N. 263 SENTENZA 5 novembre - 6 dicembre 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Detenuti minorenni e giovani  adulti,  condannati
  per uno dei reati "ostativi" di  cui  all'art.  4-bis,  commi  1  e
  1-bis, della legge n. 354 del 1975 -  Possibilita'  di  accesso  ai
  benefici penitenziari (misure penali di comunita', permessi  premio
  e lavoro esterno) - Esclusione in assenza di condotte collaborative
  con la giustizia - Eccesso di delega, violazione  dei  principi  di
  proporzionalita' e individualizzazione della pena, contrasto con la
  preminente funzione rieducativa dell'esecuzione penale  minorile  -
  Illegittimita' costituzionale. 
- Decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, art. 2, comma 3. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 27, terzo comma, 31, secondo comma, 76  e
  117, primo comma; direttiva 2016/800/UE dell'11 maggio 2016,  artt.
  7, 10 e 11; Carta dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,
  art. 49, paragrafo 3. 
(GU n.50 del 11-12-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Aldo CAROSI; 
Giudici :Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3,
del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121,  recante  «Disciplina
dell'esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in
attuazione della delega di cui all'art. 1, commi 82, 83 e 85, lettera
p), della legge 23 giugno 2017, n. 103», promosso dal Tribunale per i
minorenni  di  Reggio  Calabria,  in   funzione   di   tribunale   di
sorveglianza, nel procedimento nei confronti di F. P., con  ordinanza
del 28 dicembre 2018, iscritta al n. 56 del registro ordinanze 2019 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  16,  prima
serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23 ottobre  2019  il  Giudice
relatore Giuliano Amato. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, in  funzione
di tribunale di sorveglianza, ha sollevato, in riferimento agli artt.
2, 3, 27, terzo comma, 31, secondo comma,  76  e  117,  primo  comma,
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 2, comma 3, del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121,
recante «Disciplina dell'esecuzione  delle  pene  nei  confronti  dei
condannati minorenni, in attuazione della delega di cui  all'art.  1,
commi 82, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103». 
    Tale disposizione prevede che, ai fini  della  concessione  delle
misure penali di comunita' e dei permessi premio e per l'assegnazione
al lavoro esterno, si applica l'art. 4-bis, commi 1  e  1-bis,  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),
il  quale  consente  la  concessione  dei  benefici  penitenziari  ai
condannati per taluni delitti, espressamente indicati, solo nei  casi
in cui gli stessi collaborino con la giustizia. 
    Nell'estendere ai minorenni e giovani adulti preclusioni analoghe
a  quelle  previste  per  gli  adulti,  la   disposizione   censurata
violerebbe, in primo luogo, l'art. 76 Cost. L'esclusione dei benefici
penitenziari da essa indicati ove ricorrano i reati ostativi  di  cui
all'art. 4-bis ordin. penit. si porrebbe in contrasto con i  principi
di cui all'art. 1, comma 85, lettera p), numeri 5) e 6), della  legge
delega 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al  codice
di procedura penale e all'ordinamento penitenziario),  che  prevedono
l'ampliamento dei criteri di accesso  alle  misure  alternative  alla
detenzione e l'eliminazione di ogni automatismo nella concessione dei
benefici penitenziari. 
    Sarebbero, inoltre, violati gli  artt.  2,  3,  27  e  31  Cost.,
perche' siffatto automatismo, che si  fonda  su  una  presunzione  di
pericolosita' basata solo sul titolo di reato  commesso,  impedirebbe
una  valutazione  individualizzata  dell'idoneita'  della  misura   a
conseguire le preminenti finalita' di risocializzazione  che  debbono
presiedere all'esecuzione penale minorile. 
    Infine, la disposizione censurata violerebbe  l'art.  117,  primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 7,  10  e  11  della  direttiva
2016/800/UE del Parlamento europeo e  del  Consiglio  dell'11  maggio
2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei
procedimenti penali.  Tali  disposizioni  prevedono  il  diritto  del
minore ad una valutazione individuale e la necessita'  di  ricorrere,
ogni qualvolta sia possibile, a misure alternative  alla  detenzione.
La norma censurata  non  sarebbe  coerente  neppure  con  l'art.  49,
paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, il quale stabilisce il  principio  di
proporzionalita' delle pene inflitte rispetto al reato. 
    2.- Il giudice a quo e' chiamato a decidere in ordine all'istanza
avanzata da un detenuto, condannato in via definitiva  alla  pena  di
cinque anni di reclusione per i reati di  cui  all'art.  416-bis  del
codice penale e agli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967,  n.  895
(Disposizioni per il controllo delle armi), aggravati, in  base  alla
normativa all'epoca vigente, ai sensi dell'art. 7  del  decreto-legge
13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di  lotta  alla
criminalita'  organizzata  e  di   trasparenza   e   buon   andamento
dell'attivita' amministrativa), convertito, con modificazioni,  nella
legge 12 luglio 1991, n. 203. Con riferimento alla  residua  pena  da
espiare di un anno, cinque mesi e quattordici giorni  di  reclusione,
e' stata  richiesta  l'applicazione  della  misura  della  detenzione
domiciliare presso un'abitazione o in una struttura comunitaria. 
    2.1.- Il  rimettente  evidenzia  che  la  disposizione  censurata
esclude la possibilita' di concedere le misure penali di comunita' in
presenza dei reati  cosiddetti  ostativi,  previsti  dall'art.  4-bis
ordin. penit. Cio' impedirebbe di valutare nel merito  l'istanza  del
detenuto e di adeguare la residua sanzione da espiare ai progressi da
lui compiuti. Nel caso in esame, la  condanna  per  uno  dei  delitti
indicati nell'art. 4-bis non consentirebbe di accogliere l'istanza. A
questo  riguardo,  non  rileverebbe  ne'  l'accertata  recisione  dei
collegamenti con la criminalita' organizzata, essendo richiesta anche
l'effettiva collaborazione con la giustizia, ne' l'inesigibilita'  di
tale collaborazione poiche', ad avviso del rimettente, il  rinvio  e'
al catalogo dei reati ivi indicati e non al suo contenuto, ne' infine
la mancata  prova  della  pericolosita'  sociale,  essendo  richiesta
viceversa la  prova  dell'assenza  di  attuali  collegamenti  con  la
criminalita' organizzata. 
    L'ostacolo  non  sarebbe  superabile   in   via   interpretativa.
Un'esegesi costituzionalmente orientata della disposizione  censurata
porterebbe, infatti, alla sua sostanziale abrogazione. 
    2.2.- Nel merito, il giudice a quo ritiene, in primo  luogo,  che
la disposizione censurata violi l'art. 76 Cost., per il contrasto con
i principi e i criteri direttivi  posti  dall'art.  85,  lettera  p),
numeri  5)  e  6),  della  legge  n.  103  del  2017,  che  prevedono
l'ampliamento dei criteri di accesso  alle  misure  alternative  alla
detenzione e l'eliminazione di ogni automatismo nella concessione dei
benefici penitenziari. 
    Il  giudice  rimettente  fa   riferimento   alla   giurisprudenza
costituzionale che ha affermato che il cuore della giustizia minorile
debba consistere in valutazioni fondate su prognosi individualizzate,
in grado di assolvere al compito di  recupero  del  minore  deviante.
Cio'  comporta  l'abbandono  di  qualsiasi  automatismo  che  escluda
l'applicazione di benefici o misure alternative (sono  richiamate  le
sentenze n. 90 del 2017, n. 436 del 1999, n. 16 del 1998 e n. 109 del
1997). 
    Sono inoltre richiamati i  principi  espressi  in  numerosi  atti
internazionali, tra i quali le  Regole  minime  delle  Nazioni  unite
sull'amministrazione della giustizia minorile ("Regole di  Pechino"),
adottate dall'Assemblea generale con  la  risoluzione  40/33  del  29
novembre 1985, le Regole delle Nazioni Unite per  la  protezione  dei
minori  privati  della  liberta'  (cosiddette  regole   dell'Havana),
approvate dall'Assemblea generale con risoluzione n.  45/113  del  14
dicembre 1990, la raccomandazione CM/Rec. (2008)11 del  Comitato  dei
ministri del Consiglio d'Europa, adottata il  5  novembre  2008,  sui
minori autori di reato e soggetti a  sanzioni  o  misure  alternative
alla detenzione,  le  Linee  guida  del  Comitato  dei  ministri  del
Consiglio d'Europa su una "giustizia a misura di minore", adottate il
17 novembre 2010, nella 1098a riunione  dei  delegati  dei  ministri,
nonche', da ultimo, la direttiva 2016/800/UE, gia' citata. 
    Questi atti esprimerebbero  tutti  l'esigenza  che  le  autorita'
nazionali ricorrano alla  privazione  della  liberta'  personale  del
minore quale misura di ultima istanza.  Sarebbe,  inoltre,  richiesto
che venga sempre privilegiato il ricorso alle misure alternative alla
detenzione  e  che  venga  garantito  un  trattamento   penitenziario
specificamente disegnato sulle peculiari necessita' del minore. 
    Proprio a questi fini, la legge delega  n.  103  del  2017  aveva
prescritto  l'ampliamento  dei  criteri  per  l'accesso  alle  misure
alternative  e  l'eliminazione  di  automatismi  e  preclusioni   che
impediscono  o  ritardano   l'individualizzazione   del   trattamento
rieducativo. Viceversa, la  disposizione  censurata  ha  ribadito  la
preclusione automatica per i reati previsti dall'art. 4-bis, commi  1
e  1-bis,  ordin.  penit.,  rendendo  in  questi  casi   estremamente
difficoltosa la concessione di misure alternative. Sulla base di  una
presunzione di pericolosita' legale, verrebbe privilegiata  l'istanza
punitiva rispetto a quella del recupero del minorenne o  del  giovane
adulto. Cio' si porrebbe in contrasto con  i  principi  e  i  criteri
direttivi fissati dall'art. 1, comma 85, lettera p), numeri 5) e  6),
della legge n. 103 del 2017. 
    D'altra parte,  la  medesima  disposizione  tradirebbe  la  ratio
dell'art. 656, comma  9,  cod.  proc.  pen.,  come  risultante  dalla
sentenza n. 90 del 2017. La sospensione dell'esecuzione consentita al
pubblico ministero risulterebbe inutiliter data se  il  tribunale  di
sorveglianza non potesse poi valutare nel merito le istanze di misure
alternative alla detenzione, anche in  presenza  di  reati  ostativi.
Osserva il giudice a quo che l'art. 656, comma 9,  lettera  a),  cod.
proc. pen. si rivolge al pubblico ministero e, dopo la sentenza n. 90
del 2017, gli consente di sospendere l'ordine di esecuzione anche  in
presenza di reati ostativi. La  disposizione  censurata,  invece,  si
rivolge al tribunale di sorveglianza e gli impedisce di concedere  le
misure penali di comunita' in caso di reati ostativi. 
    La disciplina censurata sarebbe, inoltre, in contrasto con  altri
istituti del processo penale minorile. Si fa  rilevare,  ad  esempio,
come la sospensione del processo con messa alla prova sia applicabile
senza il rigido sbarramento previsto dall'art. 4-bis  ordin.  penit.,
secondo  un'ottica   che   privilegia   le   esigenze   di   recupero
dell'imputato rispetto alla pretesa punitiva. 
    Il contrasto sarebbe inoltre ravvisabile  con  l'intero  impianto
del processo minorile e con i principi di tutela dell'infanzia cui lo
stesso si  ispira.  Tra  questi,  in  particolare,  rientrano  quelli
enunciati dagli artt. 37, lettera b), e 40, paragrafi 1  e  4,  della
Convenzione sui diritti  del  fanciullo,  fatta  a  New  York  il  20
novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in  Italia  con  legge  27
maggio 1991, n. 176,  secondo  cui  la  detenzione  del  minore  deve
costituire un provvedimento "di ultima istanza"  e  avere  la  durata
piu' breve possibile. 
    2.3.- L'automatismo posto dalla disposizione censurata, in quanto
fondato su una presunzione di pericolosita' radicata solo sul  titolo
di reato commesso sarebbe, inoltre, in  contrasto  con  il  principio
sancito dall'art. 27, terzo comma, Cost., connesso a  quelli  di  cui
agli artt. 2, 3 e 31, secondo  comma,  Cost.,  in  quanto  espressivi
della necessita' di un trattamento differenziato per i minorenni e  i
giovani adulti e «di valutazioni,  da  parte  dello  stesso  giudice,
fondate su prognosi individualizzate in  funzione  del  recupero  del
minore deviante» (sono richiamate le sentenze n. 143 del 1996, n. 182
del 1991, n. 78 del 1989, n. 128 del 1987, n. 222 del 1983  e  n.  46
del 1978). 
    2.4.- Sarebbe violato, infine, l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,
per il contrasto con i principi posti  dalla  direttiva  2016/800/UE,
nonche' dall'art. 49, paragrafo 3, CDFUE. 
    In particolare, sarebbe mancata l'attuazione degli artt. 7, 10  e
11 della citata direttiva, relativa alle garanzie procedurali  per  i
minori indagati o imputati nei procedimenti penali.  Essa  chiede  ai
legislatori nazionali di provvedere affinche': 1) sia  garantito  «il
diritto del minore a una valutazione individuale» (art.  7);  2)  «in
qualsiasi  fase  del  procedimento  la  privazione   della   liberta'
personale del minore sia limitata al piu'  breve  periodo  possibile»
(art. 10); 3) «ogniqualvolta sia possibile, le  autorita'  competenti
ricorrano a misure alternative alla detenzione» (art. 11). 
    Il contrasto tra la disposizione  censurata  e  la  direttiva  in
esame non  sarebbe  sanabile  in  via  interpretativa,  ne'  potrebbe
trovare rimedio nella disapplicazione della norma nazionale da  parte
del giudice comune, essendo la norma  dell'Unione  europea  priva  di
efficacia diretta. 
    La disposizione censurata si porrebbe, infine, in  contrasto  con
l'art. 49, paragrafo 3, CDFUE e con il principio di  proporzionalita'
e   di   flessibilita'   del   trattamento   sanzionatorio,   secondo
un'accezione riferibile anche alle misure alternative alla detenzione
e  alla  necessita'  di  un  loro  adattamento  alle  condizioni  del
minorenne autore  del  reato.  La  proposizione  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  sarebbe,  dunque,   l'unica   via   per
garantire l'adeguamento del diritto interno agli obblighi comunitari. 
    3.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile  o  comunque
non fondata. 
    3.1.-  In  via  preliminare,  l'interveniente  ha  eccepito   che
l'applicazione dell'art. 4-bis ordin.  penit.  anche  ai  minori  non
deriverebbe dalla disposizione censurata, bensi' dall'art.  4,  comma
4, del d.l.  n.  152  del  1991,  che  gia'  aveva  previsto  che  le
limitazioni all'accesso  ai  benefici  penitenziari  si  applicassero
anche nei confronti dei soggetti minorenni al tempo del fatto. 
    La  disposizione  censurata  avrebbe,  quindi,  natura  meramente
ricognitiva di una disciplina  gia'  esistente  e  non  introdurrebbe
alcuna  novita'.  Un  eventuale  accoglimento  della  questione   non
inciderebbe sulla persistente applicazione dell'art. 4-bis, ne' sulla
limitazione all'accesso ai benefici penitenziari per i minorenni.  La
questione sarebbe pertanto inammissibile, per essere stata sottoposta
a scrutinio una disposizione  diversa  dall'oggetto  effettivo  delle
censure. 
    3.2.- In ogni caso, la questione non sarebbe fondata. 
    La disciplina censurata costituirebbe l'espressione di una scelta
rimessa alla discrezionalita' legislativa, che  non  sarebbe  affatto
irragionevole.   La   giurisprudenza   costituzionale   ne    avrebbe
riconosciuto piu' volte la legittimita' e la  compatibilita'  con  la
finalita' rieducativa della pena. 
    D'altra  parte,  in  riferimento   alla   denunciata   violazione
dell'art. 2 Cost., sarebbe incerto il  principio  che  il  rimettente
assume violato, non essendo chiarito quale sia il nesso tra la scelta
legislativa censurata e i diritti inviolabili dell'individuo. 
    Quanto alla violazione dell'art. 3 Cost., non sarebbe  rilevabile
alcuna  incoerenza  sistematica  o  disparita'  di   trattamento   in
relazione all'art. 656, comma 9, cod. proc.  pen.,  letto  alla  luce
della sentenza n. 90 del 2017. Anche questa disposizione  rimette  al
giudice l'accertamento delle condizioni per l'accesso ai benefici. Il
potere riconosciuto al pubblico ministero di sospendere  l'esecuzione
sarebbe infatti funzionale alla valutazione da parte  del  magistrato
di sorveglianza in ordine ai presupposti per l'applicazione di misure
alternative e quindi,  secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,
all'intervenuta collaborazione con la giustizia. 
    Anche la questione relativa alla violazione  dell'art.  76  Cost.
non sarebbe fondata.  La  disposizione  censurata,  senza  introdurre
automatismi o preclusioni,  si  limiterebbe  a  prendere  atto  della
disciplina  previgente,  perseguendo,  accanto  alla   finalita'   di
prevenzione, anche una specifica ratio di rieducazione  del  detenuto
minorenne, il quale sarebbe incentivato a recidere definitivamente  i
legami con la criminalita' organizzata. Cio'  costituirebbe,  dunque,
fedele attuazione dei principi della legge delega n. 103 del 2017. 
    Quanto alla violazione dell'art. 117 Cost., l'Avvocatura generale
dello Stato ritiene che la riforma  dell'esecuzione  penale  minorile
non  sia  in  contrasto  con  la  direttiva  2016/800/UE.  Anche   la
disposizione censurata sarebbe ispirata al principio di favore per le
misure penali di comunita', concedibili, alle condizioni date,  anche
per i reati piu' gravi. Nel privilegiare le misure  alternative  alla
detenzione,  il  d.lgs.  n.  121  del  2018  avrebbe  l'obiettivo  di
realizzare un modello esecutivo penale che  ricorre  alla  detenzione
solo  laddove  questo  sia  l'unico  trattamento  che   consenta   di
contemperare le esigenze sanzionatorie e di sicurezza con le  istanze
pedagogiche di una personalita' in evoluzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, in  funzione
di tribunale di sorveglianza, ha sollevato, in riferimento agli artt.
2, 3, 27, terzo comma, 31, secondo comma,  76  e  117,  primo  comma,
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 2, comma 3, del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121,
recante «Disciplina dell'esecuzione  delle  pene  nei  confronti  dei
condannati minorenni, in attuazione della delega di cui  all'art.  1,
commi 82, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103». 
    Tale disposizione prevede che, ai fini  della  concessione  delle
misure penali di comunita' e dei permessi premio e per l'assegnazione
al lavoro esterno, si applica l'art. 4-bis, commi 1  e  1-bis,  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),
il  quale  consente  la  concessione  dei  benefici  penitenziari  ai
condannati per taluni delitti, espressamente indicati, solo nei  casi
in cui gli stessi collaborino con la giustizia. 
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  la  disposizione  censurata  -
nell'estendere ai minorenni e giovani adulti preclusioni  analoghe  a
quelle previste per gli adulti - violerebbe, in primo  luogo,  l'art.
76 Cost. L'impossibilita' di accedere ai  benefici  penitenziari  ivi
indicati, in caso di condanna per i reati  indicati  dall'art.  4-bis
ordin. penit., si  porrebbe  in  contrasto  con  i  principi  di  cui
all'art. 1, comma 85, lettera p), numeri 5) e 6), della legge  delega
23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al  codice  penale,  al  codice  di
procedura penale  e  all'ordinamento  penitenziario),  che  prevedono
l'ampliamento dei criteri di accesso  alle  misure  alternative  alla
detenzione e l'eliminazione di ogni automatismo nella concessione dei
benefici penitenziari. 
    Sarebbero, inoltre, violati gli artt. 2, 3, 27,  terzo  comma,  e
31, secondo comma, Cost., perche' siffatto automatismo, che si  fonda
su una presunzione di pericolosita' basata solo sul titolo  di  reato
commesso, impedirebbe una valutazione individualizzata dell'idoneita'
della   misura   a   conseguire   le    preminenti    finalita'    di
risocializzazione  che  debbono  presiedere   all'esecuzione   penale
minorile. 
    Infine, la disposizione censurata violerebbe  l'art.  117,  primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 7,  10  e  11  della  direttiva
2016/800/UE del Parlamento europeo e  del  Consiglio  dell'11  maggio
2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei
procedimenti penali. Tali disposizioni della direttiva  prevedono  il
diritto del minore a una valutazione individuale e la  necessita'  di
ricorrere, ogni qualvolta sia possibile, a  misure  alternative  alla
detenzione. L'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 121 del 2018 sarebbe  in
contrasto anche con l'art. 49, paragrafo 3, della Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,  il  quale
stabilisce il  principio  di  proporzionalita'  delle  pene  inflitte
rispetto al reato. 
    2.- Va preliminarmente respinta l'eccezione  di  inammissibilita'
sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    2.1.- La difesa del Presidente del Consiglio dei ministri ritiene
che il giudice a quo abbia sottoposto a  scrutinio  una  disposizione
diversa dall'oggetto effettivo delle censure, poiche' l'art. 2, comma
3, del d.lgs. n. 121 del 2018 avrebbe  natura  meramente  ricognitiva
della  disciplina  gia'  prevista   dall'art.   4,   comma   4,   del
decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti  in  tema
di lotta alla  criminalita'  organizzata  e  di  trasparenza  e  buon
andamento    dell'attivita'    amministrativa),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 12 luglio 1991,  n.  203.  In  riferimento
all'accesso alle misure penitenziarie  alternative,  la  disposizione
censurata non introdurrebbe, dunque, alcuna novita'. 
    2.2.- L'applicazione dell'art.  4-bis  ordin.  penit.  anche  nei
confronti dei minori risultava in effetti gia' prevista dall'art.  4,
comma 4, del d.l. n. 152 del 1991, il quale,  dopo  avere  introdotto
l'art. 4-bis nella legge n. 354 del 1975, aveva stabilito che i commi
1  e  2  di  quest'ultima  disposizione  si  applicassero  anche  nei
confronti dei minorenni. 
    Invero,  il  giudice  a  quo  non  ignora  che,  in  passato,  le
preclusioni  derivanti  dall'art.   4-bis   ordin.   penit.   fossero
applicabili anche nei confronti dei minori. Tuttavia le  sue  censure
si incentrano proprio sul  loro  inserimento  nell'ambito  del  nuovo
ordinamento penitenziario minorile ed e' proprio  sulla  legittimita'
di  tale  scelta  legislativa  che  si  chiede  a  questa  Corte   di
pronunciarsi. 
    E' tale scelta a rendere  il  richiamo  al  meccanismo  dell'art.
4-bis ordin. penit.,  contenuto  nella  disposizione  censurata,  non
meramente ricognitivo di una norma preesistente.  Esso  svolge  anche
una  funzione  di  primaria  rilevanza,  nel  senso   di   stabilire,
nell'ambito della  riforma  organica  dell'ordinamento  penitenziario
minorile - a lungo attesa e finalmente introdotta dal d.lgs.  n.  121
del 2018 - il perimetro delle preclusioni  alle  misure  extramurarie
applicabili ai condannati per fatti  commessi  da  minorenni.  Questo
intervento da'  vita,  infatti,  all'unica  normativa  applicabile  a
questa categoria di soggetti. Essa  si  e'  integralmente  sostituita
alla precedente  disciplina  dettata  sul  punto,  per  i  condannati
adulti, dalla legge n. 354 del 1975 e, in particolare, dal  suo  art.
4-bis, e, per i condannati per reati commessi durante la minore eta',
dall'art. 4, comma 4, del d.l. n. 152 del 1991. 
    2.3.- Il carattere innovativo (e non meramente ricognitivo) della
disposizione censurata risulta, altresi',  dalla  considerazione  del
suo diverso ambito applicativo. A differenza dell'art.  4,  comma  4,
del d.l. n. 152 del 1991, che rendeva applicabili ai minori i commi 1
e 2 dell'art. 4-bis ordin. penit., l'art. 2, comma 3, del  d.lgs.  n.
121 del 2018 richiama i commi 1 e 1-bis della medesima  disposizione,
ma non il comma 2. 
    3.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 3, del  d.lgs.  n.  121  del  2018,  sollevata  in
riferimento all'art. 76 Cost., e' fondata. 
    3.1.- Il d.lgs. n. 121  del  2018  costituisce  l'approdo  di  un
processo evolutivo che si  snoda  nel  corso  di  alcuni  decenni,  a
partire dalla previsione dell'art. 79, comma  1,  ordin.  penit.,  in
base  al  quale  la  mancanza   di   una   disciplina   penitenziaria
specificamente  destinata  ai  minori  avrebbe  dovuto  avere  natura
transitoria, ossia «fino a quando non sara' provveduto  con  apposita
legge». 
    L'esigenza di  un'esecuzione  "a  misura  di  minore"  era  stata
ripetutamente affermata nell'ambito di plurimi  atti  internazionali,
attraverso  il  richiamo  ai  principi  di  individualizzazione   del
trattamento e di promozione  della  persona  del  minore.  La  stessa
giurisprudenza di  questa  Corte  ha  riconosciuto,  con  riferimento
all'ordinamento  penale  minorile,  l'accentuazione  della   funzione
rieducativa della pena e  del  criterio  di  individualizzazione  del
trattamento, quali  corollari  di  una  considerazione  unitaria  dei
principi posti negli artt. 27, terzo  comma,  e  31,  secondo  comma,
Cost. (sentenze n. 143 del 1996, n. 182 del 1991, n. 128 del 1987, n.
222 del 1983 e n. 46 del 1978). 
    Cio'  ha  portato  a  riconoscere  che  la  parificazione   della
disciplina della fase esecutiva nei confronti di adulti e minori puo'
«confliggere con le esigenze di specifica  individualizzazione  e  di
flessibilita' del trattamento del detenuto minorenne»  e  che  questa
situazione ««contrast[a] con le esigenze [...] del recupero  e  della
risocializzazione  dei  minori  devianti,  esigenze  che   comportano
[appunto] la necessita' di differenziare il trattamento dei minorenni
rispetto ai detenuti adulti e di  eliminare  automatismi  applicativi
nell'esecuzione della pena» (sentenza n. 90 del  2017,  con  richiamo
alle sentenze n. 125 del 1992 e n. 109 del 1997). 
    3.2.- E' proprio sulla base dei principi di  speciale  protezione
per l'infanzia e la gioventu', di individualizzazione del trattamento
punitivo del minore e di preminenza della finalita'  rieducativa  che
questa  Corte  ha  dichiarato   l'illegittimita'   della   previsione
dell'ergastolo per gli infradiciottenni (sentenza n. 168  del  1994).
Nello stesso senso si pongono anche le pronunce con le quali e' stata
dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale   di   alcuni   istituti
dell'ordinamento  penale  e  penitenziario,   laddove   riferiti   ai
condannati minorenni. 
    Il contrasto con i richiamati principi costituzionali  e'  stato,
infatti, ravvisato in relazione alla  preclusione  della  sospensione
del processo per messa alla prova, nell'ambito del processo minorile,
quando l'imputato abbia chiesto il giudizio abbreviato o il  giudizio
immediato (sentenza n. 125 del 1995); al divieto di  disporre  misure
alternative  alla  detenzione  per  l'esecuzione  di  pene  detentive
derivanti da conversione di pena sostitutiva  (sentenza  n.  109  del
1997); all'esclusione della possibilita' di concedere permessi premio
nel  biennio  successivo  alla  commissione  di  un  delitto   doloso
(sentenza  n.  403  del  1997);  alle   condizioni   soggettive   per
l'applicazione  delle  sanzioni  sostitutive  della  pena   detentiva
(sentenza  n.  16  del  1998);  alla  previsione   della   necessaria
espiazione di una determinata quota di pena ai fini della concessione
dei permessi premio (sentenza n.  450  del  1998);  alla  preclusione
triennale dei benefici per il condannato nei cui confronti sia  stata
revocata l'applicazione di una misura alternativa  (sentenza  n.  436
del 1999), nonche', piu'  recentemente,  al  divieto  di  sospensione
delle pene detentive brevi, di cui all'art. 656, comma 9, lettera a),
del codice di procedura penale (sentenza n. 90 del 2017). 
    Questa evoluzione, che ha via via  diversificato  il  trattamento
dei minorenni da quello stabilito in  via  generale  dall'ordinamento
penitenziario, e' culminata nella legge n. 103 del 2017,  di  cui  il
d.lgs. n. 121 del 2018 costituisce attuazione. 
    3.3.- Cio' premesso, si tratta ora  di  stabilire  se  l'art.  2,
comma 3, del d.lgs. n. 121 del 2018  -  laddove  impedisce  l'accesso
alle misure penali di comunita' nei confronti dei  minori  condannati
per i delitti di cui all'art. 4-bis  ordin.  penit.  -  si  ponga  in
contrasto con i principi e  criteri  direttivi  fissati  dalla  legge
delega n. 103 del 2017,  in  particolare  con  l'art.  1,  comma  85,
lettera p), numeri 5) e 6). 
    In queste disposizioni, il legislatore delegante - nel recepire i
principi, sopra richiamati, provenienti dalle fonti internazionali  e
dalla giurisprudenza di questa  Corte  -  da  un  lato,  ha  previsto
l'«ampliamento dei criteri per l'accesso alle misure alternative alla
detenzione, con particolare riferimento ai requisiti per l'ammissione
dei minori  all'affidamento  in  prova  ai  servizi  sociali  e  alla
semiliberta'» (art. 1, comma 85, lettera p, numero 5)  e,  dall'altro
lato, ha imposto l'«eliminazione di ogni  automatismo  e  preclusione
per la revoca o per la  concessione  dei  benefici  penitenziari,  in
contrasto con la funzione rieducativa della pena e con  il  principio
dell'individuazione del trattamento» (art. 1, comma  85,  lettera  p,
numero 6). 
    Le diverse scelte possibili avrebbero dovuto  essere  parametrate
sulla duplice concorrente esigenza di ampliare l'accesso alle  misure
alternative  e  di   eliminare   ogni   automatismo   e   preclusione
nell'applicazione dei benefici penitenziari. 
    3.4.- Viceversa, l'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 121 del 2018 ha
ristretto la possibilita' di accedere alle  misure  extramurarie  ivi
indicate, agganciandola  alle  condizioni  previste  dall'art.  4-bis
ordin. penit. La disposizione censurata appare in aperta distonia non
solo  rispetto  al  senso  complessivo  dell'evoluzione  normativa  e
giurisprudenziale in tema di esecuzione minorile,  ma  anche  con  le
direttive impartite dal legislatore delegante. 
    Da un lato, il richiamo alla disciplina  dell'art.  4-bis  ordin.
penit. restringe l'ambito di applicabilita' delle misure  alternative
alla detenzione. In presenza di condanna per uno dei  reati  ostativi
di cui all'art. 4-bis, comma  1,  ordin.  penit.,  l'accesso  a  tali
misure - salvo quanto si dira' sui permessi premio - e'  condizionato
all'accertamento di  una  condotta  collaborativa  con  la  giustizia
(ovvero una condotta ad essa equiparata). Dall'altro,  questi  stessi
criteri, in quanto fondati su una presunzione di pericolosita' che si
basa esclusivamente sul titolo del reato, irrigidiscono la regola  di
giudizio in un meccanismo che non  consente  di  tenere  conto  della
storia e del percorso individuale del singolo soggetto  e  della  sua
complessiva evoluzione sulla strada della risocializzazione. 
    Al  contrario,  un  modello  decisorio  basato  su  una  prognosi
individualizzata, ragionevolmente  calibrato  sulla  personalita'  in
fieri  del  minore,  sarebbe  stato  coerente  con  la  volonta'  del
delegante  e  con  l'obiettivo  di  ampliare  l'accesso  alle  misure
alternative, abbandonando automatismi e preclusioni che  ne  limitino
l'applicazione. 
    3.5.- D'altra parte, va escluso che in questo caso si sia  inteso
rinunciare ad esercitare la delega per la parte qui  rilevante.  Come
gia' osservato, la scelta per il regime delle  preclusioni  dell'art.
4-bis ordin. penit. non discende dalla disciplina precedente,  ma  e'
espressamente affermata dalla disposizione censurata. 
    Dalla relazione illustrativa al d.lgs. n. 121  del  2018  emerge,
infatti, la  volonta'  del  legislatore  delegato  di  dare  positiva
attuazione alla legge delega in  questo  ambito  normativo.  In  tale
relazione si legge, infatti, che l'esigenza di conservare i limiti di
cui all'art. 4-bis  ordin.  penit.  ai  fini  della  concessione  dei
benefici, deriverebbe «[...] dalla necessita'  di  mantenere  indenne
dalla riforma la disciplina di cui all'articolo 41-bis della legge n.
354 del 1975,  individuato  dalla  legge  di  delega  quale  criterio
generale che deve  orientare  tutti  gli  interventi  in  materia  di
ordinamento penitenziario, ivi compreso quello minorile [...]». 
    Tuttavia,  la  dichiarata  finalita'  dell'intervento  non  trova
riscontro nei criteri impartiti dalla legge delega n. 103  del  2017.
Invero, non si ravvisa  alcun  necessario  collegamento,  ne'  alcuna
interdipendenza, tra il divieto di accesso ai benefici penitenziari e
la sospensione delle regole  trattamentali  di  cui  all'art.  41-bis
ordin. penit. Come correttamente osservato dal Tribunale  rimettente,
i due regimi risultano accomunati quanto alla  previsione  di  alcune
gravi fattispecie  di  reato  che  li  legittimano,  ma  la  relativa
applicazione rimane autonoma quanto ai rispettivi  presupposti  e  ai
destinatari. 
    4.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
comma 3, del d.lgs. n. 121 del 2018 e' fondata anche  in  riferimento
agli artt. 27, terzo comma, e 31, secondo comma, Cost. 
    4.1.-  La  disposizione  in  esame,  collocata  nell'ambito   dei
principi  generali  che  sovraintendono  al  sistema  dell'esecuzione
minorile, condiziona la concessione  dei  benefici  penitenziari  ivi
indicati ai criteri posti dai commi 1 e 1-bis dell'art. 4-bis  ordin.
penit. 
    Mentre, dunque,  per  la  generalita'  dei  condannati  minorenni
l'accesso ai singoli benefici e' soggetto ai principi generali di cui
agli artt. 1 e 2 dello stesso d.lgs. n. 121 del 2018, per le speciali
categorie di condannati cui si riferisce l'art. 4-bis tale accesso e'
drasticamente limitato in considerazione della necessita' di condotte
collaborative con la giustizia,  ai  sensi  dell'art.  58-ter  ordin.
penit., secondo uno schema applicativo che  non  differisce  in  modo
significativo da quello previsto per gli adulti. 
    Il richiamo  ai  criteri  posti  dall'art.  4-bis  ordin.  penit.
determina dunque un irrigidimento della  disciplina  dell'accesso  ai
benefici penitenziari. In ragione del titolo  di  reato  per  cui  e'
intervenuta  condanna  e'  impedita  al   giudice   una   valutazione
individuale sul concreto percorso rieducativo compiuto dal minore. 
    In questo modo, le finalita' di prevenzione generale e di  difesa
sociale  finiscono  per  prevalere  su   quelle   di   educazione   e
risocializzazione, restaurando un assetto in contrasto con i principi
di  proporzionalita'  e  individualizzazione  della   pena,   sottesi
all'intera disciplina del nuovo ordinamento penitenziario minorile. 
    Tanto piu' che questa  Corte,  con  sentenza  n.  253  del  2019,
relativa sia pure  ai  soli  permessi  premio,  ha  ritenuto  che  il
meccanismo introdotto dall'art. 4-bis, anche  laddove  applicato  nei
confronti di detenuti adulti, contrasta con gli artt. 3  e  27  Cost.
sia «perche' all'assolutezza della presunzione sono sottese  esigenze
investigative, di politica criminale e di  sicurezza  collettiva  che
incidono sull'ordinario svolgersi  dell'esecuzione  della  pena,  con
conseguenze  afflittive  ulteriori  a   carico   del   detenuto   non
collaborante», sia «perche' tale assolutezza impedisce di valutare il
percorso carcerario del condannato,  in  contrasto  con  la  funzione
rieducativa della pena,  intesa  come  recupero  del  reo  alla  vita
sociale, ai sensi dell'art. 27, terzo comma, Cost.». 
    Nell'esecuzione della pena nei confronti dei condannati per fatti
commessi da minorenni, il contrasto di questo modello  decisorio  con
il ruolo riconosciuto alla finalita' rieducativa  del  condannato  si
pone in termini ancora piu' gravi. Con riferimento ai soggetti minori
di eta', infatti,  questa  finalita'  «e'  da  considerarsi,  se  non
esclusiva, certamente preminente» (sentenza n. 168 del 1994). 
    4.2.-    Questa    preminenza    della    funzione    rieducativa
dell'esecuzione minorile ha gia' portato a ritenere illegittima,  per
contrasto con gli artt. 27 e 31 Cost., la preclusione posta dall'art.
656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., nella parte  in  cui  esso
vietava la  sospensione  dell'esecuzione  della  pena  detentiva  nei
confronti dei minori condannati per i delitti di cui  all'art.  4-bis
ordin. penit. (sentenza n. 90 del 2017). 
    Le medesime finalita' di garanzia della funzione educativa  della
pena e di individualizzazione  del  trattamento  penitenziario,  gia'
riconosciute con riferimento alla sospensione della pena disposta dal
pubblico ministero, si pongono allo  stesso  modo  anche  dinanzi  al
tribunale   di   sorveglianza   chiamato   a   decidere   in   ordine
all'applicabilita'  delle  misure  alternative  alla  detenzione   ai
condannati  minorenni  e  comportano  l'illegittimita'  della  stessa
preclusione, determinata dal richiamo all'art. 4-bis ordin. penit. 
    Una  volta  riconosciuta  come  costituzionalmente   imposta   la
necessita'  di  prognosi  individualizzate  e  di  flessibilita'  del
trattamento,  si  tratta,  dunque,  di  restituire  al  tribunale  di
sorveglianza quel medesimo potere di apprezzamento delle specificita'
di ciascun caso che e' gia' stato riconosciuto al pubblico ministero,
in sede di  sospensione  dell'esecuzione  delle  pene  detentive  nei
confronti dei condannati minorenni. 
    4.3.- Dal superamento del meccanismo  preclusivo  che  osta  alla
concessione delle misure extramurarie non deriva  in  ogni  caso  una
generale fruibilita' dei benefici, anche per  i  soggetti  condannati
per i reati elencati all'art. 4-bis ordin.  penit.  Al  tribunale  di
sorveglianza  compete,  infatti,  la  valutazione   caso   per   caso
dell'idoneita'  e  della  meritevolezza  delle  misure  extramurarie,
secondo il progetto educativo costruito sulle esigenze del singolo. 
    Solo attraverso il  necessario  vaglio  giudiziale  e'  possibile
tenere conto, ai fini dell'applicazione  dei  benefici  penitenziari,
delle  ragioni   della   mancata   collaborazione,   delle   condotte
concretamente riparative e dei  progressi  compiuti  nell'ambito  del
percorso riabilitativo, secondo  quanto  richiesto  dagli  artt.  27,
terzo comma, e 31, secondo comma, Cost. 
    5.-  Va  pertanto  dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 121 del 2018 per violazione degli
artt.  76,  27,  terzo  comma,  e  31,  secondo  comma,  Cost.,   con
assorbimento delle ulteriori censure. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  3,
del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121,  recante  «Disciplina
dell'esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in
attuazione della delega di cui all'art. 1, commi 82, 83 e 85, lettera
p), della legge 23 giugno 2017, n. 103». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2019. 
 
                                F.to: 
                       Aldo CAROSI, Presidente 
                      Giuliano AMATO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA