N. 204 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 luglio 2019
Ordinanza del 3 luglio 2019 della Corte d'appello di Napoli nel procedimento civile promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione provinciale del lavoro di Napoli contro F. O.. Lavoro e occupazione - Impiego di lavoratori irregolari - Sanzione amministrativa pecuniaria - Esclusione dell'applicazione delle sanzioni qualora, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, emerga la volonta' di non occultare il rapporto - Applicazione retroattiva della disposizione piu' favorevole - Mancata previsione. - Legge 4 novembre 2010 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), art. 4 [, comma 1], lettera b).(GU n.47 del 20-11-2019 )
LA CORTE D'APPELLO DI NAPOLI Sezione Prima Civile Nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Alessandra Tabarro - Presidente; dott. Angelo Del Franco - consigliere relatore; dott.ssa Ilaria Pepe - consigliere; ex art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione della Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 lettera b della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Collegato lavoro), che ha modificato («Modifiche alle disposizioni in materia di lavoro irregolare») l'art. 3, comma 4 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, gia' modificato dall'art. 36-bis comma 7 del DL n. 223/2006 in materia di illecito amministrativo di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato; nel procedimento n. 1015/2014 R.N. G., promosso da: Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione provinciale del lavoro di Napoli, codice fiscale 80237250586, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato ope legis in Napoli alla via A. Diaz 11 presso l'Avvocatura dello Stato contro F O , c.f. , in proprio e nella qualita' di legale rappresentante di N I SAS di F O Ritenuto in fatto In seguito ad accertamenti effettuati sul luogo di lavoro, veniva notificato alla sig.ra F O , nella qualita' di amministratrice della societa' N I s.a.s., un verbale di illecito amministrativo per violazione dell'art 36-bis comma 7, decreto-legge n. 223/2006, per aver impiegato il lavoratore P C , non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria. Poiche' la datrice di lavoro non si era avvalsa della facolta' di effettuare il pagamento della sanzione in misura ridotta, ex art. 16 legge 689/81, il verbalizzante ispettore aveva presentato rapporto alla direzione provinciale del lavoro. Pertanto, la direzione provinciale del lavoro di Napoli, notificava in data 4 maggio 2009 alla sig.ra F O l'ordinanza-ingiunzione n. 606/2009, ingiungendole di pagare la somma complessiva di 6.150,00 euro, quale sanzione amministrativa per le violazioni ivi accertate. La sig.ra F O , odierna appellata, in primo grado con ricorso ex art. 22 legge 689/81, proponeva opposizione avverso la suddetta ordinanza ingiunzione, chiedendone l'annullamento per 1) violazione degli articoli 14, 17, 18 della legge n. 689/81, e della legge 241/90, perche' alla parte appellata non era stato comunicato il rapporto di accertamento redatto in data 29 maggio 2007 dall'Ispettore, relativo al fatti accertati in data 8 febbraio 2007, ne in tale ultima data era stata contestata «immediatamente» alcuna violazione ne successivamente le erano stati notificati gli «estremi della violazione». Altresi', rilevava che il periodo trascorso tra la data della pretesa commissione della violazione, accertata l'8 febbraio 2007, e quello della notificazione della ordinanza ingiunzione, effettuata in data 4 maggio 2009, dopo oltre due anni, violava apertamente le disposizioni di cui al citato art. 17 e 18 della legge n. 689/81. Nel caso di specie l'ordinanza-ingiunzione era stata emessa e notificata ben oltre il termine di trenta giorni di cui all'art. 2 della legge 241/90. Inoltre, 2) nel merito la opponente chiedeva l'annullamento della ordinanza ingiunzione de qua, in quanto le sanzioni comminate erano da ritenersi non dovute per insussistenza degli addebiti contestati. Il Ministero del lavoro, odierno appellante, si costituiva nel processo di primo grado mediante comparsa di risposta, depositata in data 8 settembre 2010, contestando tutto quanto eccepito e dedotto dall'istante nel proprio ricorso introduttivo, depositando tutta la documentazione relativa alla violazione contestata. Il giudice di primo grado, con sentenza n. 12894/2013, pubblicata il 19 novembre 2013, ritenendo l'infrazione contestata non pienamente provata ha accolto l'opposizione ed ha annullato l'ordinanza di ingiunzione n. 178-2008, compensando le spese di lite. Con atto di appello, notificato in data 10 marzo 2014, il Ministero del lavoro ha chiesto che la sentenza n. 12894/2013 venga riformata sollevando i seguenti motivi: 1) Motivazione errata della sentenza impugnata. Violazione dell'art. 116 c.p.c: errata valutazione delle prove prodotte in giudizio In relazione tale motivo di appello, l'appellante rileva che, sebbene il ricorrente in primo grado, qui appellato, avesse asserito che la obbligatoria comunicazione all'INPS era stata effettuata in data 7 febbraio 2007, quindi il giorno precedente all'assunzione, secondo quanto prescritto dalla normativa, in realta', la suddetta denuncia era stata viceversa effettuata in data 9 febbraio 2007, quindi il giorno successivo all'ispezione, vanificando totalmente l'intento del legislatore del 2006, il quale voleva raggiungere proprio il fine di facilitare la riemersione del c.d. «lavoro sommerso». Secondo la parte appellante, alla luce di quanto evidenziato, il lavoratore P C e' da considerare a tutti gli effetti un lavoratore totalmente sconosciuto alla P.A.. Pertanto, impugna la sentenza n. 12894/2013 nella parte in cui ritiene che il lavoratore P C fosse «conosciuto» dalla P.A., errando nel riferimento all'art. 36-bis, comma 7, del decreto-legge 223/2006. L'appellante sottolinea, poi, che non si possa parlare di «semplici irregolarita'» con riferimento alla mancata iscrizione nel libro paga e nel libro matricola e al mancato invio della comunicazione di assunzione all'INAIL, come asserito dal ricorrente di primo grado. L'appellante con le sue censure impugna, altresi', la parte della sentenza nella quale il giudice di prime cure aveva omesso di valutare come elemento probatorio l'attestazione di pagamento da parte della N I s.a.s. di O F , prodotta dalla direzione del lavoro. Infatti, secondo la parte appellante la sig.ra F secondo quanto documentato, avrebbe sanato le violazioni comminate attraverso il versamento della somma di 366,75 euro, pagate con modello F23 e tale pagamento sarebbe da considerarsi come ammissione dell'istaurazione irregolare del rapporto di lavoro. La societa' N I , nonche' la sig.ra F O , si costituivano nel presente giudizio, esperendo, inoltre, appello incidentale. 1) In via preliminare, eccepivano la inammissibilita' dell'appello per violazione dell'art. 342 c.p.c.. 2) Eccepivano, poi, la violazione degli articoli 14, 17, 18 della legge n. 689/81, e della legge 241/90. Le appellanti incidentali in particolare deducevano che il Giudice di prime cure non si era pronunciato sulla suddetta questione, che era stato oggetto di uno specifico motivo di opposizione in primo grado, probabilmente perche' ritenuta assorbita dalla decisione di accoglimento nel merito dell'originario ricorso; deducevano che alle stesse non era stato comunicato il rapporto di accertamento redatto in data 29 maggio 2007 dall'Ispettore, relativo ai fatti accertati in data 8 febbraio 2007, ne' in tale ultima data era stata contestata «immediatamente alcuna violazione ne successivamente le erano stati notificati gli «estremi della violazione». Altresi', la appellata rilevava che il periodo trascorso tra la data della pretesa commissione della violazione, accertata l'8 febbraio 2007, e quello della notificazione della ordinanza-ingiunzione, effettuata in data 4 maggio 2009, dopo oltre due anni, viola apertamente le disposizioni di cui ai citato art. 17 e 18 della legge n. 689/81 senza tenere conto che tutto i'iter del procedimento istauratosi e conclusosi senza l'acquisizione della documentazione prescritta viola apertamente sia la legge n. 689/81 che la legge n. 241/90. Nel caso di specie l'ordinanza-ingiunzione era stata emessa e notificata ben oltre il termine di trenta giorni di cui all'art. 2 della legge. 241/90. 3) Nel merito, contestavano la fondatezza dell'appello principale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali-direzione provinciale del lavoro Napoli. In particolare, la appellante incidentale deduceva di avere effettuato la comunicazione obbligatoria all'INAIL il giorno prima dell'assunzione del lavoratore; inoltre, deducevano che al momento dell'accesso dell'ispettore del lavoro presso la N I s.a.s. di F O (oggi N I s.r.l.) furono comminate altre violazioni, oltre a quella dell'art. 36-bis, comma 7 di n. 223/2006 e precisamente: quella per la mancata comunicazione al centro impiego del lavoratore P C , per la mancata sottoscrizione del contratto, per la mancata comunicazione del codice fiscale del lavoratore P C , per la omessa registrazione sul libro presenza e matricola del lavoratore P C . Per tali omissioni la N I s.a.s. di F O (oggi N I s.r.l.) fu invitata al pagamento della complessiva somma di euro 366,75, da pagare utilizzando il modello di versamento F23, riportando sullo stesso codici tributi 791 T ed 907 T. In data 26 febbraio 2007, con modello F23, la N I s.a.s. effettuo' il pagamento della somma di euro 366,75 per le predette casuali e non per violazione di cui all'art. 36-bis del decreto-legge n, 223/2006. Quindi, secondo le appellanti incidentali l'atto di appello era un evidente frutto di travisamento della controparte. La societa' N I s.r.l. nonche' la sig.ra F O , proponevano, inoltre, appello incidentale subordinato, sollevando i seguenti motivi: 4) Sul pagamento delle spese processuali: La appellata chiede la riforma della sentenza appellata in merito alla compensazione sul pagamento delle spese processuali (La sentenza di primo grado ha compensato le spese del giudizio «considerato la materia trattata») in considerazione, del comportamento processuale dell'appellante, che costringe la appellata ad ulteriori spese legali, per far fronte al presente giudizio di appello. La sentenza appellata: ha accolto la opposizione ad ordinanza ingiunzione applicativa della sanzione amministrativa ex art. 36-bis, comma 7, D.L n. 223/06 (lavoro nero) sulla base della interpretazione secondo cui la previsione contenuta nel suddetto articolo, relativa al personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, si riferisse al personale totalmente sconosciuto alla P.A., in quanto non iscritto nella documentazione obbligatoria ne oggetto di alcuna comunicazione prescritta dalla normativa lavoristica e previdenziale. Il Giudice di primo grado, indi, rilevato che la parte opponente aveva prodotto in giudizio la denuncia nominativa obbligatoria INAIL, trasmessa in data antecedente a quella della ispezione e dell'accertamento della violazione di cui alla ordinanza ingiunzione de qua, aveva accolto la opposizione. Questa Corte, riservata la causa in decisione, rileva in camera di consiglio innanzitutto che la suddetta particolare interpretazione della lettera dell'art. 36-bis, comma 7, decreto-legge n. 223/06, effettuata dal giudice di primo grado, sulla cui base era stata accolta la opposizione a ordinanza ingiunzione, con conseguente annullamento della stessa, seppur non sorretta da adeguata motivazione, ha trovato un successivo espresso aggancio normativo nell'art. 4, lettera b legge 4 novembre 2010, n. 183 (Collegato lavoro), che ha modificato l'art. 3, comma 4 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, gia' modificato dall'art. 36-bis comma 7 del DL n. 223/2006, laddove ha stabilito che «Le sanzioni di cui al comma 3 (cioe' dell' art. 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, e successive modificazioni - anche per effetto dell'art. 36-bis comma 7 del DL n. 223/2006, relativamente alle sanzioni per lavoro nero, poi, soltanto calibrate nel quantum dal suddetto art. 4 del Collegato Lavoro in base al principio di proporzione) non trovano applicazione qualora, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volonta' di non occultare il rapporto». Pertanto, questa Corte, pur ritenendo che la detta interpretazione da parte del Giudice di primo grado della lettera dell'art. 36-bis, comma 7, decreto-legge n. 223/06 in senso favorevole all'autore dell'illecito amministrativo de quo non sia adeguatamente motivata, rileva di ufficio la questione di illegittimita' costituzionale per eventuale contrasto con gli articoli 3, 117 Cost. della norma successive (al suddetto art. 36-bis) piu' favorevole di cui all'art. 4, lettera b legge 4 novembre 2010, n. 183, nella parte in cui essa non prevede la sua applicabilita' retroattiva a fatti commessi antecedentemente alla sua entrata in vigore, cio' in base al principio del favor rei, applicabile secondo un orientamento consolidato della Corte europea del diritti dell'uomo anche in materia di illeciti amministrativi che abbiano natura convenzionalmente penale in base a determinati criteri individuati dalla giurisprudenza della stessa. Considerato in diritto Questa Corte ritiene che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. dell'art. 4, lettera b legge 4 novembre 2010, n. 183 (Collegato lavoro), che ha modificato l'art. 3, comma 4 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, gia' modificato dall'art. 36-bis comma 7 del decreto-legge n. 223/2006, nella parte in cui, dopo aver stabilito che «Le sanzioni di cui al comma 3 (secondo cui: «Ferma restando l'applicazione delle sanzioni gia' previste dalla normativa in vigore, in caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di favore da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, si applica altresi' la sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L'importo della sanzione e' da euro 1.000 a euro 8.000 per ciascun lavoratore irregolare, maggiorato di euro 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo. L'importo delle sanzioni civili connesse all'evasione del contributi e del premi riferiti a ciascun lavoratore irregolare di cui ai periodi precedenti e' aumentato del 50 per cento») non trovano applicazione qualora, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volonta' di non occultare il rapporto», non prevede la sua applicabilita' retroattiva a fatti commessi antecedentemente alla sua entrata in vigore. In ordine alla questione inerente la mancata previsione di una norma che applichi il principio della retroattivita' della lex mitior, si osserva quanto segue. In primo luogo, la rilevanza della questione in relazione al caso in esame emerge in modo evidente. Infatti, innanzitutto appare essere infondato il motivo di appello incidentale «subordinato» formulato dalla N I, srl e F O con riguardo alla asserita violazione degli articoli 14, 17, 18 della legge n. 689/81, e della legge 241/90. Infatti, le sezioni unite della Corte di Cassazione, aderendo all'indirizzo giurisprudenziale maggioritario, hanno sancito il principio secondo cui il procedimento per l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, di cui all'art. 18 legge 24 novembre 1981 n. 689, non si deve concludere necessariamente nel termine di trenta giorni (ora novanta giorni) previsto in via generale, per la conclusione del procedimento amministrativo, dall'art. 2 della legge n. 241 del 1990, ed applicabile in assenza di diverso termine specifico stabilito per legge o da regolamento. Infatti, la legge n. 689 del 1981 delinea un procedimento a carattere contenzioso con una precisa scansione temporale a garanzia degli interessati (novanta giorni per la notifica della violazione, se non vi e' stata la contestazione immediata (art. 14). Coerentemente, quindi, la legge n. 689 del 1981 non prevede alcun termine per la conclusione della fase decisioria del procedimento ivi disciplinato, essendo finalizzata la durata di tale fase all'esercizio del diritto di difesa da parte dell'interessato ed alla necessita di assicurare un migliore esercizio dei poteri sanzionatori della pubblica amministrazione. In assenza di altri termini specifici previsti della legge n. 689 del 1981 deve ritenersi che il termine massimo per l'adozione dell'ordinanza - ingiunzione sia quello di cinque anni previsto dall'art. 28 della stessa legge legge 689 del 1981, decorrenti dal giorno in cui la violazione e' stata commessa (Cassazione civile, SS.UU., sentenza 27/04/2006 n. 9591). La rilevanza della questione emerge poi in quanto si rileva che risulta prodotta della parte appellata la denuncia nominativa INAIL depositata presso la sede di Napoli in data 7 febbraio 2007, quindi in data anteriore alla ispezione de qua; pertanto, deve ritenersi infondato il motivo di appello laddove l'appellante deduce che la comunicazione all'INAIL sarebbe stata effettuata in data 9 febbraio 2007. Pertanto, in sede di valutazione dell'appello principale la rilevanza della questione di illegittimita' costituzionale emerge perche' l'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. art. 4 lettera b) della legge 4 novembre 2010, n. 183 nella parte in cui non prevede la sua applicabilita' retroattiva in base al principio del favor rei, comporterebbe la possibilita' di non applicare nei confronti della sig.ra F O e della N I sas di F O la sanzione ex art. 3, comma 4 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, gia' modificato dall'art. 36-bis comma 7 del DL n. 223/2006, applicata con la ordinanza ingiunzione de qua, in quanto la parte opponente ha prodotto in giudizio la denuncia nominativa obbligatoria INAIL, trasmessa in data antecedente a quella della ispezione e dell'accertamento della violazione. In secondo luogo, la non manifesta infondatezza della questione discende dal rilievo che nella fattispecie in esame, secondo un orientamento consolidato della Corte europea dei diritti dell'uomo, le garanzie di cui alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) si applicano a tutti i precetti di carattere afflittivo a prescindere dalla loro qualificazione come sanzioni penali nell'ordinamento di provenienza. Il riferimento e' in primis alla sentenza Engel c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976, ove si legge che «se gli Stati contraenti fossero nella piena discrezionalita' nel classificare un illecito penale quale disciplinare invece che penale, o di perseguire l'autore di un reato misto sul piano disciplinare, piuttosto che sul piano penale, il funzionamento delle clausole fondamentali di cui agli articoli 6 e 7 sarebbe subordinato alla loro sovrana volonta'. Una discrezionalita' cosi' estesa potrebbe condurre a risultati incompatibili con le finalita' e con l'oggetto della Convenzione. Con la sentenza Engel, la Corte europea del diritti dell'uomo ha in particolare individuato tre criteri al fini della qualificazione penale di una sanzione: la classificazione dell'illecito nell'ordinamento nazionale, l'intrinseca natura dell'illecito e la severita' della sanzione applicabile, utilizzati in via alternativa o cumulativa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo allo scopo di assicurare la uniforme applicazione di uno standard minimo di garanzie in tutti gli Stati-parte. Nell'ambito del suddetti criteri, il parametro della classificazione dell'illecito nell'ordinamento nazionale rappresenta soltanto un punto di partenza per l'analisi condotta dalla Corte europea. Il criterio della natura dell'illecito e' invece il piu' elastico, in quanto fa leva su una pluralita' di indici come: a) la cerchia dei destinatari del precetto, che deve rivolgersi alla generalita' dei cittadini, e non inserirsi esclusivamente nella disciplina interna di un gruppo contrassegnato da uno status speciale; b) la finalita' della sanzione comminata dalla norma incriminatrice, che deve avere carattere deterrente e punitivo; c) la qualificazione penalistica prevalente nel panorama degli ordinamenti nazionali; d) il collegamento della sanzione con l'accertamento di una infrazione (con esclusione, quindi, delle mere misure preventive). Infine, il criterio della severita' della sanzione fa riferimento alla gravita' delle conseguenze previste dalla legge; puo' trattarsi, in particolare, di pene detentive o pene pecuniarie di rilevante entita'. In applicazione dei suddetti criteri, sono state ricondotte alla materia penale alcune significative ipotesi di sanzioni qualificate nell'ordinamento interno conte sanzioni amministrative. All'uopo e' opportuno richiamare la sentenza del 27 settembre 2011, Menarini contro Italia, e la sentenza del 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri contro Italia, nelle quali la Corte europea del diritti dell'uomo ha ritenuto di natura «penale», ai sensi dell'art. 6 della CEDU, rispettivamente le sanzioni amministrative in materia di concorrenza (art. 15, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 - Norme per la tutela della concorrenza e del mercato) e le sanzioni amministrative in materia di manipolazione del mercato (art. 187-ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 - Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52). Si tratta quindi di stabilire se la sanzione di cui all'art. art. 3, comma 4 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, gia' modificato dall'art. 36-bis comma 7 del DL n. 223/2006, concernente l'illecito amministrativo di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, possa qualificarsi anch'essa come «penale» alla luce del criteri individuati dalla giurisprudenza della Corte europea del diritti dell'uomo. Non e' in proposito dirimente il fatto che la fattispecie in esame sia qualificata dal nostro ordinamento quale «sanzione amministrativa», dal momento che i criteri individuati dalla Corte europea del diritti dell'uomo possono essere utilizzati sia cumulativamente che alternativamente e che, come sopra precisato, le indicazioni fornite dal diritto interno hanno un valore meramente relativo (Sentenza Corte europea del diritti dell'uomo, 4 marzo 2014 causa Grande Stevens e altri c. Italia). Sotto il profilo della natura della sanzione, si puo' osservare che in relazione alla fattispecie sanzionata de qua, proprio per il suo particolare avvertito disvalore, in quanto e' finalizzata all'aggiramento delle norme lavoristiche, previdenziali e fiscali, e' prevista una triplice sanzione: penale (art. 37, comma 1, legge n. 689/1981), «civile» (art. 116, comma 8, lettera b), legge n. 388/2000), e amministrativa pecuniaria» (art. 3, comma 3, decreto-legge n. 12/2002) sulla base del medesimo comportamento materiale consistente nell'«omissione o falsita' di registrazione o denuncia obbligatorie», cioe' in un comportamento che presuppone l'impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro. Tale triplice sanzione e' dovuta alla tradizionale impostazione funzione afflittiva, repressiva e deterrente della norma sanzionatoria de qua, derivante dalla esigenza di tutela di beni-interessi riferibili alla collettivita' e in particolare di tutela della persona e posizione giuridica del lavoratore nel nostro ordinamento. La natura afflittiva della sanzione amministrativa de qua si desume anche dalla sua entita', la quale e' proporzionata alla gravita' del fatto commesso in violazione della norma sanzionatoria e dove in base al numero di giorni di lavoro effettivo svolto, a prescindere, dunque, dalla entita' del danno cagionato. Per verificare la natura afflittiva della suddetta sanzione amministrativa de qua, inoltre, sebbene nel caso in esame la sanzione sia stata applicata nel suo ammontare minimo, occorre, innanzitutto, considerare la pena massima prevista in astratto, a prescindere dalla sanzione inflitta in concreto (sentenza Engel c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976. § 82 e sentenza Dubus S.A. c. Francia dell'11 giugno 2009, § 37). Dunque, la suddetta sanzione puo' essere, poi, confrontata con la sanzione penale detentiva di cui all'art. 37, comma 1, legge n. 689/1981 (che prevede una pena fino a un massimo di due anni di reclusione, senza la previsione di alcun minimo) attraverso la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria; in particolare, la sanzione penale massima («convertita» in pena pecuniaria: 182.500 euro) puo' essere rapportata a una sanzione amministrativa pecuniaria massima corrispondente all'impiego di circa 20 lavoratori irregolari per non piu' di trenta giorni (182.500 : 9.000 = 20,27), o di circa 10 lavoratori irregolari per non piu' di sessanta giorni (182.500 : 18.000 = 10,13) o, infine, di circa 5 lavoratori irregolari per piu' di sessanta giorni (182.500 : 36.000 = 5,06). Pertanto, ai sensi dell'art. 3, comma 3, decreto-legge n. 12/2002 (come recentemente novellato), il datore di lavoro che impiega un solo lavoratore subordinato senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro si vede applicare, per ciascun lavoratore, una sanzione pecuniaria che puo' variare da un minimo di 1.500 euro (se l'utilizzo non supera i trenta giorni di effettivo lavoro) a un massimo di 36.000 euro (se l'utilizzo supera i sessanta giorni di effettivo lavoro). Dunque, dato il meccanismo di computo di cui all'art. 3, comma 3, decreto-legge n. 12/2002, si rischia di incappare in una sanzione amministrativa pecuniaria tanto piu' elevata, quanto maggiore e' il numero dei lavoratori impiegati irregolarmente, a fronte di una sanzione penale che, invece, non solo rimane fissa nella sua entita' massima («reclusione fino a due anni»), ma che, in realta' puo' anche essere meramente virtuale nella (presumibile) ipotesi di concessione della sospensione condizionale della pena. Da tutto quanto sopra evidenziato, emerge secondo questa Corte la natura certamente afflittiva e quindi sostanzialmente penale della sanzione de qua. Dalla natura «penale», ai sensi della CEDU, della sanzione in esame discende, ad avviso di questa Corte d'Appello, l'applicabilita' alla stessa del principio di legalita' penale di cui all'art. 7 della CEDU. Detta norma, secondo l'interpretazione della Corte di Strasburgo, rinvenibile nelle sentenze 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, e del 24 gennaio 2012, Mihai Toma contra Romania, il carattere penale della sanzione non implica che debba vigere solo il principio della irretroattivita' delle leggi penali piu' severe, ma anche, e implicitamente, il principio della retroattivita' della legge penale piu' favorevole o meno severa. Detto principio si traduce nella regola dell'applicazione della legge penale piu' favorevole, anche se posteriore alla commissione del reato. Tanto considerato, ad avviso del giudice a quo si profila un'ipotesi di contrasto fra l'art. 4 lettera b) della legge 4 novembre 2010, n. 183 e l'art. 117 della Costituzione, in relazione al parametro interposto dell'art. 7 CEDU. In particolare, si ritiene che la scelta di non ricorrere al principio della retroattivita' della norma che prevede la non applicazione delle sanzioni previste dall'art. art. 3, comma 4 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, modificato dall'art. 36-bis comma 7 del DL n. 223/2006 in materia di illecito amministrativo di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di favore da parte del datore di lavoro privato, norma di natura sostanzialmente penale, si ponga in contrasto con l'art. 3 Cost. e con i principi uguaglianza e di ragionevolezza. Si richiama in proposito la sentenza n. 393 del 2006, in cui la Corte costituzionale ha chiarito che «il livello di rilevanza dell'interesse preservato dal principio retroattivita' della lex mitior - quale emerge dal grado di protezione accordatogli dal diritto interno, oltre che dal diritto internazionale convenzionale e dal diritto comunitario - impone di ritenere che il valore da esso tutelato puo' essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo». In tale pronuncia la Corte costituzionale, in sintesi, ha affermato che, sebbene il principio dell'applicazione retroattiva della lex mitior non sia assoluto, tuttavia la sua deroga deve essere giustificata da gravi motivi di interesse generale (sentenze n. 236 del 2011 e n. 393 del 2006 Corte cost.), superando a questi fini un vaglio positivo di ragionevolezza, e non un mero vaglio negativo di non manifesta irragionevolezza. Devono cioe' essere positivamente individuati gli interessi superiori, di rango almeno pari a quello del principio in discussione, che ne giustifichino il sacrificio. Orbene, nel caso in esame, non sarebbe ravvisabile alcuna giustificazione, men che meno di rango costituzionale, tale da legittimare il sacrificio del trattamento piu' favorevole previsto dall'art. 4 lettera b della legge 4 novembre 2010, n. 183, in quanto da tale normativa non emergono gravi motivi di interesse generale che possano fondare tale sacrificio. Occorre, d'altra parte rammentare che la stessa Corte costituzionale qui adita e' stata recentemente investita della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non prevede la retroattivita' in mitius nella generale disciplina dell'illecito amministrativo, in relazione agli articoli 3 e 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo con riferimento agli articoli 6 e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. In tale occasione, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' Costituzionale, statuendo che non si rinviene nel quadro delle garanzie apprestate dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, l'affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni del singoli Stati aderenti, del principio della retroattivita' della legge piu' favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative» (cfr. Corte cost., sentenza 20 luglio 2016, n. 193). La Corte costituzionale ha anche precisato che l'applicazione del principio della retroattivita' della lex mitior e' subordinato alla «preventiva valutazione della singola sanzione (qualificata amministrativa dal diritto interno) come «convenzionalmente penale», alla luce del cosiddetti criteri Engel (cosi' denominati a partire dalla sentenza della Corte EDU, Grande Camera - 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi e costantemente ripresi dalle successive sentenze in argomento)». Il motivo del rigetto, secondo la medesima Corte, si ricollega alla circostanza che non sia possibile desumere dal principi affermati dalla Corte europea del diritti dell'uomo un'estensione generalizzata del principio della retroattivita' della legge piu' favorevole con riguardo all'intero sistema delle sanzioni amministrative. Va rimarcato, tuttavia, che la questione qui prospettata non si riferisce alla generalita' delle sanzioni amministrative, ma unicamente a una previsione normativa di carattere certamente afflittivo (secondo i criteri Engel sopra citati), atteso che il presente giudizio ha per oggetto una sanzione pecuniaria qualificabile come penale alla luce dei criteri individuati dalla giurisprudenza della Corte europea del diritti dell'uomo. Profilandosi, in tal senso, un contrasto tra la previsione di cui all'art. 4, lettera b) legge 4 novembre 2010, n. 183, che ha modificato l'art. 3, comma 4 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, gia' modificato dall'art. 36-bis comma 7 del DL n. 223/2006 in materia di illecito amministrativo di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, che non prevede la retroattivita' di tale normativa piu' favorevole, con gli articoli 3 e 117 della Costituzione, quest'ultima in relazione al parametro interposto dell'art. 7 della CEDU, si ritiene pertanto necessario rimettere alla Corte costituzionale la valutazione della compatibilita' dell'art. art. 4, lettera b) della legge 4 novembre 2010, n. 183 con le norme della Costituzione sopra richiamate, atteso che la scelta operata dal legislatore non appare ragionevole. Difatti, e' un illecito che ha anche rilievo penale: pertanto, non vi sono ragioni per escludere l'applicazione della legge piu' favorevole in tale specifico campo, come e' avvenuto per le violazioni tributarie. E' opportuno rilevare che il denunciato contrasto non potrebbe essere risolto ricorrendo a un'interpretazione conforme alla Convenzione EDU e ai parametri costituzionali. Infatti, anche se nel caso di specie, a differenza della questione esaminata dalla recente sentenza della Consulta n. 63/2019 di incostituzionalita' della norma sanzionatoria in materia di rivelazione di informazioni privilegiate, la norma piu' favorevole de qua non prevede espressamente il divieto della sua applicazione retroattiva, tuttavia si rileva che l'art. 1 della legge n. 689/1981 prevede espressamente il divieto di retroattivita' delle norme sanzionatorie e che esiste una innegabile consolidata giurisprudenza di legittimita' (Corte di Cassazione sentenza n. 4114/2016; Cassazione, Sezioni Unite del 28 giugno 2012) che in piu' occasioni ha ribadito la non applicabilita', in assenza di una specifica disposizione normativa, del principio della retroattivita' della lex mitior di matrice penalistica al settore degli illeciti amministrativi (in quanto *non recepito* nell'art. 1 della legge n. 689/1981) che risponde, invece, al distinto principio del tempus regit actum. Tale impostazione si fonda sul rifiuto generalizzato di un'applicazione analogica dell'art. 2, secondo comma, codice penale, anche alla luce dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, e sulla considerazione del casi nei quali opera il principio della retroattivita' della lex mitior come casi settoriali, non estensibili oltre il loro ristretto ambito di applicazione. Si aggiunge, inoltre, che la norma, una volta affermatane la natura sostanzialmente penale, pare in netto contrasto anche con il principio di cui all'art. 49 della Carta del diritti fondamentali dell'Unione europea, il quale stabilisce che «se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena piu' lieve, occorre applicare quest'ultima». Nel caso in esame, pertanto, appare opportuno verificare se una disposizione normativa che, in questa particolare fattispecie, di sicuro rilievo penale, non abbia previsto tale effetto retroattivo, si ponga o meno in contrasto con i principi costituzionali sopra richiamati.
P. Q. M. La Corte di appello di Napoli, sezione prima civile, Visto l'art. dell'art. 4 lettera b della legge 4 novembre 2010, n. 183, Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza: solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 lettera b della legge 4 novembre 2010, n. 183 nella parte in cui non prevede la sua applicazione retroattiva piu' favorevole, in violazione degli articoli 3, 117 Cost.; per l'effetto, sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio del ministri e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Napoli, li' 25 maggio 2019 Il Presidente: Tabarro Il consigliere relatore: Del Franco