N. 21 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 settembre 2019

Ordinanza  del  20  settembre  2019  del  Tribunale  di   Lecce   nel
procedimento penale a carico di M. R.. 
 
Processo penale  -  Indagini  preliminari  -  Prove  illegittimamente
  acquisite  -  Perquisizioni  e  ispezioni  compiute  dalla  polizia
  giudiziaria fuori dei casi in cui la legge costituzionale e  quella
  ordinaria le attribuiscono il relativo potere - Caso di assenza  di
  flagranza di reato e di perquisizione ai sensi  dell'art.  103  del
  d.P.R. n. 309 del 1990 senza  previa  autorizzazione  del  pubblico
  ministero  e  nel  caso  in  cui  il   pubblico   ministero   abbia
  successivamente convalidato senza  motivare  -  Mancata  previsione
  della sanzione della inutilizzabilita' ai fini  della  prova  anche
  degli esiti probatori, compreso il sequestro del corpo del reato  o
  delle cose pertinenti al reato, nonche' la deposizione testimoniale
  in ordine a tale attivita'. 
- Codice di procedura penale, art. 191. 
(GU n.8 del 19-2-2020 )
 
                   IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
                        sezione prima penale 
 
    In composizione monocratica in persona del giudice dott.  Stefano
Sernia. 
    All'udienza del giorno 20  settembre  2019,  udite  le  parti  ed
interrogato l'imputato, tratto in stato di arresto davanti  a  questo
Tribunale  per  la  convalida  dell'arresto  e  contestuale  giudizio
direttissimo, nel processo nei confronti di: 
        M  R.   , nato il ... 
    letti gli atti e sentite le parti, ha pronunziato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Si procede a seguito di arresto dell'imputato e sua presentazione
davanti a questo tribunale per la convalida ed il  seguente  giudizio
direttissimo, relativamente all'accusa di aver detenuto, in  data  16
settembre 2019 e presso la propria abitazione,  circa  80,57  gr.  di
marijuana e circa 29,54 gr. di hashish,  che  si  assumono  destinate
alla cessione a terzi; posto a conoscenza delle ragioni dell'arresto,
l'imputato si e' avvalso della facolta' di non rispondere. 
    Ne consegue che principale e fondamentale fonte di  prova  (tutte
le altre, come ad es. il sequestro e l'accertamento speditivo  svolto
sulla   sostanza   sequestrata,   avendo   natura   derivata    dalla
perquisizione) e' l'esito della perquisizione  domiciliare,  condotta
dalla polizia giudiziaria ex art.  103  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 309/1990 in  forza,  come  si'  legge  nel  relativo
verbale, di un «fondato sospetto» basato  su  elementi  assolutamente
non esplicitati, verosimilmente fonti  confidenziali,  nonostante  ne
sia vietato ogni uso processuale (argomenta  ex  articoli  203,  273,
comma 1 bis, 240 del codice di  procedura  penale):  divieto  che,  a
parere  del  giudicante,  non  puo'  valere  solo   per   l'Autorita'
giudiziaria, ma per qualsiasi organo  pubblico  chiamato  a  compiere
atti regolati dal codice di procedura penale e da norme (come ad  es.
quelle di cui agli articoli 103  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  309/1990  o  41  del  TULPS)  comunque  aventi  carattere
processuale e che regolamentino l'intervento dei pubblici  poteri  su
diritti   costituzionalmente   tutelati:    intendere    diversamente
condurrebbe all'assurdo  per  cui  l'Autorita'  giudiziaria,  cui  la
Costituzione affida, tra  l'altro,  compiti  di  tutela  dei  diritti
costituzionali dei cittadini e  della  persona  (cfr.,  ad  es.,  gli
articoli 13 e 14 della Costituzione) con funzioni  di  controllo  sui
pubblici poteri ed a garanzia che questi  non  ledano  detti  diritti
fuori dei casi consentiti dalla  legge,  non  potrebbe  sindacare  la
ricorrenza o meno di tali ultimi casi. 
    Occorre  quindi  interrogarsi  sulla  liceita'  -  e  conseguente
utilizzabilita' - degli elementi  probatori  acquisiti  mediante  una
perquisizione eseguita pacificamente al  di  fuori  della  preventiva
percezione di una situazione di flagranza, dei casi di flagranza,  ed
in forza di una denunzia di reato anonima, e che quindi  non  avrebbe
assolutamente potuto essere utilizzata  ne'  posta  a  fondamento  di
alcun provvedimento. 
    Va infatti premesso che dall'art. 382  del  codice  di  procedura
penale si evince che la situazione di  flagranza  -  conformemente  a
quella che e' la  sua  ratio  giustificatrice  dell'intervento  della
polizia  giudiziaria  -  e'  quella  che  si  presenta  allorche'  la
consumazione del reato cade  sotto  la  percezione  degli  organi  di
polizia  giudiziaria,  ovvero  questi  rilevano  direttamente   sulla
persona del reo tracce altamente significative che egli abbia  appena
commesso un delitto; non vi e' invece flagranza di reato se  di  esso
la polizia giudiziaria abbiano notizia da parte di terzi o  in  forza
del successivo reperimento di indizi a carico del reo  (cfr.  ad  es.
quanto statuito dalla nota sentenza della Corte di cassazione SS. UU.
n. 39131 del 24 novembre 2015, che ha precisato che  «E'  illegittimo
l'arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria  sulla  base
delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell'immediatezza
del fatto, poiche', in tale ipotesi, non sussiste  la  condizione  di
"quasi flagranza", la  quale  presuppone  la  immediata  ed  autonoma
percezione, da parte di chi proceda  all'arresto,  delle  tracce  del
reato e del loro collegamento inequivocabile con l'indiziato»,  e  va
in primo luogo escluso senz'altro che quella eseguita  dalla  polizia
giudiziaria sia stata una perquisizione in flagranza di reato. 
    Invero, la situazione di flagranza di reato, che evidentemente si
e' manifestata solo dopo  la  perquisizione,  non  puo'  aver  quindi
svolto la funzione di  preventiva  legittimazione  di  tale  atto  di
ricerca della prova, che la legge ordinaria (articoli 354 e  356  del
codice di procedura penale) e costituzionale (articoli 13 e 14  della
Costituzione) assegnano solo invia eccezionale all'ambito dei  poteri
della polizia giudiziaria, in deroga al principio  generale  per  cui
simili atti, limitando la liberta' personale (e la inviolabilita' del
domicilio per  quel  che  attiene  alla  perquisizione  domiciliare),
possono essere disposti solo dall'Autorita' giudiziaria e nei casi  e
modi previsti dalla legge. 
    La perquisizione, come indicato nel relativo p.v. e' stata quindi
eseguita dalla polizia giudiziaria senza  previa  autorizzazione  del
pubblico ministero, in assoluta autonomia, in assenza di flagranza, e
quale  conseguenza  di  «motivi  di  sospetto»  non  esplicitati  ne'
rappresentati all'Autorita' giudiziaria e sottratti alla possibilita'
di qualsiasi vaglio. 
    Si pone quindi il problema della liceita' della  perquisizione  e
della utilizzabilita' dei suoi esiti, laddove  la  perquisizione  sia
stata eseguita al di fuori dei limiti e delle  forme  previste  dalla
Carta costituzionale; ed il connesso  e  conseguente  problema  della
costituzionalita' della disciplina di legge ordinaria vigente,  quale
risultante   del   diritto   vivente   nascente   dalla    monolitica
giurisprudenza di legittimita' - stabilmente applicata anche in  sede
locale dal competente Tribunale del riesame e dalla Corte di  appello
- che vuole utilizzabili gli esiti di  tali  perquisizioni,  pur  nei
casi in cui se ne riconosca l'illegittimita'. 
    La questione e' gia' stata sollevata, anche se  sotto  profili  e
con argomentazioni  non  totalmente  coincidenti,  da  questo  stesso
magistrato dapprima quale GUP, con ordinanza emessa in data 5 ottobre
2017,  e  successivamente   nuovamente   e   piu'   approfonditamente
articolata con ulteriori ordinanze emesse, sempre in veste di GUP, di
cui da ultimo quella emessa all'udienza del 12 dicembre 2017,  sempre
questo stesso giudicante ha poi nuovamente sollevato la questione, in
veste di Giudice del dibattimento, nella date del 13  settembre  2018
(in due distinti  processi)  e  27  settembre  2018,  ed  in  diverse
successive  occasioni,  anche  sviluppando  ulteriori   argomenti   e
profili; non risulta ancora intervenuta alcuna pronunzia della  Corte
costituzionale, e pertanto, anche  per  la  rilevabilita',  nel  caso
presente, di profili e questioni ulteriori rispetto a quelli  oggetto
delle  precedenti  ordinanze  di  rimessione,  la   questione   viene
nuovamente sollevata. 
    Delle precedenti ordinanze  si  riproducono  in  questa  sede  le
argomentazioni  comuni   al   caso   presente,   con   le   ulteriori
specificazioni date dal caso concreto, in  cui  la  perquisizione  e'
stata eseguita dalla polizia giudiziaria senza nemmeno richiedere  la
preventiva  autorizzazione  al  pubblico  ministero,  e   senza   che
ricorressero,  o  quanto  meno  senza  che  fossero  esplicitati,   i
particolari motivi di necessita' ed urgenza  che  non  avessero  reso
possibile chiedere tale preventiva autorizzazione (che l'art. 103 del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  309/1990,  tra  l'altro,
prevede possa  essere  resa  oralmente,  con  ulteriori  problemi  di
costituzionalita' affrontati da questo giudicante con altre ordinanze
e che, tuttavia, in questa sede non interessano). 
    Come gia' operato con alcune delle altre ordinanze di  rimessione
alla Corte, questo giudicante ritiene poi di dover  trarre  ulteriori
argomentazioni, a sostegno dell'incostituzionalita' della  disciplina
data dal diritto vivente, che non riconosce l'inutilizzabilita' degli
esiti delle perquisizioni eseguite dalla  polizia  giudiziaria  fuori
dei casi e dei limiti in cui la  legge  glielo  consente,  alla  luce
della sentenza emessa in data 27 settembre 2018 dalla  Prima  Sezione
CEDU nel caso Brazzi contro Italia. 
    Ritiene questo giudicante dover muovere il  proprio  ragionamento
dal rilievo della cautela mostrata  dal  legislatore  costituzionale,
che ha assegnato solo all'Autorita' giudiziaria il potere di disporre
(e,  deve  conseguentemente  ritenersi,  di  convalidare)   atti   di
perquisizione ed ispezione, purche' con  provvedimento  motivato  (il
che appare implicare non solo la necessita' della forma scritta  -  o
comunque una forma di  documentazione  dell'eventuale  autorizzazione
orale,  rimanendo  altrimenti  inverificabile   ed   insondabile   la
sussistenza o  meno  del  requisito  motivazionale  -  ma  anche  una
motivazione effettivamente pertinente alla ricorrenza di ragioni atte
a giustificare la perquisizione), a  garanzia  della  verificabilita'
della effettiva ricorrenza dei  presupposti  e  della  necessita'  di
procedere a tali  atti;  ed  attribuendo  tale  potere  alla  polizia
giudiziaria solo in casi eccezionali ed entro ambiti ben  delimitati,
fissati dalla legge, e con rispetto delle garanzie di liberta'  della
persona. 
    I  limiti  fissati  dalla  legge  devono  essere  necessariamente
ritenuti, in ragione della previsione costituzionale che li  assiste,
come  invalicabili  e  di  stretta  interpretazione;   sicche'   deve
assolutamente rigettarsi qualsiasi interpretazione che, comunque,  si
risolva in una vanificazione dei limiti posti al  loro  esercizio  ad
opera della polizia giudiziaria o della stessa Autorita'  giudiziaria
(ad es., impedendo la verifica circa il rispetto di tali limiti,  ivi
compreso quello della motivazione del provvedimento  giurisdizionale,
sia esso di autorizzazione o di convalida; o stabilendo l'irrilevanza
processuale di tali violazioni), o nella lesione - sia pure mediata -
della liberta' personale. 
    Invero,  l'art.  13  della  Costituzione  (richiamato,  quanto  a
garanzie e forme ivi previste, dall'art.  14  della  Costituzione  in
tema di ispezioni, perquisizioni e sequestri eseguite nel  domicilio)
prescrive che ogni atto di limitazione della liberta' personale - tra
i quali  annovera  non  solo  l'arresto  o  il  fermo,  ma  anche  le
perquisizioni e le ispezioni  personali  -  sia  riservato  ad  «atto
motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e  modi  previsti
dalla legge»; la norma costituzionale introduce quindi una riserva di
legge e di provvedimento (motivato) dell'Autorita'  giudiziaria,  cui
puo' derogarsi solo per casi eccezionali previsti dalla legge, atteso
che la norma prosegue prevedendo che solo  «in  casi  eccezionali  di
necessita'  ed  urgenza,   indicati   tassativamente   dalla   legge,
l'autorita'  di  pubblica  sicurezza  puo'   adottare   provvedimenti
provvisori,  che  devono  essere  comunicati  entro  quarantotto  ore
all'autorita'  giudiziaria  e,  se  questa  non  li  convalida  nelle
successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi  di
ogni efficacia». 
    L'art. 14 della Costituzione estende agli atti  di  perquisizione
domiciliare le garanzie dettate per le  perquisizioni  personali,  in
considerazione   della   primaria   importanza    che    la    tutela
dell'inviolabilita'  del  domicilio   assume   quale   strumento   di
protezione della sfera spaziale in cui si svolge l'abituale esercizio
di fondamentali diritti della  persona;  tutela  costituzionalizzata,
per il tramite dell'art. 117 della Costituzione (cfr. sentenze  della
Corte costituzionale nn. 348 e 349/2007),  anche  dall'art.  8  della
Carta Europea dei Diritti dell'Uomo, che sancisce  il  diritto  della
persona al rispetto del proprio domicilio - oltre che  della  propria
vita  privata  e  famigliare  -  anche  dalle  ingerenze   pubbliche,
legittime solo se previste dalla legge e necessitate da  esigenze  di
(per quel che qui interessa) difesa  dell'ordine  e  prevenzione  dei
reati. 
    I suddetti  diritti  sono  quindi  assistiti  -  a  sottolinearne
l'importanza nell'assetto democratico  dell'ordinamento  repubblicano
voluto dal Legislatore costituzionale come fondato  sulla  tutela  di
quelle  liberta'  individuali  tendenzialmente  negate  o  fortemente
compresse dal precedente regime -  da  un  corredo  di  significative
cautele date  dalla  riserva  di  legge,  dalla  riserva  del  potere
giudiziario, dall'obbligo che questo provveda con atto motivato. 
    Solo in casi eccezionali di necessita' ed urgenza  -  che  spetta
alla  legge  indicare  tassativamente  -  agli  organi  di   pubblica
sicurezza (e cioe' alle forze di polizia, che di  tali  compiti  sono
titolari, unitamente a quelli di polizia giudiziaria)  e'  attribuito
un potere di  intervento,  provvisorio  e  soggetto  a  perdere  ogni
effetto  in  caso  di  mancata  convalida  da  parte   dell'Autorita'
giudiziaria con provvedimento che, sebbene cio' non sia espressamente
previsto dalla norma costituzionale, deve ritenersi  debba  anch'esso
essere motivato, dato che non  vi  e'  ragione  di  ritenere  che  il
Legislatore costituzionale, per l'ipotesi di particolare  delicatezza
costituzionale data della convalida (la cui  funzione  e'  verificare
che la polizia giudiziaria non  abbia  agito  in  tali  delicatissime
materie abusando dei propri poteri, fuori dei casi in cui  essi  sono
loro riconosciuti), abbia voluto  esonerare  l'Autorita'  giudiziaria
dalla necessita' di motivare i propri provvedimenti, che in  tema  di
atti  limitativi  della  liberta'  personale  gli  e'  specificamente
imposta dall'art. 13, comma 2, della Costituzione  (e  come  peraltro
previsto  gia'  in  via  generale  dall'art.  111,  comma  6,   della
Costituzione per tutti i provvedimenti giurisdizionali). 
    Come si e' accennato, tali  garanzie  sono  estese  dall'art.  14
della Costituzione anche al caso  delle  perquisizioni,  ispezioni  e
sequestri domiciliari, giusta il richiamo che tale norma  opera  alle
garanzie prescritte (dall'art. 13 della Costituzione) per  la  tutela
della liberta' personale. 
    La presente vicenda processuale si qualifica per  la  circostanza
che la polizia giudiziaria abbia agito non solo in assenza di  reato,
non solo in forza di elementi indizianti non indicati e sottratti  ad
ogni sindacato da parte dell'Autorita' giudiziaria,  ma  anche  senza
nemmeno richiedere - come invece imposto dall'art. 103, comma 3,  del
decreto del Presidente della Repubblica 309/1990  -  l'autorizzazione
orale del pubblico ministero, ne' indicare le particolari ragioni  di
necessita' ed urgenza (che, tra l'altro, neppure emergono dagli atti)
che possano  aver  reso  impossibile  anche  contattare  il  pubblico
ministero di turno per richiederne l'autorizzazione. 
    Inoltre,  va  osservato,  neppure   puo'   ritenersi   che   tale
illegittima  attivita'  di   perquisizione   sia   stata   altrimenti
successivamente  «sanata»  dal  provvedimento  di   convalida   della
perquisizione, risultando anzi l'assenza, in detto provvedimento,  di
una  motivazione  specificamente  pertinente  e  non   apodittica   e
meramente  assertiva,  circa  la  legittimita'  della  perquisizione,
leggendosi nel provvedimento con cui il pubblico  ministero  ha,  con
unico atto (come d'uso), convalidato  sia  la  perquisizione  che  il
sequestro, «che l'attivita' di polizia giudiziaria che ha portato  al
sequestro  e'  stata  legittimamente  compiuta»,  senza  spiegare  il
perche' di tale asserzione, e  per  il  resto  motivando  solo  sulla
legittimita' del sequestro in relazione alla  natura  illecita  della
res che ne e' stata oggetto. 
    Puo' qui tralasciarsi la considerazione di tutti i  casi  in  cui
norme speciali hanno ampliato i casi in cui alla polizia  giudiziaria
e' consentito procedere ad atti di ispezione e perquisizione, e ci si
puo' limitare ad osservare che i casi maggiormente  ricorrenti,  dati
dalle ipotesi di cui all'art. 4 della legge n. 152/1975, all'art.  41
TULPS, ed all'art. 103 del decreto del  Presidente  della  Repubblica
309/1990,  pongono,  a   fondamento   dei   poteri   eccezionali   di
perquisizione di polizia giudiziaria fuori dei casi di flagranza,  la
necessaria ricorrenza di situazioni oggettive («specifiche o concrete
circostanze di tempo o di luogo»; «fondato motivo»;  «indizio»  ecc.)
atte  a  significare  una  qualificata   (in   termini   processuali)
probabilita' di attuale commissione di specifici delitti (tra i quali
quelli relativi alla detenzione di stupefacenti). 
    Fuori  delle  ipotesi  speciali  appena  richiamate,  la  polizia
giudiziaria puo' procedere a perquisizione domiciliare (o  personale)
solo in caso di flagranza di reato; e  l'Autorita'  giudiziaria  deve
operare un controllo effettivo sulla legalita' di tali perquisizioni,
emettendo quindi un decreto specificamente motivato. 
    Ed invero, sviluppando ulteriormente l'argomento gia' svolto  con
le precedenti ordinanze di rimessione, va ritenuto  che  nel  disegno
costituzionale - che intende fondare  uno  Stato  di  pieno  diritto,
retto dal principio di legalita', con limiti ai poteri non solo della
polizia gudiziaria, ma anche della stessa Autorita' giudiziaria  (tra
i  quali  la  riserva  di  legge  e  l'obbligo  di  motivazione   dei
provvedimenti), e previsione di garanzie giurisdizionali a verifica e
controllo del modo e dei casi in cui le forze di  polizia  usino  dei
loro poteri, al  fine  di  evitarne  l'abuso  -  non  possano  essere
tollerate  deroghe  ai  presupposti  di  fatto  che  legittimino   la
compressione di  diritti  costituzionali  ad  opera  delle  forze  di
Polizia,  ne'  deroghe  ai  requisiti  di  forma,   richiesti   dalla
Costituzione, per i provvedimenti dell'A.G., ne'  possono  sussistere
limiti alla verifica giurisdizionale suddetta. 
    Ammettere quindi che la polizia  giudiziaria  possa  procedere  a
perquisizione fuori dei casi di flagranza senza indicare gli elementi
di fatto  che  giustifichino  tale  eccezionale  deroga  ai  principi
costituzionali, o senza nemmeno chiedere la autorizzazione orale  del
pubblico ministero ne' spiegare  per  quali  ragioni  impellenti  non
possa aver adempiuto a tale «minimum» di attivazione  dei  poteri  di
controllo dell'Autorita' giudiziaria, equivale ad acconsentire a  che
le forze di polizia e  la  stessa  Autorita'  giudiziaria  inquirente
possano aggirare  le  cautele  che  la  Costituzione  ha  preposto  a
garanzia del corretto esercizio dei poteri della polizia giudiziaria,
ed a garanzia che l'Autorita' giudiziaria eserciti effettivamente  il
potere di controllo e verifica che la Costituzione le  demanda  sugli
atti   di'   polizia   giudiziaria    interferenti    con    liberta'
costituzionalmente garantite. 
    Pertanto, deve ritenersi, in via del tutto  conseguente,  che,  a
fondamento   della   legittimita'    di    una    perquisizione,    e
dell'utilizzabilita' dei suoi  esiti,  debba  essere  necessario  che
l'Autorita' giudiziaria abbia effettivamente  preventivamente  e  con
atto motivato autorizzato la  perquisizione,  o,  successivamente,  e
sempre con atto motivato, verificato la ricorrenza  della  condizione
di flagranza (o altra situazione prevista  da  norma  speciale),  che
legittimasse  l'esercizio  dei  poteri  di  accesso   domiciliare   o
perquisizione personale in capo alla  polizia  giudiziaria;  in  caso
contrario si avrebbe -  oltre  che  degli  articoli  13  e  14  della
Costituzione  -  una  violazione  degli  articoli  111  e  117  della
Costituzione (con riferimento all'art. 6  della  Convenzione  Europea
per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo) essendo solo apparente  la
possibilita'  di  godere  dell'esame  di  un  giudice  imparziale  ed
indipendente, laddove questo Giudice non abbia un adeguato potere  di
verifica   delle   circostanze   costituenti   elementi   a    carico
dell'imputato. 
    E' bene sottolineare che questo Giudice ha sottolineato i profili
di possibile incostituzionalita' di interpretazioni che ammettano,  a
presupposto  degli  atti   di   perquisizione,   elementi   probatori
particolarmente  deboli  o  inutilizzabili,  al  solo  fine  di   far
risaltare l'importanza da riconoscersi  alla  tutela  della  liberta'
personale e dell'inviolabilita' del domicilio  e  come  tali  materie
siano uno dei punti qualificanti dell'effettivita' di  uno  Stato  di
diritto, come disegnato dalla Costituzione e dalla CEDU,  in  cui  il
riconoscimento   di   diritti   fondamentali   della    persona    e'
necessariamente accompagnato dalla previsione di un Giudice non  solo
imparziale ed  indipendente,  ma  anche  dotato  degli  strumenti  di
verifica  e  controllo  atti  ad  assicurarne   l'effettiva   tutela;
peraltro, in uno Stato di diritto, lo Stato ed i suoi organi sono per
primi vincolati  al  rispetto  delle  leggi  di  cui  pur  pretendono
l'osservanza da parte  dei  consociati,  e  cio'  comporta  non  solo
l'impegno a non violare tali leggi, ma anche a garantire  l'effettivo
rispetto dei diritti che tali leggi prevedono ed attribuiscono. 
    Nella giurisprudenza della  Corte  di  cassazione  si  rinvengono
pronunzie che statuiscono la nullita' del  decreto  di  perquisizione
emesso dal pubblico ministero  in  base  a  notizie  confidenziali  o
denunzie anonime: 
        Sez. 6, Sentenza n.  34450  del  22  aprile  2016  ,  che  ha
statuito che «Sulla base di una denuncia  anonima  non  e'  possibile
procedere a perquisizioni, sequestri e  intercettazioni  telefoniche,
trattandosi di atti che  implicano  e  presuppongono  l'esistenza  di
indizi di reita'. Tuttavia,  gli  elementi  contenuti  nelle  denunce
anonime possono stimolare  l'attivita'  di  iniziativa  del  pubblico
ministero e della  polizia  giudiziaria  al  fine  di  assumere  dati
conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo  possano  ricavarsi
estremi utili per l'individuazione di  una  «notitia  criminis».  (In
applicazione di  tale  principio,  la  Corte  ha  ritenuto  legittimi
l'attivita' di perquisizione ed il sequestro di un telefono cellulare
e  di  materiale  informatico  eseguiti  a  seguito  di  un'attivita'
investigativa, avviata sulla base di una denuncia anonima, nel  corso
della quale era emersa la pubblicazione in rete di  numerosi  post  a
contenuto  diffamatorio  pubblicati  mediante  l'account  creato  sul
social network facebook a nome dell'imputato, indagato  in  relazione
ai reati di cui agli articoli 278, 291 e 214 del codice penale ); 
        Sez. 6, Sentenza n. 36003  del  21  settembre  2006,  che  ha
statuito che «Sulla base di una denuncia  anonima  non  e'  possibile
procedere a perquisizioni, sequestri e  intercettazioni  telefoniche,
trattandosi di atti che  implicano  e  presuppongono  l'esistenza  di
indizi di reita'. Tuttavia,  gli  elementi  contenuti  nelle  denunce
anonime possono stimolare  l'attivita'  di  iniziativa  del  pubblico
ministero e della  polizia  giudiziaria  al  fine  di  assumere  dati
conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo  possano  ricavarsi
estremi utili per l'individuazione di  una  «notitia  criminis».  (In
applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che  la  polizia
giudiziaria aveva  legittimamente  proceduto  alla  perquisizione  di
un'autovettura e al conseguente sequestro di  sostanza  stupefacente,
dopo aver avviato, a seguito di una denuncia anonima, un'indagine sul
posto attraverso la quale aveva acquisito la notizia di reato); 
        Sez. 5, Ordinanza  n.  37941  del  13  maggio  2004,  che  ha
statuito che: «Il decreto  di  perquisizione  e  sequestro  emesso  a
seguito di denuncia anonima, ed utilizzato come mezzo di acquisizione
di una "notitia criminis" e non come mezzo di ricerca della prova, e'
nullo. Infatti la  denuncia  confidenziale  o  anonima,  che  non  e'
inseribile  agli  atti  e  non  e'  utilizzabile,  non  puo'   essere
qualificata come una notizia di  reato  idonea  a  dare  inizio  alle
indagini  preliminari,  cosicche'  l'accusa  non  puo'  procedere   a
perquisizioni, sequestri ed intercettazioni telefoniche,  trattandosi
di atti che  implicano  e  presuppongono  l'esistenza  di  indizi  di
reita'. 
    La Suprema  Corte  ha  altresi'  avuto  modo  di  osservare  che,
ovviamente, anche la polizia giudiziaria - laddove norme di legge  le
attribuiscano il potere di eseguire perquisizioni fuori dei  casi  di
flagranza - e' tenuta al preciso rispetto dei  presupposti  posti  da
tali norme, e non puo' operare sulla base di meri sospetti: 
        Sez. 6, Sentenza n. 40952 del 15 giugno 2017, che ha statuito
che «E' configurabile l'esimente della reazione ad atti arbitrari del
pubblico ufficiale  qualora  il  privato  opponga  resistenza  ad  un
pubblico ufficiale che pretende di eseguire presso il  suo  domicilio
una perquisizione finalizzata, ai sensi dell'art. 4, legge  22  marzo
1975, n. 152, alla ricerca  di  armi  e  munizioni  fondata  su  meri
sospetti e  non  su  dati  oggettivi  certi,  anche  solo  a  livello
indiziario, circa la presenza delle suddette cose nel  luogo  in  cui
viene eseguito l'atto. (Fattispecie  in  cui  la  Corte  ha  ritenuto
immune da  vizi  la  mancata  convalida  dell'arresto  per  il  reato
previsto dall'art. 337 del codice  penale  all'imputato  per  essersi
opposto alla perquisizione disposta  dopo  la  contestazione  di  una
contravvenzione al codice stradale, senza che fossero  emersi  indizi
significativi circa  il  possesso  di  armi  o  di  oggetti  atti  ad
offendere); 
    Si rinvengono quindi una serie di pronunzie della Suprema  Corte,
che a parere di questo giudicante rispondono pienamente  ai  principi
costituzionali e  internazionali  nella  individuazione  del  minimum
probatorio  necessario  a  rendere   legittima   una   perquisizione;
tuttavia, non se  ne  traggono  le  dovute  conseguenze  in  tema  di
utilizzabilita' degli esiti delle perquisizioni operate al  di  fuori
dei presupposti di legge. 
    Il caso presente differisce poi in parte  da  quelli  considerati
dalle richiamate pronunzie della Suprema Corte; il caso che qui viene
in rilievo, infatti, riguarda una perquisizione operate dalla polizia
giudiziaria fuori dei casi di  flagranza,  in  forza  di  «sospetti»,
senza aver nemmeno chiesto l'autorizzazione orale del P.m., con  atto
poi  oggetto  di  una  convalida  che   non   spende   una   concreta
argomentazione sulla legittimita' della  perquisizione,  atteso  che,
leggendo  il  provvedimento  di  convalida,  ad  es.,  non  e'   dato
comprendere su che basi la perquisizione sia  stata  convalidata,  se
non in forza della sua fruttuosita': come a dire che,  purche'  abbia
portato ad un risultato (il reperimento di un  corpo  del  reato,  ad
es.), la perquisizione debba sempre essere convalidata, in quello che
appare  essere  un  capovolgimento  concettuale  della   nozione   di
flagranza, trasformata in un «posterius»  rispetto  all'atto  che  da
essa, invece, dovrebbe derivare la propria legittimita'. 
    Stante l'inutilizzabilita' della fonte anonima o confidenziale, e
l'assenza di  un  provvedimento  adeguatamente  motivato  ed  atto  a
significare l'effettivo esercizio di un potere di controllo da  parte
dell'Autorita' giudiziaria circa la ricorrenza  dei  presupposti  per
potersi procedere a perquisizione, e non ricorrendo le ipotesi  della
flagranza o le altre ipotesi previste da leggi speciali che  a  tanto
facultizzino le forze di polizia, deve  ritenersi  che  gli  atti  di
perquisizione, ispezione e sequestro da queste eseguiti  siano  stati
compiuti in  violazione  di  un  divieto,  derivante  dalla  generale
riserva di tali atti alla sola Autorita' giudiziaria; la conseguenza,
in base a quanto previsto  dall'art.  191  del  codice  di  procedura
penale, che sancisce la inutilizzabilita' delle prove  vietate  dalla
legge, dovrebbe quindi essere la  inutilizzabilita'  degli  esiti  di
detta perquisizione; ma la giurisprudenza della Suprema  Corte,  come
meglio  oltre  si  dira',  e'  assolutamente  di   segno   contrario,
nonostante la sanzione dell'inutilizzabilita'  sembri  emergere  gia'
direttamente a livello di previsione costituzionale. 
    Come si e' detto, gli articoli 13 e 14  della  Costituzione  (che
infatti  richiama  le  garanzie  dell'art.  13  della   Costituzione)
prevedono che «in casi eccezionali di necessita' ed urgenza, indicati
tassativamente dalla legge, l'autorita' di  pubblica  sicurezza  puo'
adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro
quarantotto  ore  all'autorita'  giudiziaria  e,  se  questa  non  li
convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono  revocati  e
restano privi di ogni efficacia»; cio' comporta, a parere  di  questo
Giudice,  che  gli  atti  di  ispezione,  perquisizione  e  sequestro
abusivamente compiuti dalla polizia giudiziaria o  non  motivatamente
convalidati dall'Autorita' giudiziaria rimangano senza effetto  anche
sul piano probatorio; la legge ordinaria ha  quindi  dato  attuazione
alla  previsione  costituzionale,  prevedendo  casi   tassativi   per
l'esercizio dei poteri di arresto, fermo, perquisizione, ispezione  e
sequestro da parte delle forze di polizia, ed ha  introdotto  in  via
generale,  con  l'art.  191  del  codice  di  procedura  penale,   la
previsione  della  inutilizzabilita'   delle   prove   acquisite   in
violazione di un divieto di legge. 
    Invero, anche  a  prescindersi  poi  dalla  gia'  chiara  lettera
dell'art.  13,  comma  3,  della  Costituzione,  gia'  le   ordinarie
disposizioni   processuali   dovrebbero   condurre    al    risultato
interpretativo   della   inutilizzabilita'    degli    esiti    della
perquisizione illegittima, in presenza di una norma, come l'art.  191
del codice di procedura penale, che sanziona con  l'inutilizzabilita'
le prove acquisite in violazione di un divieto di legge. 
    Va tuttavia rilevato che il diritto  vivente,  quale  discendente
dalla monolitica interpretazione che  la  giurisprudenza  ha  offerto
delle norme di legge  (in  particolare,  proprio  dell'art.  191  del
codice di procedura penale) dettate a sanzione  di  inutilizzabilita'
dell'assunzione di prove vietate dalla legge, non assegna conseguenze
di inutilizzabilita' agli  esiti  delle  perquisizioni  ed  ispezioni
compiute dalle forze di polizia fuori dei casi in cui la legge glielo
consente, o in esecuzione di un atto giurisdizionale illegittimo. 
    Affermando anzi l'utilizzabilita' probatoria del corpo di reato e
delle cose pertinenti al reato acquisite grazie a tali  perquisizioni
ed ispezioni, anche se avvenute  in  violazione  di  un  divieto,  la
giurisprudenza della Suprema  Corte,  a  parere  di  questo  Giudice,
vanifica le  garanzie  costituzionali,  dando  luogo  ad  un  diritto
vivente che si pone in contrasto  con  esse,  come  meglio  oltre  si
dira'. 
    Come si e' osservato, l'esecuzione di una perquisizione fuori dei
casi o delle forme imposte dalla Costituzione e dalla  legge  che  ne
sia attuazione, dovrebbe  condurre  all'inutilizzabilita'  probatoria
degli esiti della perquisizione e del sequestro, in forza  di  quanto
previsto dagli articoli 13 e 14 della Costituzione, che espressamente
statuiscono che detti atti, nei casi suddetti, «si intendono revocati
e restano privi di ogni efficacia»: con linguaggio la  cui  chiarezza
non e' stata forse finora adeguatamente  apprezzata,  il  Legislatore
costituzionale  aveva  cioe'  chiaramente  introdotto   la   sanzione
dell'inutilizzabilita' degli esiti degli atti di polizia  giudiziaria
illegittimamente invadenti la sfera della liberta' personale. 
    Ed invero, la sanzione delle «revoca e perdita di ogni efficacia»
e' dalla norma costituzionale assegnata  non  solo  alla  illegittima
esecuzione di  atti  di  arresto  o  di  fermo,  ma  genericamente  e
complessivamente  al  caso  dell'adozione  dei   «provvedimenti»   di
polizia, in materia di liberta' personale, fuori  dei  casi  previsti
dalla legge; e -  a  meno  di  voler  affermare  che  il  Legislatore
costituzionale abbia impiegato con imprecisione e  scarsa  padronanza
la lingua italiana - i provvedimenti in  questione  non  possono  non
essere che tutti quelli contemplati  dalla  norma  stessa,  e  quindi
anche le ispezioni e le perquisizioni personali, che l'art. 13  della
Costituzione tutti ricomprende nell'ambito degli atti che limitano la
liberta' personale. Non appare quindi corretta l'interpretazione  che
voglia  limitare  la  previsione  costituzionale  della  «perdita  di
efficacia»  ai  soli   provvedimenti   soppressivi   della   liberta'
personale, quali l'arresto ed il fermo, atteso che  l'art.  13  della
Costituzione utilizza una formula omnicomprensiva  (i  «provvedimenti
provvisori» adottabili dalla p.g.) che a  tutti  i  provvedimenti  da
detta norma contemplati  risulta  riferirsi,  come  evincibile  anche
dalla  disciplina  adottata  dall'art.  14  della  Costituzione,  che
espressamente li richiama «nominatim»  («ispezioni,  perquisizioni  o
sequestri»)  prevedendone  l'adottabilita'  da  parte   della polizia
giudiziaria «secondo le  garanzie  prescritte  per  la  tutela  della
liberta' personale». 
    Cio' precisato, va osservato che l'unica efficacia perdurante nel
tempo (e  di  cui  la  norma  costituzionale  si  e'  preoccupata  di
prevedere la cessazione), che puo' ipotizzarsi rispetto  ad  atti  di
perquisizione o ispezione che siano gia' stati compiuti  e  terminati
nella loro esecuzione  (come  e'  necessariamente,  dato  che  ne  e'
prevista la convalida entro novantasei  ore  al  massimo  dalla  loro
esecuzione),  e'  solo  quella  che  attiene  alla   loro   capacita'
probatoria; la sanzione di perdita dell'efficacia equivale  quindi  a
quella - nel linguaggio che il codice di  procedura  repubblicano  ha
adottato quarant'anni dopo l'approvazione della Costituzione -  della
inutilizzabilita' introdotta dall'art. 191 del  codice  di  procedura
penale per le prove assunte in violazione di un divieto di legge. 
    E' bene poi  precisare  che,  se  l'art.  13  della  Costituzione
riconnette la conseguenza delle perdita di efficacia  degli  atti  di
polizia,  alla  circostanza  che   essi   non   vengano   convalidati
dall'Autorita' giudiziaria. in un termine dato, la ratio della  norma
costituzionale  sarebbe  senz'altro  frustrata  se  la  convalida  si
risolvesse in una pura forma non esprimente  un  effettivo  controllo
circa la legalita'  dell'atto  di  polizia  giudiziaria;  di  qui  la
prescrizione (a parere di  questo  Giudice  evincibile  dal  comma  2
dell'art. 13 della Costituzione,  come  si  e'  gia'  osservato)  che
l'atto di convalida debba essere motivato, poiche'  e'  solo  con  un
atto avente tali caratteristiche che  l'art.  13  della  Costituzione
consente che l'Autorita' giudiziaria incida sulla liberta' personale:
e non  avrebbe  senso  prevedere  la  necessita'  dell'atto  motivato
allorche' l'Autorita' giudiziaria, titolare in via ordinaria di  tale
potere, proceda  di  sua  iniziativa,  e  non  gia'  allorche'  debba
verificare che la polizia giudiziaria non abbia  esorbitato  dai  (od
addirittura abusato dei) casi del tutto eccezionali in cui  la  legge
le concede di intervenire in materia di liberta' personale. 
    E' quindi ovvio che, nel sistema  delineato  dall'art.  13  della
Costituzione,  la  convalida  operi  in  quanto  espressione  di   un
effettivo potere di verifica in ordine alla concreta  ricorrenza  dei
presupposti legali di esecuzione della perquisizione  personale  (non
e' un caso, ad es., che lo stesso art. 103 del decreto del Presidente
della Repubblica  309/1990  prevede,  come  peraltro  e'  ovvio,  che
l'Autorita'  giudiziaria  convalidera'  la  perquisizione   «ove   ne
ricorrano  i  presupposti»),  e   non   sia   sufficiente   un   mero
provvedimento   di   convalida   assolutamente    immotivato    sulla
ravvisabilita'  della  situazione  legittimante   la   perquisizione,
personale o domiciliare: situazione che, nel vigente sistema, e' data
fondamentalmente dalla ricorrenza della flagranza del reato  o  dalla
ricorrenza di fondate ragioni che inducano  a  ritenere  che  sia  in
corso l'esecuzione di un delitto in materia di  stupefacenti  o  armi
(con riferimento alle due norme - gli articoli 103  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 309/1990 e 41  TULPS  -  legittimanti  la
perquisizione fuori dei casi  di  flagranza,  di  maggiore  rilevanza
statistica). 
    Peraltro, non solo le norme nazionali, costituzionali e di  legge
ordinaria,  impongono  che   la   polizia   giudiziaria   proceda   a
perquisizioni solo nei casi tassativamente stabiliti dalla  legge,  e
che il loro operato sia sottoposto ad un effettivo controllo da parte
dell'Autorita' giudiziaria. 
    Infatti, a proposito della necessita' di una valutazione concreta
e  condivisibile  da  parte  dell'Autorita'  giudiziaria,  circa   la
ricorrenza di ragioni adeguatamente giustificatrici  dello  esercizio
del potere di perquisizione,  va  anche  richiamata,  per  l'assoluta
importanza  della  fonte,  che   assegna   alla   decisione   rilievo
costituzionale ex art. 117 della Costituzione, la sentenza  16  marzo
2017, Modestou c. Grecia, con la quale la Corte Europea  dei  Diritti
dell'Uomo (d'ora in  poi  per  brevita'  CEDU)  ha  ritenuto  essersi
verificata violazione dell'art. 8 Cedu, in un caso in cui  era  stata
eseguita perquisizione presso il domicilio personale e  professionale
del ricorrente senza alcun controllo giurisdizionale ex ante e  sulla
scorta di  un  mandato  di  perquisizione  generico;  ne'  era  stato
previsto un immediato controllo giurisdizionale ex post,  considerato
che la Corte d'appello,  adita  dal  ricorrente,  aveva  respinto  la
doglianza non  solo  piu'  di  due  anni  dopo  la  perquisizione  in
questione,  ma  nemmeno  indicando  neppure  i  motivi  «rilevanti  e
sufficienti» giustificativi della perquisizione: sentenza dalla quale
si trae quindi conferma che,  secondo  le  norme  della  CEDU,  nella
vincolante interpretazione offertane  dalla  Corte  EDU,  l'Autorita'
giudiziaria   debba   operare   una   illustrazione    motivata    (e
condivisibile) delle ragioni della perquisizione, al fine di  rendere
verificabile la  legittimita'  dell'esercizio  del  relativo  potere;
statuizione  che,  se   vale   per   le   perquisizioni   autorizzate
dall'Autorita' giudiziaria, deve a maggior ragione valere per  quelle
operate direttamente  dalla  polizia  giudiziaria  e  successivamente
convalidate dalla Autorita' giudiziaria. 
    Poiche' quindi e' ad un provvedimento adeguatamente motivato  che
l'art. 13 della Costituzione  ricollega  la  salvezza  degli  effetti
dell'operato della polizia giudiziaria, ne consegue che,  sebbene  le
nullita' degli atti per difetto  di  motivazione  siano  generalmente
rilevabili solo su eccezione di parte, in questo  caso  debba  invece
ritenersi che la ricorrenza di un  atto  di  convalida  adeguatamente
motivato, nella sua funzione costituzionale di salvezza degli effetti
dell'atto di polizia giudiziaria, sia un elemento  della  fattispecie
«sanante» la cui ricorrenza debba essere verificata d'ufficio;  cosi'
come dovra' verificarsi che, a prescindere  da  quanto  eventualmente
affermato col provvedimento di convalida (si pensi ad es. all'ipotesi
di una motivazione non pertinente alle ragioni giustificatrici  della
perquisizione, come e' nel caso in oggetto; o ad una motivazione  non
aderente ai dati fattuali emergenti  dagli  atti;  o  che  da  questi
tragga  conclusioni  assolutamente  illogiche  o  assolutamente   non
giustificate), ricorressero effettivamente i presupposti  perche'  la
polizia giudiziaria esercitasse i suoi poteri  previsti  in  via  del
tutto eccezionale. 
    Tanto  premesso,  va  peraltro  preso   atto   che   tali   esiti
epistemologici  sono  estranei  alla  interpretazione  accolta  dalla
giurisprudenza   assolutamente   dominante   che,    a    far    data
dall'insegnamento  espresso  dalle  Sezioni  Unite  della  Corte   di
cassazione con la sentenza 5021 del 27 marzo  1996,  ha  ritenuto  la
piena utilizzabilita' probatoria degli esiti  delle  perquisizioni  e
sequestri eseguiti dalla polizia giudiziaria al  di  fuori  dei  casi
previsti dalla legge,  pur  prendendo  le  mosse  da  statuizioni  di
principio di segno apparentemente opposto alle conclusioni finali. 
    In realta', con la suddetta  sentenza,  le  Sezioni  Unite  della
Suprema Corte di cassazione hanno in primo luogo affermato  a  chiare
lettere che la conseguenza di un'attivita' di  illecita  acquisizione
della prova, nello specifico una perquisizione illegittima, non  puo'
limitarsi a mere sanzioni amministrative, disciplinari o  penali  nei
confronti   dell'autore    dell'illecito,    ma    deve    comportare
l'inutilizzabilita'  della  prova  stessa,  statuendo  che:  «non  e'
certamente difficile riconoscere che  allorquando  una  perquisizione
sia stata effettuata senza l'autorizzazione del magistrato e non  nei
«casi» e nei  «modi»  stabiliti  dalla  legge,  cosi'  come  disposto
dall'art. 13 della Costituzione, si e' in presenza  di  un  mezzo  di
ricerca della prova che non e' piu' compatibile  con  la  tutela  del
diritto di  liberta'  del  cittadino,  estrinsecabile  attraverso  il
riconoscimento dell'inviolabilita'  del  domicilio.  L'illegittimita'
della ricerca di una prova,  pur  quando  non  assuma  le  dimensioni
dell'illiceita' penale (cfr. art. 609 c.p.), non puo' esaurirsi nella
mera  ricognizione  positiva  dell'avvenuta   lesione   del   diritto
soggettivo, come presupposto per l'eventuale applicazione di sanzioni
amministrative o penali per colui o per coloro che ne sono stati  gli
autori. La perquisizione, oltre ad essere un atto  di  investigazione
diretta, e' il  mezzo  piu'  idoneo  per  la  ricerca  di  una  prova
preesistente e, quindi, diviene partecipe del complesso  procedimento
acquisitivo della prova, a causa del rapporto strumentale che si pone
tra la ricerca e la scoperta di cio' che  puo'  essere  necessario  o
utile ai fini della indagine : nessuna prova, diversa da  quelle  che
possono formarsi soltanto nel corso del procedimento, potrebbe essere
acquisita al processo se una sua ricerca non  sia  stata  compiuta  e
questa non abbia avuto esito positivo. 
    Se e' vero che una perquisizione, quale mezzo di ricerca  di  una
prova, non puo' essere a quest'ultima assimilata e,  quindi,  e'  di'
per se'  stessa  sottratta  alla  materiale  possibilita'  di  essere
suscettibile di una diretta utilizzazione  nel  processo  penale,  e'
altrettanto vero che il rapporto funzionale che  avvince  la  ricerca
alla scoperta non puo' essere fondatamente escluso. 
    Ne consegue che il rapporto tra perquisizione e sequestro non  e'
esauribile  nell'area  riduttiva  di  una   «nera   consequenzialita'
cronologica, come si era affermato in  numerose  pronunce  di  questa
Corte prima dell'entrata in vigore  del  nuovo  codice  di  procedura
penale, e com'e' stato, anche in  epoca  successiva,  qualche  volta,
ribadito (cfr.Sez.1- 17 febbraio  1976  ric.  Cavicchia  ;Sez.  VI-23
gennaio 1973 ric.Ferraro; Sez. V- 24  novembre  1977  ric.Manussardi;
Sez.1-15 marzo 1984 ric.Zoccoli;  Sez.VI-24  aprile  1991  ric.Lione;
Sez. V-12 gennaio 1994 ric.Vetralla, etc): la  perquisizione  non  e'
soltanto l'antecedente cronologico del sequestro, ma  rappresenta  lo
strumento giuridico che rende possibile il ricorso al sequestro.» 
    Proseguiva inoltre la Corte osservando che, pur vero  che  esista
una distinzione concettuale tra  la  perquisizione,  quale  mezzo  di
ricerca della prova, ed il sequestro quale strumento di  acquisizione
della  prova,  cio'  non  ha   alcuna   rilevanza   ai   fini   della
inutilizzabilita' della prova acquista a seguito di una perquisizione
illegittima, atteso che: 
        «la  stessa  utilizzabilita'  della  prova  e'   pur   sempre
subordinata alla esecuzione di un legittimo procedimento  acquisitivo
che si sottragga, in ogni  sua  fase,  a  quei  vizi  che,  incidendo
negativamente sull'esercizio di  diritti  soggettivi  irrinunciabili,
non  possono  non  diffondere  i  loro  effetti  sul  risultato  che,
attraverso quel procedimento, sia stato conseguito.  Del  resto,  non
puo' neppure ignorarsi che e' lo stesso  ordinamento  processuale  ad
aver riconosciuto il rapporto funzionale esistente tra  perquisizione
e sequestro : l'art. 252 codice procedura penale impone il  sequestro
delle "cose rinvenute a seguito della  perquisizione"  e  l'art.  103
comma   VII°   dello    stesso    codice    espressamente    sancisce
l'inutilizzabilita' dei  risultati  delle  perquisizioni  allorquando
queste sono state eseguite in violazione delle  particolari  garanzie
di cui debbono fruire i difensori per poter  esercitare  congruamente
il diritto di difesa. E non si vede  perche'  a  diverse  ed  opposte
conclusioni dovrebbe pervenirsi quando una  perquisizione  sia  stata
comunque eseguita in violazione di particolari disposizioni normative
che assicurano,  in  concreto,  l'attuazione  di  quella  ineludibile
garanzia costituzionale, nei limiti in cui essa e' stata riconosciuta
dall'art. 13 comma 2° della Costituzione: si tratta pur sempre di  un
procedimento acquisitivo della prova che reca l'impronta  ineludibile
della subita lesione ad un diritto soggettivo, diritto  che,  per  la
sua rilevanza costituzionale, reclama e giustifica la  piu'  radicale
sanzione  di  cui  l'ordinamento   processuale   dispone,   e   cioe'
l'inutilizzabilita' della prova cosi'  acquisita  in  ogni  fase  del
procedimento.» 
    Il prosieguo della statuizione della Suprema corte  si  risolveva
peraltro, ed alquanto sorprendentemente, nella pratica  vanificazione
della portata di tali principi appena enunciati;  continuava  infatti
detta sentenza affermando comunque valido il sequestro, perche'  atto
dovuto, allorche' avesse  ad  oggetto  il  corpo  del  reato  o  cose
pertinenti al  reato;  pertanto,  di  fatto,  l'unico  sequestro  che
sarebbe stato inutilizzabile a fini probatori, sarebbe  stato  quello
gia' di per se' inutile e che  non  avrebbe  quindi  comunque  dovuto
essere disposto, perche' non relativo ne' al corpo del reato,  ne'  a
cose pertinenti al reato; affermava infatti la Suprema corte a SSUU: 
        «Orbene, se e' vero che l'illegittimita' della ricerca  della
prova  del  commesso  reato,   allorquando   assume   le   dimensioni
conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a  tutela  dei
diritti  soggettivi  oggetto  di  specifica  tutela  da  parte  della
Costituzione, non puo', in linea  generale,  non  diffondere  i  suoi
effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di
acquisire,  e'  altrettanto  vero  che  allorquando  quella  ricerca,
comunque effettuata, si  sia  conclusa  con  il  rinvenimento  ed  il
sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, e' lo
stesso ordinamento processuale a considerare del tutto irrilevante il
modo con il quale a  quel  sequestro  si  sia  pervenuti:  in  questa
specifica ipotesi, e ancorche' nel contesto  di  una  situazione  non
legittimamente creata, il sequestro rappresenta un "atto dovuto",  la
cui omissione esporrebbe  gli  autori  a  specifiche  responsabilita'
penali,  quali  che  siano   state,   in   concreto,   le   modalita'
propedeutiche e funzionali  che  hanno  consentito  l'esito  positivo
della ricerca compiuta. 
    Con cio' non si  intende  affatto  affermare  che  l'oggetto  del
sequestro, a causa della sua intrinseca  illiceita',  ovvero  per  il
rapporto strumentale che esso puo' esprimere in  relazione  al  reato
commesso,  possa,  per  cio'  solo,  dissolvere  quella   connessione
funzionale   che   lega   la   perquisizione   alla    scoperta    ed
all'acquisizione di  cio'  che  si  cercava,  ma  si  vuole  soltanto
precisare che allorquando ricorrono le condizioni previste  dall'art.
253 comma l° codice procedura penale gli  aspetti  strumentali  della
ricerca. pur rimanendo partecipi del procedimento  acquisitivo  della
prova, non  possono  mai  paralizzare  l'adempimento  di  un  obbligo
giuridico che trova la  sua  fonte  di  legittimazione  nello  stesso
ordinamento  processuale  ed  ha  una  sua  razionale  ed   appagante
giustificazione nell'esigenza che l'ufficiale di polizia  giudiziaria
non si sottragga all'adempimento dei doveri indefettibilmente  legati
al suo "status", qualunque sia la situazione - legittima o  no  -  in
cui egli si trovi ad operare». 
    Tali  statuizioni  avrebbero  potuto,  in   verita',   risolversi
nell'asserzione della legittimita' del sequestro, ferma  restando  la
inutilizzabilita' probatoria del suo oggetto; ma le  SS.UU.,  invece,
concludevano  osservando  che  gli  agenti  di  polizia   giudiziaria
avrebbero poi potuto testimoniare sugli  esiti  della  perquisizione,
ferma restando l'inutilizzabilita' di essa in quanto tale  (e  cioe',
par  di  capire,  con  inutilizzabilita'  solo  del  verbale  che  ne
documenta modalita', tempo, luoghi e risultato). 
    Da tale arresto delle Sezioni Unite ha tratto origine e  sviluppo
una giurisprudenza che si e'  ancorata  unicamente  alle  statuizioni
circa  la  legittimita'  ed  utilizzabilita'  a  fini  probatori  del
sequestro, rimanendo apparentemente dimentica dell'insegnamento e dei
principi affermati  dalle  stesse  SS.UU.  nella  prima  parte  della
propria statuizione,  e  che  probabilmente  avrebbero  meritato  una
riflessione e sviluppo ulteriori: come, ad es.,  quella  che  volesse
limitare l'utilizzabilita'  probatoria  del  sequestro  alla  res  in
quanto tale,  cioe'  nella  sua  materiale  idoneita'  a  provare  la
sussistenza del fatto (si pensi  al  rinvenimento  di  un'arma  o  di
sostanza  stupefacenti,  idonei  a  provare  i  reati  di  detenzione
illecita di tali oggetti) ed  a  fungere  da  eventuale  supporto  di
tracce di reato (impronte digitali, materiale biologico  suscettibile
di  comparazione  del  DNA)   aventi   carattere   individualizzante:
interpretazione, questa, sostenuta da questo  Giudice  in  precedenti
procedimenti,  ma  non  condivisa  dai  Giudici  competenti   per   i
successivi gradi, che si sono sempre rimessi alla giurisprudenza  che
si e' richiamata e che delle citate SS.UU. coglieva, sostanzialmente,
solo quanto risultante dal dispositivo e dalla massima. 
    Come si e' detto, la successiva  giurisprudenza  di  legittimita'
di'  e'  monoliticamente  assestata  su  tali  esiti  interpretativi,
confermando reiteratamente la legittimita' del sequestro  conseguente
ad una perquisizione illegittima,  e  la  sua  piena  utilizzabilita'
probatoria; si citano, ad es., ed in assenza di  pronunzie  di  segno
contrario, che lo scrivente magistrato non e' riuscito a rinvenire: 
        Sez. 3, Ordinanza n. 3879  del  14  novembre  1997;  Sez.  1,
Sentenza n. 2791 del 27 gennaio 1998, Sez. 5, Sentenza n. 6712 del  7
dicembre 1998, Sez. 3, Sentenza n. 1228 del 17 marzo  2000,  Sez.  4,
Sentenza n. 8052 del 2 giugno 2000, Sez. 6, Sentenza n.  3048  del  3
luglio 2000, Sei 2, Sentenza n. 12393 del  10  agosto  2000,  Sei  1,
Sentenza n. 45487 del 28 settembre 2001, Sez. 1 Sentenza n. 41449 del
2 ottobre 2001, Sez. 1, Sentenza n. 497 del 5 dicembre 2002, Sez.  5,
Sentenza n. 1276 del 17 dicembre 2002, Sez. 2, Sentenza n. 26685  del
14 maggio 2003, Sez. 2, Sentenza n. 26683 del 14 maggio 2003, Sez. 1,
Sentenza n. 18438 del 28 aprile 2006, Sez. 2, Sentenza n.  40833  del
10 ottobre 2007, Sez. 6, Sentenza n. 37800 del 23 giugno  2010,  Sez.
1, Sentenza 17. 42010 del 28 ottobre 2010, Sez. 2, Sentenza n.  31225
del 25 giugno 2014, Sez. 3, Sentenza n. 19365 del  17  febbraio  2016
(quest'ultima   addirittura   nel   senso   della   legittimita'   di
perquisizioni  ordinate  od  eseguite  in   forza   di   sole   fonti
confidenziali), Sez. 2, Sentenza n. 15784 del 23 dicembre 2016,  Sez.
5, Sentenza n. 32009 del 8 marzo 2018. 
    Anche  le  sentenze  gia'  richiamate  in  precedenza,  che   pur
affermavano l'illegittimita' del sequestro o della  perquisizione  (o
intercettazione) operate in forza di fonti confidenziali  o  anonime,
sembrano in realta' essersi arrestate (tranne che per il  caso  delle
intercettazioni, e verosimilmente in quanto per esse gia'  esiste  un
sistema puntualmente codificato di  inutilizzabilita'  delle  stesse,
che  funge  da  ancoraggio  giuridico-culturale  all'accettazione  di
ulteriori   ipotesi   di   inutilizzabilita')   al    mero    rilievo
dell'illegittimita' dell'atto (e dell'obbligo di  restituzione  della
res), senza trarne sino in fondo le conseguenze relative al regime di
inutilizzabilita' probatoria. 
    Alla luce dei richiamati principi espressi dagli articoli 13 e 14
della Costituzione, questo giudicante ritiene che le  norme  vigenti,
per come interpretate dalla giurisprudenza  assolutamente  prevalente
(e tale da dar luogo ad  un  vero  e  proprio  diritto  vivente,  che
condurrebbe - e gia' ha condotto in altri casi - alla  riforma  della
sentenza che questo Giudice dovesse adottare discostandosi da  esso),
non siano rispettose del dettato costituzionale,  ed  in  particolare
degli articoli 3, 13, 14 e 117  (con  riferimento  all'art.  8  della
Convenzione EDU) della Costituzione, nella parte in cui le  norme  di
diritto ordinario consentono l'utilizzabilita' processuale - mediante
deposizione testimoniale di chi abbia  operato  la  perquisizione  od
ispezione illegittima, o la lettura od altra forma  di  utilizzazione
del verbale di quanto risultante dalla perquisizione e dal  sequestro
- della  valenza  probatoria  degli  esiti  di  una  perquisizione  o
ispezione  e  di  quanto  eventualmente  sequestrato   in   occasione
dell'esecuzione di tali atti, allorche' tali atti  di  ricerca  della
prova  siano  stati  eseguiti  dalla  polizia  giudiziaria  senza  il
rispetto dei  presupposti  e  delle  forme  dettati  dalla  legge,  o
convalidati dall'Autorita' giudiziaria fuori dei casi in cui la legge
costituzionale e quella ordinaria Lo consentano, o con forme tali  da
rendere meramente  apparente  l'effettivo  esercizio  del  potere  di
verifica presupposto di quello di  convalida;  tra  tali  casi,  deve
farsi rientrare  quello  della  polizia  giudiziaria  che  proceda  a
perquisizione ex art. 103 decreto del Presidente della Repubblica  n.
309/90 fiori dei casi di flagranza, senza  chiedere  l'autorizzazione
orale al Pubblico ministero e senza che ricorrano casi di  necessita'
o urgenza  che  rendano  impossibile  il  contatto  con  il  Pubblico
ministero, nonche' quello  della  convalida  di  tali  perquisizioni,
emessa dal Pubblico ministero  senza  esprimere  le  ragioni  atte  a
giustificare la violazione del domicilio o della liberta'  personale,
integrate dagli di perquisizione domiciliare o personale. 
    L'interpretazione   maggioritaria   circa   l'irrilevanza   della
illegittimita' della perquisizione  sulla  utilizzabilita'  dei  suoi
esiti  si  risolverebbe  quindi,  del  tutto  paradossalmente,  nella
teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine
(e  sempre,  ovviamente,  che  la  Corte  costituzionale   ne   abbia
dichiarato l'incostituzionalita')  le  leggi  contrarie  ai  principi
costituzionali, ma efficacissimi ed inattaccabili gli atti di polizia
giudiziaria compiuti in violazione  dei  diritti  costituzionali  del
cittadino. 
    Tale giurisprudenza, inoltre: 
        a) sembra operare una confusione di piani  tra  il  sequestro
inutilizzabile ed il sequestro inutile probatoriamente, posto che, di
fatto,  e  data  l'estensione  concettuale  della  nozione  di   cose
pertinenti al reato, finisce con escludere la validita' - in caso  di
perquisizione illegittima - solo del sequestro  inutile:  il  che  e'
assolutamente inconferente rispetto alle  tematiche  e  problematiche
poste dall'art. 191 codice di procedura penale; 
        b) non considera che il sequestro non e'  una  prova,  ma  il
mezzo che serve ad assicurare al processo  la  res  che  puo'  essere
fonte di prova; 
        c) non considera che la valenza probatoria di una determinata
res e' generalmente data non dalla sola cosa in se'  (la  quale  puo'
generalmente provare la sussistenza del fatto ma non  necessariamente
chi lo abbia commesso, se  non  nel  caso  in  cui  sulla  res  siano
rinvenibili tracce biologiche, papillari o di  altro  genere  che  ne
permettano la riconducibilita' ad un determinato soggetto), ma  anche
dalle circostanze del suo rinvenimento, specie  allorche'  si  tratti
appunto del corpo del reato, essendo il suo possesso  (svelato  dalla
perquisizione) ad essere  indizio  grave  di  commissione  del  reato
stesso; 
        d) non osserva che, pertanto, cio' che sommamente rileva  non
e'  tanto  la  legittimita'  del  sequestro,  quanto   quella   della
perquisizione tramite la quale  si  e'  rinvenuta  la  res  (con  suo
successivo  sequestro),  atteso   che   e'   la   perquisizione   che
generalmente  comprova  quella  relazione  personale  tra   la   cosa
indiziante di delitto e l'autore dello stesso; 
        e) non avverte che la ratio della norma di cui  all'art.  191
codice di procedura penale,  che  prevede  l'inutilizzabilita'  delle
prove acquisite in violazione di un divieto di legge,  e'  quella  di
offrire un valido presidio ai diritti  costituzionalmente  garantiti,
disincentivandone le violazioni  finalizzate  all'acquisizione  della
prova, rendendone inutilizzabili gli esiti probatori (si veda ad  es.
la   disciplina   della   inutilizzabilita'   delle   intercettazioni
illegittime  ex  art.  271  codice  di  procedura  penale;  si  pensi
all'inutilizzabilita' ex art. 188 codice di procedura penale  di  una
confessione assunta sotto tortura o sotto  l'effetto  di  metodi  che
possano influire ulle capacita' di autodeterminazione  della  persona
dichiarante; si considerino  le  conseguenze  di  un'acquisizione  di
tabulati del traffico telefonico eseguita dalla  polizia  giudiziaria
in assenza di provvedimento motivato dell'Autorita' giudiziaria); 
        f) non assegna  adeguato  valore  alla  circostanza  che  una
perquisizione domiciliare o personale, eseguita da chi non ne  ha  il
potere, e' un  caso  tipico  di  prova  vietata  dalla  legge  ed  in
violazione di' diritti costituzionali della persona (cfr. articoli 13
e 14  della  Costituzione;  art.  8  CEDU),  e  la  conseguenza  deve
necessariamente essere la inutilizzabilita' dei suoi risultati  (come
previsto dall'art. 13 comma 3 della  Costituzione),  conformemente  a
quella che e' la ratio dell'art. 191 codice di procedura penale  che,
inibendo l'utilizzabilita' degli esiti delle  prove  vietate  perche'
assunte in violazione  di  diritti  costituzionali,  intende  appunto
scoraggiare la violazione di quei diritti costituzionali; 
        g) non considera che ritenere altrimenti, lasciando aperta la
possibilita' di una sorta di «sanatoria» ex post, legata  agli  esiti
della perquisizione, equivale a negare la tutela  del  cittadino  dai
possibili abusi della polizia giudiziaria: tutela assicurata  in  via
generale ed astratta dagli articoli 13 e 14  della  Costituzione,  ma
che verrebbe vanificata dall'incentivazione agli abusi  per  mancanza
di conseguenze processuali relative alla inutilizzabilita'  dei  loro
risultati; ed i drammatici fatti di Genova e  di  Bolzaneto  appaiono
esserne storica conferma e dimostrazione. 
    Quella discendente dalla citata sentenza delle SS.UU. n. 5021 del
27 marzo 1996 appare quindi essere  un'interpretazione  dalla  scarsa
tenuta  logica,  idonea  a  fungere  da  vera  e  propria   mina   di
irrazionalita', che si presta ad introdurre trattamenti  irrispettosi
del   principio   di   eguaglianza   delle   situazioni   processuali
equiparabili:  si  pensi  alla  gia'  richiamata  giurisprudenza  che
riconosce la non utilizzabilita' di altre prove  vietate,  quali  gli
anonimi  e  le   fonti   confidenziali,   nemmeno   ai   fini   della
legittimazione di una perquisizione. 
    Tali considerazioni devono invece condurre  a  ritenere  che  una
perquisizione eseguita in forza di elementi non utilizzabili, e senza
che ricorresse gia' una preesistente situazione di flagranza, sia non
solo illegittima, ma anche improduttiva di elementi  utilizzabili  ai
fini della prova in danno dell'imputato, atteso che cio' non solo  e'
imposto dagli articoli 13 e 14 della Costituzione, ma  anche  da  una
piana lettura dell'art. 191 codice procedura  penale  rispettosa  dei
principi costituzionali, ma allo stato negata dal diritto vivente, il
quale  ultimo  si  pone  pertanto  in  contrasto   con   i   principi
costituzionali di cui agli articoli 13, 14 e 3 della Costituzione. 
    Nei casi considerati ricorrerebbero infatti, a parere  di  questo
Giudice, i presupposti  di  applicabilita'  della  conseguenza  della
inutilizzabilita'  processuale  ai  sensi  dell'art.  191  codice  di
procedura penale, in base ad una piana lettura della  norma  ed  alla
ratio della stessa, come colta al punto f) che precede;  ed  infatti,
appare evidente che l'Autorita' giudiziaria - allorche' autorizza una
perquisizione  in  forza  di  elementi  inutilizzabili  o  senza   il
provvedimento formale imposto  dalla  Costituzione  -  o  la  polizia
giudiziaria, allorche' proceda ad un atto di perquisizione fuori  dei
casi a lei consentiti, compiano un atto che e' loro vietato -  e  non
semplicemente un atto irrituale o  nullo,  come  pure  talora  si  e'
sostenuto in talune pronunzie della Corte di cassazione - atteso  che
sia la  legge  ordinaria  che  quella  costituzionale  prevedono  una
riserva del potere di perquisizione all'Autorita' giudiziaria, a  sua
volta subordinato al rispetto dei limiti  posti  dalla  legge,  nella
delineazione di una serie di garanzie  a  tutela  della  effettivita'
dello Stato di diritto (e delle liberta' individuali che questo  deve
garantire),  in  cui   i   poteri   della   polizia,   degli   organi
amministrativi e della stessa Autorita' giudiziaria  sono  sottoposti
al principio di legalita', nei casi che  coinvolgono  l'esercizio  di
diritti costituzionali fondamentali dei privati  (quali  la  liberta'
personale e  quella  domiciliare,  che  ex  art.  14  comma  2  della
Costituzione  e'  "aggredibile"  solo  "negli  stessi  casi  e   modi
stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte  per  la  tutela
della liberta' personale"). 
    L'interpretazione dominante che,  invece,  comunque  consente  di
«recuperare» ed utilizzare gli esiti delle perquisizioni illegittime,
negando l'applicabilita' del divieto posto dall'art.  191  codice  di
procedura penale all'utilizzabilita' probatoria del corpo del reato o
di cosa pertinente  al  reato  e  degli  altri  elementi  conoscitivi
acquisiti a seguito di perquisizione  illegittima,  e  che  riconosca
effetti sananti all'atto con cui  il  Pubblico ministero  affermi  la
legittimita'  della  perquisizione  con  motivazione   apodittica   o
meramente assertiva, appare pertanto  negare  concreta  attuazione  a
quanto previsto dagli articoli 13 e 14 della Costituzione  in  ordine
alla perdita di efficacia della perquisizione e delle ispezioni e dei
sequestri ad esse conseguenti, allorche' eseguiti in  violazione  dei
divieti; l'art. 191 codice di procedura penale,  come  esistente  nel
diritto vivente, appare quindi in contrasto con i  predetti  articoli
13 e 14 della Costituzione. 
    Non e' peraltro fuori luogo osservare,  come  peraltro  da  tempo
rilevato non solo dalla dottrina, ma anche dalla Suprema  corte,  che
la  ragione  d'essere  della   disciplina   delle   inutilizzabilita'
stabilita dall'art. 191 codice di procedura penale non  e'  tanto  di
ordine etico (e cioe', il  rifiuto  del  legislatore  di  riconoscere
valore   probatorio   ad   atti   illeciti),   quanto    di    ordine
politico-costituzionale, essendosi rilevato che l'effettivita'  della
tutela dei valori costituzionali che piu' facilmente vengono lesi  in
caso di assunzione di prova in violazione di un divieto,  riposa  nel
negare ogni utilizzabilita' a quanto cosi'  venga  acquisito:  atteso
che, grazie a tale divieto di  utilizzabilita',  si  scoraggeranno  e
disincentiveranno quelle pratiche di  acquisizione  della  prova  con
modalita' illegali (e talora francamente  illecite),  che  violano  i
diritti costituzionali a cui presidio sono appunto  posti  i  divieti
rinvenibili nel codice di rito e nelle norme speciali. 
    La giurisprudenza formatasi sulla scorta della  citata  Corte  di
cassazione SS.UU. 5021/1996 realizza, pertanto, anche una  violazione
dell'art. 3 della Costituzione, in quanto del tutto irragionevolmente
ed a fronte di una palese identita' di  ratio,  nega  la  conseguenza
dell'inutilizzabilita' di cui all'art. 191 codice di procedura penale
a casi del tutto sovrapponibili ad altri (per certi versi addirittura
meno gravi) per i quali la  legge  espressamente  la  prevede:  basti
pensare, ad es., non solo alle ipotesi  di  intercettazioni  eseguite
d'iniziativa dalla polizia giudiziaria e quindi in assenza di decreto
motivato   dell'Autorita'    giudiziaria    (caso    sanzionato    di
inutilizzabilita' dall'art. 271 codice di procedura penale, avente la
medesima ratio dell'art. 191 codice di procedura penale), ma anche al
caso dell'acquisizione dei tabulati del traffico telefonico  eseguito
senza provvedimento motivato del Pubblico ministero, ipotesi  che  le
stesse SS.UU. della Suprema Corte di cassazione  hanno  ritenuto  dar
luogo ad un'ipotesi di inutilizzabilita' della prova perche' acquista
in violazione di un divieto di legge (cfr. Sei. U, Sentenza n. 21 del
13/07/1998). 
    L'interpretazione  stabilizzatasi   dell'art.   191   codice   di
procedura  penale,  in  tema  di  conseguenza  di  una  perquisizione
illegittima e di legittimita', per contro, del conseguente sequestro,
si risolve quindi nell'operare anche una ingiustificata disparita' di
trattamento tra  indagati  in  situazioni  del  tutto  analoghe,  con
conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Sempre in tema di  violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,
appare necessario rilevare come tale norma si atteggi  a  scrigno  in
cui e' racchiuso e riassunto il principio di necessaria  razionalita'
dell'ordinamento dello Stato di diritto disegnato dalla Costituzione;
razionalita'  che   risulta   gravemente   violata   dalla   corrente
interpretazione  circa   la   utilizzabilita'   degli   esiti   delle
perquisizioni illegittime; e cio' in quanto che: 
        a) l'interpretazione maggioritaria circa l'irrilevanza  della
illegittimita' della perquisizione  sulla  utilizzabilita'  dei  suoi
esiti si risolve attualmente, in maniera del tutto paradossale, nella
teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine
le leggi incostituzionali (argomenta ex art. 30 comma 3 e 4 legge  n.
87/1953), e la loro efficacia sospendibile dal giudice ordinario  che
ne ravvisi un possibile contrasto con  le  norme  costituzionali,  ma
efficacissimi - e non disapplicabili ne' discutibili dal Giudice -  e
quindi inattaccabili, anche sotto il profilo probatorio, gli atti  di
polizia giudiziaria compiuti in violazione dei diritti costituzionali
del cittadino; 
        b)  la  suddetta  interpretazione   appare   realizzare   una
negazione  radicale  dei  principi  dello  Stato  di  diritto   quale
tratteggiato dalla Costituzione, racchiuso in germe nell'art. 3 della
Costituzione (come gia' si  e'  osservato),  e  piu'  in  particolare
sviluppato dall'art. 2 della  Costituzione,  in  quanto  finisce  per
risolversi nell'assenza di effettive garanzie contro  violazioni  dei
diritti  inviolabili  dell'uomo,  tra  i  quali   appare   senz'altro
rientrare quello alla liberta' personale, laddove invece il  suddetto
art.  2 della  Costituzione impone  alla  Repubblica  non   solo   di
riconoscere tali  diritti,  ma  di  garantirli:  il  che  implica  la
necessaria adozione di tutte le cautele necessarie non solo a punire,
ma prima di tutto a scoraggiare la violazione di tali diritti;  e  la
sanzione   dell'inutilizzabilita'   probatoria   che    discenderebbe
dall'art.  191  codice  di  procedura  prnale  (nella   lettura   che
risulterebbe dall'operazione di ortopedia costituzionale  che  questo
Giudicante ritiene necessaria), nel deprivare di effetti  processuali
il risultato «probatorio» di tali violazioni, costituisce la prima  e
piu' efficace forma di  garanzia  che  uno  Stato  di  diritto  possa
assicurare ai diritti della persona; 
        c) l'interpretazione che si avversa, inoltre, nega  lo  Stato
di diritto quale configurato dall'art. 97 comma 3 della Costituzione,
che vuole - con norma generale  che  appare  applicabile  anche  alle
definizione dei poteri dell'Autorita' giudiziaria e degli  organi  di
polizia - l'azione dei pubblici poteri  sottomessa  al  principio  di
legalita'; se, come gia' si e' osservato, in uno Stato di diritto, lo
Stato ed i suoi organi sono per primi  vincolati  al  rispetto  delle
leggi di cui pur pretendono l'osservanza da parte dei  consociati,  e
se cio' comporta non solo l'impegno a  non  violare  tali  leggi,  ma
anche a garantire l'effettivo rispetto dei  diritti  che  tali  leggi
prevedono  ed  attribuiscono,   appare   innegabile   che   ammettere
l'efficacia - e per di piu' nel processo penale ed in aggressione  ai
diritti di liberta' - degli atti  compiuti  dai  pubblici  poteri  in
violazione di  un  divieto,  appare  negare  anche  il  principio  di
legalita' di cui all'art. 97 della Costituzione, oltre ad  attribuire
all'azione illegale degli organi statuali una prevalenza sui  diritti
costituzionali dei consociati, che appare  realizzare,  sotto  questo
profilo,  una  ulteriore  palese   violazione   dell'art.   3   della
Costituzione,  in  un  ordinamento  che  vuole  centrali  i   diritti
inviolabili della persona - e quindi quanto  meno  gli  stessi  sullo
stesso piano di quelli della collettivita' e dello Stato - ma finisce
invece per violare tale condizione di pari importanza  per  assegnare
prevalenza all'interesse alla repressione dei reati; 
        d) l'interpretazione di cui si contesta la costituzionalita',
inoltre, viola l'art. 3 della Costituzione anche perche',  del  tutto
irrazionalmente, convive con quella che riconosce l'inutilizzabilita'
di prove che la legge vieta  gia'  solo  in  virtu'  della  loro  non
verificabilita' (scritti anonimi, fonti confidenziali),  ed  altresi'
la nega a  prove  acquisite  in  diretta  violazione  di  un  divieto
scaturente dalla legge (anche costituzionale)  e  che,  comunque,  si
caratterizzano anch'esse per una ridotta  verificabilita':  si  pensi
appunto a come l'insondabilita' degli elementi che hanno spinto la pg
alla perquisizione  non  consenta  di  verificare  la  genuinita'  ed
affidabilita' della "catena indiziaria" e di  escludere  che  possano
essere stati proprio i terzi autori della propalazione  confidenziale
o anonima, o addirittura -  come  talora  e'  purtroppo  accaduto  le
stesse forze  di  polizia,  ad  introdurre  nell'abitazione  la  «res
illicita» costituente supposta prova del reato; cosi' evidenziandosi,
sotto  tale  profilo,  anche  un  contrasto  con  l'art.   24   della
Costituzione, per l'evidente limite che la tesi  dell'utilizzabilita'
pone all'esplicazione del diritto di difesa, introducendo nell'ambito
delle prove utilizzabili elementi di cui  sia  di  fatto  impossibile
verificare approfonditamente la genuinita'. 
    L'interpretazione consolidatasi si pone infine in  contrasto  con
l'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, e quindi in
contrasto con l'art. 117 della Costituzione  che  impone  allo  Stato
italiano il rispetto delle Convenzioni internazionali, in  quanto  si
risolve nel non adottare efficaci disencentivi agli abusi delle forze
di polizia, e  di  qualsiasi  organo  dello  Stato  in  genere,  che,
limitando  la  liberta'  della  persona,  si  risolvano  in  indebite
interferenze  nella  sua  vita  privata  o  nel  suo  domicilio,  non
giustificate da oggettive esigenze di prevenzione o  repressione  dei
reati; e sull'importanza internazionale del rispetto di tali  diritti
fondamentali, ai sensi dell'art. B della CEDU, si  richiama  la  gia'
menzionata sentenza 16 marzo 2017, Modestou c.  Grecia,  della  Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo nonche', come  si  era  anticipato,  la
piu' recente sentenza emessa in data 27 settembre  2018  dalla  Prima
Sezione CEDU nel caso BRAZZI contro ITALIA. 
    Con tale  ultima  sentenza,  in  particolare,  la  Corte  EDU  ha
osservato che  la  Convenzione  EDU  impone  che,  nell'ambito  delle
perquisizioni  «il  diritto  interno  offra   garanzie   adeguate   e
sufficienti contro l'abuso e l'arbitrarieta' (ricino, sopra citata, §
40, e  Gutsanovi  c.  Bulgaria,  n.  34529/10,  §  220,  CEDU  2013»,
garantendo "«controllo effettivo» delle misure contrarie all'articolo
8 della Convenzione (Lambert  c.  Francia,  24  agosto  1998,  §  34,
Recueil des arrets et decisions  1998-V)",  pur  osservando  che  «il
fatto che una richiesta di mandato sia stata oggetto di un  controllo
giurisdizionale, non costituisce necessariamente,  di  per  se',  una
garanzia sufficiente contro gli abusi», di talche' la  Corte  EDU  ha
ritenuto essenziale "esaminare le circostanze particolari del caso di
specie e valutare se il quadro giuridico  e  i  limiti  applicati  ai
poteri esercitati costituissero una  protezione  adeguata  contro  il
rischio di ingerenze  arbitrarie  delle  autorita'  (K.S  e  M.S.  c.
Germania, n. 33696/11, § 45, 6 ottobre 2016)». 
    Sulla base di tali premesse concettuali, la Corte EDU giungeva  a
ritenere che, allorche'  (come  e'  nel  caso  oggetto  del  presente
processo) la perquisizione venga ordinata dalla Procura in  una  fase
precoce del procedimento penale (si noti che la  fonte  confidenziale
risulta essere l'unico elemento  che  la  polizia  giudiziaria  abbia
avuto a propria disposizione), il rispetto  dell'art.  8  della  CEDU
comporta "che  una  perquisizione  effettuata  in  questa  fase  deve
offrire garanzie adeguate e sufficienti per evitare che  venga  usata
per  fornire  alle  autorita'  incaricate   dell'inchiesta   elementi
compromettenti su persone non ancora identificate come sospettate  di
aver commesso un reato (Modestou c. Grecia, n.  51693/13,  §  44,  16
marzo 2017). 
    In tale ordine di idee, la Corte EDU e'  pervenuta  ad  affermare
che lo stesso Pubblico  ministero  dovrebbe  richiedere,  nelle  fasi
iniziali delle indagini, in  cui  non  vi  sia  materiale  indiziario
acquisito, un'autorizzazione ad un  Giudice  prima  di  ordinare  una
perquisizione, o quanto  meno  l'ordinamento  dovrebbe  garantire  la
possibilita' di un controllo post factum, in ordine alla legittimita'
della  perquisizione;  rilevato  che   l'ordinamento   italiano   non
prevedeva l'autonoma impugnabilita' del decreto di  perquisizione  in
quanto tale (e che, nel concreto, non essendo stato  rinvenuto  alcun
elemento di prova ed adottato alcun provvedimento di sequestro,  tale
controllo non era stato neanche possibile per via mediata  attraverso
il riesame di tale genere  di  provvedimento),  la  Corte  ha  quindi
ritenuto  esservi  stata  una  violazione  dei  diritti  della  parte
istante. 
    Proseguiva poi la Corte osservando che «l'assenza di un controllo
giurisdizionale ex ante puo' essere compensata dalla realizzazione di
un controllo giurisdizionale ex post facto della legittimita' e della
necessita' della misura», rammentando, a  tal  proposito,  "di  avere
ammesso  che,  in  alcune  circostanze,  il  controllo  della  misura
contraria all'articolo 8 effettuato dai giudici penali  fornisce  una
riparazione adeguata per l'interessato, dal momento  che  il  giudice
procede  a  un  controllo  effettivo  della  legittimita'   e   della
necessita' della  misura  contestata  e,  se  del  caso  esclude  dal
processo penale gli elementi di prova raccolti (Panarisi  c.  Italia,
n. 46794/99, §§ 76 e  77,  10  aprile  2007,  Uzun  c.  Germania,  n.
35623/05, §§ 71 e 72,  CEDU  2010  (estratti),  e  Trabajo  Rueda  c.
Spagna, n. 32600/12, §  37,  30  maggio  2017).....omissis  paragrafi
46-51 ...52. Vi e' stata  dunque  violazione  dell'articolo  8  della
Convenzione. 
    La lettura della sentenza permette quindi di rilevare che,  nella
giurisprudenza della Corte EDU: 
        a)  la  perquisizione  costituisce  un'ingerenza  nella  vita
privata e nella liberta' domiciliare della persona; 
        b) tale ingerenza e' legittima  solo  se  giustificata  dalla
ricorrenza di preesistenti  elementi  indiziari  o  di  sospetto  che
indichino, nel destinatario della perquisizione, l'autore di un reato
le  cui  tracce  possano  essere  reperite   mediante   perquisizione
domiciliare; 
        c) l'ordinamento interno deve assicurare validi ed  effettivi
strumenti di controllo che garantiscano almeno una verifica  ex  post
in ordine alla effettiva  ricorrenza  delle  condizioni  legittimanti
l'ingerenza suddetta; 
        d) tra tali strumenti di controllo ex  post,  ove  altri  non
siano stati attivabili od abbiano concretamente operato, deve  essere
ricompresa l'esclusione degli esiti della perquisizione dal materiale
probatorio utilizzabile. 
    Ne consegue che: 
        1) se il Pubblico ministero rilascia un'autorizzazione orale,
o emette un decreto di convalida privo di effettiva motivazione, tali
atti, non costituendo cio' garanzia dell'effettivo  esercizio  di  un
potere di controllo circa la ricorrenza dei presupposti  legittimanti
la perquisizione, non valgono a renderla legittima; 
        2) le fonti  confidenziali,  in  quanto  non  verificabili  e
quindi insuscettibili  di  controllo  ex  ante,  non  possono  essere
utilizzate per disporre perquisizioni; 
        3) laddove una perquisizione sia stata eseguita in virtu'  di
elementi non verificabili o insufficienti a giustificarla, il giudice
penale  debba  escludere  dal   novero   degli   elementi   probatori
utilizzabili quelli acquisiti mediante la suddetta perquisizione. 
    Pertanto, anche alla luce dei principi di cui  all'art.  8  CEDU,
«costituzionalizzati» per il tramite della disposizione dell'art. 117
della  Costituzione,  la   perquisizione   eseguita   dalla   polizia
giudiziaria fuori dei casi di flagranza, senza nemmeno  aver  chiesto
l'autorizzazione orale del Pubblico ministero,  senza  che  vi  fosse
impedimento a chiederla,  ed  in  virtu'  di  un  «fondato  sospetto»
fondato su elementi non esplicitati e verosimilmente  consistenti  in
fonti  confidenziali  o  anonime  ed   in   assenza,   peraltro,   di
provvedimento  di  convalida   dotato   di   effettiva   e   concreta
motivazione, non  era  consentita,  e  gli  esiti  dovrebbero  essere
ritenuti inutilizzabili; la lettura dell'art. 191 codice di procedura
penale  offerta  dal  diritto  vivente,  come  cristallizzato   nelle
sentenze   gia'   richiamate,   lo   esclude,   e   cio'   la   rende
incostituzionale. 
    A parere di  questo  giudicante,  la  conseguenza  della  dedotta
incostituzionalita' e' anche il divieto di relazione e testimonianza,
per gli operatori di polizia  giudiziaria,  in  ordine  al  risultato
delle attivita' di ispezione, perquisizione e sequestro indebitamente
eseguite; tale divieto, invero, appare  conseguire  alla  perdita  di
ogni  efficacia  di  tali  attivita';  ammettere  tali   deposizioni,
peraltro,  equivarrebbe  a  vanificare  tale  divieto  e   la   ratio
sottostante ai divieti di utilizzabilita' di cui all'art. 191  codice
di procedura penale. 
    Questo giudicante e' chiamato a decidere se accogliere o meno  la
richiesta  di  convalida  dell'arresto  e  di  emissione  di   misura
cautelare, nonche' ammettere il conseguente rito direttissimo (di cui
la legittimita' dell'arresto e  la  sua  conseguente  convalida  sono
presupposto di ammissibilita':  cfr.  art.  449  comma  2  codice  di
procedura penale); e tale decisione puo'  fondarsi  unicamente  sugli
esiti della  perquisizione  illegittima,  che  costituiscono  l'unico
materiale   probatorio    a    disposizione;    le    questioni    di
costituzionalita' relative all'utilizzabilita' di tale materiale sono
quindi assolutamente rilevanti nel presente giudizio, ed impongono la
sospensione del processo e la rimessione della questione  alla  Corte
costituzionale. 
    Poiche' non e' possibile mantenere la limitazione della  liberta'
personale dell'imputato in forza  di  norme  della  cui  legittimita'
costituzionale si dubita fortemente, ed in ogni caso  la  sospensione
del presente processo non ha effetti  sulla  decorrenza  del  termine
complessivo  di  96  ore  previsto  dall'art.  13   comma   3   della
Costituzione  per  la  convalida,   e   la   perdita   di   efficacia
dell'arresto, l'imputato va immediatamente rimesso in liberta'. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 1 legge costituzionale n. 1/1948, e  23  della
legge n. 87/1953, 
    Dichiara d'ufficio rilevante e non  manifestamente  infondata  la
questione di illegittimita' costituzionale dell'art.  191  codice  di
procedura penale, per contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 14, 24, 97
commi 3 e 117 della Costituzione (quanto a  quest'ultima  norma,  con
riferimento ai principi di cui all'art. 8 della  Convenzione  Europea
dei Diritti dell'Uomo),  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  la
sanzione dell'inutilizzabilita' ai fini della  prova  riguardi  anche
gli esiti probatori - ivi compreso, oltre  alla  relazione  personale
tra persona e corpo del reato o cosa pertinente al  reato,  anche  il
sequestro del corpo del reato o delle  cose  pertinenti  al  reato  -
degli atti di perquisizione  ed  ispezione  domiciliare  e  personale
compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi  in  cui  la  legge
costituzionale  e  quella  ordinaria  le  attribuiscono  il  relativo
potere, ed in particolare allorche', fuori del caso di  flagranza  di
reato, si sia proceduto a perquisizione ai sensi  dell'art.  103  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990: 
        a) senza aver chiesto la previa autorizzazione, anche  orale,
del  Pubblico  ministero,  e  senza   che   risulti   esservi   stata
impossibilita' di farlo; 
        b)  nel   caso   in   cui   il   Pubblico   ministero   abbia
successivamente   convalidato   la   perquisizione   senza   motivare
concretamente  in  ordine  a  quali  fossero  gli  elementi  la   cui
ricorrenza  integrasse  le  valide  ragioni  che  legittimassero   la
perquisizione; 
    Ordina la notificazione della  presente  ordinanza  al  difensore
dell'imputato, all'imputato, al Pubblico ministero, ed al  Presidente
del Consiglio dei Ministri, e la sua comunicazione ai Presidenti  dei
due rami del Parlamento; 
    Dispone la successiva trasmissione della presente ordinanza e di'
copia  degli   atti   del   procedimento,   unitamente   alla   prova
dell'esecuzione delle notificazioni e  delle  comunicazioni  previste
dalla  legge,  alla  Corte  costituzionale  per  la  decisione  della
questione di costituzionalita' cosi' sollevata; 
    Sospende  il  procedimento  sino  alla  decisione   della   Corte
costituzionale ed 
    Ordina l'immediata liberazione dell'imputato. 
 
        Lecce, 20 settembre 2019 
 
                         Il Giudice: Sernia