
informato trova fondamento proprio nelle norme costituzionali ora  in
discorso (sentenza n. 438 del 2008 e ordinanza n. 207 del  2018),  ma
e' la stessa legge n. 219 del 2017 a definirsi funzionale alla tutela
del   diritto   alla   vita,   alla   salute,   alla    dignita'    e
all'autodeterminazione della persona, nel rispetto,  tra  gli  altri,
dei principi di cui agli artt. 2, 13 e 32 Cost. 
    Autonomamente e adeguatamente motivate, poi, sono le  censure  in
riferimento all'art. 3 Cost. 
    4.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   eccepito
l'inammissibilita' delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
anche sotto un ulteriore profilo: il giudice rimettente  non  avrebbe
«argomentato in ordine all'impossibilita' di dare  alle  disposizioni
impugnate un'interpretazione conforme a Costituzione». 
    4.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Il  giudice  tutelare  di  Pavia   si   e'   diffuso   ampiamente
sull'interpretazione delle disposizioni censurate,  soffermandosi  in
particolare sul significato da  attribuire  alla  locuzione  «rifiuto
delle cure», la quale ricomprenderebbe, alla luce della ratio legis e
del diritto costituzionale all'autodeterminazione, anche  il  rifiuto
delle cure necessarie al mantenimento in vita; non solo, il giudice a
quo ha espressamente escluso di poter  interpretare  detta  locuzione
come non comprensiva del rifiuto di tali cure.  L'iter  argomentativo
della ordinanza di rimessione  si  fonda,  dunque,  su  una  seria  e
approfondita  attivita'  ermeneutica  concernente   la   disposizione
censurata,  conclusasi  con  un'attribuzione  a  quest'ultima  di  un
significato normativo che al giudice rimettente appare  in  contrasto
con gli evocati parametri costituzionali. 
    Il giudice a quo, dunque, ha  implicitamente  escluso,  all'esito
dell'attivita' interpretativa posta  in  essere,  di  poter  ricavare
dalle disposizioni oggetto di censura norme conformi a  Costituzione.
Se, poi, l'esito dell'attivita' esegetica del giudice rimettente  sia
condivisibile, o no, e' profilo che attiene al  merito,  e  non  piu'
all'ammissibilita', delle questioni  di  legittimita'  costituzionale
(ex plurimis, sentenze n. 78 e n. 12 del 2019, n. 132  e  n.  15  del
2018, n. 69, n. 53 e n. 42 del 2017, n. 221 del 2015). 
    5.- Nel merito, le questioni di legittimita'  costituzionale  non
sono fondate. 
    Il giudice tutelare rimettente (legittimato a sollevare questioni
di legittimita' costituzionale: da ultimo, sentenza n. 258 del  2017)
impernia i  dubbi  di  costituzionalita'  sul  seguente  assunto:  in
ragione   di   quanto   previsto   dalle   disposizioni    censurate,
l'amministratore di sostegno, al quale, in  assenza  delle  DAT,  sia
stata affidata la rappresentanza esclusiva in  ambito  sanitario,  ha
per cio' solo, sempre e comunque, anche  il  potere  di  rifiutare  i
trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza  del  beneficiario,
senza che il giudice tutelare possa  diversamente  decidere  e  senza
bisogno di  un'autorizzazione  di  quest'ultimo  per  manifestare  al
medico il rifiuto delle cure. 
    Si tratta di un presupposto interpretativo erroneo. 
    5.1.- Deve innanzitutto osservarsi che la legge n. 219 del  2017,
come si evince sin dal suo titolo, da' attuazione  al  principio  del
consenso informato nell'ambito della «relazione di cura e di  fiducia
tra paziente e medico» (art. 1, comma 2). 
    Per quanto qui rileva, il principio - previsto da  plurime  norme
internazionali pattizie,  oltre  che  dall'art.  3  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adottata a Strasburgo  il  12  dicembre  2007,  e  da
diverse leggi nazionali che disciplinano specifiche attivita' mediche
- ha fondamento costituzionale negli artt. 2, 13 e 32 Cost. e  svolge
la «funzione di sintesi di due diritti  fondamentali  della  persona:
quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se  e'
vero che ogni individuo ha il diritto  di  essere  curato,  egli  ha,
altresi', il diritto di ricevere le opportune informazioni in  ordine
alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui puo'
essere  sottoposto,  nonche'  delle  eventuali  terapie  alternative»
(sentenza n. 438 del 2008; nello stesso senso, sentenza  n.  253  del
2009 e  ordinanza  n.  207  del  2018).  In  attuazione  delle  norme
costituzionali, la legge n. 219 del 2017, pertanto, dopo aver sancito
che «nessun trattamento sanitario puo' essere iniziato  o  proseguito
se privo del consenso libero e informato della  persona  interessata,
tranne che nei casi espressamente  previsti  dalla  legge»  (art.  1,
comma 1), promuove e valorizza la relazione di  cura  e  fiducia  tra
medico e paziente che proprio sul  consenso  informato  deve  basarsi
(art. 1, comma 2), esplicita  le  informazioni  che  il  paziente  ha
diritto di ricevere (art. 1, comma 3),  stabilisce  le  modalita'  di
espressione del consenso e del rifiuto  di  qualsivoglia  trattamento
sanitario, anche (ma non solo) necessario alla sopravvivenza (art. 1,
commi 4 e 5), prevede  l'obbligo  per  il  medico  di  rispettare  la
volonta' espressa dal paziente (art. 1, comma 6). 
    La legge n.  219  del  2017  ha  poi  introdotto,  ovviamente  in
correlazione al diritto all'autodeterminazione in ambito terapeutico,
l'istituto delle DAT,  prevedendo  che  ogni  persona  maggiorenne  e
capace di intendere e di volere, in previsione di un'eventuale futura
incapacita' di determinarsi, possa esprimere le proprie  volonta'  in
materia di trattamenti sanitari, nonche' il  consenso  o  il  rifiuto
rispetto ad  accertamenti  diagnostici  o  scelte  terapeutiche  e  a
singoli trattamenti sanitari, a tale scopo indicando un «fiduciario»,
che faccia le sue veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico
e con le strutture sanitarie (art. 4, comma 1). Il medico  e'  tenuto
al rispetto delle DAT  (che  devono  essere  redatte  secondo  quanto
disposto dall'art.  4,  comma  6),  potendo  egli  disattenderle,  in
accordo  con  il  fiduciario,   soltanto   «qualora   esse   appaiano
palesemente incongrue o non corrispondenti  alla  condizione  clinica
attuale  del  paziente  ovvero  sussistano  terapie  non  prevedibili
all'atto   della   sottoscrizione,   capaci   di   offrire   concrete
possibilita' di miglioramento delle  condizioni  di  vita»  (art.  4,
comma 5). 
    5.1.1.- L'art. 3 della legge n. 219 del 2017 reca la disciplina -
concernente tanto il consenso informato quanto le DAT  -  applicabile
nel caso in cui il paziente sia non una persona  (pienamente)  capace
di  agire  (art.  1,  comma  5),  ma  una  persona  minore  di  eta',
interdetta,  inabilitata  o  beneficiaria   di   amministrazione   di
sostegno. 
    Le norme  oggetto  del  presente  giudizio  di  costituzionalita'
regolano, in particolare, quest'ultimo caso, stabilendo, da un  lato,
che,  quando  la  nomina  dell'amministratore  di  sostegno   prevede
l'assistenza necessaria  o  la  rappresentanza  esclusiva  in  ambito
sanitario, «il consenso  informato  e'  espresso  o  rifiutato  anche
dall'amministratore di sostegno ovvero solo da quest'ultimo,  tenendo
conto della volonta' del beneficiario, in relazione al suo  grado  di
capacita' di intendere e di volere» (art. 3,  comma  4);  dall'altro,
che, qualora non  vi  siano  DAT,  se  l'amministratore  di  sostegno
rifiuta  le  cure  e  il  medico  le  reputa  invece  appropriate   e
necessarie, la decisione e' rimessa al giudice tutelare,  su  ricorso
dei soggetti legittimati a proporlo  (art.  3,  comma  5).  Le  norme
censurate, dunque, sono volte  a  disciplinare  casi  particolari  di
espressione o di rifiuto del  consenso  informato,  anche  -  ma  non
soltanto - laddove questo  riguardi  trattamenti  sanitari  necessari
alla sopravvivenza. 
    Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice rimettente,  pero',
esse  non  hanno  disciplinato   «le   modalita'   di   conferimento,
all'amministratore di sostegno, e di conseguente esercizio dei poteri
in ambito sanitario», le quali, invece, restano regolate dagli  artt.
404 e seguenti cod. civ., come introdotti dalla legge 9 gennaio 2004,
n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del
capo I, relativo all'istituzione dell'amministrazione di  sostegno  e
modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e  429  del
codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonche'
relative norme di attuazione, di coordinamento e  finali).  Le  norme
oggetto dell'odierno sindacato di questa Corte, altrimenti detto, non
disciplinano l'istituto dell'amministrazione di sostegno, ma regolano
il caso in cui essa sia stata disposta per proteggere una persona che
e' sottoposta, o potrebbe essere sottoposta, a trattamenti sanitari e
che, pertanto, deve esprimere o no  il  consenso  informato  a  detti
trattamenti. 
    L'esegesi dell'art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219  del  2017
deve   essere   condotta,   pertanto,   alla    luce    dell'istituto
dell'amministrazione di sostegno, richiamato dalle  norme  censurate:
segnatamente, e' in  base  alla  disciplina  codicistica  che  devono
essere individuati i poteri spettanti al giudice tutelare al  momento
della nomina  dell'amministratore  di  sostegno,  i  quali  non  sono
affatto contemplati dalla richiamata legge n. 219 del 2017. 
    5.2.- Questa Corte, gia' all'indomani della legge n. 6 del  2004,
rilevo'   che   «l'ambito   dei   poteri   dell'amministratore   [e']
puntualmente  correlato  alle  caratteristiche  del  caso   concreto»
(sentenze n. 51 del 2010 e n. 440 del 2005), secondo quanto  previsto
dal giudice tutelare nel provvedimento di nomina, che deve contenere,
tra le altre indicazioni, quelle concernenti l'oggetto  dell'incarico
e gli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di  compiere
in nome e per conto del beneficiario (art. 405, quinto comma,  numero
3, cod. civ.), nonche' la periodicita' con  cui  l'amministratore  di
sostegno deve riferire al  giudice  circa  l'attivita'  svolta  e  le
condizioni di vita personale e sociale del  beneficiario  (art.  405,
quinto comma, numero 6, cod. civ.). 
    Piu'  di  recente,  anche  sulla  scia   dell'interpretazione   e
dell'applicazione dell'amministrazione di  sostegno  da  parte  della
giurisprudenza di legittimita', questa Corte ha  osservato  che  tale
istituto «si presenta come uno strumento  volto  a  proteggere  senza
mortificare la persona affetta da una disabilita', che puo' essere di
qualunque tipo e gravita' (Corte di cassazione, sezione prima civile,
sentenza 27 settembre 2017, n. 22602)» (sentenza n.  114  del  2019).
Esso consente  al  giudice  tutelare  «di  adeguare  la  misura  alla
situazione concreta della persona e di variarla nel  tempo,  in  modo
tale da assicurare all'amministrato la  massima  tutela  possibile  a
fronte del minor sacrificio della sua capacita' di autodeterminazione
(in questo senso, Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze
11 maggio 2017, n. 11536; 26 ottobre  2011,  n.  22332;  29  novembre
2006, n. 25366 e 12 giugno 2006, n. 13584; ma si veda anche Corte  di
cassazione, sezione prima civile,  sentenza  11  settembre  2015,  n.
17962)» (sentenza n. 114 del 2019). 
    L'amministrazione di sostegno e', insomma, un  istituto  duttile,
che, proprio in ragione di cio', puo'  essere  plasmato  dal  giudice
sulle necessita' del beneficiario, anche  grazie  all'agilita'  della
relativa procedura applicativa (Corte di  cassazione,  sezione  prima
civile, sentenze 11 settembre 2015, n. 17962;  26  ottobre  2011,  n.
22332; 1° marzo 2010, n. 4866; 29 novembre 2006, n. 25366 e 12 giugno
2006, n. 13584). Con il  decreto  di  nomina  dell'amministratore  di
sostegno,  difatti,  il  giudice  tutelare  «si  limita,  in  via  di
principio, a individuare gli atti in relazione ai  quali  ne  ritiene
necessario l'intervento» (sentenza  n.  114  del  2019),  perche'  e'
chiamato ad affidargli, nell'interesse del beneficiario, i  necessari
strumenti di sostegno con riferimento alle sole categorie di atti  al
cui  compimento  quest'ultimo  sia  ritenuto   inidoneo   (Corte   di
cassazione, prima sezione  civile,  sentenza  29  novembre  2006,  n.
25366). 
    Attribuendo  al  giudice  tutelare  il   compito   di   modellare
l'amministrazione di sostegno in relazione  allo  stato  personale  e
alle condizioni di vita del beneficiario, il  legislatore  ha  inteso
limitare «nella minore misura possibile» (sentenza n. 440  del  2005)
la capacita' di agire della persona disabile: il che marca nettamente
la  differenza  con  i  tradizionali  istituti  dell'interdizione   e
dell'inabilitazione, la cui applicazione attribuisce al soggetto  uno
status  di  incapacita',  piu'  o  meno  estesa,  connessa  a  rigide
conseguenze  legislativamente  predeterminate.  Il  maggior  rispetto
dell'autonomia e della dignita'  della  persona  disabile  assicurata
dall'amministrazione di sostegno  e'  alla  base  di  quelle  recenti
decisioni, anche di questa Corte, che hanno escluso  si  estendano  a
tali soggetti - in ragione d'una generalizzata applicazione,  in  via
analogica, delle limitazioni dettate per l'interdetto o l'inabilitato
- i divieti di contrarre matrimonio  (Corte  di  cassazione,  sezione
prima civile,  sentenza  11  maggio  2017,  n.  11536)  o  di  donare
(sentenza n. 114 del 2019; Corte di cassazione, sezione prima civile,
ordinanza  21  maggio   2018,   n.   12460):   il   beneficiario   di
amministrazione di sostegno puo' si' essere privato  della  capacita'
di porre in essere tali atti  personalissimi,  quando  cio'  risponda
alla tutela di suoi interessi, ma sempre che cio'  sia  espressamente
disposto  dal  giudice  tutelare  -  nel  provvedimento  di  apertura
dell'amministrazione di  sostegno  o  anche  in  una  sua  successiva
revisione - con esplicita clausola ai  sensi  dell'art.  411,  quarto
comma, cod. civ. 
    E'   fuor   di   dubbio,    infine,    che    possa    ricorrersi
all'amministrazione di sostegno  anche  laddove  sussistano  soltanto
esigenze di «cura della persona» - come d'altra  parte  recitano  gli
artt. 405, quarto comma, e 408, primo comma, cod. civ.  -  in  quanto
esso non e' istituto finalizzato esclusivamente ad assicurare  tutela
agli interessi patrimoniali del beneficiario, ma e'  volto,  piu'  in
generale, a soddisfarne i «bisogni» e  le  «aspirazioni»  (art.  410,
primo comma, cod. civ.), cosi' garantendo  adeguata  protezione  alle
persone fragili, in relazione alle  effettive  esigenze  di  ciascuna
(Corte di cassazione, sesta sezione civile, ordinanza 26 luglio 2018,
n. 19866; sul ricorso all'amministrazione di sostegno per l'esercizio
di scelte connesse al diritto alla salute, anche Corte di cassazione,
prima sezione civile, ordinanza 15 maggio 2019, n. 12998). 
    5.3.-  La  ricostruzione   del   quadro   normativo   concernente
l'amministrazione di sostegno, anche alla luce  degli  approdi  della
giurisprudenza di questa Corte e della Corte  di  cassazione,  rivela
l'erroneita' del presupposto interpretativo  su  cui  si  fondano  le
questioni  di  legittimita'  costituzionale  proposte   dal   giudice
tutelare di Pavia. 
    Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, le norme
censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno
che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito  sanitario  anche  il
potere di  esprimere  o  no  il  consenso  informato  ai  trattamenti
sanitari di sostegno vitale. 
    Nella logica del sistema dell'amministrazione di sostegno  e'  il
giudice tutelare che, con il decreto di nomina,  individua  l'oggetto
dell'incarico e  gli  atti  che  l'amministratore  ha  il  potere  di
compiere in nome e per conto del  beneficiario.  Spetta  al  giudice,
pertanto,  il  compito  di  individuare  e  circoscrivere  i   poteri
dell'amministratore,  anche  in  ambito  sanitario,  nell'ottica   di
apprestare misure volte a garantire la migliore tutela  della  salute
del beneficiario, tenendone pur sempre in  conto  la  volonta',  come
espressamente prevede l'art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017.
Tali misure di tutela, peraltro, non possono non  essere  dettate  in
base alle circostanze del caso di specie e, dunque, alla  luce  delle
concrete condizioni di salute del beneficiario,  dovendo  il  giudice
tutelare affidare  all'amministratore  di  sostegno  poteri  volti  a
prendersi cura del disabile, piu' o meno ampi in considerazione dello
stato di salute in cui,  al  momento  del  conferimento  dei  poteri,
questi versa. La  specifica  valutazione  del  quadro  clinico  della
persona, nell'ottica dell'attribuzione all'amministratore  di  poteri
in ambito sanitario, tanto piu' deve essere effettuata allorche',  in
ragione della patologia riscontrata, potrebbe manifestarsi l'esigenza
di prestare il consenso  o  il  diniego  a  trattamenti  sanitari  di
sostegno  vitale:  in  tali  casi,   infatti,   viene   a   incidersi
profondamente  su  «diritti  soggettivi  personalissimi»  (Corte   di
cassazione, prima sezione civile, sentenza 7 giugno 2017,  n.  14158;
piu' di recente, anche Corte di  cassazione,  prima  sezione  civile,
ordinanza 15 maggio 2019, n. 12998), sicche' la decisione del giudice
circa il conferimento o no del potere di rifiutare tali cure non puo'
non essere presa alla luce delle circostanze concrete,  con  riguardo
allo stato di salute del disabile in quel dato momento considerato. 
    La  ratio   dell'istituto   dell'amministrazione   di   sostegno,
pertanto, richiede al giudice tutelare di modellare, anche in  ambito
sanitario, i poteri dell'amministratore sulle necessita' concrete del
beneficiario,  stabilendone  volta  a  volta  l'estensione  nel  solo
interesse  del  disabile.   L'adattamento   dell'amministrazione   di
sostegno alle esigenze di ciascun beneficiario e', poi, ulteriormente
garantito  dalla  possibilita'  di  modificare  i  poteri   conferiti
all'amministratore  anche  in  un  momento  successivo  alla  nomina,
tenendo  conto,  ove  mutassero  le  condizioni  di   salute,   delle
sopravvenute esigenze del disabile:  il  giudice  tutelare,  infatti,
deve essere periodicamente aggiornato  dall'amministratore  circa  le
condizioni di vita personale e sociale del  beneficiario  (art.  405,
quinto comma, numero 6, cod.  civ.),  puo'  modificare  o  integrare,
anche d'ufficio, le decisioni assunte nel  decreto  di  nomina  (art.
407, quarto comma, cod. civ.), puo' essere chiamato  a  prendere  gli
opportuni provvedimenti - su ricorso del beneficiario,  del  pubblico
ministero o degli altri soggetti di cui all'art. 406 cod. civ.  -  in
caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero  di  negligenza
dell'amministratore nel perseguire l'interesse  o  nel  soddisfare  i
bisogni o le richieste della  persona  disabile  (art.  410,  secondo
comma, cod. civ.). 
    5.3.1.- L'esegesi dell'art. 3, commi 4 e 5, della  legge  n.  219
del 2017, tenuto conto dei principi che conformano  l'amministrazione
di  sostegno,  porta  allora  conclusivamente   a   negare   che   il
conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario rechi
con  se',  anche  e  necessariamente,  il  potere  di   rifiutare   i
trattamenti sanitari necessari al  mantenimento  in  vita.  Le  norme
censurate si limitano a disciplinare il caso in cui  l'amministratore
di sostegno abbia ricevuto  anche  tale  potere:  spetta  al  giudice
tutelare, tuttavia,  attribuirglielo  in  occasione  della  nomina  -
laddove in concreto gia' ne ricorra l'esigenza, perche' le condizioni
di salute del  beneficiario  sono  tali  da  rendere  necessaria  una
decisione sul prestare o no il consenso  a  trattamenti  sanitari  di
sostegno vitale -  o  successivamente,  allorche'  il  decorso  della
patologia del beneficiario specificamente lo richieda. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara inammissibile l'intervento delle associazioni  Unione
Giuristi Cattolici Italiani - Unione  Locale  di  Piacenza  e  Unione
Giuristi Cattolici di Pavia "Beato Contardo Ferrini"; 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 4 e  5,  della  legge  22  dicembre
2017,  n.  219  (Norme  in  materia  di  consenso  informato   e   di
disposizioni anticipate di trattamento),  sollevate,  in  riferimento
agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, dal giudice tutelare del
Tribunale ordinario di Pavia con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA