N. 74 SENTENZA 7 - 24 aprile 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario -  Misure  alternative  alla  detenzione  -
  Semiliberta'   "surrogatoria"   dell'affidamento   in    prova    -
  Applicazione provvisoria,  in  quanto  compatibile,  da  parte  del
  magistrato  di  sorveglianza  in  caso  di  pena  detentiva,  anche
  residua, non  superiore  a  quattro  anni  -  Omessa  previsione  -
  Violazione dei principi di uguaglianza e di  finalita'  rieducativa
  della pena - Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 50, comma 6. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma. 
(GU n.18 del 29-4-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Augusto Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  50,  comma
6, della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), promosso dal Magistrato di sorveglianza di Avellino,
nel procedimento di  sorveglianza  nei  confronti  di  C.  D.F.,  con
ordinanza del  12  marzo  2019,  iscritta  al  n.  134  del  registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 38, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito il Giudice  relatore  Francesco  Vigano'  nella  camera  di
consiglio del 6 aprile  2020,  svolta  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 24 marzo 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  ordinanza  del  12  marzo  2019,   il   Magistrato   di
sorveglianza di Avellino ha sollevato, in riferimento agli  artt.  3,
primo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 50, comma 6, della legge  26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta'),
«nella parte in cui prevede che il Magistrato  di  sorveglianza  puo'
applicare in via provvisoria la semiliberta' solo  in  caso  di  pena
detentiva non superiore a sei mesi». 
    1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito dell'istanza
di un detenuto, volta a ottenere l'applicazione, in via provvisoria e
urgente,  dell'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  o,   in
subordine, della semiliberta';  istanza  a  corredo  della  quale  e'
allegato un attestato di offerta di lavoro. 
    L'istante e' detenuto per l'espiazione di una pena complessiva di
sei anni e cinque mesi di reclusione, risultante dal cumulo di quelle
inflitte con tre  sentenze  di  condanna;  pena  che  dovrebbe  avere
termine - tenuto conto del periodo di liberazione anticipata maturata
- il 30 agosto 2021. 
    Dal rapporto informativo  della  casa  circondariale  emerge  che
l'interessato ha tenuto una condotta «esente  da  rilievi  di  natura
disciplinare, e partecipe delle  varie  opportunita'  trattamentali».
Egli ha gia' fruito di tre permessi premio ed e'  stato  recentemente
ammesso al lavoro all'esterno della struttura penitenziaria. 
    Ad avviso del giudice a quo, tali elementi positivi non sarebbero
ancora sufficienti per la concessione, in via provvisoria e  urgente,
di una misura che interrompe completamente il contatto quotidiano con
il carcere, quale l'affidamento in prova al servizio  sociale.  Cio',
tenuto conto, per un verso,  della  natura  dei  reati  per  i  quali
l'istante ha  riportato  condanna  (spaccio  continuato  di  sostanze
stupefacenti, ricettazione e bancarotta fraudolenta), sintomatici  di
una non  irrilevante  capacita'  a  delinquere  e  della  «verosimile
contiguita' del condannato con ambienti  delinquenziali»;  per  altro
verso, del fatto che la sperimentazione  della  condotta  all'esterno
del  carcere  «e'  iniziata  soltanto  da  poco»:   circostanze   che
renderebbero necessario «un ulteriore congruo periodo di osservazione
e di sperimentazione», anche attraverso la concessione prodromica  di
benefici «piu' contenuti». Come ripetutamente affermato  dalla  Corte
di  cassazione,  infatti,  il  criterio   della   gradualita'   nella
concessione dei benefici penitenziari, pur non costituendo una regola
assoluta,  risponde  a  un  razionale  apprezzamento  delle  esigenze
rieducative e di prevenzione cui e' ispirato il principio stesso  del
trattamento penitenziario, e cio' soprattutto  quando  -  come  nella
specie  -  i  reati  commessi  appaiano  sintomatici  di  una   certa
pericolosita' sociale. 
    Proprio  in  questa  logica,  sussisterebbero,   di   contro,   i
presupposti  per  la  concessione  della   semiliberta',   la   quale
consentirebbe al detenuto di non perdere un'opportunita'  di  lavoro,
atta a supportare il suo processo di reinserimento sociale. 
    L'accoglimento della  relativa  istanza  risulterebbe,  tuttavia,
precluso dal fatto che il condannato, pur avendo espiato  piu'  della
meta' della pena, deve ancora scontare  una  pena  detentiva  residua
superiore a sei mesi: limite entro il quale soltanto,  in  forza  del
combinato disposto degli artt. 50, commi 1 e 6, e 47, comma 4, ordin.
penit.,  la  misura  in  questione  puo'  essere  applicata  in   via
provvisoria e urgente dal magistrato di sorveglianza. 
    L'art.  50,  comma  1,  ordin.  penit.  prevede,   infatti,   che
«[p]ossono  essere  espiate  in  regime  di  semiliberta'   la   pena
dell'arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi,  se
il condannato non e' affidato  in  prova  al  servizio  sociale».  Il
successivo comma 6 stabilisce, poi,  che  «[n]ei  casi  previsti  dal
comma 1, se il  condannato  ha  dimostrato  la  propria  volonta'  di
reinserimento  nella  vita  sociale,  la  semiliberta'  puo'   essere
altresi' disposta successivamente  all'inizio  dell'esecuzione  della
pena», richiamando, al riguardo,  nei  limiti  della  compatibilita',
l'art. 47, comma 4, ordin. penit., in tema di affidamento in prova al
servizio sociale. Tale ultima disposizione - dopo aver  previsto  che
l'istanza di concessione della misura e'  proposta  al  tribunale  di
sorveglianza  competente  in  relazione  al  luogo  di  esecuzione  -
soggiunge che, «[q]uando  sussiste  un  grave  pregiudizio  derivante
dalla protrazione dello stato di detenzione,  l'istanza  puo'  essere
proposta al magistrato di sorveglianza  competente  in  relazione  al
luogo  di  detenzione»,  il  quale,  ove  siano   «offerte   concrete
indicazioni  in  ordine  alla   sussistenza   dei   presupposti   per
l'ammissione  all'affidamento  in  prova  e  al   grave   pregiudizio
derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e  non  vi  sia
pericolo  di  fuga,  dispone  la   liberazione   del   condannato   e
l'applicazione provvisoria dell'affidamento in prova con ordinanza». 
    1.2.- Il giudice  a  quo  dubita,  tuttavia,  della  legittimita'
costituzionale della limitazione in discorso. 
    Alla luce di quanto stabilito dal comma 3-bis dell'art. 47 ordin.
penit., il magistrato di sorveglianza puo', infatti, applicare in via
provvisoria l'affidamento in prova al servizio sociale in relazione a
pene, anche residue, fino a quattro anni: limite largamente superiore
a quello di sei mesi, entro il  quale  soltanto  -  per  il  richiamo
dell'art. 50, comma 6, ordin. penit. al comma 1 del medesimo articolo
- e' consentita la concessione provvisoria della semiliberta'. 
    La norma censurata porrebbe, dunque, per  l'accesso  alla  misura
«piu' contenuta» tramite provvedimento dell'organo  monocratico,  una
condizione piu' restrittiva di  quella  prevista  per  l'applicazione
della misura piu' ampia. 
    Un  simile  assetto  si  rivelerebbe  lesivo  del  principio   di
eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.) e della funzione rieducativa
della pena (art. 27, primo e terzo comma, Cost.). 
    Il rimettente richiama,  al  riguardo,  l'ordinanza  della  prima
sezione penale della Corte di cassazione 18 febbraio-1°  marzo  2019,
n. 9126, che ha sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 47-ter, comma 1-bis, ordin.  penit.,  nella  parte  in  cui
esclude che  la  detenzione  domiciliare  ordinaria  si  applichi  ai
condannati per i reati di cui all'art.  4-bis  ordin.  penit.:  cio',
sebbene tali condannati possano  essere  ammessi  all'affidamento  in
prova al servizio sociale. Nell'ordinanza si evoca  il  principio  di
gradualita' del trattamento  penitenziario  onde  porre  in  evidenza
l'incongruenza di un simile regime, che  inibisce  al  condannato  di
accedere alla  detenzione  domiciliare,  pur  trattandosi  di  misura
maggiormente   contenitiva,   e   percio'   maggiormente   idonea   a
fronteggiare la pericolosita' residua,  rispetto  all'affidamento  in
prova, del quale il medesimo condannato potrebbe invece fruire. 
    Un ragionamento analogo potrebbe essere svolto, e  a  piu'  forte
ragione - secondo il giudice a quo  -  con  riguardo  all'ipotesi  in
esame. 
    Si  dovrebbe,  infatti,  considerare   che,   «nella   stragrande
maggioranza dei casi», la semiliberta' rappresenta, «in una ipotetica
piramide», il gradino immediatamente sottostante  all'affidamento  in
prova, che e' posto al vertice; che spesso le offerte  di  lavoro  in
relazione alle quali e' formulata l'istanza di semiliberta' hanno una
validita'  limitata  nel  tempo,  donde  l'esigenza  di  ottenere  un
provvedimento favorevole in tempi piu' brevi di quelli richiesti  per
la decisione dell'organo collegiale; e, ancora, che la  semiliberta',
essendo collegata allo svolgimento di una attivita' lavorativa,  puo'
avere   una   efficacia   rieducativa   maggiore   della   detenzione
domiciliare,  che  e'  una  misura  «piu'  contenitiva  ma  passiva».
Ampliare il limite di pena che  consente  di  proporre  l'istanza  di
semiliberta' al magistrato di sorveglianza comporterebbe, dunque, una
accelerazione del percorso rieducativo, permettendo al condannato  di
sperimentare la misura in questione  gia'  nel  periodo  che  precede
l'udienza davanti al tribunale di sorveglianza e,  in  tal  modo,  di
aspirare - ove abbia dato prova di affidabilita' -  alla  concessione
della misura piu' ampia proprio da parte dell'organo collegiale. 
    Di contro, la disciplina censurata impone al condannato che abbia
gia' dato prova della «volonta' di  recupero»  ed  espiato  la  meta'
della pena (o i due terzi, ove si tratti di condannato per taluno dei
reati di cui all'art. 4-bis  ordin.  penit.),  ma  con  pena  residua
superiore a sei mesi, di attendere  i  tempi  per  la  decisione  del
tribunale, con il rischio di perdere  l'opportunita'  lavorativa  che
gli era stata offerta. 
    Cio' comporterebbe non solo una «sostanziale mortificazione»  del
principio  di  gradualita',  strettamente  collegato  alla   funzione
rieducativa della  pena,  ma  anche  una  disparita'  di  trattamento
rispetto  ai  condannati  liberi  che  fruiscono  della   sospensione
dell'esecuzione della pena ai  sensi  dell'art.  656,  comma  5,  del
codice di procedura  penale.  Questi  ultimi,  infatti,  ove  debbano
espiare una pena, anche residua, superiore a sei mesi ma inferiore  a
quattro anni, possono accedere alla semiliberta', in forza  dell'art.
50, comma 2, ordin. penit. (che riguarda appunto le pene superiori  a
sei mesi),  anche  prima  dell'espiazione  della  meta'  della  pena,
laddove il tribunale  ritenga  insussistenti  i  presupposti  per  la
concessione dell'affidamento in prova. 
    Il  trattamento  di  gran  lunga  piu'  favorevole  riservato  ai
condannati liberi potrebbe essere giustificato «solo in parte» con la
presunzione di minore pericolosita'  derivante  dalla  condizione  di
liberta'. Le presunzioni assolute risultano,  infatti,  incompatibili
con   i   principi   di   individualizzazione,   proporzionalita'   e
umanizzazione della pena: nulla esclude che un  condannato  detenuto,
proprio perche' ha affrontato un percorso rieducativo all'interno del
carcere, abbia raggiunto  un  livello  di  rieducazione  superiore  a
quello del condannato in regime di sospensione dell'esecuzione  della
pena. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  le  questioni  siano   dichiarate   inammissibili   o
infondate. 
    L'Avvocatura generale dello Stato rileva come il  giudice  a  quo
chieda a questa Corte di intervenire sulla scelta  discrezionale  del
legislatore  di  differenziare   il   regime   di   ammissione   alla
semiliberta' secondo l'entita' della pena  da  scontare,  consentendo
l'applicazione provvisoria del beneficio solo a  fronte  di  pene  di
durata non superiore  a  sei  mesi.  Tale  intervento  implicherebbe,
tuttavia, scelte politiche riservate al legislatore,  in  assenza  di
una   soluzione   costituzionalmente   obbligata:   circostanza   che
renderebbe inammissibili le questioni. 
    Le censure del rimettente sarebbero, in ogni caso, infondate.  La
previsione normativa contestata si  giustificherebbe,  infatti,  alla
luce dell'esigenza di favorire l'accesso alla semiliberta'  nei  casi
in cui la pena detentiva da espiare risulti di durata contenuta.  Non
irragionevolmente tale ipotesi e' stata differenziata da quella nella
quale  la  pena  superi  i  sei  mesi,   relativamente   alla   quale
l'ammissione  al  beneficio  potra'  essere  comunque  richiesta   al
tribunale di sorveglianza,  in  presenza  delle  condizioni  indicate
dall'art. 50, comma 2, ordin. penit. 
    Insussistente si paleserebbe,  per  altro  verso,  la  denunciata
disparita' di trattamento tra i condannati detenuti  e  i  condannati
liberi che fruiscano della sospensione dell'esecuzione della pena  ai
sensi dell'art. 656, comma  5,  cod.  proc.  pen.,  i  quali  possono
chiedere al tribunale di sorveglianza di accedere  alla  semiliberta'
anche  prima  dell'espiazione  della  meta'   della   pena.   Analoga
previsione e' contenuta,  infatti,  nell'art.  50,  comma  2,  ordin.
penit.,  con  riguardo  ai  condannati  detenuti  che  versino  nelle
condizioni previste da tale disposizione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Avellino  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 50, comma  6,  della  legge  26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), nella
parte in cui prevede che il magistrato di sorveglianza puo' applicare
in via provvisoria la semiliberta' solo nel caso  di  pena  detentiva
non superiore a sei mesi. 
    Ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe l'art. 3,
primo comma, della Costituzione, per contrasto con  il  principio  di
eguaglianza. In antitesi con il criterio di gradualita'  nell'accesso
ai benefici penitenziari, essa prevede, infatti, per l'ammissione  in
via provvisoria alla semiliberta', una limitazione piu' stringente di
quella valevole per la piu' ampia misura dell'affidamento in prova al
servizio sociale, la quale puo' essere applicata provvisoriamente dal
magistrato di sorveglianza, ai sensi dell'art. 47,  comma  4,  ordin.
penit., in rapporto a pene detentive da espiare, anche residue,  fino
a quattro anni. 
    Ne seguirebbe anche una irragionevole disparita'  di  trattamento
tra i condannati detenuti e i condannati liberi che beneficino  della
sospensione dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 656,  comma
5, del codice di procedura penale, i quali, ove debbano  espiare  una
pena detentiva superiore a sei mesi ma non a  quattro  anni,  possono
accedere alla semiliberta' anche prima dell'espiazione di meta' della
pena. 
    La norma censurata violerebbe, inoltre, l'art. 27, primo e  terzo
comma, Cost., compromettendo la funzione rieducativa della pena, alla
cui realizzazione e' preordinata la  progressivita'  del  trattamento
penitenziario.  Il  condannato,  che  pure  abbia  dato  prova  della
«volonta' di recupero» e scontato la meta' della pena, ma  che  debba
ancora espiare una  pena  superiore  a  sei  mesi,  dovrebbe  infatti
attendere, per l'accesso alla semiliberta', i tempi occorrenti per la
decisione del tribunale di sorveglianza, con il rischio di perdere le
opportunita' di lavoro addotte a sostegno dell'istanza e senza  poter
sperimentare, altresi', nelle more, la  misura  richiesta,  anche  in
vista della concessione della piu' ampia misura  dell'affidamento  in
prova al servizio sociale da parte dello stesso organo collegiale. 
    2.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   eccepito
l'inammissibilita'  delle  questioni,  assumendo  che  il  rimettente
avrebbe chiesto a questa Corte un intervento sostitutivo che  implica
scelte  politiche  riservate  al  legislatore,  in  assenza  di   una
soluzione costituzionalmente obbligata. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il giudice a quo formula, in effetti, all'apparenza,  un  petitum
meramente ablativo del limite dei sei mesi  di  pena  detentiva,  che
circoscrive,  in  base  alla  norma  censurata,  la  possibilita'  di
applicazione provvisoria della  semiliberta'  con  provvedimento  del
magistrato  di  sorveglianza.  In  fatto,  pero',  cio'  di  cui   il
rimettente si duole e' la difformita'  per  difetto  di  tale  limite
rispetto  a  quello  valevole   tanto   ai   fini   dell'applicazione
provvisoria dell'affidamento in prova al servizio sociale, quanto  ai
fini della sospensione dell'esecuzione della pena nei  confronti  del
condannato libero: limite pari a quattro anni (anche come residuo  di
maggior pena), in virtu', rispettivamente, dell'art. 47, commi  3-bis
e 4, ordin. penit. e dell'art. 656, comma 5, cod. proc.  pen.,  quale
risultante a seguito della sentenza di questa Corte n. 41 del 2018. 
    A prescindere da ogni altro rilievo,  la  rimozione  dei  vulnera
costituzionali  non  implica,  dunque,  alcuna  scelta  discrezionale
nell'ambito di un ventaglio di  possibili  alternative.  I  contenuti
della pronuncia volta a ripristinare la legalita'  costituzionale  in
assunto violata restano, al contrario, puntualmente  tracciati  dalle
coordinate del sistema vigente, e segnatamente dalla disciplina delle
ipotesi evocate come tertia  comparationis:  disciplina  alla  quale,
nella logica del giudice  a  quo,  andrebbe  allineata  quella  della
fattispecie in discussione. 
    3.- Nel merito, le questioni sono fondate in riferimento all'art.
3 Cost., nei termini di seguito specificati. 
    I  dubbi  di  costituzionalita'  prospettati  dal  Magistrato  di
sorveglianza di Avellino attengono  alla  procedura  di  applicazione
della semiliberta', che, come e' noto, e' la misura alternativa  alla
detenzione che consente al condannato e all'internato «di trascorrere
parte del giorno fuori dell'istituto  per  partecipare  ad  attivita'
lavorative, istruttive o comunque  utili  al  reinserimento  sociale»
(art. 48, comma 1, ordin. penit.). 
    Di la' da tale comune profilo contenutistico, la misura si scinde
al suo interno - secondo una corrente ricostruzione - in  tre  figure
distinte per presupposti e funzioni:  la  semiliberta'  per  le  pene
dell'arresto e della detenzione non superiore a sei mesi, finalizzata
precipuamente  a   limitare   gli   effetti   desocializzanti   della
carcerazione di breve durata (art. 50, comma 1,  ordin.  penit.);  la
semiliberta' per pene medio-lunghe, cui possono accedere, in base  ai
progressi compiuti nel corso del trattamento e in vista del  graduale
reinserimento nella societa' (art. 50, comma  4,  ordin.  penit.),  i
condannati che abbiano espiato almeno la meta' della pena  (o  i  due
terzi, quanto ai condannati per taluno dei delitti  di  cui  all'art.
4-bis, ordin.  penit.),  indipendentemente  dall'entita'  della  pena
residua (art. 50, comma 2, primo periodo, ordin. penit.); infine,  la
semiliberta' cosiddetta "surrogatoria" dell'affidamento in  prova  al
servizio sociale. Tale ultima figura e' stata affiancata alle altre -
delineate gia' ab origine dalla legge sull'ordinamento  penitenziario
-  dalla  legge  10  ottobre  1986,  n.  663  (Modifiche  alla  legge
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'), al fine di realizzare un piu'
razionale coordinamento tra le misure alternative in questione, nella
logica  della  progressione  nel  trattamento.  Ne   sono,   infatti,
destinatari i condannati che debbano espiare una pena rientrante  nel
limite di fruibilita' dell'affidamento in prova - ossia, attualmente,
una pena detentiva, anche residua, non superiore a quattro anni (art.
47, comma 3-bis, ordin. penit.) - ma  che,  in  concreto,  non  siano
ritenuti ancora meritevoli del beneficio piu' ampio:  nel  qual  caso
possono essere ammessi alla misura piu' contenuta della semiliberta',
ancorche' non abbiano ancora espiato la meta' della  pena  (art.  50,
comma 2, terzo periodo, ordin. penit.). 
    4.- Le censure del rimettente si focalizzano  sulla  disposizione
del comma 6 dell'art. 50 ordin.  penit.,  il  cui  testo  vigente  e'
frutto della novellazione operata dall'art. 5, comma 1,  lettera  b),
della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche  all'articolo  656  del
codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975,  n.  354,  e
successive modificazioni). 
    La norma censurata stabilisce, al primo periodo, che «[n]ei  casi
previsti dal comma 1» dello stesso art. 50 ordin.  penit.  -  vale  a
dire, con riguardo alla semiliberta' per pene detentive brevi  -  «se
il condannato ha dimostrato  la  propria  volonta'  di  reinserimento
nella vita sociale, la semiliberta'  puo'  essere  altresi'  disposta
successivamente all'inizio dell'esecuzione della pena». Di  consueto,
infatti, a tale forma di semiliberta' si accede senza  un  preventivo
passaggio attraverso l'istituto  penitenziario,  grazie  al  generale
meccanismo introdotto dalla stessa legge n. 165 del 1998 con il nuovo
art. 656, comma  5,  cod.  proc.  pen.:  meccanismo  che  implica  la
sospensione ex  officio  dell'esecuzione  della  pena  detentiva  non
superiore a tre anni (elevati a  quattro  dalla  sentenza  di  questa
Corte n. 41 del  2018),  al  fine  di  consentire  al  condannato  di
chiedere, nel termine di trenta giorni,  l'ammissione  a  una  misura
alternativa dallo stato di liberta'. Il censurato art. 50,  comma  6,
ordin. penit. si indirizza, dunque, ai  condannati  che  non  abbiano
saputo  o  potuto  (eventualmente,  per  l'esistenza  di  una   delle
condizioni ostative indicate nel comma 9  dell'art.  656  cod.  proc.
pen.) avvalersi di tale possibilita'. 
    Riguardo, poi, alle modalita' di applicazione della  semiliberta'
per pene non superiori a sei mesi al condannato  detenuto,  la  norma
denunciata  richiama,  al   secondo   periodo,   nei   limiti   della
compatibilita',  l'art.  47,  comma  4,   ordin.   penit.,   relativo
all'affidamento in prova al servizio sociale. 
    Il richiamato art. 47, comma 4, ordin. penit. era stato anch'esso
oggetto di riscrittura ad opera della legge  n.  165  del  1998,  nel
senso di prevedere che, dopo  l'inizio  dell'esecuzione  della  pena,
l'istanza  di  affidamento  in  prova  dovesse  essere  proposta   al
magistrato di  sorveglianza  competente  in  relazione  al  luogo  di
esecuzione, il quale poteva  sospendere  l'esecuzione  della  pena  e
ordinare la liberazione del condannato, ove fossero «offerte concrete
indicazioni  in  ordine  alla   sussistenza   dei   presupposti   per
l'ammissione  all'affidamento  in  prova  e  al   grave   pregiudizio
derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e  non  vi  sia
pericolo di  fuga»:  sospensione  che  rimaneva  operante  sino  alla
decisione del tribunale di sorveglianza. 
    Si trattava di una disciplina anomala,  in  quanto  annetteva  al
provvedimento "cautelare" del magistrato di sorveglianza un contenuto
piu' ampio (la completa liberta') rispetto a quello  della  pronuncia
conclusiva  del  tribunale  di  sorveglianza   (rispettivamente,   la
liberazione sottoposta a prescrizioni, nel caso  dell'affidamento  in
prova, e la possibilita' di trascorrere parte  della  giornata  fuori
dell'istituto, nel caso della semiliberta' per pene detentive brevi).
Anomalia  che,  pur  tuttavia,  questa  Corte  aveva   ritenuto   non
risolversi in vizio di illegittimita'  costituzionale  (ordinanze  n.
446 del 2008 e n. 375 del 1999). 
    A rimuovere l'anomalia ha peraltro provveduto l'art. 3, comma  1,
lettera d), del  decreto-legge  23  dicembre  2013,  n.  146  (Misure
urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e  di
riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito,  con
modificazioni, in legge 21 febbraio 2014, n. 10.  Sostituendo  l'art.
47, comma 4, ordin. penit., la novella ha, infatti,  riconosciuto  al
magistrato di sorveglianza il potere di disporre,  nelle  more  della
pronuncia del tribunale di  sorveglianza,  non  piu'  la  sospensione
dell'esecuzione  della  pena,  ma  l'applicazione  provvisoria  della
misura. 
    Il  citato  art.  47,  comma  4,  ordin.  penit.  stabilisce,  in
particolare, nel testo attuale, che l'istanza di  applicazione  della
misura  va  proposta  al  tribunale  di  sorveglianza  competente  in
relazione al luogo di esecuzione, consentendo, tuttavia, di  proporla
al magistrato di sorveglianza competente  in  relazione  al  medesimo
luogo  «[q]uando  sussiste  un  grave  pregiudizio  derivante   dalla
protrazione dello stato di detenzione». Il magistrato di sorveglianza
- alle stesse condizioni gia' previste  in  precedenza  (ove,  cioe',
siano offerte «concrete  indicazioni»  in  ordine  all'esistenza  dei
presupposti per l'affidamento in prova e alla sussistenza  del  grave
pregiudizio, e non vi sia pericolo di fuga) - dispone  l'applicazione
provvisoria della misura con ordinanza, la quale  conserva  efficacia
fino alla decisione del tribunale di sorveglianza (cui sono trasmessi
gli atti); decisione che deve intervenire nel  termine  (ordinatorio)
di sessanta giorni. 
    5.- La procedura di applicazione provvisoria introdotta nel  2013
- alla quale  risulta  attualmente  riferito  il  richiamo  contenuto
nell'art. 50, comma 6, ordin. penit. - non risulta, peraltro,  estesa
alla semiliberta' "surrogatoria" dell'affidamento in prova. 
    Proprio di tale limitazione si duole il  rimettente,  ritenendola
in contrasto in primo luogo con il principio di eguaglianza. 
    Il giudice a quo rileva,  in  particolare,  che,  alla  luce  del
combinato disposto dei commi 3-bis e 4 dell'art. 47 ordin. penit., il
magistrato  di  sorveglianza  puo'  applicare  in   via   provvisoria
l'affidamento in prova al servizio sociale in rapporto a pene fino  a
quattro anni: limite, dunque, largamente superiore a  quello  di  sei
mesi operante per l'applicazione provvisoria della semiliberta'. Tale
assetto si porrebbe in aperta contraddizione con  il  criterio  della
gradualita' nella concessione dei benefici penitenziari: criterio che
- per costante indicazione della giurisprudenza di legittimita' - pur
non  assurgendo  a  regola  assoluta,   risponde   a   un   razionale
apprezzamento delle esigenze rieducative  e  di  prevenzione  cui  e'
ispirato il principio stesso del trattamento  penitenziario  (tra  le
ultime, Corte  di  cassazione,  sezione  prima  penale,  sentenze  17
gennaio-22 maggio 2019, n. 22443, e  4  giugno-6  novembre  2018,  n.
50026). Nella logica gradualistica, infatti, la semiliberta'  precede
e "prepara" l'affidamento in prova, che e' misura evidentemente  piu'
ampia, in quanto recide ogni rapporto tra il condannato e  l'istituto
penitenziario, traducendosi in un  regime  di  liberta'  assistita  e
controllata.  Sarebbe,  percio',  irragionevole  che  l'accesso  alla
misura "minore" resti  soggetto,  per  l'aspetto  considerato,  a  un
regime piu' restrittivo di quello valevole per la misura "maggiore". 
    6.- Questa  Corte  si  e'  gia'  occupata  in  due  occasioni  di
questioni volte a censurare che fossero previste,  per  la  fruizione
della  semiliberta',  condizioni  oggettive  per  certi  versi   piu'
rigorose di quelle richieste per l'affidamento in prova. In  entrambi
i casi, questa Corte ha negato l'esistenza  dei  vulnera  denunciati,
escludendo che, alla luce delle differenze  strutturali  tra  le  due
misure, possa ravvisarsi un'esigenza costituzionale  di  allineamento
dei relativi requisiti di ammissibilita' (sentenze n. 338 del 2008  e
n. 100 del 1997). 
    Affidamento in prova e  semiliberta'  restano,  infatti,  tuttora
misure distinte non solo sul piano dei contenuti, ma anche su  quello
dei presupposti di ordine soggettivo. Per l'affidamento in prova  e',
infatti, richiesta una  prognosi  positiva  riguardo  alla  capacita'
della misura di contribuire alla rieducazione del reo e di  prevenire
il rischio della recidiva (art. 47, comma 2, ordin. penit.): laddove,
invece, l'ammissione  alle  varie  forme  di  liberta'  si  fonda  su
presupposti  piu'  blandi,  che   ruotano   sostanzialmente   attorno
all'esistenza delle condizioni per un graduale reinserimento  sociale
del condannato (art. 50, commi 4 e 6, ordin. penit.). 
    Cio' esclude che possa ravvisarsi tra le due misure «una sorta di
rapporto di continenza» (sentenza n. 338  del  2008),  a  fronte  del
quale  sarebbe  senz'altro  irragionevole  precludere  il  "meno"  al
soggetto che potrebbe (astrattamente) aspirare al  "piu'".  Il  fatto
che il condannato presenti ancora un certo  grado  di  pericolosita',
tale  da  non  consentire  una  valutazione   favorevole   circa   la
prevenzione del rischio di  recidiva  attraverso  le  prescrizioni  -
anche molto stringenti - che possono  accompagnare  l'affidamento  in
prova al servizio sociale (art.  47,  comma  5,  ordin.  penit.),  si
presta, in particolare,  a  giustificare  la  scelta  legislativa  di
stabilire requisiti di ordine oggettivo distinti e piu' rigorosi  per
l'ammissione a una misura - quale la semiliberta' -  «che,  comunque,
implica un atto di fiducia dello Stato» nei confronti del condannato,
consentendone l'uscita dall'istituto penitenziario per una parte  del
giorno (in questi termini, sentenza n. 338 del  2008,  con  specifico
riguardo  all'esclusione  dalla  semiliberta'  -  a  differenza   che
dall'affidamento in prova  -  dei  condannati  per  i  reati  di  cui
all'art. 4-bis ordin. penit. che non abbiano  ancora  espiato  i  due
terzi della pena, anche  quando  la  pena  residua  non  superasse  -
all'epoca - i tre anni). 
    In senso similare questa Corte si e' di  recente  espressa  anche
con riguardo ai rapporti tra l'affidamento in prova  e  altra  misura
alternativa alla  detenzione  parimenti  meno  favorevole,  quale  la
detenzione domiciliare,  dichiarando  non  fondate  le  questioni  al
riguardo  sollevate  dalla  prima  sezione  penale  della  Corte   di
cassazione con l'ordinanza pure diffusamente richiamata  dall'odierno
rimettente  a  sostegno  delle  proprie  tesi.  Sulla  base   di   un
ragionamento analogo, mutatis mutandis, a quello dianzi ricordato, si
e' ritenuta, in particolare, non censurabile sul piano costituzionale
l'esclusione dalla detenzione domiciliare  ordinaria  dei  condannati
per i reati di cui all'art. 4-bis ordin. penit.: condannati dei quali
pure non e' precluso l'affidamento  in  prova  (sentenza  n.  50  del
2020). 
    In tali occasioni,  questa  Corte  ha  rilevato  che  un  diverso
assetto della disciplina della materia, nel  segno  di  una  maggiore
espansione delle misure alternative alla detenzione,  era  certamente
possibile (sentenza  n.  50  del  2020)  e  forse  anche  auspicabile
(sentenza n. 100 del 1997): ma che esso restava rimesso  alle  scelte
discrezionali del legislatore in  tema  di  politica  dell'esecuzione
penale. 
    7.-  Nei  casi  ora  ricordati  si  discuteva,  tuttavia,   della
disciplina dei presupposti sostanziali per l'ammissione alla misura. 
    Il caso  oggi  in  esame  e'  diverso  e  merita  una  differente
soluzione. La discriminazione tra semiliberta' e affidamento in prova
censurata  dal  magistrato  di  sorveglianza   rimettente   concerne,
infatti, non gia' le condizioni di accesso alla  misura  -  che,  per
quanto attiene al limite di pena, risultano gia' da tempo  allineate,
in forza di quanto dispone l'art. 50, comma 2, terzo periodo,  ordin.
penit.  -,  ma  la  possibilita'  di  beneficiare   di   un   accesso
"accelerato", tramite una procedura di applicazione  provvisoria  che
eviti al condannato i tempi di attesa della decisione  del  tribunale
di sorveglianza e i pregiudizi ad essi connessi. 
    In effetti, una volta che il legislatore  abbia  ritenuto,  nella
sua discrezionalita', di dover omologare semiliberta'  e  affidamento
in prova riguardo al quantum di pena che  permette  di  fruire  della
misura - cosi' come e' avvenuto con l'introduzione della semiliberta'
"surrogatoria"  -  non  v'e'  piu'  alcuna   ragione   per   lasciare
(contraddittoriamente) disallineato in peius il  beneficio  "minore",
quanto alla possibilita'  di  accesso  anticipato  e  provvisorio  al
beneficio in presenza di un pericolo di  grave  pregiudizio,  tramite
provvedimento dell'organo monocratico. 
    La mancata estensione  della  procedura  prevista  dall'art.  47,
comma 4, ordin. penit. alla  semiliberta'  "surrogatoria"  aveva  una
giustificazione con riferimento  alla  precedente  disciplina  recata
dalla disposizione ora citata, la quale -  come  si  e'  ricordato  -
attribuiva al magistrato di sorveglianza il potere di  disporre  tout
court la  sospensione  dell'esecuzione  della  pena  e  la  messa  in
liberta' del condannato, nelle more della decisione del tribunale  di
sorveglianza:  meccanismo  che  appariva  inopportuno   estendere   a
soggetti privi dei requisiti di affidabilita' richiesti per l'accesso
all'affidamento in prova e condannati a una  pena  che,  per  la  sua
entita', non poteva  dirsi  sicuramente  indicativa  di  una  ridotta
pericolosita'. 
    Analoga giustificazione non e' piu' rinvenibile, per converso, in
relazione alla procedura di applicazione provvisoria della misura, in
presenza di situazioni di urgenza e sulla base di un filtro di merito
del magistrato di sorveglianza, introdotta dal d.l. n. 146 del  2013,
come convertito, in sostituzione del predetto meccanismo. 
    Soprattutto, come  nota  il  rimettente,  l'attesa  dei  tempi  -
fisiologicamente  piu'  lunghi  -  richiesti  per  la  decisione  del
tribunale di sorveglianza potrebbe far  perdere  al  condannato,  che
pure sia gia' in possesso di tutti i requisiti per la fruizione della
misura, l'opportunita' di lavoro in relazione  alla  quale  e'  stata
formulata  l'istanza  di  semiliberta'   e,   con   essa,   l'effetto
risocializzante connesso allo svolgimento  dell'attivita'  lavorativa
extra moenia, anche in vista della successiva ammissione al beneficio
piu' ampio. Peraltro, l'ammissione alla misura avviene pur sempre  in
via provvisoria, sotto la condizione  della  conferma  da  parte  del
tribunale di sorveglianza. 
    8.- Alla luce delle  considerazioni  che  precedono,  l'art.  50,
comma  6,  ordin.  penit.  va  dunque  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo  nella  parte  in  cui  non  consente  al  magistrato  di
sorveglianza di applicare in  via  provvisoria  la  semiliberta',  ai
sensi dell'art. 47, comma 4, ordin. penit.,  in  quanto  compatibile,
anche nell'ipotesi prevista dal  terzo  periodo  del  comma  2  dello
stesso art. 50 (e dunque quando la  pena  detentiva  da  espiare  sia
superiore a sei mesi, ma non a quattro anni). 
    Le  ulteriori  censure  formulate  dal  giudice   rimettente   in
riferimento  all'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  sotto  il   profilo
dell'asserita disparita' di trattamento fra i condannati  detenuti  e
condannati che fruiscono della sospensione dell'esecuzione della pena
ai sensi  dell'art.  656,  comma  5,  cod.  proc.  pen.,  nonche'  in
riferimento  all'art.  27,  primo  e  terzo  comma,   Cost.   restano
assorbite. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 50,  comma  6,
della  legge  26  luglio  1975,  n.   354   (Norme   sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), nella parte in cui non  consente  al  magistrato  di
sorveglianza di applicare in  via  provvisoria  la  semiliberta',  ai
sensi dell'art. 47, comma 4, ordin. penit.,  in  quanto  compatibile,
anche nell'ipotesi prevista dal  terzo  periodo  del  comma  2  dello
stesso art. 50. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA