N. 205 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 luglio 2019

Ordinanza del 22 luglio 2019 della  Corte  d'appello  di  Napoli  nel
procedimento  civile  promosso  da  Villani  Mario   contro   D'Auria
Annunziata. 
 
Procedimento civile - Lavoro e previdenza  (controversie  in  materia
  di) - Spese processuali - Condanna alle  spese  -  Previsione,  nel
  caso di accoglimento della domanda in  misura  non  superiore  alla
  proposta conciliativa, di condanna della  parte  che  ha  rifiutato
  senza giustificato motivo la  proposta  al  pagamento  delle  spese
  processuali  maturate  successivamente  alla   formulazione   della
  proposta - Applicazione  anche  alle  controversie  in  materia  di
  lavoro. 
- Codice di procedura civile, art. 91, anche  in  combinato  disposto
  con l'art. 420, primo comma, cod. proc. civ. 
(GU n.47 del 20-11-2019 )
 
                    LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 
 
    Sezione controversie di lavoro e di previdenza ed assistenza 
 
    1. Dott. Antonio Robustella, Presidente; 
    2. Dott.ssa Isabella Diani, consigliere; 
    3. Dott. Carlo de Marchis Gomez, giudice ausiliario rel.; 
    Riunita in Camera di consiglio all'udienza del 10 luglio 2019  ha
pronunciato la seguente ordinanza nel  procedimento  iscritto  al  n.
5728 ruolo sezionale lavoro del 2014 intercorrente tra Villani Mario,
con l'avv. Gianfranco Ferrajoli, appellante; 
    e D'Auria Annunziata, con l'avv. Rosa Fratto, appellati. 
Svolgimento del processo. 
    1. Con  ricorso  ex  art.  414  del  codice  di  procedura civile
depositato presso la cancelleria del Tribunale di Torre Annunziata il
sig. Mario Villani conveniva in giudizio Annunziata D'Auria  al  fine
di vedere disporre la condanna della  convenuta  al  pagamento  della
somma di euro 7.555,70 a titolo di differenze retributive. 
    2. Il ricorrente, premesso di avere svolto la  propria  attivita'
lavorativa alle dipendenze della convenuta dal novembre  2009  al  14
settembre 2010 con rapporto regolarizzato nel maggio  2010,  rilevava
di avere svolto mansioni di commesso apprendista IV  livello  addetto
alla ricezione degli ordinativi, alla sistemazione della merce e alla
vendita al dettaglio. 
    3. Esponeva, quindi, il sig. Villani di avere prestato  attivita'
lavorativa per undici ore giornaliere, osservando l'orario di  lavoro
descritto nel ricorso percependo una retribuzione inadeguata rispetto
al lavoro prestato,  costretto  a  sottoscrivere  le  buste  paga  di
importo inferiore sotto minaccia di licenziamento e di avere  cessato
il rapporto di lavoro a  seguito  di  gravi  comportamenti  posti  in
essere dal coniuge della titolare del negozio. 
    4.  Concludeva,  quindi,  per  la  condanna  al  pagamento  delle
differenze retributive come quantificate in un conteggio allegato  al
ricorso. 
    5.  Radicatosi  il  contraddittorio  si  costituiva   la   sig.ra
Annunziata D'Auria  che  resisteva  alla  domanda  del  sig.  Villani
eccependo preliminarmente la nullita' del ricorso  e  contestando  le
circostanze dedotte dal  ricorrente.  La  sig.ra  D'Auria  offriva  a
titolo conciliativo gia' in sede di memoria  difensiva  la  somma  di
euro 2.000,00. 
    6. Il giudice di primo grado, alla prima  udienza  formulava  una
offerta conciliativa di euro 2.500,00 con compensazione  delle  spese
di lite che veniva accettata  all'udienza  successiva  esclusivamente
dalla convenuta che si rendeva disponibile ad un immediato  pagamento
tramite assegno bancario. 
    7. Il giudice, preso atto della mancata conciliazione,  all'esito
delle prove orali richieste dalle parti, accoglieva esclusivamente la
domanda di pagamento del TFR che liquidava in via equitativa in  euro
900,00 respingendo per il resto il ricorso  e  condannando  ai  sensi
dell'art. 91, 2 alinea del codice di procedura civile il sig. Villani
alla rifusione delle  spese  nella  misura  di  euro  1.500,00  oltre
accessori in ragione del rifiuto dell'offerta conciliativa. 
    8. Osservava in particolare il giudice di primo grado in tema  di
statuizione circa  la  spese  di  lite  che  «Va  ora  affrontata  la
questione della non accettazione della somma di euro 2.000,00 offerta
immediatamente dalla controparte conventa e di euro 2.500,00 avanzata
quale ipotesi transattiva dal giudicante. Sul punto la  normativa  e'
chiara nello stabilire che deve essere condannata alle spese la parte
che non prestando consenso ad una soluzione transattiva giunga poi ad
una sentenza che ricalca l'ipotesi transattiva  o  addirittura,  come
nel caso di specie, giunga poi a soluzioni  di  maggior  sfavore  con
aggravio per la macchina della giustizia». 
    9. Ha promosso ricorso in appello il sig. Villani che censura  la
sentenza sia con riferimento al mancato riconoscimento delle maggiori
somme rivendicate sia con riferimento alla statuizione relativa  alla
condanna alle spese lamentando l'illegittimita'  della  sentenza  che
non ha riconosciuto le spese del grado. 
    10.  Resiste  con  memoria  la  sig.ra  D'Auria  che  si   oppone
all'accoglimento del gravame. 
    11. La Corte, ritenuto necessario  ai  fini  della  decisione  un
approfondimento   circa   la   possibile   rilevanza   costituzionale
dell'assetto normativo posto a base della  decisione,  con  ordinanza
interlocutoria  sollecitava  le  parti  a  prendere   posizione   sul
possibile contrasto dell'art. 91, 1° comma, 2 alinea  del  codice  di
procedura civile in correlazione con il  tentativo  di  conciliazione
previsto nel rito speciale del lavoro. 
    12. All'udienza fissata per la  discussione,  la  causa e'  stata
trattenuta  in  decisione  disponendosi  con  separata  ordinanza  la
remissione alla Corte costituzionale. 
Sulla rilevanza. 
    13. La controversia sottoposta al vaglio di questa  Corte  impone
di valutare la legittimita' della sentenza  sotto  il  profilo  della
statuizione del regime delle spese processuali regolato dall'art. 91,
1° comma, secondo alinea del codice di procedura civile in  se  e  in
combinato disposto con l'art. 420 del codice di procedura civile. 
    14. La costituzionalita' della normativa  richiamata  sul  regime
delle  spese  processuali  assume,  infatti,  diretta  incidenza  nel
meccanismo decisionale della Corte. 
    15. Ai  fini  della  rilevanza  della  questione  preme,  infine,
evidenziare che l'ordinamento si limita a richiedere che sussista  un
nesso   pregiudiziale   tra   giudizio    principale    e    giudizio
costituzionale,  nel  senso  che  la  norma  censurata  debba  essere
necessariamente applicata nel primo, e che l'eventuale illegittimita'
della stessa incida sul  giudizio  principale  (Corte  costituzionale
91/13). Il vigente sistema  costituzionale  stabilisce,  infatti,  ai
fini della ammissibilita' della questione  di  costituzionalita',  la
circostanza che il giudizio di  costituzionalita'  sia  in  grado  di
incidere sul processo principale (Corte  costituzionale  184/06).  Ai
fini  dell'ammissibilita'   nel   giudizio   a   quo,   deve   quindi
esclusivamente valutarsi  l'idoneita'  della  decisione  della  Corte
costituzionale a produrre una modifica dell'assetto normativo che  il
giudice remittente e' tenuto a considerare ai  fini  della  decisione
della controversia (Corte costituzionale 390/96). 
Sulla non manifesta infondatezza. 
    l6. Ritiene  questo  collegio  che  la  funzione  giurisdizionale
risponda ad una  primaria  esigenza  della  collettivita'  in  quanto
assicura la effettiva attuazione  del  principio  di  uguaglianza  di
tutti gli individui di fronte alla legge. 
    17. Nel processo assume,  quindi,  una  rilevanza  essenziale  il
principio di parita' sostanziale che impone di rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale che limitano di  fatto  la  liberta'  e
l'uguaglianza dei cittadini (art. 3 Costituzione). 
    18. L'affermazione  di  un  diritto  che,  tuttavia  per  fattori
economici o  sociali,  non  possa  essere  concretamente  rivendicato
ovvero venga ostacolato nel suo riconoscimento «giudiziale» equivale,
infatti, a negarne l'esistenza sul piano attuativo trasformandolo  in
una formula vuota. 
    19. Tale principio trova concreta  attuazione  nel  processo  del
lavoro. 
    20. Con l'adozione della Carta costituzionale la  Repubblica  ha,
infatti, assunto lo specifico compito di tutelare il lavoro in  tutte
le sue forme promuovendo le condizioni  che  rendono  effettivo  tale
diritto al fine di rimuovere i fattori di ordine anche economico  che
inibiscono, anche  sotto  il  profilo  processuale,  l'esercizio  dei
diritti costituzionali dei lavoratori. 
    21. Il diritto di ogni individuo di agire davanti ad  un  giudice
indipendente contiene necessariamente quello  di  ottenere  in  tempi
ragionevoli un provvedimento giurisdizionale; rispetto a tali diritti
fondamentali  e',  quindi,  compito  dello  Stato  impedire  che   le
condizioni  personali,  reddituali  o  sociali  ne  condizionino   il
concreto esercizio. 
    22. Il processo e', infatti, la sede naturale  nella  quale  ogni
diritto negato trova il suo effettivo e  concreto  riconoscimento  ed
e', quindi, l'ambito nel quale una  disparita'  economica  o  sociale
puo' maggiormente incidere nell'effettivita' di diritti  fondamentali
riconosciuti a soggetti deboli minando quella parita' di fronte  alla
legge che rappresenta, viceversa, il fulcro dei principi fondamentali
attorno al quale si sviluppa la Costituzione. 
    23. Il costo del processo costituisce, pertanto,  il  fattore  di
maggiore discriminazione nella domanda  di  giustizia  in  quanto  e'
idoneo in concreto a impedire la possibilita' di rivendicare in  modo
effettivo  il  ripristino  del  bene  della  vita  che  la   funzione
giurisdizionale deve tendenzialmente  assicurare  attraverso  i  suoi
provvedimenti. 
    24. Tutti gli oneri, sia diretti,  imposte,  tasse,  onorari  del
patrocinio, spese processuali ecc., che indiretti quali la  mappatura
giudiziaria, la  dotazione  degli  uffici,  la  specializzazione,  la
concreta possibilita' di accesso e, in definitiva,  l'efficienza  del
«sistema giustizia» (cfr sul punto Revised Guidelines on the Creation
of Judicial Maps to  Support  Access  to  Justice  within  a  Quality
Judicial System, Consiglio d'Europa s  22th  plenary  meeting,  on  6
december 2013), che incidono sul diritto di  agire  in  giudizio  nei
termini  sopra  ricordati,  rappresentano,   quindi,   elementi   che
potenzialmente sono idonei a rendere il principio di  uguaglianza  di
fronte alla legge un principio meramente formale. 
    25. La disparita' economica e' innegabile nelle  controversie  di
lavoro nelle quali la presenza di un contraente debole  e',  infatti,
alla base della legislazione vincolistica del rapporto  che  trova  a
sua  volta  pieno  riconoscimento  in  specifiche  norme   di   rango
costituzionale (art. 35, 36, Costituzione)  in  una  prospettiva  che
assicura una dignita' costituzionale anche alle  aggregazioni  create
per  sopperire  alla  sostanziale  disparita'  nella   capacita'   di
contrapporsi al fine di negoziare le condizioni di lavoro (art. 39  e
40 Costituzione). 
    26. L'esigenza di assicurare un concreto accesso  alla  giustizia
del  lavoro  che  tenesse  conto  di  tutti  i  fattori,   economici,
geografici,  di  specialita'  della  normativa  ha  trovato  concreta
attuazione nella legge  n.  533/1973  ma  e'  sempre  stata  presente
nell'avvicendarsi delle normative processuali che  hanno  interessato
il rapporto di lavoro. 
    27. Sin dagli  albori  della  societa'  industriale  il  giudizio
finalizzato a dare una risposta alla domanda di tutela del lavoratore
e' stato caratterizzato dalla consapevolezza  del  legislatore  della
oggettiva  disparita'  sostanziale  esistente  tra  il  prestatore  -
coincidente di norma con il soggetto che promuove  l'azione  -  e  il
datore di lavoro. 
    28. La diversita' delle parti astrette da un rapporto di lavoro e
la conseguente esigenza di riequilibrare nel  processo  i  molteplici
fattori di ordine culturale, economico e sociale, idonei  a  incidere
sulla effettiva capacita' dei soggetti di rivendicare nel giudizio la
tutela dei propri diritti ha, quindi, da sempre qualificato  il  rito
imponendo l'adozione di uno strumento processuale idoneo a compensare
gli elementi di  disuguaglianza  nell'esercizio  dell'azione  che  si
riflettono inevitabilmente,  sul  piano  sostanziale,  nell'effettivo
riconoscimento del diritto. 
    29. La vicinanza dell'organo giudicante al luogo di lavoro  (onde
rendere meno disagevole l'accesso alla giustizia al soggetto  debole)
caratterizza gia' il  sistema  embrionale  del  processo  del  lavoro
nell'esperienza probivirale della legge 15 giugno 1893 nella quale e'
anche evidente la finalita' tesa  a  eliminare  l'ostacolo  economico
laddove stabilisce l'esenzione da ogni tassa di bollo o di registro. 
    30. L'esigenza di una  magistratura  speciale  dotata  di  poteri
istruttori d'ufficio e' presente  anche  nell'esperienza  corporativa
nella riforma del r.d. del 21 maggio 1934, n. 1074 (art. 14) che pure
mantiene in parte l'esenzione dal bollo e da ogni imposta di registro
stabilendo  all'art.  27  un  regime  agevolato  delle  esenzioni   e
stabilendo al contempo un sistema di provvisionali di condanna  (art.
18). 
    31. Il disequilibrio economico delle parti coinvolte nel processo
del lavoro come elemento idoneo a rappresentare un  impedimento  alla
tutela effettiva del diritto costituisce, quindi, una costante  della
legislazione  processuale  del  lavoro  che  trova  la  sua   massima
espressione  nella  legge   n.   533/1973,   attuativa,   sul   piano
processuale, dell'esigenza costituzionale di eliminare  gli  ostacoli
di ordine economico e sociale che limitano di  fatto  la  liberta'  e
l'eguaglianza dei cittadini. 
    32. Alla luce dei rilievi formulati ritiene, quindi, questa Corte
che il processo del lavoro,  in  ragione  delle  oggettive  cause  di
disparita'  dei  soggetti   che   intervengono,   sia   un   giudizio
proceduralmente  diseguale  nella  prospettiva  di   assicurare   nel
processo una uguaglianza sostanziale, viceversa, atta a garantire una
pienezza  di  tutela  effettiva  in  assenza   di   fattori   esterni
condizionanti, idonei a limitare il diritto di azione. 
    33.  Fa  chiaramente  riferimento  ad  «un  processo   fortemente
caratterizzato da una parte debole» anche la relazione del 24  luglio
2000 della Commissione Foglia per lo  studio  e  la  revisione  della
normativa  processuale  del  lavoro  che  tra  l'altro   rimarca   la
centralita' del processo del  lavoro  quale  «luogo  privilegiato  di
applicazione della normativa  comunitaria  nella  quale  la  politica
sociale ha conquistalo - specie con gli ultimi Trattati di  Amsterdam
e con la Carta dei diritti fondamentali - una posizione  di  indubbia
centralita'». 
    34. La centralita' del processo del  lavoro  e  la  finalita'  di
colmare la disparita' processuale e', quindi di palmare evidenza:  un
diritto fondamentale non concretamente azionabile rimane - come si e'
in precedenza evidenziato - sulla carta e non e' effettivo. 
    35. Non a caso, infatti, in sede di presentazione della  proposta
di legge n. 379 del 5 luglio 1972  dell'attuale  rito  del  lavoro  i
firmatari individuano tra i fattori di rischio di «vanificazione  dei
diritti dei lavoratori» «l'aumento dei costi» e  l'inadeguatezza  dei
«mezzi processuali» che rischiano di minare  «la  credibilita'  della
tutela giurisdizionale statuale» allargando  «la  fascia  della  fuga
dalla giustizia». 
    36. Tali principi imponevano e tutt'ora  impongono  di  rimuovere
tutti gli ostacoli che concretamente si frappongono ad una  effettiva
tutela  dei  diritti  che  sono  tradizionalmente  tre:  strutturali,
tecnici ed economici. 
    37. Dovendo  limitare,  per  necessaria  rilevanza,  la  disamina
all'ultimo  dei  fattori  indicati  si  osserva  che  la   disparita'
economica  giustifica,  diversamente  dal  processo  ordinario,   una
gratuita' ed  una  esenzione  fiscale  che  -  seppure  attenuta  con
l'introduzione del contributo unificato - tuttavia, ancora  considera
la peculiarita' del processo del lavoro laddove prevede una fascia di
esenzione e una riduzione del 50% rispetto alla misura del contributo
normale. La disparita' reddituale e' alla base dello speciale  regime
delle competenze e della previsione di alcuni  istituiti  processuali
tendenti ad anticipare gli effetti di una sentenza nei confronti  del
soggetto economicamente piu' debole  (cfr  art.  423  del  codice  di
procedura civile), nonche' del particolare regime degli accessori del
credito  e,  fino  alla  generalizzazione  della  esecutivita'  delle
sentenze di primo grado, della previsione dell'art. 431 del codice di
procedura civile. 
    38. In tale contesto  normativo  si  inserisce  il  tentativo  di
conciliazione quale strumento teso ad assicurare una definizione  del
giudizio evitando i rischi e i costi del processo. 
    39. Tale istituto ha caratterizzato la tutela del lavoratore  sin
dalla richiamata  esperienza  probivirale,  trovando  conferma  nella
legislazione successiva e inserendosi,  quindi,  come  un  valido  ed
efficace strumento  non  penalizzante  per  la  parte  economicamente
debole del rapporto. 
    40.  La  scelta  di  assicurare  un  momento   di   conciliazione
endoprocessuale,   condivisa   anche   dalla   legge   n.   533/1973,
rappresentava nell'originario disegno del legislatore  uno  strumento
di ulteriore integrazione della disparita' delle parti nel processo. 
    41.  La  conciliazione  nell'esperienza  processuale   del   rito
speciale per le controversie  di  lavoro  rappresenta,  infatti,  uno
strumento alternativo alla  sentenza  rispondente  ad  una  effettiva
utilita' sociale perche' scelto senza alcun coazione  «economica»  se
non quella della  convenienza  di  ottenere  un  risultato  utile  in
termini certi con riferimento alla quale la condizione  delle  parti,
sebbene non sia neutra rispetto alla scelta, (essendo evidente che lo
stato di bisogno  puo'  inevitabilmente  incidere  sulla  decisione),
certamente non costituiva, sino alla novella dell'art. 91 del  codice
di procedura civile,  un  fattore  penalizzante  nella  decisione  di
ottenere un provvedimento giurisdizionale. 
    42. Anche nella piu' volte  citata  relazione  della  Commissione
Foglia, che pur  valorizza  la  conciliazione  come  valido  istituto
alternativo  alla  sentenza,  si  responsabilizzano  le   parti   con
meccanismi processuali tesi a incentivare la conciliazione  imponendo
la presenza in udienza, senza  tuttavia  imporre  una  penalizzazione
economica in caso di rifiuto. 
    43. Nella novella dell'art. 91 del codice di procedura civile  in
tema di spese processuali, introdotta dall'art. 45,  comma  10  della
legge n. 69/2009, la conciliazione viene rafforzata  in  una  ottica,
tuttavia, punitiva che incide sotto il profilo  economico  attraverso
un automatismo penalizzante del regime delle spese del  processo  che
vengono poste a carico del soggetto che, pur parzialmente vittorioso,
non abbia, accettato la proposta. 
    44. Questa Corte ritiene che in siffatta prospettiva normativa lo
strumento conciliativo venga stravolto in quanto  accentua  in  forma
irragionevole la disparita' economica  e  sociale  che  caratterizza,
soprattutto  nel  processo  del  lavoro,  le   parti,   finendo   con
l'introdurre un ostacolo reddituale rispetto al diritto  a  ricorrere
alla funzione giurisdizionale, idoneo a generare un contrasto con  le
previsioni degli articoli 3, 4, 24 Costituzione unitamente con l'art.
35 Costituzione. 
    45. La  penalizzazione  economica  della  parte  processuale  che
agendo  in  giudizio  non  accetti  una  soluzione  alternativa  alla
sentenza non assume infatti nel  processo  deliberativo  una  valenza
neutra ma introduce nel processo un ostacolo di carattere  reddituale
ingiustificato rispetto  al  diritto  di  ottenere  un  provvedimento
giurisdizionale che  riconosce  persino  parzialmente  la  fondatezza
della pretesa. 
    46. La scelta di conciliare la controversia non diviene,  quindi,
piu' «libera» ma sanzionata attraverso uno sproporzionato automatismo
di  aggravio  di  spese  nei  confronti  del  soggetto  che,   seppur
parzialmente, ha comunque  ottenuto  il  riconoscimento  del  diritto
rivendicato  e,  pertanto,  a  danno,  per  lo  piu',   della   parte
economicamente piu' debole che di norma - come piu' volte evidenziato
- coincide con l'attore. 
    47. L'eventuale soccombenza totale del  soggetto  processualmente
debole,  ipotesi  gia'   esaminata   dalla   sentenza   della   Corte
costituzionale 19 aprile 2018, n. 77, e'  estranea  alla  fattispecie
oggetto  della  presente  remissione,  in  ragione  dell'assenza  del
presupposto  normativo   rappresentato   da   un   provvedimento   di
accoglimento parziale. 
    48. La previsione dell'art. 91,  1º  comma,  secondo  alinea  del
codice di procedura civile non trova, inoltre, espressa  applicazione
in presenza di una  reciproca  soccombenza  e  nei  casi  eccezionali
previsti dal secondo comma  dell'art.  92  del  codice  di  procedura
civile. 
    49. La previsione, pertanto, trova applicazione solo in  presenza
di un accoglimento parziale stabilendo una parita'  formale  rispetto
alle  conseguenze  del  rifiuto  di  una  offerta  conciliativa  che,
tuttavia, per i motivi in  precedenza  esposti  circa  la  disparita'
delle parti nel processo, determina un irragionevole e sproporzionato
effetto nei confronti del soggetto debole  del  rapporto  processuale
che finisce per snaturare la finalita'  dello  strumento  alternativo
alla sentenza liberamente scelto dalle parti. 
    50. L'offerta conciliativa costituiva, infatti, nella prospettiva
del legislatore del 1973 un istituto processuale teso a favorire  una
soluzione  transattiva  della  vertenza  nella  quale   il   rifiuto,
tuttavia, non assumeva una valenza prestabilita e  automatica  avente
carattere punitivo dell'esercitato diritto di agire in  giudizio.  La
norma esplicita,  infatti,  esclusivamente  che  l'eventuale  mancata
accettazione costituisce semplicemente un  «comportamento  valutabile
ai fini del giudizio». 
    51. Il rifiuto della proposta conciliativa  non  assume,  quindi,
necessariamente nella previsione dell'art 420 del codice di procedura
civile un carattere penalizzante  in  termini  economici  che  incide
indirettamente sul diritto  di  agire  in  giudizio  e  ottenere  una
decisione giurisdizionale sulla res controversa ma  rappresenta,  se,
caratterizzata da un connotato particolare, un aspetto  del  generale
principio che impone alle parti di agire con buona  fede  processuale
stabilito in termini generali dall'art. 88 del  codice  di  procedura
civile. 
    52. L'art. 91, 1º comma, secondo alinea del codice  di  procedura
civile stabilisce, viceversa, che il giudice  «(..)  se  accoglie  la
domanda in misura non superiore all'eventuale proposta  conciliativa,
condanna la parte che  ha  rifiutato  senza  giustificato  motivo  la
proposta al pagamento delle  spese  del  processo  maturate  dopo  la
formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo  comma
dell'articolo 92». 
    53.  L'irragionevolezza  della  norma   rispetto   ai   parametri
costituzionali ricordati appare palese ad avviso di questa Corte  ove
si  consideri  la  portata  applicativa  della  disposizione   e   la
disparita' economica e sociale che spesso  caratterizza  controversie
anche di scarso valore  nelle  quali  sovente  si  contrappongono  ad
aziende anche di  grandi  dimensioni  o  caratterizzate  da  notevoli
disponibilita' finanziarie, lavoratori part timers ovvero  prestatori
con rapporti di lavoro  precari  o  saltuari  o  impiegati  in  forme
contrattuali atipiche nel moderno mercato globale della Gig economy. 
    54.  L'assenza  di  obiettivi  parametri  idonei   a   compensare
l'incidenza della disparita' del reddito,  del  tutto  assente  nella
previsione della norma, che penalizza in se il  rifiuto  dell'offerta
conciliativa, sulla base di  una  formale  parita'  delle  parti  del
processo, finisce per indurre il soggetto debole a rinunciare, per un
fattore legato al «costo», al diritto costituzionale di  ottenere  un
provvedimento giurisdizionale. 
    55. La disparita'  economica,  che  oggettivamente  incide  nella
scelta di addivenire ad  una  soluzione  conciliativa,  viene  quindi
sviluppata oltremisura nell'equilibrio normativo  della  disposizione
che, pertanto, anziche' «rimuovere gli ostacoli di ordine  economico»
che ostano al riconoscimento dei diritti fondamenti in capo  ad  ogni
individuo ne amplifica irragionevolmente l'effetto. 
    56. In tale prospettiva, questa Corte ritiene che  la  previsione
dell'art. 91, 2º alinea in uno con l'art. 420, 1° comma del codice di
procedura civile, nel disporre la  condanna  alle  spese  processuali
maturate del soggetto  debole,  che  non  aderendo  ad  una  proposta
conciliativa formulata in prima udienza, comunque  ottenga  all'esito
del giudizio, che puo' anche presentare delle  notevoli  complessita'
istruttorie,  il  riconoscimento  parziale  della  propria   pretesa,
introduca  in  forma  sproporzionata  ed  irragionevole  un   fattore
discriminante, basato sulla diversa capacita' reddituale, che  genera
un ostacolo di carattere economico alla effettiva tutela dei diritti,
vanificando il primario dovere dello Stato di tutelare il  lavoro  in
tutte le sue forme e il fondamentale diritto  di  ogni  cittadino  di
agire in giudizio per accertare la  lesione  di  un  proprio  diritto
nell'ambito di un giusto processo al fine di ottenere  una  decisione
da un organo imparziale. 
    57. A cio' deve aggiungersi che nel paradigma normativo dell'art.
91 del codice  di  procedura  civile,  in  presenza  di  un  parziale
accoglimento  della  domanda  dell'attore,  il  convenuto  che  abbia
accettato la proposta formulata dal magistrato in udienza,  ancorche'
prossima al valore integrale della domanda, potra' persino  risultare
esente dalla condanna alle spese del successivo giudizio  avvalendosi
tra  l'altro  anche  della  oggettiva  disponibilita'   della   prova
derivante dalla diversa prospettiva  processuale  che  oggettivamente
differenzia sul piano della tutela dei diritti  il  lavoratore  e  il
datore di lavoro in numerose controversie. 
    58. Ritiene, quindi, in definitiva  questa  Corte  che,  rispetto
alla innegabile lodevole finalita'  deflattiva  che  caratterizza  la
previsione  di  strumenti  alternativi  alla  sentenza,  il   rifiuto
dell'offerta conciliativa non possa ex se, ove non caratterizzato  da
un quid pluris rispetto alla mera  mancata  adesione  alla  proposta,
determinare una penalizzazione del  regime  delle  spese  in  ragione
della natura fondamentale dei diritti fatti  valere  nel  particolare
processo del lavoro e della oggettiva condizione delle parti. 
    59. La  sostanziale  illogica  diversita'  di  trattamento  e  la
sproporzione delle conseguenze in relazione ai diritti  trattati  tra
colui che agisce in giudizio  per  la  tutela  di  diritti  di  rango
costituzionale,  spesso  interagenti   con   diritti   di   carattere
retributivo,  rispondenti  ad  una  esigenza  alimentare   (art.   36
Costituzione) e nella quasi generalita' dei casi  legati  ad  aspetti
previdenziali, non disponibili dalle parti, e  ii  convenuto  che  si
oppone al diritto rivendicato, rende evidentemente  irragionevole  il
combinato disposto dell'art. 420 del codice di procedura  civile  con
l'art. 91, 1º comma, secondo alinea del codice di procedura civile. 
    60.  L'esigenza  deflattiva  del  contenzioso  che  si   realizza
sviluppando sistemi alternativi di soluzione delle controversie,  non
puo', infine, ad avviso di questa Corte giustificare  una  deroga  al
fondamentale dovere dello Stato di tutelare  (assicurando  un  giusto
processo) il lavoro e, quindi, i diritti che lo connotano, attraverso
un sistema che, nei fatti, disincentiva, amplificando un  fattore  di
disparita' sociale, il diritto di  rivendicare  un  provvedimento  di
tutela  nel  luogo  naturalmente  deputato  al  loro  riconoscimento,
minando in tal modo quella «credibilita' della tutela giurisdizionale
statuale» che era alla base della riforma della legge n. 533/1973  in
assenza della quale i diritti non justiciables  altrimenti  rischiano
di diventare espressioni vuote. 
    61. Neppure si ritiene che il combinato normativo censurato possa
trovare  una  adeguata  giustificazione  nell'esigenza  di  contenere
l'accesso alla giustizia nei confronti delle azioni bagatellari o  di
scarso valore (che peraltro non rappresentano l'esclusivo  ambito  di
applicazione delle  disposizioni  richiamate)  in  quanto  e'  spesso
proprio nei giudizi di scarsa rilevanza economica  che  si  concentra
una ampia fascia di bisogno la cui legittima aspettativa di giustizia
viene  negata  da  una  misura  illogicamente  e   sproporzionalmente
afflittiva. 
    62. L'assetto normativo neppure risponde, infine, ad una esigenza
- certamente meritoria - di sanzionare l'abuso  del  processo  atteso
che tale condotta trova  adeguata  sanzione  gia'  nell'art.  88  del
codice di procedura civile e nella correlata disposizione in tema  di
spese processuali,  estranea  alla  logica  normativa  del  combinato
disposto degli articoli 420 del codice di procedura civile e  91,  1º
comma, secondo alinea c.p.a. 
    63. L'irragionevolezza dell'art. 91, 1º comma, secondo alinea, in
se e in combinato disposto con l'art. 420  del  codice  di  procedura
civile trova, altresi', conferma in  una  prospettiva  interpretativa
che valorizza il contenuto precettivo  delle  norme  interposte  (cfr
Corte  costituzionale  13  giugno  2018  n.  120)  sancite  in  Carte
fondamentali alle quali la Repubblica aderisce. 
    64. L'applicazione dell'aggravio dei costi del processo a  carico
del  soggetto  parzialmente  vittorioso,  che  puo'  essere   persino
superiore al valore del credito concretamente  riconosciuto  (ove  si
consideri che al fine del riconoscimento del  diritto  puo'  rendersi
necessario  un  accertamento  sul  tipo  di  rapporto   che   implica
l'applicazione del parametro delle cause di valore indeterminato  cfr
ex multis sentenza 12 luglio 2017, n. 17160), rende il  regime  delle
spese illogicamente sproporzionato, in chiara violazione al principio
del giusto  processo  stabilito  dall'art.  6  CEDU  (cfr  Corte  EDU
Perdigao contro Portogallo) per  il  quale  le  spese  devono  essere
valutate considerando anche la capacita'  finanziaria  dell'individuo
(cfr Corte EDU, Kijewska contro Polonia). 
    65. Il descritto sistema del regime delle spese che penalizza  il
diritto  di  rifiutare  una  definizione  conciliativa  del  soggetto
«debole», costretto ad agire giudizialmente per la tutela di  diritti
fondamentali,  genera  infine,  -   come   sopra   evidenziato,   una
discriminazione  fondata  «sulla  ricchezza»,  o   su   «ogni   altra
condizione» (art. 14 Cedu) in quanto l'aggravio di spese produce  una
penalizzazione   economica   che   si    riflette    inevitabilmente,
ostacolandolo, anche sul diritto ad un  ricorso  effettivo  (art.  13
Cedu). 
    66. In termini analoghi, infine, si esprime anche l'art. 21 della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea per  la  quale  le
diversita'  patrimoniali  non  possono  dare   luogo   a   forme   di
discriminazione anche in sede di tutela dei diritti. A tale  fine  si
ricorda che l'accesso ad una giustizia effettiva, principio anch'esso
garantito  dall'art.  47  della  Carta   dei   diritti   fondamentali
dell'Unione europea, sebbene non  osti  alla  previsione  di  sistemi
alternativi  di  definizione  delle   controversie,   e',   tuttavia,
compatibile con il diritto fondamentale ove non generi costi i per le
parti interessate (cfr Corte di Giustizia 18 marzo 2010 C-317). 
    67. La previsione che  penalizza  irragionevolmente  il  soggetto
economicamente  debole  nella  scelta  di  accettare  una   soluzione
formalmente libera, alternativa ad un procedimento giudiziale, che  a
sua volta e' espressione di un diritto fondamentale, introduce quindi
un assetto che, irragionevolmente ed in forma sproporzionata, lede il
principio di uguaglianza ostacolando di fatto la  tutela  del  lavoro
nella  sede  naturale  del  processo,  enfatizzando  un  fattore   di
disparita' il cui superamento  e',  viceversa,  oggetto  della  norma
centrale dell'ordinamento costituzionale. 
    68. In conclusione, ed alla luce  delle  esposte  considerazioni,
ritiene  questo  Collegio  di  dover   ritenere   rilevante   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
delle norme indicata in dispositivo in  relazione  ai  profili  sopra
esposti. 
    69. Il giudizio in corso deve quindi essere sospeso  e  gli  atti
rimessi alla Corte costituzionale.  
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23, comma  2  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87
dichiara rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 91,  del  codice  di  procedura
civile in se e in combinato disposto con l'art.  420,  1°  comma  del
codice di procedura civile per contrasto con gli articoli 3,  4,  24,
35 e 117, comma 1, della Costituzione rispetto agli articoli 6, 13  e
14 della CEDU, letti autonomamente ed anche in correlazione fra loro. 
    Sospende il presente giudizio. 
    Manda alla cancelleria di notificare  la  presente  ordinanza  al
Presidente del Consiglio  dei  ministri  nonche'  di  comunicarla  ai
presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Dispone la trasmissione dell'ordinanza e degli atti del  giudizio
alla Corte costituzionale unitamente alla prova  delle  comunicazioni
prescritte. 
    Si comunichi alle parti del giudizio. 
      Napoli, 10 luglio 2019 
 
                      Il Presidente: Robustella 
 
                          Il giudice ausiliare rel.: de Marchis Gomez