N. 131 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 2019

Ordinanza del 14 maggio 2019 del Tribunale di sorveglianza di  Milano
nel procedimento di sorveglianza nei confronti di C. A.. 
 
Ordinamento penitenziario - Benefici penitenziari - Condannati a pene
  detentive temporanee per il delitto  di  cui  all'art.  630,  comma
  secondo, del codice penale  che  abbiano  cagionato  la  morte  del
  sequestrato - Divieto di  concessione  dei  benefici  indicati  nel
  comma 1 dell'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 se non  abbiano
  effettivamente espiato almeno due terzi della pena. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 58-quater, comma 4. 
(GU n.34 del 21-8-2019 )
 
                 TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI MILANO 
                       Ufficio di sorveglianza 
 
    Nel procedimento di sorveglianza nei confronti di: C. A., nata in
Germania il  ...; attualmente  detenuta  presso  la  ...;  difesa  di
fiducia dall'avv. Corrado Limentani del Foro di  Milano,  avente  per
oggetto istanza di permesso premio ex art. 30-ter OP; 
    in espiazione della pena di cui  al  seguente  titolo  esecutivo:
cumulo PG Bologna n. 205/2012 SIEP;  pena  da  espiare:  anni  24  di
reclusione; 
    decorrenza pena 1° aprile 2006; fine pena attuale  al  29  agosto
2027; 
    reati per cui vi e' condanna in esecuzione: concorso in sequestro
di persona a scopo di estorsione da cui e' derivata  la  morte  della
persona sequestrata, ai  sensi  dell'art.  630  comma  2  del  codice
penale. 
    Vista  l'istanza  di  riconoscimento  della  c.d.  collaborazione
impossibile  o  irrilevante,  avanzata  dalla  detenuta  in  data  28
settembre 2018, ai fini di accedere - ai sensi degli  articoli  4-bis
comma 1-bis e 30-ter OP - ai benefici penitenziari e, in particolare,
ai permessi premio (cosi' come da istanza pervenuta in data 2 ottobre
2018); 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    La detenuta, con sentenza della  Corte  di  Assise  d'Appello  di
Bologna del 17 giugno 2011 (divenuta irrevocabile il 13 marzo  2012),
e' stata condannata, ai  sensi  dell'art.  630  comma  2  del  codice
penale, alla pena di anni ventiquattro di reclusione per sequestro in
concorso a scopo di estorsione, aggravato dalla morte  della  persona
sequestrata, come conseguenza non voluta. 
    Ad oggi la C. ha espiato effettivamente in carcere anni  tredici,
mesi uno, giorni dodici di reclusione, a cui si aggiungono anni  due,
mesi sette, giorni cinque di liberazione anticipata. 
    La detenuta ha chiesto di usufruire del primo permesso premio, da
trascorrere presso l'appartamento  (sito  in  ...)  dell'Associazione
..., al fine di coltivare i propri affetti familiari (in  particolare
con il figlio minorenne, a cui la C. e' molto legata). 
    Nell'ultimo aggiornamento della sintesi (in data 20 giugno  2018)
l'equipe  formula  come  ipotesi  trattamentale  la  concessione  dei
benefici richiesti e la Direzione dell'Istituto (in  data  2  ottobre
2018) esprime parere favorevole. 
    Dai colloqui con l'esperta psicologa e' emerso che la detenuta si
mostra assolutamente consapevole della gravita' del reato,  palesando
contenuti di profondo dolore nei confronti della vittima e  dei  suoi
familiari, seppur la medesima, distanziandosi da quanto riportato  in
sentenza, ha sempre negato di aver partecipato alla formulazione  del
piano di reato, proiettando, invece, la colpa su chi materialmente ha
commesso questo grave delitto; nonostante cio', la detenuta ha sempre
manifestato autentici sentimenti di colpa rispetto al reato  per  cui
si trova ristretta. 
    Si specifica che il reato per cui la C. e' ristretta e' un  fatto
che, per la crudezza e violenza  delle  azioni  criminali,  ha  avuto
notevole rilevanza mediatica: la detenuta e' stata ritenuta colpevole
di aver preso parte, in concorso con il suo ex convivente M. G. A.  e
con S. R., alla pianificazione del rapimento del piccolo  T.  O.;  il
piano criminale era stato organizzato allo scopo di estorcere  denaro
alla famiglia per la liberazione del bambino, ma si e'  poi  concluso
con la morte di quest'ultimo, ucciso da R. ed A. immediatamente  dopo
il rapimento, per evitare di venire scoperti dalle forze  dell'ordine
impegnate nelle ricerche del piccolo. 
    Mentre i due correi  hanno  ammesso  le  proprie  responsabilita'
circa l'ideazione e la commissione del fatto anche omicidiario, la C.
ha sempre affermato di non avere mai  condiviso  il  piano  criminale
fino all'uccisione del piccolo (come del resto  confermato  anche  in
fase di cognizione dall'A., salvo poi ritrattare  nelle  fasi  finali
del processo, accusando anche la ex compagna). Infatti, i due  uomini
sono stati condannati all'ergastolo per avere cagionato (dolosamente)
la morte del sequestrato, ai sensi dell'art. 630. comma 3 del  codice
penale;  mentre  la  donna  e'  stata  condannata  alla  pena   della
reclusione di anni ventiquattro per avere cagionato  la  morte  della
vittima,  come  conseguenza  non  voluta  del  sequestro,  ai   sensi
dell'art. 630, comma 2 del codice penale. 
    Cio' premesso in fatto, deve affrontarsi la questione preliminare
di ammissibilita' dell'istanza avanzata dalla detenuta, alla  stregua
di quanto previsto dall'art. 58-quater comma 4 OP. 
    Nella suddetta istanza in data 2 ottobre 2018 la  detenuta,  dopo
aver asserito la sua totale estraneita' da contesti  di  criminalita'
organizzata  ed  altresi'  l'evidente  impossibilita'  di   una   sua
collaborazione «attiva» («in quanto i fatti a me ascritti sono  stati
integralmente accertati con sentenza passata in giudicato. Inoltre il
mio ruolo, cosi' come accertato in  sentenza,  e'  stato  di  secondo
piano e nulla potrei comunque ulteriormente riferire in ordine  a  un
episodio ormai definitivamente accertato»), sosteneva sussistessero i
termini di legge per poter accedere ai permessi premio; cio' - a  suo
dire - perche' il reato ascrittole (art.  630,  comma  2  del  codice
penale) non rientrerebbe tra  quelli  previsti  dall'art.  58-quater,
comma 4 OP. In particolare, la condannata, citando la sentenza  della
Corte costituzionale n. 149/2018, ha ritenuto che il richiamo operato
dall'art. 58.quater, comma 4 OP all'art. 630 del codice penale sia da
intendersi  esclusivamente  con  riferimento  al   comma   terzo   di
quest'ultimo articolo; a suo dire, l'art. 58-quater, comma  4  OP  si
riferirebbe espressamente ai condannati per sequestro di persona «che
abbiano cagionato la morte del sequestrato» e, dunque, non ai casi in
cui  la  morte  del  sequestrato  sia  derivata  dal   delitto   come
conseguenza non voluta dal reo, ai sensi dell'art. 630, comma  2  del
codice penale, che e' la fattispecie a lei ascritta. 
    La  questione  appena  prospettata  impone   di   analizzare   la
disposizione di cui all'art. 58-quater, comma 4 OP, la quale pone una
disciplina molto chiara: per determinati tipi di reato («i condannati
per i  delitti  di  cui  agli  articoli  289-bis  e  630  del  codice
penale che   abbiano   cagionato   la   morte    del    sequestrato»)
l'ammissibilita' dei benefici di cui all'art. 4-bis, comma  1  OP  e'
subordinata all'espiazione effettiva di almeno due terzi  della  pena
inflitta in caso di  pena  temporanea  o,  nel  caso  dell'ergastolo,
almeno ventisei anni. 
    Cio' premesso, e' necessario anzitutto analizzare il  significato
dell'espressione contenuta  nell'art.  58-quater,  comma  4  OP  «che
abbiano  cagionato  la  morte  del  sequestrato»,  concentrandosi  in
particolare sul significato giuridico del verbo «cagionare». 
    E' evidente che nel caso di specie  non  si  tratti  di  omicidio
volontario, ma di delitto aggravato dall'evento. E' ben vero  che  lo
schema legale di tale delitto aggravato e' costruito  in  termini  di
responsabilita'  oggettiva,  poiche'  non  sembra  richiedere  alcuna
partecipazione  soggettiva  rispetto  all'evento,  che  deriva   solo
causalmente dalla condotta  materiale  dell'agente;  tuttavia,  preso
atto della sussistenza del nesso di causalita' (imputabilita' di tipo
oggettivo), alla luce del principio di  colpevolezza,  e'  necessario
interpretare tale fattispecie nel senso della necessaria presenza  di
una quota di colpa anche rispetto all'evento  non  voluto.  In  altri
termini,  l'aver  cagionato  la  morte  del  sequestrato  appare   un
presupposto imprescindibile per la configurazione di tale fattispecie
di reato, e cio' indipendentemente dal fatto che la morte  sia  stata
effettivamente voluta (nel caso del terzo  comma  dell'art.  630  del
codice penale) o non voluta (nel caso del secondo comma dell'art. 630
del codice penale) dalla detenuta. Dunque, il verbo «cagionare»  -  a
differenza  di  quanto   sostenuto   dall'istante   -   non   implica
necessariamente la sussistenza in capo all'agente della  volonta'  di
causare la morte della vittima, come avviene  nei  casi  di  omicidio
doloso. In questo senso, dunque, la C. ha,  in  effetti,  concorso  a
cagionare la morte del piccolo T.,  nel  senso  che  (anche)  la  sua
condotta ha causato  l'evento  morte,  anche  se  non  effettivamente
voluto. 
    Dunque, il  fatto  che  l'art.  58-quater  comma  4  OP  contenga
l'espressione  «che  abbiano  cagionato  la  morte  del  sequestrato»
significa necessariamente che le soglie di legittimita' contenute  in
tale norma si riferiscono a tutti i condannati  del  delitto  di  cui
all'art. 630 del codice penale, che abbiano cagionato la morte  della
vittima, sia con dolo sia con la  sola  previsione  dell'evento,  nei
termini in  cui  la  giurisprudenza  di  legittimita'  interpreta  la
fattispecie del delitto aggravato dall'evento.  Ne  consegue  che  la
posizione giuridica della C. rientra pienamente nella  disciplina  di
cui al comma quarto dell'art. 58-quater OP. 
    Chiarito  cio',  va  rilevato  che  la  C.,  condannata  ad  anni
ventiquattro di reclusione, ad oggi ha  effettivamente  espiato  anni
tredici, mesi uno, giorni dodici di  reclusione  (esclusi  anni  due,
mesi sette, giorni  cinque  di  L.A.,  come  richiesto  dall'avverbio
«effettivamente»  presente  nel  testo  della  norma  in   questione;
interpretazione confermata del resto anche dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 149/2018);  ai  sensi  dell'art.  58  comma  4  OP,
dunque,  vi  sarebbe  una  preclusione  temporale  per  l'accesso  ai
permessi premio, non avendo la detenuta espiato  i  due  terzi  della
pena inflittale (16 su 24  anni  di  reclusione):  l'istanza  sarebbe
percio' inammissibile e  cio'  senza  alcun  rilievo,  peraltro,  del
riconoscimento  della  collaborazione  impossibile  (richiesto  dalla
detenuta in data 28 settembre 2018). 
    Infatti,  posto  che   l'art.   58-ter   comma   1   OP   esclude
l'applicabilita' dei limiti di pena in  esso  indicati  nel  caso  di
collaborazione positiva (o nelle condizioni  ad  essa  equiparate  ai
sensi dell'art. 4-bis, comma 1-bis OP), una medesima  deroga  non  e'
invece prevista nell'ordinamento penitenziario per i limiti  di  pena
fissati dall'art. 58-quater comma 4 OP; quest'ultimo articolo  quindi
«si pone come norma speciale rispetto alla previsione dell'art 58-ter
ord. penit.» (sentenza Corte Suprema  di  Cassazione,  Prima  sezione
Penale, n. 3758/2016). 
    Va pero' rilevato che la suddetta disciplina e' stata  dichiarata
incostituzionale con recente sentenza della Corte  costituzionale  n.
149/2018 con esclusivo  riferimento,  tuttavia,  ai  soli  condannati
all'ergastolo per i delitti di cui agli articoli 289-bis e 630  comma
3 del codice penale, con le seguenti motivazioni: 
      la Corte costituzionale ha censurato  la  disposizione  di  cui
all'art. 58-quater comma 4  OP  perche'  contraria  al  principio  di
uguaglianza  ex   art.   3   Cost.,   evidenziando   alcuni   profili
differenziali del regime applicabile ai soli condannati all'ergastolo
per sequestro a scopo di estorsione, terrorismo o eversione, rispetto
a  quello  applicabile  alla  generalita'  degli   altri   condannati
all'ergastolo, soggetti o meno alle preclusioni di cui all'art. 4-bis
OP. In particolare, la disparita' di trattamento  e'  stata  rivenuta
laddove solo per i' primi, pur in presenza di una loro collaborazione
con la giustizia o delle condizioni ad essa equiparate, le soglie  di
pena previste per la generalita' dei condannati non vigono, in quanto
sostituite dall'unica soglia dei ventisei anni di pena effettivamente
espiata; 
      inoltre, il regime derogatorio di cui all'art. 58-quater  comma
4 OP e' stato censurato anche sotto il  profilo  di  irragionevolezza
rispetto al principio di finalita' rieducativa della pena ex art.  27
comma 3 Cost., il quale richiede necessariamente  una  gradualita'  e
progressivita'   trattamentale    («L'appiattimento    all'unica    e
indifferenziata soglia di ventisei  anni  per  l'accesso  a  tutti  i
benefici penitenziari indicati nel primo comma dell'art. 4-bis ordin.
penit. si pone, infatti, in contrasto  con  il  principio  -  sotteso
all'intera disciplina dell'ordinamento  penitenziario  in  attuazione
del canone costituzionale della finalita' rieducativa  della  pena  -
della progressivita' trattamentale e flessibilita' della  pena  [...]
La disciplina in questa sede censurata sovverte  irragionevolmente  a
tale logica gradualistica»); 
      infine, un terzo profilo di irragionevolezza della disposizione
in questione e' stato ravvisato dalla Corte  laddove  le  preclusione
temporale di cui  all'art.  58-quater  comma  4  OP  blocca  in  modo
automatico l'accesso ai benefici penitenziari per i condannati a tali
reati, impedendo di' fatto al giudice di effettuare  una  valutazione
individuale sul concreto percorso di risocializzazione del  detenuto,
e cio' in forza della presunzione di una sua  maggiore  pericolosita'
basata unicamente sul  titolo  di  reato  commesso.  Tale  disciplina
sembrerebbe ispirata unicamente a esigenze  di  prevenzione  sociale,
ponendosi cosi' in netto contrasto con le posizioni in materia  della
Corte  costituzionale,  che  invece  appaiono  sempre   piu'   ostili
all'applicazione   di   automatismi   e   presunzioni   assolute   di
pericolosita' in materia di reati ostativi, come quello del  caso  di
specie; la funzione di rieducazione e risocializzazione  della  pena,
cosi' come sancita all'art.  27  comma  3  Cost.,  richiede,  invece,
l'individualizzazione      del       trattamento       penitenziario,
indipendentemente dal titolo di  reato  («Incompatibili  con  vigente
assetto costituzionale sono invece previsioni, come quella in  questa
sede  censurata,  che  precludano  in  modo  assoluto,  per  un  arco
temporale  assai  esteso,  l'accesso  ai  benefici   penitenziari   a
particolari  categoria  di  condannati  -  i   quali   pure   abbiano
partecipato in modo significativo al percorso di  rieducazione  [...]
in ragione soltanto della particolare gravita'  del  reato  commesso,
ovvero all'esigenza di lanciare un robusto segnale di deterrenza  nei
confronti della generalita' dei consociati»); 
      la Corte ha individuato un ulteriore profilo disparitario nella
disciplina speciale applicabile ai soli ergastolani per tali delitti,
laddove  ha  constatato  che  tale  disciplina  e'  insensibile  alla
collaborazione processuale del detenuto o  alle  situazioni  ad  esse
equiparate  dall'art.  4-bis.  OP   (collaborazione   impossibile   o
inesigibile), e cio' a differenza di  quanto  accade  per  tutti  gli
altri ergastolani condannati per i  delitti  di  cui  all'art.  4-bis
comma 1 OP, «per i quali la collaborazione  con  la  giustizia  rende
inoperanti, ai sensi dell'art. 58-ter, le  piu'  gravosi  soglie  per
l'accesso a ciascun beneficio introdotte con la medesima novella  del
1991, con conseguente riespansione delle ordinarie soglie applicabili
alla generalita' dei condannati». 
    Stante, dunque, il riferimento espresso unicamente ai  condannati
alla pena dell'ergastolo, la suddetta disciplina rimane pero' tuttora
in vigore per i condannati a pena detentiva temporanea per  l'analogo
delitto aggravato dall'evento. 
    Cio' posto, si ravvisa  un'evidente  disparita'  di  trattamento,
laddove, in  riferimento  ai  medesimi  reati,  per  gli  ergastolani
tornerebbero ad applicarsi, a seguito  della  suddetta  pronuncia  di
incostituzionalita', i limiti di pena ordinari (peraltro gia' di  per
se' stringenti) previsti dagli articoli 30-ter e 4-bis OP, mentre per
i condannati a pena detentiva temporanea  rimarrebbero  in  vigore  i
piu'  rigidi  limiti  previsti  dalla  norma  in  questione:   l'art.
58-quater comma 4 OP pone, dunque,  una  irragionevole  eccezione  in
peius. 
    D'altronde e' la stessa Corte costituzionale, al punto  10  della
menzionata  sentenza,  ad  affermare  la   consapevolezza   di   tale
disparita' di  trattamento:  «Questa  Corte  e'  consapevole  che  la
presente  pronuncia  potrebbe  a  sua  volta  creare  disparita'   di
trattamento rispetto alla disciplina - non sottoposta in questa  sede
a scrutinio di legittimita' - dettata dallo  stesso  art.  58-quater,
comma 4. ordin. penit. in relazione ai condannati  a  pena  detentiva
temporanea per i delitti di cui  agli  articoli  289-bis  e  630  del
codice  penale  che  abbiano  cagionato  la  morte  del  sequestrato.
Tuttavia, tale  consapevolezza  non  puo'  costituire  ostacolo  alla
dichiarazione di illegittimita' della  disciplina  qui  esaminata:  e
cio'  in  base  al   costante   insegnamento   della   giurisprudenza
costituzionale,  secondo  cui  anche  se  «qualunque   decisione   di
accoglimento produce effetti sistemici  [.]  questa  Corte  non  puo'
tuttavia negare il suo intervento a tutela dei  diritti  fondamentali
per considerazioni di  astratta  coerenza  formale»  nell'ambito  del
sistema  (sentenza  n.  317  del  2009).  Spettera'  al   legislatore
individuare  gli  opportuni  rimedi  alle  eventuali  disparita'   di
trattamento che si dovessero produrre in conseguenza  della  presente
pronuncia». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Ritiene  questo  Magistrato  non  manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale della norma di cui  all'art.
58-quater comma 4 OP nella parte in cui prevede che il  condannato  a
pena detentiva temporanea per il reato di cui all'art.  630  comma  2
del codice penale che abbia cagionato la morte del sequestrato non e'
ammesso ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1  dell'art.  4-bis
OP se non abbia effettivamente espiato almeno i due terzi della  pena
irrogata. 
    La  questione  e'  rilevante  poiche'  la  soluzione   circa   la
legittimita' costituzionale o meno della norma  applicabile  al  caso
concreto appare imprescindibile per procedere  alla  valutazione  nel
merito  dell'istanza  avanzata.  In  particolare,  e'   evidente   il
collegamento fra la norma della cui  costituzionalita'  si  dubita  e
l'oggetto  del  procedimento  pendente  avanti  questo   Ufficio   di
Sorveglianza. Invero, sussistendo  tutti  gli  altri  requisititi  di
ammissibilita' (il riconoscimento della collaborazione impossibile ex
articoli 58-ter e 4-bis comma 1-bis OP e l'assenza di elementi da cui
desumere  la  sussistenza  di  collegamenti   con   la   criminalita'
organizzata,  terroristica  o  eversiva),   l'unico   ostacolo   alla
concessione dei benefici richiesti e' rappresentato proprio dall'art.
58-quater comma 4 OP: se la disciplina in questione venisse  ritenuta
conforme alla Costituzione, si applicherebbe, come detto,  la  soglia
di espiazione  effettiva  dei  due  terzi  di  pena  inflitta  (senza
contare,  dunque,  i  giorni  di  LA  e  senza  alcun  rilievo  della
collaborazione impossibile o inesigibile); tuttavia,  laddove  invece
la stessa venisse dichiarata incostituzionale, tornerebbero in vigore
le piu' ampie soglie ordinarie previste  normalmente  per  tutti  gli
altri  tipi  di  reati   ostativi   di   cui   all'art.   4-bis   OP.
Conseguentemente, in tale secondo caso, la detenuta, per accedere  ai
permessi premio, dovrebbe aver espiato meta' della pena  inflitta  o,
secondo il criterio moderatore, almeno dieci anni di  reclusione,  ai
sensi dell'art. 30-ter, comma 4, lett. c)  OP:  l'istanza  troverebbe
allora accoglimento. 
    Da tali elementi deriva, dunque, la rilevanza della questione  di
legittimita' costituzionale sollevata  con  l'odierna  ordinanza:  da
tale disposizione dipende l'applicazione,  nel  caso  di  specie,  di
un'eccezione in peius di un regime - quello previsto dall'art.  4-bis
OP - gia' di per se' derogatorio in  senso  peggiorativo;  e'  dunque
dirimente che la Corte costituzionale si  pronunci  sulla  fondatezza
dell'odierna questione di legittimita' costituzionale. 
    Inoltre, il dubbio di legittimita'  costituzionale  non  potrebbe
neanche essere risolto sulla base del  criterio  dell'interpretazione
costituzionalmente orientata della norma in questione; trattasi di un
passaggio obbligatorio che la legge impone al giudice rimettente,  il
quale, prima di  rimettere  -  appunto  -  la  questione  alla  Corte
costituzionale, e' chiamato a verificare,  anche  con  l'ausilio  del
diritto vivente, se vi e' la possibilita' di attribuire alla norma  -
della cui legittimita' si dubita - un significato  che  si  ponga  in
armonia con la Costituzione. 
    E invero una tale interpretazione, nel  caso  di  specie,  sembra
essere preclusa proprio dal punto 10 della sentenza  Corte  cost.  n.
149/2018 sopra riportato, laddove si afferma espressamente che quella
pronuncia di incostituzionalita' non  puo'  estendersi  a  casi  che,
seppur similari, non sono stati sottoposti in quella sede a scrutinio
di legittimita'. In ogni caso, l'art. 58-quater comma 4 OP non sembra
essere  una  norma  contenente   plurimi   significati   e,   dunque,
suscettibile di svariate interpretazioni, ma anzi e' una disposizione
con un significato univoco: non si ravvisa, dunque, in questo caso la
possibilita' di una interpretazione adeguatrice che possa ovviare  al
trattamento  disparitario  prodotto  dal  rigido   limite   temporale
previsto dalla norma. 
    Cio' posto, con riferimento ai singoli motivi  di  censura  della
norma, valgono per i condannati a pena detentiva  temporanea  per  il
delitto di cui  all'art.  630 del  codice  penale tutte  le  medesime
doglianze di incostituzionalita' accolte dalla Corte  costituzionale,
con sentenza n. 149/2018 relativa - come detto - ai soli  ergastolani
per il medesimo delitto, e sopra riportate, che qui si richiamano per
intero. 
    Oltre alle suddette violazioni riconosciute dalla Corte, nel caso
di  specie,  si   ravvisa   a   maggior   ragione   un   profilo   di
irragionevolezza rispetto al  principio  di  uguaglianza  ex  art.  3
Cost.,   laddove,   a   seguito   della   menzionata   pronuncia   di
incostituzionalita'  parziale  della  norma,  vige   una   disciplina
differenziata a seconda che il reo sia  ergastolano  o  condannato  a
pena detentiva temporanea. Invero, stante l'identita' di ratio tra le
due  situazioni  (medesimi  reati)  ed  altresi'  l'appartenenza   al
medesimo schema legale, questo Magistrato ravvisa che se tale  regime
derogatorio e' stato dichiarato incostituzionale per gli ergastolani,
a fortiori dovrebbe essere ritenuto tale anche  per  i  condannati  a
pena detentiva temporanea; sarebbe infatti paradossale sottoporre  ad
un regime penitenziario piu' stringente e peggiorativo  condannati  a
pena detentiva temporanea - e, dunque, evidentemente responsabili  di
reati meno gravi  -  rispetto  a  quello  applicabile  ai  condannati
all'ergastolo per i medesimi fatti, certamente piu' gravi. 
    Infine, sembra sussistere un'ulteriore violazione  del  principio
di uguaglianza ai sensi dell'art. 3 Cost., laddove la Corte,  con  la
menzionata sentenza, ha riconosciuto che l'avverbio  «effettivamente»
comporterebbe un trattamento differenziato  tra  la  generalita'  dei
condannati all'ergastolo e gli ergastolani ex articoli 289-bis e  630
del codice penale, rilevando, infatti, che «mentre,  dunque,  per  la
generalita' dei condannati le soglie temporali di accesso ai  singoli
benefici possono  essere  anticipate  per  effetto  delle  detrazioni
conseguenti alla liberazione anticipata, in proporzione al numero  di
semestri nei quali la loro partecipazione all'opera  di  rieducazione
sia stata valutata in termini positivi, la soglia dei  due  terzi  di
pena o di ventisei anni  nel  caso  di  ergastolo,  per  le  speciali
categorie di condannati cui si riferisce  l'art.  58-quater,  non  e'
suscettibile  di  alcuna  riduzione  per  effetto  della  liberazione
anticipata, pure eventualmente maturata dal  condannato  per  effetto
della sua partecipazione all'opera rieducativa durante l'intero corso
della sua permanenza in carcere». Secondo la Corte, questa disciplina
comporterebbe il forte  indebolimento  dell'incentivo  a  partecipare
all'opera  di  rieducazione:  «[...]  e'  assai  probabile   che   il
condannato all'ergastolo [...] possa non avvertire,  quanto  meno  in
tutta la prima fase di esecuzione della pena, alcun pratico incentivo
ad impegnarsi nel programma rieducativo, in assenza di una  qualsiasi
tangibile ricompensa in termini di anticipazione dei benefici che non
sia  proiettata  in  un  futuro   ultraventennale,   percepito   come
lontanissimo nell'esperienza comune di ogni  individuo  (sentenza  n.
276 del 1990)». 
    Anche in questo caso,  questo  Magistrato  ritiene  che  se  tali
argomentazioni sono valide con riferimento agli ergastolani,  possano
ritenersi, a maggior ragione, tali anche  per  i  condannati  a  pena
detentiva temporanea per il medesimo delitto  di  cui  all'art.  630,
comma 2 del codice penale. 
    Per le ragioni sopra esposte, ad  avviso  di  questo  Magistrato,
sussistono ragioni  di  contrasto  della  norma  contenuta  nell'art.
58-quater comma 4 OP con gli  articoli  3  e  27,  comma  3  Cost.  e
pertanto, preso  atto  della  rilevanza  in  fatto,  deve  sollevarsi
questione di'  illegittimita'  costituzionale,  che  si  ritiene  non
manifestamente infondata. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e  seguenti,  legge
11 marzo 1953, n. 87: 
      Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 58-quater,  comma  4,  della
legge 26 luglio 1975, n. 354, in riferimento agli articoli  3  e  27,
comma 3 Cost. nella parte in cui prevede  che  i  condannati  a  pena
detentiva temporanea per il delitto di' cui all'art. 630 comma 2 c.p.
che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non sono  ammessi  ad
alcuno dei benefici indicati nel comma  1  dell'art.  4  bis  se  non
abbiano effettivamente espiato almeno due terzi della pena irrogata; 
      dispone  l'immediata  trasmissione  degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
      sospende il procedimento in corso sino all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
      ordina che a cura della Cancelleria la  presente  ordinanza  di
trasmissione degli atti sia notificata alle parti  interessate  e  al
Procuratore Generale di Bologna, nonche' al Presidente del  Consiglio
dei  ministri  e  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento. 
 
        Milano, 13 maggio 2019 
 
                Il Magistrato di sorveglianza: Luerti