N. 187 SENTENZA 22 maggio - 18 luglio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Misure alternative al carcere  -  Condannato  nei
  cui  confronti  sia  stata  disposta  la  revoca  di   una   misura
  alternativa nel triennio precedente - Divieto  di  concessione  dei
  benefici della detenzione domiciliare speciale e  della  detenzione
  domiciliare ordinaria prevista per madri e padri di prole  di  eta'
  inferiore ai dieci anni. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 58-quater, commi 1, 2 e 3. 
-   
(GU n.30 del 24-7-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  58-quater,
commi 1, 2 e 3, in combinato disposto, della legge 26 luglio 1975, n.
354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sulla  esecuzione  delle
misure privative e limitative della liberta'), promosso  dalla  Corte
di cassazione, prima sezione penale, nel procedimento penale a carico
di R. G., con ordinanza del 13 luglio 2018, iscritta al  n.  186  del
registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  R.  G.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  22  maggio  2019  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi gli avvocati Antonella Calcaterra e Corrado  Limentani  per
R. G. e l'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 13 luglio 2018,  la  Corte  di  cassazione,
prima sezione penale, ha sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3,
primo comma, 29, primo comma, 30, primo comma, e 31,  secondo  comma,
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge 26 luglio  1975,  n.
354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sulla  esecuzione  delle
misure privative e limitative della liberta'), «nella  parte  in  cui
[detti commi], nel loro combinato disposto, prevedono che  non  possa
essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare
speciale, prevista dall'art. 47-quinquies della stessa legge  n.  354
del 1975, al condannato nei cui confronti e' stata disposta la revoca
di una misura alternativa, ai sensi dell'art. 47, comma 11, dell'art.
47-ter, comma 6, o dell'art. 51, primo comma, della legge medesima». 
    1.1.- La Sezione rimettente  premette  di  essere  investita  del
ricorso  avverso  un  decreto  del  Presidente   del   Tribunale   di
sorveglianza di Milano che ha pronunciato, ai sensi e nelle forme  di
cui all'art. 666 del codice di procedura  penale,  l'inammissibilita'
dell'istanza di accedere alla  misura  della  detenzione  domiciliare
speciale, avanzata ai sensi dell'art.  47-quinquies,  commi  1  e  7,
ordin. penit., da un detenuto padre di un minore di eta' inferiore ai
dieci anni la cui madre si  sarebbe  trovata  nell'impossibilita'  di
prendersi cura di quest'ultimo. 
    Nel caso di specie, il ricorrente R. G. aveva  subito  la  revoca
della misura alternativa della semiliberta', e  l'istanza  da  questi
formulata - un anno e otto mesi piu' tardi - di essere  ammesso  alla
detenzione domiciliare speciale era  stata  dichiarata  inammissibile
dal Presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano esclusivamente
sulla scorta  del  mancato  decorso  del  termine  triennale  fissato
all'art. 58-quater, comma 3, ordin. penit. 
    Contro tale decisione di  inammissibilita'  il  condannato  aveva
proposto ricorso per cassazione, rilevando che la misura  alternativa
della detenzione domiciliare speciale non e' espressamente richiamata
dall'art. 58-quater, comma 1, ordin. penit.,  e  che,  pertanto,  non
potrebbe essere oggetto della preclusione stabilita dal comma  3,  di
talche'  la  pregressa  revoca   della   misura   alternativa   della
semiliberta'  non  potrebbe  essere,  di  per  se',   ostativa   alla
valutazione nel merito dell'istanza proposta dal condannato. 
    1.2.-   Ritiene   anzitutto    la    Sezione    rimettente    che
l'interpretazione  dell'art.  58-quater,  comma  1,   ordin.   penit.
sostenuta dal ricorrente non sia praticabile. 
    Il giudice a quo rammenta come la giurisprudenza di  legittimita'
si sia gia' pronunciata nel senso  di  escludere  che  la  detenzione
domiciliare speciale si sottragga  ai  divieti  cui  e'  soggetta  la
detenzione domiciliare "ordinaria"  ai  sensi  dei  primi  tre  commi
dell'art. 58-quater  (Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,
sentenza 1° luglio 2002, n. 28712), dal momento  che  il  legislatore
del 2001, prevedendo il nuovo istituto della  detenzione  domiciliare
speciale, avrebbe avuto semplicemente l'intento di ampliare la platea
dei destinatari della detenzione domiciliare "ordinaria", senza pero'
con cio' voler accordare un trattamento  piu'  favorevole  di  quello
gia' previsto per quest'ultima. 
    Il riferimento alla «detenzione domiciliare»  compiuto  nell'art.
58-quater, comma 1, comprenderebbe d'altra  parte  tutti  i  casi  di
detenzione domiciliare,  "ordinaria"  e  speciale,  a  differenza  di
quanto accade per l'affidamento in prova, ove lo stesso  comma  1  ha
cura di indicare che la preclusione ivi stabilita si applica ai  casi
previsti  dall'art.  47  ordin.  penit.,   con   conseguente   chiara
esclusione dei casi di affidamento in prova previsto per  i  detenuti
tossicodipendenti, originariamente previsto dall'art.  47-bis  ordin.
penit. e oggi disciplinato dall'art. 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di  disciplina   degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). 
    D'altra parte, la tesi interpretativa propugnata  dal  ricorrente
condurrebbe assurdamente a ritenere operante  la  preclusione  per  i
casi di detenzione  domiciliare  "ordinaria"  disciplinati  dall'art.
47-ter, comma 1, lettere a) e b),  destinati  ai  condannati  a  pene
detentive piu' brevi di quelle  cui  si  riferisce  l'istituto  della
detenzione domiciliare speciale. 
