N. 76 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 luglio 2019

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 2  luglio  2019  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Ambiente - Norme della Regione Liguria - Riordino delle aree protette
  - Comunita' del parco - Attribuzione alla  Giunta  regionale  della
  determinazione dei criteri partecipativi  degli  enti  locali  alla
  Comunita' di ogni  area  naturale  protetta  -  Previsione  che  la
  Comunita'   concorre   all'elaborazione   del   piano   pluriennale
  socio-economico  -  Possibilita'  del  rilascio  da   parte   della
  Comunita' del parco  di  un  parere  vincolante  sulla  base  dello
  statuto del parco - Soppressione di 42 aree protette provinciali  -
  Modifica dei confini  dei  parchi  naturali  regionali  delle  Alpi
  Liguri, dell'Antola, dell'Aveto e del Beigua -  Disposizioni  sugli
  effetti di revisione dei  confini  -  Piano  dell'area  protetta  -
  Vigilanza nelle aree protette - Sanzioni. 
- Legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 3  ("Modifiche  alla
  legge regionale 22  febbraio  1995,  n.  12  (Riordino  delle  aree
  protette)  e  alla  legge  regionale  10   luglio   2009,   n.   28
  (Disposizioni  in  materia  di  tutela   e   valorizzazione   della
  biodiversita')"), artt. 7, 8, 10, 22, 23 e 31. 
(GU n.35 del 28-8-2019 )
    Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri  (c.f.  80188230587)  rappresentato   e   difeso   ex   lege
dall'Avvocatura  Generale   dello   Stato   c.f.   80224030587,   fax
06/96514000 e  PEC  roma@mailcert.avvocaturastato.it,  presso  i  cui
uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Nei confronti della Regione Liguria  in  persona  del  presidente
della Giunta  pro  tempore  per  la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale degli articoli 7, 8, 10,  22,  23  e  31  della  legge
regionale Liguria n. 3 del 19 aprile 2019,  recante  «Modifiche  alla
legge  regionale  22  febbraio  1995,  n.  12  (Riordino  delle  aree
protette) e alla legge regionale 10 luglio 2009, n. 28  (Disposizioni
in  materia  di  tutela  e  valorizzazione   della   biodiversita')»,
pubblicata nel BUR Liguria 26 aprile 2019, n. 5, giusta delibera  del
Consiglio dei ministri in data 19 giugno 2019. 
    La legge Regione Liguria n. 3 del 19 aprile 2019, pubblicata  nel
BUR n. 5 del 26 aprile 2019, che consta di 34 articoli, ha dettato le
«Modifiche alla legge regionale 22 febbraio  1995,  n.  12  (Riordino
delle aree protette) e alla legge regionale 10  luglio  2009,  n.  28
(Disposizioni  in  materia   di   tutela   e   valorizzazione   della
biodiversita')». 
    E' avviso del Governo che, con le norme denunciate  in  epigrafe,
gli articoli 7, 8, 10, 22 e 23 della legge della Regione  Liguria  n.
3/2019 citata,  la  Regione  Liguria  abbia  ecceduto  dalla  propria
competenza in violazione  della  normativa  costituzionale,  come  si
confida di dimostrare in appresso con  l'illustrazione  dei  seguenti
motivi. 
    Occorre,  innanzitutto,  premettere  alcune   considerazioni   di
carattere generale e,  pertanto,  valevoli  per  tutti  i  motivi  di
impugnazione che di seguito si illustreranno. 
    Come costantemente statuito dalla Corte costituzionale  (sentenze
n. 315 e n. 193 del 2010, n. 44, n. 269 e n. 325 del 2011, n. 14  del
2012, n. 212 del 2014 e n. 36 del 17 febbraio  2017),  la  disciplina
delle aree protette rientra nella competenza esclusiva dello Stato in
materia di «tutela dell'ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera
s), ed e' contenuta nella legge n. 394 del 1991 che detta i  principi
fondamentali della materia, ai quali  la  legislazione  regionale  e'
chiamata ad adeguarsi,  assumendo  anche  i  connotati  di  normativa
interposta  che  deve  considerarsi   espressione,   per   l'appunto,
dell'esercizio della  competenza  esclusiva  statale  in  materia  di
tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
s), della Costituzione (sentenze n. 44 del 2011; n. 315 e n.  20  del
2010). 
    Le  regioni,  pertanto,  in  ambito  di  aree  protette,  possono
soltanto determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla
legislazione statale (sentenze n. 44 del 2011; n. 193 del 2010, n. 61
del 2009 e n. 232 del 2008). 
    In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito come
«il territorio dei parchi, siano  essi  nazionali  o  regionali,  ben
(possa) essere oggetto di regolamentazione da parte della regione, in
materie riconducibili ai commi terzo e  quarto  dell'art.  117  della
Costituzione, purche' in linea con il nucleo minimo di  salvaguardia,
del patrimonio naturale,  da  ritenere  vincolante  per  le  regioni»
(sentenze n. 232 del 2008, punto 5. del Considerato in diritto; e  n.
44 del 2011 gia' citata). 
    Nell'ambito, quindi, delle materie di loro competenza, le regioni
trovano un limite negli standard di tutela fissati a livello statale.
Questi,  tuttavia,  non  impediscono  al  legislatore  regionale   di
adottare discipline  normative  che  prescrivano  livelli  di  tutela
dell'ambiente piu' elevati (di recente, sentenze n. 66 del  2018;  n.
74 del 2017; n. 267 del 2016 e n. 149 del 2015), i  quali  «implicano
logicamente il rispetto degli standard adeguati  e  uniformi  fissati
nelle leggi statali» (sentenza n. 315 del 2010),  che  rappresentano,
ex se, limiti invalicabili per l'attivita' legislativa della regione,
in quanto costituiscono norme imperative che devono essere rispettate
sull'intero territorio nazionale  per  primarie  esigenze  di  tutela
ambientale. 
    Come gia' sottolineato, la legge quadro n. 394 del 1991 citata e'
stata reiteratamente ricondotta dalla  giurisprudenza  costituzionale
alla materia «tutela dell'ambiente  e  dell'ecosistema»  (da  ultimo,
sentenze n. 74 e n. 36 del 2017), da cio' derivandone, dunque, che le
regioni sono tenute ad adeguarsi ai  principi  fondamentali  da  essa
dettati,  pena  l'invasione  di  un  ambito  materiale  di  esclusiva
spettanza statale. 
    La stessa giurisprudenza costituzionale ha,  altresi',  posto  in
evidenza come lo standard minimo  uniforme  di  tutela  nazionale  si
estrinsechi nella predisposizione da parte degli enti  gestori  delle
aree protette «di strumenti organizzativi, programmatici e gestionali
per la valutazione di rispondenza delle attivita' svolte  nei  parchi
alle  esigenze  di  protezione»   dell'ambiente   e   dell'ecosistema
(sentenza n. 171 del 2012, nello stesso senso, le sentenze n. 74  del
2017, n. 263 e n. 44 del 2011, n. 387 del 2008). 
    La citata legge quadro n. 394 del 1991 non si limita,  dunque,  a
dettare standard minimi uniformi atti a tutelare soltanto i parchi  e
le riserve naturali  nazionali  e  regionali  -  istituiti  ai  sensi
dell'art. 8 della predetta legge quadro (rispettivamente, con decreto
del  Presidente  della  Repubblica  e  con   decreto   del   Ministro
dell'ambiente) - ma impone anche  un  nucleo  minimo  di  tutela  del
patrimonio  ambientale  rappresentato  dai  parchi  e  dalle  riserve
naturali regionali, che vincola il legislatore regionale  nell'ambito
delle proprie competenze (sentenze n. 74 e n. 36 del 2017; n. 212 del
2014; n. 171 del 2012 n. 325; n. 70 e n. 44 del 2011). 
    Anche in relazione  alle  aree  protette  regionali,  invero,  il
legislatore   statale   ha    predisposto    un    modello    fondato
sull'individuazione del loro soggetto gestore, ad opera  della  legge
regionale  istitutiva  (art.  23),  sull'adozione,  «secondo  criteri
stabiliti con legge regionale  in  conformita'  ai  principi  di  cui
all'art. 11, di regolamenti delle aree protette» (art. 22,  comma  1,
lettera d), peraltro, significativamente ed espressamente  ricompreso
tra i «principi fondamentali per la disciplina  delle  aree  naturali
protette regionali»), nonche' su un modello organizzativo tramite  il
quale siano attivate le finalita' del parco naturale regionale  (art.
24). 
    Per altro verso, puo' senz'altro riconoscersi che il  legislatore
statale ha previsto, per le  aree  naturali  protette  regionali,  un
quadro normativo meno dettagliato di quello predisposto per  le  aree
naturali protette nazionali, tale che le regioni abbiano  un  qualche
margine di discrezionalita' tanto in relazione alla disciplina  delle
stesse aree protette regionali  quanto  sul  contemperamento  tra  la
protezione di queste ultime e altri interessi meritevoli di tutela da
parte del legislatore regionale. 
    Cio' non toglie che debba essere comunque garantita  la  conforme
corrispondenza ai  canoni  previsionali  inderogabili  imposti  dalla
normativa nazionale, essendo manifestazione di quello standard minimo
di tutela che il legislatore statale  ha  individuato  nell'esercizio
della  propria   competenza   esclusiva   in   materia   di   «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» e che, come  dianzi  gia'  posto  in
rilievo, le regioni possono accompagnare con un surplus di tutela, ma
non, appunto, derogare in peius. 
 
                               Motivi 
 
1. L'art. 7 della legge regionale Liguria 19 aprile 2019, n. 3 citata
viola gli articoli 97 e 117, comma 2, lettera s), della  Costituzione
in relazione agli articoli 10 e 24 della legge 6  dicembre  1991,  n.
394. 
    L'art. 7 citato sostituisce l'art. 11 della  legge  regionale  n.
12/1995 citata, rubricato «Comunita' del Parco». 
    In particolare, i commi 1, 2 e  3  della  disposizione  novellata
attribuiscono alla Giunta regionale il compito di determinare criteri
partecipativi degli enti locali alla Comunita' di ogni area  naturale
protetta in base a quote di superficie territoriale. 
    Risulta in tal modo violato  l'art.  24  della  legge  quadro  in
materia di aree protette n. 394  del  1991  citata,  che  demanda  la
disciplina  dell'organizzazione  amministrativa  del  parco  naturale
regionale,  «in  relazione  alla  peculiarita'   di   ciascuna   area
interessata», alle previsioni di uno specifico statuto. E' tramite lo
statuto, infatti, che  va  regolato  il  funzionamento  degli  organi
statutari e la costituzione della comunita' del parco. 
    Il successivo comma 4 del sostituito art. 11, nel prevedere, poi,
che «La Comunita' concorre  all'elaborazione  del  Piano  pluriennale
socioe-conomico nei modi previsti all'art. 22», si pone in  contrasto
con il disposto di cui all'art. 10, comma 3, della  citata  legge  n.
394 del 1991, che prevede che la  Comunita'  del  Parco  deliberi  in
merito al Piano pluriennale economico sociale. 
    Il comma 5 dello stesso art. 11, della legge regionale n. 12/1995
citato, cosi' come modificato, prevede, altresi', la possibilita' del
rilascio da parte della Comunita' del Parco di un  parere  vincolante
sulla base dello statuto del parco stesso. 
    Detta previsione regionale risulta in palese contrasto con l'art.
10, comma 2, della legge n. 394 del 1991 citata, secondo il quale «2.
La Comunita' del parco e' organo consultivo e  propositivo  dell'Ente
parco. In particolare, il suo parere e' obbligatorio». Dalla  lettera
della  norma  statale  non  si  evince  alcun  espresso   riferimento
all'efficacia vincolante del parere, neppure con rinvio allo  statuto
dell'ente parco. 
    A  conferma  di  cio',  si  richiama,  altresi',   il   comma   3
dell'anzidetto art. 10 della legge n. 394 del 1991 citata, da cui  si
evince  che  la  Comunita'  non  e'   totalmente   autonoma   neppure
nell'approvazione del  piano  pluriennale  economico  e  sociale;  in
quella sede istruttoria e', infatti, previsto  il  parere  vincolante
del consiglio direttivo dell'ente parco, ma in nessun caso si prevede
un parere vincolante della Comunita' che resta un organo  consultivo,
a  pena  di  stravolgere  la  ratio  dell'impalcatura   istituzionale
dell'ente parco:  ente  con  natura  di  soggetto  amministrativo  ad
elevata   specializzazione   tecnico   scientifica,   con   rilevante
indipendenza dalle strutture di derivazione politico rappresentativa. 
    La norma impugnata, pertanto, incide  sull'assetto  organizzativo
dell'Ente Parco, come predeterminato dal parametro interposto statale
costituito dalla citata «Legge quadro sulle aree protette» n. 394 del
1991, in violazione degli articoli 97 e 117,  comma  2,  lettera  s),
della Costituzione, con riflessi sotto il profilo  della  regolarita'
ed efficienza dell'attivita' dell'Ente stesso. 
2. Gli articoli 8 e 31 della legge regionale 19  aprile  2019,  n.  3
citata violano gli articoli 97 e 117,  comma  2,  lettera  s),  della
Costituzione in  relazione  all'art.  22,  comma  1,  lettera  a),  e
all'art. 23 della legge 6 dicembre 1991, n. 394. 
    L'art. 8, che sostituisce l'art.  14  della  legge  regionale  22
febbraio 1995, n. 12 citata, nella sua nuova  formulazione,  sopprime
le 42 aree protette provinciali, gia' incluse  nel  VI  aggiornamento
dell'Elenco ufficiale  delle  aree  protette  approvato  con  decreto
ministeriale 27 aprile 2010. Tale soppressione ex  lege  si  pone  in
netto contrasto con l'art. 22,  comma  1,  lettera  a),  della  legge
quadro  n.  394  del  1991  citata,  che  definisce  il  procedimento
istitutivo   delle   aree   protette   regionali,   prevedendo    che
«Costituiscono principi fondamentali per  la  disciplina  delle  aree
naturali protette regionali: a)  la  partecipazione  delle  province,
delle comunita' montane e dei comuni al procedimento  di  istituzione
dell'area  protetta,  fatta  salva  l'attribuzione   delle   funzioni
amministrative alle province, ai sensi dell'art.  14  della  legge  8
giugno 1990, n. 142. Tale partecipazione si  realizza,  tenuto  conto
dell'art. 3 della stessa legge n. 142 del 1990, attraverso conferenze
per la redazione di un documento di  indirizzo  relativo  all'analisi
territoriale dell'area da destinare a protezione, alla perimetrazione
provvisoria, all'individuazione degli obiettivi da  perseguire,  alla
valutazione degli effetti  dell'istituzione  dell'area  protetta  sul
territorio».  Ne  consegue   che,   contrarius   actus,   lo   stesso
procedimento seguito per l'istituzione delle  aree  suddette  avrebbe
dovuto essere adottato, quindi, per la relativa soppressione. 
    Inoltre, il comma 2 del citato art. 14, della legge regionale  n.
12/1995 citata (e relativo Allegato A), nel modificare e  restringere
i confini dei  preesistenti  Parchi  naturali  regionali  delle  Alpi
Liguri, dell'Antola, dell'Aveto e del  Beigua,  viola,  anch'esso  il
procedimento partecipativo previsto dall'art. 22,  comma  1,  lettera
a), ponendosi, altresi', in  contrasto  con  l'art.  23  della  legge
quadro n. 394 del 1991 citata,  che  prevede  la  perimetrazione  del
parco naturale regionale tramite lo strumento della  legge  regionale
solo per quanto attiene alla perimetrazione provvisoria. 
    La variazione  dei  confini  di  ogni  parco  naturale  regionale
esistente, infatti, e' un atto insito nella possibilita' di  modifica
o rinnovo del piano del parco e, come tale,  necessita  della  previa
adozione da parte dell'organismo di gestione (ai sensi dell'art.  25,
comma 2, delle legge quadro n. 394  del  1991  citata)  con  un  atto
amministrativo soggetto  ad  approvazione  regionale  che  non  puo',
pertanto, essere sostituito da una legge-provvedimento;  quest'ultimo
strumento  escluderebbe  aprioristicamente  la   partecipazione   nel
procedimento dell'ente gestore, peraltro, su un elemento fondamentale
come la superficie dell'area protetta. 
    Analoghe considerazioni valgono in relazione  all'art.  31  della
legge regionale in esame, che detta  disposizioni  sugli  effetti  di
revisione dei confini. 
    La norma, infatti, incorre nelle medesime illegittimita'  per  la
violazione dell'art. 22, comma 1, lettera a), della legge n. 394/1991
citata, relativamente al procedimento partecipativo. 
    Le previsioni regionali  cosi'  formulate,  oltre  che  porsi  in
contrasto  con  il  suddetto  parametro  statale  interposto  di  cui
all'art. 22, comma 1, lettera a), della legge n. 394 del 1991 citata,
si pongono in aperta antitesi con  il  principio  di  buon  andamento
dell'amministrazione  sancito  dall'art.   97   della   Costituzione,
confliggendo con i canoni di efficacia,  efficienza  ed  economicita'
che devono presiedere all'esercizio dell'azione amministrativa. 
    Le norme impugnate, pertanto, incidono sull'assetto organizzativo
come predeterminato dal parametro interposto statale costituito dalla
citata «Legge quadro  sulle  aree  protette»  n.  394  del  1991,  in
violazione degli articoli 97  e  117,  comma  2,  lettera  s),  della
Costituzione, con riflessi sotto  il  profilo  della  regolarita'  ed
efficienza. 
3. L'art. 10 della legge regionale 19 aprile 2019, n. 3 citata  viola
gli articoli 3 e 117, comma 2,  lettera  s),  della  Costituzione  in
relazione all'art. 22, comma 1, lettera a), della  legge  6  dicembre
1991 n. 394. 
    L'art. 10 sostituisce l'art. 17 della legge regionale n.  12/1995
citata e stabilisce, al comma 4 della disposizione novellata, che  il
Piano  del  parco  «vincola,  nelle  sue  indicazioni  di   carattere
prescrittivo, la pianificazione territoriale  di  livello  regionale,
provinciale e comunale con effetto di integrazione della stessa e, in
caso di contrasto, di prevalenza su di essa». 
    La  disposizione  confligge  con  l'art.  25,  comma  2,  (ultimo
capoverso), della legge quadro n. 394 del  1991  citata,  che,  molto
piu' nettamente, dispone che il Piano del parco «ha valore  anche  di
piano paesistico  e  di  piano  urbanistico  e  sostituisce  i  piani
paesistici  e  i  piani  territoriali  o  urbanistici  di   qualsiasi
livello», anche al di fuori di casi di contrasto. 
    Il  successivo  comma  6  dell'art.  17  novellato  della   legge
regionale  n.  12/1995,  prevedendo  che  il  Piano  possa  apportare
modifiche  alla   perimetrazione   dell'area   protetta,   viola   il
procedimento partecipativo previsto dall'art. 22,  comma  1,  lettera
a), della legge n. 394 del 1991 citata. 
    Le  modifiche  previste,  infatti,   possono   essere   apportate
unicamente attraverso il procedimento del richiamato  art.  22  della
legge n. 394 del 1991; il Piano puo' eventualmente contenere solo una
proposta di revisione. 
    Anche in questo caso sussiste, dunque, la lesione  del  principio
di buon andamento dell'amministrazione  sancito  dall'art.  97  della
Costituzione. 
    La  norma  regionale  censurata  interviene  in  una  materia  di
competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art.  117,  comma  2,
lettera s), della Costituzione in tema  di  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema» e non rispetta la  normativa  statale  che  fissa  i
criteri generali del procedimento  amministrativo  da  seguire  nella
fattispecie validi per tutto il  territorio  nazionale,  trasformando
l'essenza stessa del procedimento come delineato dalla norma  statale
contenuta  nella   citata   legge   quadro,   incidendo   sulla   sua
articolazione  specifica,  in  chiave  di  riduzione  di  tutela  del
procedimento partecipativo e, pertanto, viola anche l'art.  97  della
Costituzione. 
    La norma impugnata, pertanto, incide  sull'assetto  organizzativo
dell'Ente Parco, come predeterminato dal parametro interposto statale
costituito dalla citata «Legge quadro sulle aree protette» n. 394 del
1991, in violazione degli articoli 97 e 117,  comma  2,  lettera  s),
della Costituzione, con riflessi sotto il profilo  della  regolarita'
ed efficienza dell'attivita' dell'Ente stesso. 
4. L'art. 22 della legge regionale 19 aprile 2019,  n.  3  viola  gli
articoli 97 e 117,  comma  2,  lettera  s),  della  Costituzione,  in
relazione all'art. 23, ultimo capoverso, della legge 6 dicembre 1991,
n. 394. 
    L'art. 22 sostituisce l'art. 32 della legge regionale n.  12/1995
citata.  Il  comma  3  della  norma  novellata,  nel   prevedere   la
possibilita' di collaborazioni e di stipula «di apposite convenzioni»
anche con soggetti privati non istituzionali in materia di vigilanza,
viola l'art. 23, ultimo capoverso, della legge 6  dicembre  1991,  n.
394 citata, che vieta espressamente la stipula convenzioni  con  enti
pubblici e con soggetti  privati  (ad  esempio,  guardie  ecologiche,
venatorie, ittiche e micologiche volontarie)  per  l'esercizio  della
vigilanza nei parchi naturali regionali. 
    Come gia' rilevato  supra,  la  disciplina  delle  aree  protette
rientra, infatti, nella competenza esclusiva dello Stato  in  materia
di «tutela dell'ambiente» ex art. 117, secondo comma, lettera s),  ed
e' contenuta nella citata legge quadro n. 394 del 1991  che  detta  i
principi  fondamentali  della  materia,  ai  quali  la   legislazione
regionale e' chiamata ad adeguarsi (sentenze n.  315  e  n.  193  del
2010, n. 44, n. 269 e n. 325 del 2011, n. 14 del  2012,  n.  212  del
2014 e n. 36 del 17 febbraio 2017), quale norma interposta, (sentenze
n. 44 del 2011 n. 315 e n. 20 del 2010), espressione, per  l'appunto,
dell'esercizio della  competenza  esclusiva  statale  in  materia  di
tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
s), della Costituzione. 
    Le regioni,  pertanto,  nell'ambito  di  aree  protette,  possono
soltanto determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla
legislazione statale. 
    Le norme impugnate, pertanto, incidono sull'assetto organizzativo
dell'Ente Parco, come predeterminato dal parametro interposto statale
costituito dalla citata «Legge quadro sulle aree protette» n. 394 del
1991, in violazione degli articoli 97 e 117,  comma  2,  lettera  s),
della Costituzione, con riflessi sotto il profilo  della  regolarita'
ed efficienza dell'attivita' dell'Ente stesso. 
5. L'art. 23 della legge regionale 19 aprile 2019, n. 3 citata  viola
gli articoli 97, 117, comma 2,  lettera  s),  della  Costituzione  in
relazione all'art. 30 della legge 6 dicembre 1991, n. 394. 
    L'art. 23, che sostituisce l'art. 33  della  legge  regionale  22
febbraio 1995, n. 12 citata, nel fissare, al comma 1, lettere a), b),
c),  d)  i  minimi  e  i  massimi  delle  sanzioni  previste  per  le
fattispecie  elencate  al  comma  1  del  successivo  art.  25,   che
sostituisce l'art. 42 della legge regionale n. 12/95 citata, si  pone
in aperto conflitto con quanto gia' disciplinato e previsto dall'art.
30 della legge quadro n. 394 del  1991  citata,  fonte  normativa  di
rango superiore, prevedendo sanzioni differenti sia per  entita'  che
per tipologia di violazione. 
    Va ribadito che, come gia' rilevato supra,  la  disciplina  delle
aree protette rientra,  infatti,  nella  competenza  esclusiva  dello
Stato in materia di  «tutela  dell'ambiente»  ex  art.  117,  secondo
comma, lettera s), ed e' contenuta nella citata legge quadro  n.  394
del 1991 che detta i principi fondamentali della materia, ai quali la
legislazione regionale e' chiamata ad adeguarsi (sentenze n. 315 e n.
193 del 2010, n. 44, n. 269 e n. 325 del 2011, n. 14 del 2012, n. 212
del 2014 e n. 36 del  17  febbraio  2017),  quale  norma  interposta,
(sentenze n. 44 del 2011 n. 315 e n. 20 del 2010),  espressione,  per
l'appunto,  dell'esercizio  della  competenza  esclusiva  statale  in
materia di tutela dell'ambiente,  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione. 
    Le regioni,  pertanto,  nell'ambito  di  aree  protette,  possono
soltanto determinare maggiori livelli di tutela ma non derogare  alla
legislazione statale non possono certamente modificare l'entita' e la
tipologia delle sanzioni previste  dalla  predetta  legge  quadro  n.
394/1991. 
    La legge quadro n. 394 del 1991  citata  e'  stata  costantemente
ricondotta dalla giurisprudenza costituzionale alla  materia  «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» (da ultimo, sentenze n. 74 e  n.  36
del 2017 citate), da cio' derivandone, dunque, che  le  regioni  sono
tenute ad adeguarsi ai principi fondamentali da  essa  dettati,  pena
l'invasione di un ambito materiale di esclusiva spettanza statale. 
    Deve essere, comunque, garantita la  conforme  corrispondenza  ai
canoni previsionali inderogabili imposti dalla  normativa  nazionale,
quale manifestazione di quello  standard  minimo  di  tutela  che  il
legislatore  statale  ha  individuato  nell'esercizio  della  propria
competenza  esclusiva  in  materia   di   «tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema» e che, come detto, le regioni possono prevedere  con
un surplus di tutela, ma non derogare  in  peius  come  nel  caso  di
specie, ove in aperto contrasto con la  norma  primaria  statale,  la
complessa e delicata funzione sanzionatoria si discosta in modo cosi'
palese dalla normativa primaria statale  prevista  per  garantire  il
rispetto del principio di buon andamento della Costituzione anche  in
relazione all'art. 97 della Costituzione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Per i motivi suesposti si conclude perche' gli articoli 7, 8, 10,
22, 23 e 31 della legge regionale Liguria n. 3  del  19  aprile  2019
recante «Modifiche alla legge  regionale  22  febbraio  1995,  n.  12
(Riordino delle aree protette) e alla legge regionale 10 luglio 2009,
n. 28 (Disposizioni in  materia  di  tutela  e  valorizzazione  della
biodiversita')», siano dichiarati costituzionalmente illegittimi. 
    Si produce l'attestazione della deliberazione del  Consiglio  dei
ministri del 19 giugno 2019. 
        Roma, 25 giugno 2019 
 
           Il Vice Avvocato generale dello Stato: Palmieri