    Da cio' deriverebbe la necessita' di  interpretare  il  combinato
disposto dei primi tre commi dell'art. 58-quater  ordin.  penit.  nel
senso che  da  essi  discenda  effettivamente  una  preclusione  alla
concessione della  detenzione  domiciliare  speciale  al  ricorrente,
derivante dall'essere stata nei suoi confronti revocata altra  misura
alternativa nel triennio precedente. 
    1.3.-  Il  rimettente  dubita,   tuttavia,   ex   officio   della
compatibilita' di tale combinato disposto,  cosi'  interpretato,  con
gli artt. 3, primo comma, 29, primo comma, 30,  primo  comma,  e  31,
secondo comma, Cost. 
    1.4.- La questione sarebbe anzitutto rilevante, dal momento che -
in caso di suo accoglimento - il ricorso del detenuto dovrebbe essere
accolto, con conseguente annullamento senza rinvio  del  decreto  del
Presidente  del  tribunale  di  sorveglianza  che  aveva   dichiarato
l'istanza inammissibile, e restituzione degli atti allo stesso organo
giudiziario affinche'  esamini  «nel  merito  i  presupposti  per  la
concessione  della  misura,  allo  stato  non  preclusa  per   alcuna
tipologia di reato; presupposti il cui fattuale riscontro costituisce
un posterius rispetto alla decisione  che  deve  essere  assunta  nel
presente giudizio di cassazione». 
    1.5. - Il dubbio di costituzionalita' sarebbe, d'altra parte, non
manifestamente infondato alla luce  di  quanto  stabilito  da  questa
Corte nella  sentenza  n.  239  del  2014,  con  la  quale  e'  stata
dichiarata l'incostituzionalita' dell'art.  4-bis,  comma  1,  ordin.
penit. nella parte in cui non escludeva il beneficio della detenzione
domiciliare  speciale  dal  divieto  di  concessione   dei   benefici
penitenziari da esso stabilito. 
    Rammenta il giudice a quo che con tale  decisione  questa  Corte,
partendo  dalla  peculiare  ratio  del  beneficio  della   detenzione
domiciliare in favore delle madri detenute con prole in tenera  eta',
ha ritenuto che la preclusione di cui all'art. 4-bis, comma 1, ordin.
penit.,   accomunasse   situazioni    profondamente    diversificate,
trasferendo le sottese esigenze di  politica  repressivo-criminale  a
carico di un soggetto terzo - quale il minore di eta' -, estraneo sia
alle attivita' delittuose che hanno condotto alla condanna, sia  alla
scelta della condannata (o del condannato)  di  non  collaborare,  in
violazione sia dell'art. 3, primo comma, Cost., sia  degli  ulteriori
parametri di cui agli artt. 29, primo comma, 30, primo comma,  e  31,
secondo comma, Cost. 
    Ad avviso della Sezione rimettente, i commi 1, 2  e  3  dell'art.
58-quater ordin. penit. sarebbero espressivi  della  stessa  politica
criminale sottesa all'art.  4-bis,  «volta  a  sanzionare  la  scarsa
"affidabilita'"   di   un   condannato   responsabile   di   condotte
negativamente sintomatiche, quali l'evasione, ovvero le trasgressioni
alle prescrizioni di una pregressa misura alternativa, tali da averne
determinato la revoca. Rispetto a tale condannato si  istituisce  una
presunzione assoluta di temporanea inidoneita' rispetto  a  forme  di
espiazione della pena detentiva, che si attuino anche parzialmente al
di fuori dell'istituzione carceraria». 
    Secondo il giudice a quo, nei confronti  di  presunzioni  di  tal
sorta nell'ambito dei benefici penitenziari sarebbero  applicabili  i
principi desumibili dalla giurisprudenza  con  cui  questa  Corte  ha
escluso la legittimita' di  rigidi  automatismi  che  impediscono  la
valutazione individualizzata del condannato (sono citate le  sentenze
n. 149 del 2018, n. 291 e n. 189 del 2010, n. 255 del 2006 e  n.  436
del 1999). 
    La Sezione rimettente richiama quindi la sentenza n. 76 del 2017,
dichiarativa     dell'illegittimita'     costituzionale     dell'art.
47-quinquies, comma 1-bis, ordin.  penit.,  introdotto  dall'art.  3,
comma 1, lettera b), della legge 21 aprile 2011, n. 62 (Modifiche  al
codice di procedura penale e alla legge 26 luglio  1975,  n.  354,  e
altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri  e  figli
minori), nella parte in cui  tale  disposizione  negava  alle  «madri
condannate per taluno dei delitti indicati  nell'articolo  4-bis»  la
possibilita' di  espiare  la  frazione  iniziale  di  pena  detentiva
secondo le modalita' agevolative ivi previste. 
    L'esigenza di tutela differenziata dell'interesse  del  minore  a
fruire in modo continuativo dell'affetto e delle cure genitoriali non
sarebbe d'altra parte, ad avviso del giudice  a  quo,  sottratta  «ad
ogni possibile  bilanciamento  con  esigenze  contrapposte,  pure  di
rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese  alla
necessaria esecuzione della pena inflitta  al  genitore,  in  seguito
alla commissione di un reato, e  alle  condizioni  che  la  regolano»
(sono richiamate le sentenze n. 76 del 2017, n. 239 del 2014 e n. 177
del 2009). Risponderebbe anzi  a  tale  logica  di  bilanciamento  la
disciplina delle condizioni di accesso  alla  detenzione  domiciliare
speciale, stabilita dall'art. 47-quinquies, comma 1,  ordin.  penit.,
e, in particolare, la condizione dell'insussistenza  di  un  concreto
pericolo di commissione di ulteriori delitti da parte del condannato.
Richiamandosi testualmente alla sentenza n. 239 del 2014, il  giudice
a quo ritiene allora che le esigenze di protezione della societa' dal
crimine possono prevalere sull'interesse del minore a  patto  che  la
loro sussistenza e consistenza venga verificata in  concreto,  e  non
venga, invece, «collegata ad indici presuntivi [...]  che  precludono
al giudice ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni». 
    Ne' varrebbe a confutare il contrasto tra la norma censurata e  i
parametri di costituzionalita' invocati dal rimettente,  la  limitata
durata della preclusione posta dall'art. 58-quater, comma 3: tre anni
costituirebbero infatti un lasso di tempo  «assai  significativo  nel
processo  di  crescita  del  minore  di  tenera  eta',   cui   l'art.
47-quinquies  Ord.  pen.   ha   principale   riguardo;   tanto   piu'
significativo, quanto piu' ridotta sia l'eta' del bambino nel momento
in cui la preclusione inizi a decorrere.  Durante  tale  periodo  ben
possono verificarsi quelle importanti,  e  difficilmente  riparabili,
alterazioni del suo equilibrio psicofisico  che  solo  l'eliminazione
dell'automatismo  -  e  con   essa   la   riespansione   del   potere
discrezionale  del  giudice,  orientato  a  una  logica  di   attento
bilanciamento dei valori in campo - e' in grado di sventare». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili in
ragione dell'omesso esperimento  da  parte  del  giudice  a  quo  del
tentativo di interpretazione conforme a Costituzione della disciplina
censurata. 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  ritiene  infatti   che   la
preclusione dell'accesso alla  detenzione  domiciliare,  in  caso  di
revoca di altra misura alternativa intervenuta a danno del condannato
nel triennio precedente, non si estenda alla  detenzione  domiciliare
speciale, introdotta del resto soltanto con la legge 8 marzo 2001, n.
40 (Misure alternative alla detenzione  a  tutela  del  rapporto  tra
detenute  e  figli   minori),   successiva   all'introduzione   della
disciplina in questa sede censurata. 
    La possibilita' di fornire un'interpretazione  costituzionalmente
conforme  della  disciplina   censurata   sarebbe,   d'altra   parte,
rafforzata da quanto stabilito da questa Corte nella sentenza n.  189
del 2010 (che richiama la  precedente  sentenza  n.  436  del  1999),
proprio in riferimento all'art. 58-quater, comma  1,  ordin.  penit.,
laddove si e' ritenuto che, nella materia dei benefici  penitenziari,
alla luce del criterio della funzione rieducativa della pena  di  cui
all'art. 27, terzo comma, Cost., l'esclusione di rigidi automatismi e
la necessita' di una valutazione  individualizzata,  caso  per  caso,
costituisca  «criterio  "costituzionalmente  vincolante"»,  che  deve
orientare l'interpretazione delle singole disposizioni. 
    In una successiva memoria, l'Avvocatura generale dello  Stato  ha
ulteriormente sostenuto la possibilita' di  interpretazione  conforme
appena illustrata, instaurando  un  parallelo  con  il  diverso  caso
dell'affidamento in prova, disciplinato dall'art. 47  ordin.  penit.,
anch'esso incluso nell'elenco delle misure alternative al carcere  la
cui concessione, ai sensi dell'art. 58-quater, sarebbe  preclusa  per
tre anni in presenza di accertato delitto di evasione (comma 1) o  di
revoca di determinati benefici penitenziari  (comma  2).  Rispetto  a
tale istituto generale, la  giurisprudenza  di  legittimita'  avrebbe
escluso l'applicabilita' della preclusione all'affidamento  in  prova
«in casi particolari» (e' citata Corte di cassazione,  sezione  prima
penale, sentenza 12 gennaio 2017, n. 31053). Posto che  entrambi  gli
istituti della detenzione domiciliare speciale e dell'affidamento  in
prova «in casi particolari» costituirebbero modalita' alternative  di
esecuzione  della  pena   dirette   alla   tutela,   rispettivamente,
dell'integrita' psichica del minore in caso di condanna di una figura
genitoriale, da un lato, e delle esigenze di salute  del  condannato,
da un altro lato, secondo l'Avvocatura generale dello Stato  dovrebbe
potersi operare anche in questo caso l'interpretazione conforme  gia'
praticata dalla Corte di cassazione per  l'affidamento  in  prova  in
casi particolari. 
    Nel corso  dell'udienza,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  -
ribadita in via principale la propria eccezione di inammissibilita' -
ha aderito in via subordinata alla richiesta  di  accoglimento  delle
questioni prospettate formulata dalla parte privata. 
    3.- Si  e'  costituita  in  giudizio  la  parte  privata  R.  G.,
chiedendo   l'accoglimento   delle    questioni    di    legittimita'
costituzionale prospettate. 
    Richiamandosi,  sostanzialmente,   alle   argomentazioni   svolte
dall'ordinanza di rimessione,  la  parte  sottolinea  che,  nel  caso
concreto, la revoca del beneficio della semiliberta' era  avvenuta  a
distanza di quattro anni dalla sua  concessione.  In  tale  lasso  di
tempo, il ricorrente aveva intrapreso un'attivita' commerciale, aveva
contratto matrimonio ed era diventato padre. La revoca del  beneficio
era  stata  causata  dall'essere  stato  sorpreso  il  ricorrente  in
compagnia di  soggetti  pregiudicati.  Ad  avviso  della  difesa,  si
sarebbe  trattato  dunque  di  una  revoca  «non  riconducibile  alla
commissione di reati bensi' unicamente a violazioni comportamentali». 
    Nella memoria presentata in prossimita'  dell'udienza,  la  parte
privata ha ribadito quanto gia' sostenuto in merito  alla  fondatezza
delle questioni, invocando a ulteriore supporto degli  argomenti  ivi
spiegati la recente sentenza di questa Corte n. 99 del 2019,  in  cui
e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 47-ter,
comma 1-ter, della legge n. 354 del 1975, «nella  parte  in  cui  non
consente che la  detenzione  domiciliare  "umanitaria"  sia  disposta
anche nelle  ipotesi  di  grave  infermita'  psichica  sopravvenuta».
Secondo la parte privata,  in  tale  sentenza  questa  Corte  avrebbe
valorizzato le capacita' della detenzione domiciliare di bilanciare i
confliggenti interessi in gioco (in quel caso, il diritto alla salute
del detenuto e le esigenze di difesa della collettivita'), in  virtu'
della possibilita' della misura di poter essere «configurata in  modo
variabile, con un dosaggio ponderato di limitazioni, degli obblighi e
delle autorizzazioni secondo le esigenze del caso [...],  assicurando
al tempo stesso la sicurezza della collettivita'». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Con  l'ordinanza  descritta  in  epigrafe,   la   Corte   di
cassazione,  prima  sezione  penale,  ha  sollevato  d'ufficio,   con
riferimento agli artt. 3, primo comma, 29,  primo  comma,  30,  primo
comma,  e  31,  secondo  comma,  della  Costituzione,  questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 58-quater,  commi  1,  2  e  3,
della  legge  26  luglio  1975,  n.   354   (Norme   sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della  liberta'),  «nella  parte  in  cui  [detti  commi],  nel  loro
combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa,  per  la
durata di tre anni,  la  detenzione  domiciliare  speciale,  prevista
dall'art. 47-quinquies  della  stessa  legge  n.  354  del  1975,  al
condannato nei cui confronti e'  stata  disposta  la  revoca  di  una
misura alternativa,  ai  sensi  dell'art.  47,  comma  11,  dell'art.
47-ter, comma 6, o dell'art. 51, primo comma, della legge medesima». 
    In sostanza, la  Sezione  rimettente  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'automatismo preclusivo rispetto alla  concessione
della misura alternativa della detenzione domiciliare  speciale,  che
le disposizioni menzionate stabilirebbero per un periodo di tre  anni
a carico del condannato nei cui confronti sia  stata  revocata  altra
misura  (in  particolare,  dell'affidamento  in  prova  al   servizio
sociale,  della  detenzione   domiciliare   o   della   semiliberta')
precedentemente concessagli. 
    2.- Prima di  procedere  all'esame  dell'ammissibilita'  e  della
fondatezza di tali censure, appare opportuno  ricostruire  brevemente
il quadro normativo che fa da sfondo alle questioni. 
    2.1.-  La  detenzione  domiciliare,  prevista  in  via   generale
dall'art. 47-ter ordin. penit. (cosiddetta  "ordinaria"),  e'  misura
alternativa alla detenzione che consente al condannato di espiare  la
propria pena, o una parte di essa, nella propria abitazione, in altro
luogo di privata dimora o cura, assistenza e accoglienza, in presenza
di situazioni soggettive (eta' avanzata o, all'opposto, giovane  eta'
in presenza di  comprovate  esigenze  di  salute,  studio,  lavoro  o
famiglia; gravi condizioni di salute; stato di  gravidanza;  esigenze
di cura di prole in tenera  eta')  che  renderebbero  particolarmente
pregiudizievole per il condannato la permanenza in carcere. 
    Sin dall'introduzione  della  misura  ad  opera  della  legge  10
ottobre  1986,  n.  663  (Modifiche   alla   legge   sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), tra i casi in cui il condannato puo' essere  ammesso
alla detenzione domiciliare figurava l'ipotesi della madre  di  prole
in tenera eta' con lei convivente; ipotesi alla quale fu  ben  presto
affiancata, in conseguenza della sentenza n. 215 del 1990  di  questa
Corte, quella del padre della prole medesima, allorche' la madre  sia
deceduta  o  altrimenti   assolutamente   impossibilitata   a   darvi
assistenza. 
    Nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'art. 4  della
legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all'art. 656  del  codice  di
procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354,  e  successive
modificazioni), in parte qua ancora in vigore, l'art.  47-ter,  comma
1, lettere a) e b), ordin. penit. prevede  -  in  particolare  -  che
possano essere ammessi al beneficio in parola la madre, ovvero -  nel
caso di decesso o impossibilita' di questa - il  padre  di  prole  di
eta' inferiore a dieci anni convivente con il genitore  esercente  la
responsabilita' genitoriale; e cio' purche' la condanna  da  espiare,
ancorche' costituente il  residuo  di  maggior  pena,  non  superi  i
quattro anni di reclusione, ovvero consista nella pena dell'arresto. 
    2.2.- Su tale impianto normativo e' poi intervenuta  la  legge  8
marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla detenzione  a  tutela  del
rapporto tra detenute e figli minori), che ha  introdotto  -  con  il
nuovo art. 47-quinques ordin.  penit.  -  la  distinta  misura  della
«detenzione domiciliare speciale», prevista per consentire  anche  ai
condannati nei cui confronti non ricorrano  le  ordinarie  condizioni
previste dall'art. 47-ter la  possibilita'  di  accudire  la  propria
prole in tenera eta'. In particolare, la nuova  disposizione  prevede
che possano essere ammessi al beneficio la madre, ovvero - in caso di
decesso o impossibilita' di questa, e non  essendovi  altro  modo  di
provvedere all'assistenza della prole - il padre  di  prole  di  eta'
inferiore a dieci anni, purche' non sussista un concreto pericolo  di
commissione di ulteriori delitti da parte del genitore condannato,  e
vi sia la possibilita' di ripristinare la sua convivenza con i figli. 
    Ai sensi  del  comma  1  dell'art.  47-quinquies  ordin.  penit.,
condizione perche' il genitore condannato possa essere  ammesso  alla
misura e' l'espiazione di almeno  un  terzo  della  pena,  ovvero  di
quindici anni  nel  caso  di  condanna  all'ergastolo.  Peraltro,  il
successivo comma 1-bis, inserito dalla legge 21 aprile  2011,  n.  62
(Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975,
n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri
e figli minori), consente che l'interessato possa essere ammesso alla
misura, a particolari condizioni, anche prima della scadenza di  tali
termini. Tale possibilita' era in origine  esclusa  ove  la  condanna
fosse stata pronunciata per uno dei delitti indicati nell'art.  4-bis
ordin.  penit.;  ma  anche  tale  preclusione  e'  venuta   meno   in
conseguenza della sentenza n. 76 del 2017 di  questa  Corte,  con  la
quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale  del  comma
1-bis, «limitatamente alle parole  "Salvo  che  nei  confronti  delle
madri condannate per taluno dei delitti indicati nell'art. 4-bis"». 
    In forza poi del comma 7 dello stesso  art.  47-quinquies  ordin.
penit., a tenore del quale «[l]a detenzione domiciliare speciale puo'
essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre,  anche
al padre detenuto, se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi
e' modo di affidare la prole ad altri che al padre»,  la  preclusione
relativa  ai  delitti   di   cui   all'art.   4-bis   ordin.   penit.
originariamente stabilita dall'art. 47-quinquies, comma 1-bis  ordin.
penit., deve intendersi venuta meno anche  nei  confronti  del  padre
condannato. 
    2.3.-  Il  combinato  disposto  dei  primi  tre  commi  dell'art.
58-quater ordin. penit., in questa sede censurati, stabilisce in  via
generale una preclusione rispetto alla concessione di  una  serie  di
benefici penitenziari -  in  particolare,  a)  dell'assegnazione  del
lavoro all'esterno, b) dei permessi premio,  c)  dell'affidamento  in
prova al servizio sociale, nei  casi  previsti  dall'art.  47  ordin.
penit., d) della detenzione domiciliare, e) della  semiliberta'  -  a
carico del  condannato  che  sia  stato  riconosciuto  colpevole  del
delitto di evasione (comma 1), ovvero nei  cui  confronti  sia  stata
disposta la revoca di altra misura precedentemente concessagli  -  in
particolare, a) ai sensi dell'art. 47, comma 11,  ordin.  penit.  per
quanto concerne l'affidamento in prova al  servizio  sociale,  b)  ai
sensi dell'art. 47-ter, comma 6, ordin. penit. per quanto concerne la
detenzione domiciliare, nonche' c) ai sensi dell'art.  51,  comma  1,
ordin. penit. per quanto concerne la semiliberta'  -  (comma  2).  La
preclusione  in  parola  ha  durata  triennale   a   far   data   dal
provvedimento di revoca della misura, o, in  caso  di  evasione,  dal
momento in cui e' ripresa l'esecuzione della custodia  o  della  pena
(comma 3). 
    L'elenco, contenuto nel comma 1 dell'art. 58-quater ordin. penit.
- la cui introduzione risale al decreto-legge 13 maggio 1991, n.  152
(Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata
e di trasparenza e  buon  andamento  dell'attivita'  amministrativa),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203  -,
delle misure che non possono essere concesse nel triennio  successivo
alla revoca di altra misura non comprende espressamente la detenzione
domiciliare speciale, introdotta del resto nell'ordinamento  soltanto
nel 2001. L'elenco in parola si limita a stabilire, tra  l'altro,  la
preclusione  rispetto  a  una  nuova  concessione  della  «detenzione
domiciliare»,  senza  chiarire  se  anche  la  nuova   misura   della
«detenzione domiciliare speciale» debba ritenersi  interessata  dalla
preclusione in quanto  species  riconducibile  al  genus  "detenzione
domiciliare",  ovvero  se  -  proprio  in  quanto  non  espressamente
menzionata - debba ritenersi sottratta alla preclusione in parola. 
    L'ordinanza di rimessione opta, sul punto, per la prima soluzione
interpretativa, gia' accolta da un precedente di legittimita'  (Corte
di cassazione, sezione prima penale,  sentenza  1°  luglio  2002,  n.
28712), ritenendo dunque che  la  preclusione  di  cui  al  combinato
disposto dei primi tre commi della disposizione censurata si  estenda
anche all'ipotesi della detenzione domiciliare speciale (Ritenuto  in
fatto, punto 1.2.). 
    3.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita'   delle   questioni   prospettate,   per    omessa
interpretazione   costituzionalmente   conforme   della    disciplina
censurata. Secondo la difesa statale, infatti, la preclusione di  cui
all'art. 58-quater, ordin. penit., per espressa previsione del  comma
1, sarebbe riferibile alla sola misura della  detenzione  domiciliare
"ordinaria" di cui all'art. 47-ter,  ordin.  penit.,  e  non  gia'  a
quella speciale di cui all'art. 47-quinquies. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il giudice rimettente  ha  esposto  puntualmente,  attraverso  un
percorso interpretativo non  implausibile,  le  ragioni  che  l'hanno
indotto  a  ritenere  non  praticabile  l'interpretazione   sostenuta
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato;  cio'  che  deve   ritenersi
sufficiente  ai  fini  della  valutazione  di  ammissibilita'   delle
questioni prospettate (ex multis, sentenze n. 135 del 2018, n. 42 del
2017, n. 262 e n. 221 del 2015). 
    4.- Nel  merito,  le  questioni  sono  fondate,  in  ragione  del
contrasto delle disposizioni censurate con l'art. 31, secondo  comma,
Cost. 
    4.1.- Come piu' volte affermato da  questa  Corte,  «la  speciale
rilevanza dell'interesse del figlio minore a  mantenere  un  rapporto
continuativo con ciascuno dei  genitori,  dai  quali  ha  diritto  di
ricevere cura, educazione  e  istruzione»,  trova  «riconoscimento  e
tutela sia nell'ordinamento costituzionale interno - che demanda alla
Repubblica di proteggere l'infanzia, favorendo gli istituti necessari
a tale scopo (art. 31, secondo comma, Cost.) -  sia  nell'ordinamento
internazionale,  ove  vengono  in   particolare   considerazione   le
previsioni dell'art. 3, comma 1, della Convenzione  sui  diritti  del
fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989,  ratificata  e  resa
esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, e dell'art. 24,
comma 2, della Carta dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il  12  dicembre  2007.  Queste  due  ultime  disposizioni
qualificano come "superiore" l'interesse del minore,  stabilendo  che
in tutte  le  decisioni  relative  ad  esso,  adottate  da  autorita'
pubbliche  o  istituzioni  private,  tale   interesse   deve   essere
considerato "preminente":  "precetto  che  assume  evidentemente  una
pregnanza particolare quando si discuta dell'interesse del bambino in
tenera eta' a godere dell'affetto e delle cure  materne"  (cosi',  in
particolare, sentenza n. 239 del 2014)» (sentenze n. 76 del  2017  e,
in termini pressoche' sovrapponibili, n. 17 del 2017  e  n.  239  del
2014). 
    4.2.- Muovendo da tali premesse, la sentenza  n.  239  del  2014,
piu' volte richiamata dalla Sezione rimettente, ha osservato  che  la
detenzione   domiciliare   speciale   -   originariamente   anch'essa
abbracciata  dalla  generale  preclusione  relativa  all'accesso   ai
benefici penitenziari per i condannati per i delitti di cui  all'art.
4-bis, comma 1, ordin. penit. - costituisce «una  misura  finalizzata
in modo preminente alla tutela dell'interesse di un soggetto distinto
[dal condannato] e, al tempo  stesso,  di  particolarissimo  rilievo,
quale quello del minore in tenera eta' a fruire delle condizioni  per
un migliore e piu' equilibrato sviluppo  fisio-psichico».  Ne  deriva
che subordinare  l'accesso  alle  misure  alternative  a  particolari
condizioni dettate dalla presunta pericolosita' del condannato  «puo'
risultare giustificabile quando si discuta di  misure  che  hanno  di
mira,  in  via  esclusiva,  la  risocializzazione  dell'autore  della
condotta illecita. Cessa, invece, di esserlo quando al  centro  della
tutela si collochi  un  interesse  "esterno"  ed  eterogeneo»,  quale
quello del minore in tenera eta' (sentenza n.  239  del  2014;  nello
stesso senso, sentenze n. 174 del 2018 e n. 76 del 2017). 
    Nella successiva  sentenza  n.  76  del  2017,  questa  Corte  ha
ribadito che l'istituto della detenzione domiciliare  speciale,  «pur
partecipando della finalita' di reinserimento sociale del condannato,
e' primariamente indirizzato a consentire l'instaurazione, tra  madri
detenute e figli in tenera eta', di un rapporto quanto piu' possibile
"normale" (sentenze n. 239 del 2014 e n. 177 del 2009). In tal senso,
si tratta di un istituto in cui assume rilievo prioritario la  tutela
di un soggetto debole,  distinto  dal  condannato  e  particolarmente
meritevole di protezione, quale e' il minore».  Sulla  base  di  tali
considerazioni,   la    Corte    ha    dichiarato    l'illegittimita'
costituzionale del meccanismo  presuntivo  originariamente  stabilito
dell'art. 47-quinquies, comma  1-bis,  ordin.  penit.  nei  confronti
delle madri condannate per un delitto di cui  all'art.  4-bis  ordin.
penit., alle quali  era  in  via  assoluta  precluso  l'accesso  alla
detenzione domiciliare speciale sino che  non  avessero  scontato  un
terzo della pena;  meccanismo  presuntivo  che,  sulla  base  di  una
valutazione di maggior pericolosita' delle condannate per quei reati,
impediva al giudice di compiere un bilanciamento caso per caso tra le
esigenze di tutela della societa' e il  pericolo  di  commissione  di
nuovi reati da parte della madre e la protezione degli interessi  del
minore. 
    Identica ratio e' stata posta alla base  della  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 21-bis  ordin.  penit.  nella
parte in cui,  attraverso  il  rinvio  al  precedente  art.  21,  non
consentiva alle madri condannate per uno dei delitti di cui  all'art.
4-bis ordin. penit. l'accesso all'assistenza all'esterno dei figli di
eta' non superiore ai  dieci  anni,  ovvero  lo  subordinava  in  via
generale alla previa espiazione di una frazione di pena. La  sentenza
n. 174 del 2018  ha,  in  proposito,  osservato  che  «[i]  requisiti
legislativi previsti per l'accesso  a  un  beneficio  prevalentemente
finalizzato a favorire, al di fuori della restrizione carceraria,  il
rapporto tra madre e figli in tenera eta', non possono coincidere con
quelli per l'accesso al  diverso  beneficio  del  lavoro  all'esterno
[disciplinato dall'art. 21 ordin. penit.], il quale e' esclusivamente
preordinato al reinserimento sociale del condannato, senza  immediate
ricadute su soggetti diversi da  quest'ultimo.  L'art.  21-bis  della
legge n. 354 del 1975, operando invece un rinvio al  precedente  art.
21 e parificando i requisiti in discorso, si pone  in  contrasto  con
l'art.  31,  comma  secondo,  Cost.»,  impedendo  all'amministrazione
penitenziaria prima, e  al  giudice  poi,  di  valutare  la  concreta
sussistenza  di  esigenze  di  difesa  sociale,  da  bilanciare   con
l'interesse del minore a vivere il proprio rapporto con la madre. 
    Infine, la sentenza n. 211  del  2018  -  ribadita  l'unitarieta'
delle  due  tipologie  di  detenzione  domiciliare   ("ordinaria"   e
speciale) previste per consentire al genitore di assistere  i  propri
figli  in  tenera  eta'  -  ha  dichiarato  illegittima  la   mancata
estensione  al  padre,  che  fruisca  della  detenzione   domiciliare
"ordinaria" per  esigenze  di  cura  dei  propri  figli,  della  piu'
favorevole disciplina dettata per la  madre  in  caso  di  violazione
delle prescrizioni che accompagnano  la  concessione  del  beneficio;
situazione questa  che  non  comporta  sempre  e  necessariamente  la
configurabilita' del delitto di evasione a carico del condannato,  ma
che, «escluso ogni automatismo», lascia «al  giudice  il  compito  di
esaminare caso per caso, attribuendo il giusto peso all'interesse del
minore, l'opportunita' di  sanzionare  con  la  revoca  comportamenti
della condannata non giustificabili dal punto di vista della doverosa
osservanza delle prescrizioni». 
    4.3.- Alla  base  dell'intera  giurisprudenza  di  questa  Corte,
relativa, da un lato, alla  detenzione  domiciliare  "ordinaria"  per
esigenza  di  cura  dei  minori  e,   dall'altro,   alla   detenzione
domiciliare speciale, sta dunque  il  principio  per  cui  «affinche'
l'interesse  del  minore  possa  restare  recessivo  di  fronte  alle
esigenze di protezione della societa'  dal  crimine  occorre  che  la
sussistenza e la consistenza di queste ultime venga verificata  [...]
in concreto [...] e non gia' collegata ad indici presuntivi [...] che
precludono al giudice ogni margine  di  apprezzamento  delle  singole
situazioni» (sentenza n. 239 del 2014). 
    Tale   principio   non   puo'    che    condurre    a    ritenere
costituzionalmente   illegittimo   anche   l'automatismo   preclusivo
derivante dal combinato disposto delle disposizioni censurate,  cosi'
come interpretate dal giudice rimettente. 
    L'assoluta impossibilita' per il condannato, madre  o  padre,  di
accedere al beneficio della detenzione domiciliare speciale prima che
sia decorso  un  triennio  dalla  revoca  di  una  precedente  misura
alternativa sacrifica infatti a priori - e per l'arco temporale di un
intero triennio, che come osserva giustamente  il  rimettente  e'  un
periodo di tempo lunghissimo nella vita di un bambino  -  l'interesse
di quest'ultimo a vivere un rapporto quotidiano con  almeno  uno  dei
genitori, precludendo al giudice ogni bilanciamento tra tale basilare
interesse e le  esigenze  di  tutela  della  societa'  rispetto  alla
concreta pericolosita' del condannato. 
    4.4.- Il  venir  meno  dell'automatismo  censurato  non  esclude,
d'altra parte, che le esigenze di tutela  della  societa'  possano  e
debbano trovare adeguata considerazione in sede  di  valutazione,  da
parte  del  tribunale  di   sorveglianza,   dei   presupposti   della
concessione della misura. La  detenzione  domiciliare  speciale  deve
infatti essere  negata  in  presenza  di  «un  concreto  pericolo  di
commissione di ulteriori  delitti»  da  parte  del  condannato  (art.
47-quinquies, comma 1, ordin. penit.); pericolo nel cui  accertamento
non potra'  non  tenersi  conto  della  tipologia  e  della  concreta
gravita' della condotta che ha determinato la revoca della precedente
misura. Laddove il tribunale giunga  alla  conclusione  che  un  tale
pericolo   sussista,   l'interesse   del   minore    dovra'    essere
necessariamente salvaguardato con strumenti alternativi  rispetto  al
ristabilimento della convivenza con il genitore, quale - ad esempio -
l'affidamento ad altro nucleo familiare idoneo. 
    Per cio'  che  concerne  specificamente  il  padre,  poi,  l'art.
47-quinquies, comma  7,  ordin.  penit.  gli  consente  l'accesso  al
beneficio soltanto ove la madre sia deceduta o impossibilitata, e non
vi sia modo di affidare la prole ad  altri  che  a  lui.  Secondo  la
giurisprudenza  di  legittimita',  inoltre,   la   mera   circostanza
dell'impegno lavorativo della madre non  basta  a  integrare  il  suo
assoluto  impedimento  a  prendersi  cura  della  prole,  essendo  al
contrario necessario «verificare caso per caso se esistano  strutture
di sostegno e  di  assistenza  sociale,  ovvero  se  sia  disponibile
l'assistenza  di  altri  familiari   che   possano,   all'occorrenza,
sostituire la madre» (Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,
sentenza 15 marzo-12 settembre 2016, n.  37859;  in  senso  conforme,
Corte di cassazione,  sezione  prima  penale,  sentenza  19  dicembre
2014-10 settembre 2015, n. 36733). 
    A  cio'  si  aggiunge  la  possibilita'  per  il   tribunale   di
sorveglianza  di  subordinare  la  concessione  della   misura   alle
prescrizioni contemplate,  per  la  misura  cautelare  degli  arresti
domiciliari, dall'art. 284, comma 2, del codice di  procedura  penale
(richiamato  sia   dall'art.   47-ter,   comma   4,   sia   dall'art.
47-quinquies, comma 3, ordin. penit.), e in  particolare  al  divieto
per il detenuto di allontanarsi dal luogo a cui e'  assegnato,  salve
specifiche autorizzazioni da parte del giudice, il quale  puo'  anche
imporgli limiti o divieti alla facolta'  di  comunicare  con  persone
diverse  da  quelle  che  con  lui  coabitano  o  che  lo  assistono.
Prescrizioni, tutte,  alle  quali  si  aggiungono  quelle  specifiche
relative agli interventi del servizio sociale, disciplinate dai commi
da 3 a 5 dello stesso art. 47-quinquies. 
    La violazione delle prescrizioni da parte  del  condannato  puo',
d'altra parte, dar luogo alla revoca della misura ai sensi  dell'art.
47-quinquies, comma 6, con conseguente necessita' - in tale ipotesi -
di  salvaguardare  gli  interessi  del  bambino  in  maniera  diversa
dall'affidamento al genitore. 
    4.5.- I commi 1, 2 e 3, dell'art. 58-quater ordin. penit.  devono
pertanto essere dichiarati  costituzionalmente  illegittimi  -  nella
parte in cui prevedono, nel loro combinato disposto,  che  non  possa
essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare
speciale, prevista dall'art. 47-quinquies  della  legge  n.  354  del
1975, al condannato nei cui confronti e' stata disposta la revoca  di
una delle misure indicate nel comma 2 dello stesso art.  58-quater  -
in ragione del loro contrasto con l'art. 31, secondo comma, Cost., da
leggersi  anche  alla  luce  delle  disposizioni   internazionali   e
sovranazionali che  ne  arricchiscono  e  completano  il  significato
(sentenza n. 388 del 1999). 
    4.6.- Restano assorbite le ulteriori censure. 
    5.- La presente dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
deve essere estesa, in via consequenziale, anche al  divieto  -  pure
stabilito dal combinato disposto delle disposizioni  censurate  -  di
concessione  della  detenzione  domiciliare  "ordinaria",  nei   casi
previsti dall'art. 47-ter, comma 1, lettere a) e b),  ordin.  penit.,
nel triennio successivo alla revoca di una delle  misure  alternative
elencate nel comma 2. Tale detenzione domiciliare, prevista per madri
e padri di prole inferiore a dieci anni condannati a  pene  detentive
non superiori a quattro anni, anche se costituenti residuo di maggior
pena, non potrebbe  infatti  essere  assoggettata  a  una  disciplina
deteriore  rispetto  a  quella  applicabile  per  condannati  a  pene
superiori ai  quattro  anni,  cui  si  rivolge  la  disciplina  della
detenzione domiciliare speciale. 
    Come gia' accaduto in precedenti occasioni (sentenze n.  211  del
2018, n.  239  del  2014  e  n.  177  del  2009),  l'estensione  alla
disciplina  della  detenzione  domiciliare  "ordinaria"  della   piu'
favorevole disciplina prevista per la detenzione domiciliare speciale
deve,  peraltro,  essere  abbinata  all'esplicita  previsione   della
prognosi  -  alla  cui  sussistenza  e'  condizionata  la  detenzione
domiciliare speciale,  ai  sensi  dell'art.  47-quinquies,  comma  1,
ordin. penit. - che non sussista un concreto pericolo di  commissione
di ulteriori delitti. 
    Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo  1953,  n.  87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
va  pertanto   dichiarato   costituzionalmente   illegittimo   l'art.
58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge n. 354 del 1975,  nella  parte
in cui detti commi, nel loro combinato disposto,  prevedono  che  non
possa essere concessa, per la  durata  di  tre  anni,  la  detenzione
domiciliare, prevista dall'art. 47-ter, comma 1,  lettere  a)  e  b),
della legge n. 354 del 1975, al condannato nei cui confronti e' stata
disposta la revoca di una delle misure  indicate  al  comma  2  dello
stesso art. 58-quater, sempre che non sussista un  concreto  pericolo
di commissione di ulteriori delitti. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  58-quater,
commi  1,  2  e  3,  della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'),  nella  parte  in  cui  detti
commi, nel loro combinato disposto, prevedono che  non  possa  essere
concessa, per la  durata  di  tre  anni,  la  detenzione  domiciliare
speciale, prevista dall'art. 47-quinquies della stessa legge  n.  354
del 1975, al condannato nei cui confronti e' stata disposta la revoca
di una delle misure indicate nel comma 2 dello stesso art. 58-quater; 
    2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 58-quater, commi 1, 2 e 3,  della  legge  n.
354 del 1975, nella parte in cui  detti  commi,  nel  loro  combinato
disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la  durata  di
tre anni, la detenzione domiciliare, prevista dall'art. 47-ter, comma
1, lettere a) e b), della stessa legge n. 354 del 1975, al condannato
nei cui confronti e' stata disposta la revoca  di  una  delle  misure
indicate al comma 2 dello  stesso  art.  58-quater,  sempre  che  non
sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA