N. 80 SENTENZA 11 marzo - 24 aprile 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Patrocinio a spese dello Stato - Decreto di  ammissione  -  Revoca  -
  Impugnazione - Giudice competente - Capo  dell'ufficio  giudiziario
  al quale appartiene il magistrato che ha  emesso  il  provvedimento
  impugnato anche nel caso sia un  giudice  collegiale  -  Denunciata
  irragionevolezza   e   violazione   del    principio    di    buona
  amministrazione - Inammissibilita' delle questioni. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,
  art. 170; decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 15. 
- Costituzione, artt. 3 e 97. 
(GU n.18 del 29-4-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Augusto Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  170  del
d.P.R.  30  maggio  2002,  n.  115,  recante   «Testo   unico   delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia (Testo A)», e  dell'art.  15  del  decreto  legislativo  1°
settembre 2011, n.  150  (Disposizioni  complementari  al  codice  di
procedura civile  in  materia  di  riduzione  e  semplificazione  dei
procedimenti civili di cognizione, ai sensi  dell'articolo  54  della
legge 18 giugno 2009, n. 69), promosso  dal  giudice  delegato  della
Corte d'appello di Torino nel procedimento a  carico  di  A.  P.  con
ordinanza del  22  giugno  2017,  iscritta  al  n.  92  del  registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  10  marzo  2020  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'11 marzo 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il giudice delegato della  Corte  d'appello  di  Torino,  con
ordinanza del  22  giugno  2017,  iscritta  al  n.  92  del  registro
ordinanze 2019, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia (Testo A)»  e  dell'art.  15  del  decreto  legislativo  1°
settembre 2011, n.  150  (Disposizioni  complementari  al  codice  di
procedura civile  in  materia  di  riduzione  e  semplificazione  dei
procedimenti civili di cognizione, ai sensi  dell'articolo  54  della
legge 18 giugno 2009, n. 69), nella parte in cui, in tema  di  revoca
dell'ammissione al patrocinio  a  spese  dello  Stato,  prevedono  la
inderogabile   competenza   monocratica   del   «capo»   dell'ufficio
giudiziario  cui  appartiene  il  «magistrato»  che  ha   emesso   il
provvedimento  opposto,  anche  ove  quest'ultimo  sia   un   giudice
collegiale. 
    2.- Il giudice rimettente  e'  stato  investito  dell'opposizione
contro un decreto di revoca dell'ammissione  al  patrocinio  a  spese
dello Stato, in favore di un richiedente  protezione  internazionale,
emesso, a seguito del rigetto per manifesta infondatezza del  gravame
proposto, dalla stessa Corte d'appello in composizione collegiale. 
    In particolare, a fronte del rigetto  del  ricorso  proposto,  ai
sensi dell'art. 35 del decreto legislativo 28  gennaio  2008,  n.  25
(Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme  minime  per  le
procedure applicate negli Stati membri ai fini del  riconoscimento  e
della revoca dello status di rifugiato), avverso il provvedimento  di
diniego della protezione internazionale  e  umanitaria  emesso  dalla
Commissione  territoriale  per  il  riconoscimento  della  protezione
internazionale, l'appellante era stato ammesso dal  locale  Consiglio
dell'ordine degli avvocati al patrocinio  a  spese  dello  Stato  per
proporre impugnazione. Il giudizio di gravame era stato definito  con
sentenza di rigetto e, con decreto in pari data, era  stata  revocata
l'ammissione al patrocinio a spese dello  Stato  ai  sensi  dell'art.
136, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, per avere  il  beneficiario
agito quanto meno con colpa grave. Contro quest'ultimo  provvedimento
veniva proposta opposizione ai sensi dell'art. 170 del d.P.R. n.  115
del 2002, la cui decisione era demandata, in conformita' all'art.  15
del d.lgs. n. 150 del 2011, al capo dell'ufficio. 
    L'ordinanza  di  rimessione  premette  che   la   parte   propone
opposizione contro il decreto di revoca dell'ammissione al patrocinio
a spese dello Stato, assumendone l'erroneita'  per  essere  i  motivi
posti a fondamento dell'appello, pure  rigettato,  ne'  inammissibili
ne' manifestamente infondati, stante la «consistenza, plausibilita' e
ragionevolezza»   degli    stessi    rispetto    alla    credibilita'
dell'appellante e al suo percorso di integrazione sociale. 
    Nell'ordinanza si ricorda, poi, che sebbene  il  testo  unico  in
materia di spese di giustizia  non  contempli  un  rimedio  contro  i
provvedimenti sulla revoca del beneficio del patrocinio a spese dello
Stato   emessi   dal   giudice   civile,   secondo   la   consolidata
giurisprudenza di legittimita', e' proponibile l'opposizione ex  art.
170  dello  stesso  d.P.R.  n.  115  del  2002,  la  cui   disciplina
processuale e' dettata dall'art. 15 del d.lgs. n. 150 del  2011,  che
assoggetta le relative controversie al rito  sommario  di  cognizione
demandando  la  decisione  sul  ricorso  «al  capo  dell'ufficio  cui
appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato». 
    Sottolinea, quindi, il giudice a quo  che  il  decreto  impugnato
dinanzi a se' e' stato emanato dalla Corte d'appello in  composizione
collegiale e che  l'irragionevolezza  di  un  sistema  nel  quale  il
riesame di un provvedimento di un  giudice  collegiale  e'  demandato
alla cognizione di un giudice monocratico e' tanto piu' evidente  per
i   provvedimenti,   come   nella   fattispecie   processuale   posta
all'attenzione dello stesso, di revoca dell'ammissione al  patrocinio
per avere la parte agito o resistito in  giudizio  per  mala  fede  o
colpa  grave,  involgendo  il  relativo  sindacato  valutazioni   che
dovrebbero  essere  demandate  al  giudice  dell'impugnazione   della
decisione di merito e che in ogni caso finirebbero con il sovrapporsi
con quelle a quest'ultimo rimesse. 
    Al  fine  di  suffragare  la  non  manifesta  infondatezza  delle
questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate,  rispetto  ai
parametri di cui agli artt. 3 e 97  della  Costituzione,  il  giudice
rimettente pone  in  evidenza  ulteriori  contraddizioni  interne  al
sistema normativo quali, ad esempio, la  decisione  da  parte  di  un
giudice  ordinario  monocratico  contro   i   provvedimenti,   sempre
collegiali,  sul  patrocinio  a  spese  statali  emessi  dal  giudice
amministrativo e la previsione da parte dell'art. 14  del  d.lgs.  n.
150  del  2011  della  collegialita'  per  le  opposizioni  contro  i
provvedimenti di liquidazione dei compensi degli avvocati,  che  pure
di norma sarebbero caratterizzate da maggiore semplicita' rispetto  a
quelle in esame. 
    In punto di rilevanza, il giudice delegato della Corte  d'appello
di  Torino  assume  che  non   e'   percorribile   un'interpretazione
costituzionalmente orientata demandando la decisione dell'opposizione
a un decreto di revoca emesso da un giudice collegiale a un collegio,
in considerazione dell'orientamento della Corte di cassazione secondo
cui cio' determinerebbe un vizio di costituzione del giudice ai sensi
dell'art. 158 del codice di procedura civile,  stante  la  competenza
funzionale del presidente dell'ufficio  giudiziario  in  composizione
monocratica e  l'esplicazione  di  funzioni  decisorie  da  parte  di
magistrati ai quali le stesse non sono  attribuite  dalla  legge  (e'
citata Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 4  marzo
2015, n. 4362). 
    Pertanto, per il complesso delle ragioni indicate, il  giudice  a
quo, ritenendo la  natura  giurisdizionale  dell'opposto  decreto  di
revoca  del  patrocinio,  dubita  della  ragionevolezza  dell'assetto
processuale delineato dal combinato disposto  delle  norme  censurate
laddove "impone" una competenza monocratica,  costituente  un  unicum
nel sistema  processuale,  per  l'impugnazione  di  un  provvedimento
collegiale.   Ha   quindi   sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale del combinato disposto degli artt. 170 del  d.P.R.  n.
115 del 2002 e 15 del d.lgs. n. 150 del 2011,  per  violazione  degli
artt. 3 e 97 Cost., «nella parte in  cui  prevedono  la  inderogabile
competenza (monocratica) del "capo" dell'ufficio  giudiziario  a  cui
appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento opposto anche se
quest'ultimo sia un giudice collegiale». 
    3.- Con atto del 9 luglio 2019, depositato il giorno  successivo,
e'  intervenuto   il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e  comunque
manifestamente infondate. 
    Quanto alla dedotta violazione dell'art. 97  Cost.,  l'Avvocatura
ricorda che la Corte costituzionale ha piu' volte  affermato  che  il
principio del buon andamento e' riferibile all'amministrazione  della
giustizia  soltanto  per  quanto  attiene  all'organizzazione  e   al
funzionamento degli uffici giudiziari, mentre non e'  invocabile  con
riferimento a disposizioni di natura squisitamente processuale. 
    Rispetto  alla   denunciata   violazione   dell'art.   3   Cost.,
l'Avvocatura rammenta che, sempre secondo il consolidato orientamento
della giurisprudenza costituzionale, il  legislatore  gode  di  ampia
discrezionalita'  nella  conformazione  degli  istituti  processuali,
fermo restando il limite della manifesta irragionevolezza. 
    In ogni caso, sottolinea l'Avvocatura, la scelta del legislatore,
da iscrivere in un sistema nel quale, a partire dalla riforma operata
dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia  di
istituzione del  giudice  unico  di  primo  grado),  la  composizione
monocratica del giudice  costituisce  la  regola,  deve  considerarsi
ragionevole,  tanto  piu'  in  virtu'  della  natura  sostanzialmente
amministrativa,    corroborata     anche     dalla     giurisprudenza
costituzionale, dei provvedimenti in tema di  revoca  dell'ammissione
al patrocinio a spese dello Stato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il giudice delegato della  Corte  d'appello  di  Torino,  con
ordinanza del  22  giugno  2017,  iscritta  al  n.  92  del  registro
ordinanze 2019, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia (Testo A)»  e  dell'art.  15  del  decreto  legislativo  1°
settembre 2011, n.  150  (Disposizioni  complementari  al  codice  di
procedura civile  in  materia  di  riduzione  e  semplificazione  dei
procedimenti civili di cognizione, ai sensi  dell'articolo  54  della
legge 18 giugno 2009, n. 69), nella parte in cui, in caso  di  revoca
dell'ammissione al patrocinio  a  spese  dello  Stato,  prevedono  la
inderogabile   competenza   monocratica   del   «capo»   dell'ufficio
giudiziario  cui  appartiene  il  «magistrato»  che  ha   emesso   il
provvedimento  opposto,  anche  ove  quest'ultimo  sia   un   giudice
collegiale. 
    In particolare, il giudice rimettente assume che tale  assetto  -
che puo'  comportare,  come  nel  caso  di  specie,  che  un  giudice
monocratico sia  chiamato  a  pronunciarsi  in  sede  di  opposizione
avverso un provvedimento giurisdizionale di un giudice  collegiale  -
costituisca un unicum nel processo civile e determini  contraddizioni
tali da risultare irragionevole e da compromettere il buon  andamento
degli  uffici  giudiziari,  in   violazione,   rispettivamente,   dei
parametri di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione. 
    Le questioni sono  state  sollevate  dal  giudice  delegato  alla
trattazione del ricorso  dal  Presidente  della  Corte  d'appello  di
Torino,  quale  capo  dell'ufficio  giudiziario  cui  appartiene   il
collegio che ha emesso l'opposto decreto di revoca del beneficio  del
patrocinio a spese dello Stato, in  precedenza  riconosciuto  in  via
provvisoria al richiedente dal Consiglio dell'ordine  degli  avvocati
per la proposizione del gravame; decreto emesso dalla Corte d'appello
in composizione collegiale contestualmente e a seguito della sentenza
di rigetto dell'impugnazione. 
    2.- E' opportuno premettere il quadro dei  riferimenti  normativi
essenziali, nei  quali  si  collocano  le  questioni  incidentali  di
legittimita'  costituzionale,  non  senza   innanzi   tutto   muovere
dall'art. 24, terzo comma, Cost., che prescrive in generale che «sono
assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per  agire
e difendersi davanti ad ogni giurisdizione»,  ossia  -  ha  precisato
questa Corte (sentenza n. 41 del 1972) - a «coloro che  non  sono  in
grado di sopportare il costo di un processo». 
    Tale norma si  correla  sia  ai  precedenti  commi  dello  stesso
articolo, che assicurano  a  «tutti»  la  possibilita'  di  agire  in
giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, e di
difendersi  e  farsi  difendere  in  qualsiasi  stato  e  grado   del
procedimento (sentenza n. 144 del  1992),  sia  all'art.  3,  secondo
comma,  Cost.,  che  individua  tra  i  compiti  fondamentali   della
Repubblica quello di rimuovere gli ostacoli  di  ordine  economico  e
sociale che  di  fatto  limitano  la  liberta'  e  l'eguaglianza  dei
cittadini. 
    A  fronte  di  questi  principi  introdotti  dalla   Costituzione
repubblicana, la tutela del diritto di agire e difendersi in giudizio
dei non abbienti era, all'epoca, ancora contenuta nel  regio  decreto
30 dicembre 1923, n.  3282  (Approvazione  del  testo  di  legge  sul
gratuito   patrocinio),   che,   mutuando   l'assetto   della   legge
postunitaria 6 dicembre 1865, n. 2626 (Sull'ordinamento giudiziario),
demandava la difesa in giudizio dei "poveri" a un ufficio onorifico e
gratuito della classe forense, secondo una concezione liberale  della
giustizia, che aveva peraltro finito  per  determinare  significative
diseguaglianze sul piano sostanziale. 
    In  seguito,  il  sistema  del  gratuito  patrocinio   e'   stato
sostituito da quello del patrocinio a spese dello Stato,  ma  per  le
sole controversie in materia di lavoro e di previdenza  e  assistenza
sociale obbligatoria, dalla legge 11 agosto 1973, n. 533  (Disciplina
delle controversie individuali di  lavoro  e  delle  controversie  in
materia di previdenza e  di  assistenza  obbligatorie).  Le  relative
previsioni sono state in seguito  estese,  "in  quanto  applicabili",
dall'art.  15,  comma  2,  della  legge  13  aprile  1988,   n.   117
(Risarcimento  dei  danni  cagionati  nell'esercizio  delle  funzioni
giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati), alle  cause  in
tema di responsabilita' civile dei magistrati. 
    L'entrata in vigore del  nuovo  codice  di  procedura  penale  ha
comportato, poi, l'urgenza di estendere questo modello,  in  coerenza
con il ruolo fondamentale affidato al difensore  in  un  processo  di
tipo accusatorio, alla materia penale e cio' e' avvenuto con la legge
30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione  del  patrocinio  a  spese  dello
Stato per i  non  abbienti),  che  ha  trovato  applicazione  per  il
processo penale - con esclusione dei reati  contravvenzionali,  salva
l'ipotesi di connessione a delitti o di riunione a  procedimenti  per
delitti  -  in  favore  dell'imputato,  della  persona  offesa,   del
danneggiato che intendeva costituirsi parte civile e  del  civilmente
obbligato per la pena  pecuniaria  e  ai  giudizi  civili  aventi  ad
oggetto il risarcimento del danno  e  le  restituzioni  derivanti  da
reato. 
    Rimaneva, pero',  la  limitata  applicabilita'  dell'istituto  ai
settori diversi da quello penale. 
    Questa  Corte,  investita   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1 del r.d. n. 3282 del 1923, nella parte  in
cui residuava per alcune materie, soprattutto nel settore civile,  la
disciplina del gratuito patrocinio, ha evidenziato che trascenderebbe
largamente i limiti della giustizia costituzionale «disporre un cosi'
imponente  intervento  riformatore»,  non  potendosi  modificare   il
sistema  mediante  la  mera  soppressione  del  termine   «onorifico»
contenuto  nella  disposizione  denunciata,  essendo   a   tal   fine
necessario un complessivo riordino del sistema (ordinanza n. 200  del
2000). 
    E' stato, quindi, il legislatore  a  intervenire  per  porre  una
nuova e piu' ampia disciplina della materia con  la  legge  29  marzo
2001, n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio 1990,  n.  217,  recante
istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i  non  abbienti),
che ha esteso la portata della legge n. 217 del  1990,  mediante  gli
artt. da 15-bis a 15-noniesdecies, al patrocinio a spese dello  Stato
nei giudizi civili e amministrativi. 
    Allo scopo di procedere a un riordino della materia  delle  spese
di giustizia, e' stato, poco dopo, adottato il d.P.R. n. 115 del 2002
(d'ora in avanti anche solo t.u.), che ha abrogato il complesso delle
precedenti  disposizioni,  dettando  una  disciplina   di   carattere
generale e realizzando, cosi', il  definitivo  passaggio  all'attuale
sistema del patrocinio a spese dello Stato. Ma, oltre alla previsione
di norme generali (artt. 74-89), questa, pur ampia, regolamentazione,
conserva ancora una netta distinzione  tra  disposizioni  particolari
sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale (artt. 90-118)
e quelle nel processo civile, amministrativo, contabile e  tributario
(artt. 119-145). 
    2.1.- In questo articolato quadro normativo, dopo  l'introduzione
dell'indicato testo unico,  si  e',  parallelamente,  registrata  una
significativa evoluzione sulla questione centrale, ai  fini  che  qui
interessano, della natura dei provvedimenti del giudice  in  tema  di
patrocinio a spese dello Stato, che, sino a un certo  momento,  nella
stessa giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 52 del 2005), sono
stati ritenuti, anche se promananti  dall'autorita'  giudiziaria,  di
natura non strettamente giurisdizionale,  in  quanto  assimilabili  a
forme di giurisdizione volontaria. 
    La funzionalita'  di  siffatti  provvedimenti  all'esercizio  del
diritto di azione e difesa  in  giudizio  ha,  nel  tempo,  tuttavia,
portato a delinearne la natura  giurisdizionale,  come  affermato  da
questa Corte  (ordinanza  n.  128  del  2016  e,  piu'  recentemente,
sentenza n. 35 del 2019),  in  quanto,  nel  decidere  se  spetti  il
patrocinio a spese dello Stato,  il  giudice  esercita  una  funzione
giurisdizionale avente ad oggetto l'accertamento della sussistenza di
un diritto, peraltro dotato di fondamento costituzionale. 
    Da  ultimo,  la  natura  pienamente  giurisdizionale  di   questi
provvedimenti - e segnatamente del decreto di revoca del beneficio  -
e' stata affermata dalla giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione
(Corte di cassazione, sezioni  unite  civili,  sentenza  20  febbraio
2020, n. 4315),  che  ha  composto  il  contrasto  di  giurisprudenza
insorto in ordine alla possibilita' - affermata da  alcune  pronunce,
ma negata da altre - per la stessa Corte di cassazione,  di  emettere
il decreto di revoca del patrocinio a spese dello Stato  nei  giudizi
civili, ricorrendo i presupposti dell'art. 136 del  t.u.  La  Suprema
Corte ha  ritenuto,  in  analogia  a  quanto  espressamente  previsto
dall'art. 112 del t.u. in materia penale,  che  anche  nella  materia
civile il decreto di revoca non possa essere pronunciato dalla  Corte
di cassazione, ma cio'  possa  fare  il  giudice  del  rinvio  o,  in
alternativa, il giudice della pronuncia impugnata. 
    L'affermazione della  natura  giurisdizionale  dei  provvedimenti
resi dal giudice in tema di ammissione al patrocinio  a  spese  dello
Stato, e in particolare di quelli di revoca, che incidono,  di  norma
con  efficacia  retroattiva,  su  un  diritto  gia'  riconosciuto  al
beneficiario, ha finito, inevitabilmente, con il porre  interrogativi
che non sempre trovano una risposta coerente in un  complesso  quadro
normativo nel quale il passaggio dal sistema del gratuito  patrocinio
a quello del patrocinio a spese dello Stato si  e'  realizzato,  come
evidenziato, solo dopo una serie di interventi di settore, ispirati a
esigenze differenti, e raccolti nel testo unico. 
    In particolare, la natura giurisdizionale  dei  provvedimenti  di
revoca del patrocinio, seppur  pronunciati  senza  contraddittorio  e
d'ufficio, implica da una parte, come evidenziato  da  questa  Corte,
che gli stessi non siano modificabili e revocabili  in  ogni  momento
dal giudice, dovendo applicarsi ai medesimi il regime  proprio  degli
atti di giurisdizione (ordinanza n. 128 del 2016); e  d'altra  parte,
che e' necessario, perche' la tutela giurisdizionale  sia  assicurata
(art. 24 Cost.) nelle forme del giusto  processo  (art.  111  Cost.),
prefigurare   una   successiva   fase   processuale   di   merito   a
contraddittorio pieno in cui chi e' stato privato  del  beneficio,  a
seguito del decreto di revoca, possa far valere le  sue  ragioni  nei
confronti dell'amministrazione della giustizia. 
    2.2.- Il carattere prevalentemente  settoriale  della  disciplina
del patrocinio a spese dello Stato  si  rinviene,  specialmente,  nei
provvedimenti  di  ammissione  e  revoca  del  beneficio,  che   sono
disciplinati, non gia' unitariamente nelle disposizioni generali  del
Titolo I della Parte III del t.u., ma distintamente  con  riferimento
al processo penale e a quello  civile,  amministrativo,  contabile  e
tributario. 
    In particolare, nel processo civile l'istanza  di  ammissione  al
patrocinio a spese dello  Stato  deve  essere  presentata  al  locale
Consiglio dell'ordine degli avvocati che, ai sensi dell'art. 126  del
t.u., deve verificare non solo la sussistenza in capo al  richiedente
dei requisiti di cui all'art. 76 dello stesso t.u., ma  anche  se  le
pretese che lo stesso intende far valere non appaiono  manifestamente
infondate, mediante una valutazione  di  carattere  sommario  che  si
rende necessaria per evitare che  il  beneficio,  con  i  conseguenti
oneri  finanziari  a  carico  dell'erario,  venga  accordato  per  la
proposizione di domande che concretino un abuso del diritto di  agire
in giudizio. Il provvedimento di ammissione  al  patrocinio  «in  via
anticipata e provvisoria» non ha natura giurisdizionale. 
    Invece - si e' gia'  rilevato  -  ha  natura  giurisdizionale  la
revoca dell'ammissione al patrocinio a  spese  dello  Stato,  che  e'
disciplinata dall'art. 136 del t.u. la cui emanazione  e'  demandata,
nella forma del decreto, all'autorita' giudiziaria che procede.  Essa
puo'  fondarsi  sia  sull'insussistenza  ovvero  sul  mutamento   dei
presupposti reddituali, sia sulla circostanza che l'interessato abbia
agito  o  resistito  in  giudizio  con  mala  fede  o  colpa   grave,
valutazione,  quest'ultima,  che,  come  il  vaglio  preliminare  dei
Consigli degli ordini forensi sulla non manifesta infondatezza  delle
ragioni della parte che richiede l'ammissione al patrocinio  a  spese
dello Stato, si correla  alla  "meritevolezza"  dell'azione  o  della
difesa della parte beneficiaria dell'ammissione al patrocinio a spese
dello Stato, senza poter coincidere tout court  con  la  soccombenza,
stante il riconoscimento costituzionale  per  i  «non  abbienti»  del
diritto di agire e difendersi in giudizio per la tutela delle proprie
situazioni giuridiche soggettive (art. 24, terzo comma, Cost.). 
    In tal modo, come ha sottolineato questa Corte,  «il  legislatore
ha previsto sia una valutazione  ex  ante  del  requisito  della  non
manifesta infondatezza (da compiersi al momento  della  presentazione
della domanda,  con  rigetto  della  stessa  nei  casi  in  cui,  sin
dall'origine, l'istante voglia far  valere  una  pretesa  palesemente
infondata); sia la revoca, ex post,  della  ammissione  al  beneficio
quando, a seguito  del  giudizio,  risulta  provato  che  la  persona
ammessa ha agito o resistito con mala fede o colpa grave»  (ordinanza
n. 220 del 2009). 
    2.3.- Il t.u.,  pero',  non  contempla  alcuna  disposizione  che
individui espressamente lo strumento processuale che ha l'interessato
per contestare la legittimita' del decreto di revoca, la  cui  sicura
impugnabilita', comunque, discende dalla  considerazione  che  e'  in
gioco un diritto che ha finanche copertura costituzionale  (art.  24,
terzo comma, Cost.); diritto prima riconosciuto  in  via  provvisoria
(con il  provvedimento  di  ammissione  al  beneficio  da  parte  del
Consiglio dell'ordine degli avvocati, di natura non  giurisdizionale)
e poi negato (con il provvedimento di revoca emesso  dal  «magistrato
che procede», la cui natura giurisdizionale puo'  ormai  considerarsi
unanimemente riconosciuta). 
    L'unica  norma  sull'impugnazione  del  decreto  di   revoca   e'
contenuta  nell'art.  113  del  t.u.,  rubricato  appunto  «[r]icorso
avverso il decreto di revoca», che pero' riguarda solo la revoca  del
beneficio  in  materia  penale  e  solo  uno  dei  casi,  tra  quelli
catalogati dal precedente art. 112, comma 1,  in  cui  la  revoca  e'
possibile (quello  di  cui  alla  lettera  d,  ossia  la  revoca  per
mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito). In
tale evenienza, il rimedio processuale, previsto dall'art. 113, e' il
ricorso per  cassazione  proponibile  nel  termine  di  venti  giorni
dall'avviso comunicato all'interessato del deposito del provvedimento
di revoca. 
    In  materia  civile,   invece,   in   mancanza   di   un'espressa
disposizione, ha supplito la  giurisprudenza,  che  tuttavia  non  ha
ritenuto di ricavare dall'art. 113 una regola simmetrica  e  analoga.
Ha, invece, affermato l'applicabilita' dell'art. 170 del t.u., che ha
previsto e disciplinato - fino  a  quando  non  e'  stato  sostituito
dall'art. 34, comma 17, lettera a), del d.lgs.  n.  150  del  2011  -
l'opposizione  avverso  il  decreto  di  pagamento  emesso  a  favore
dell'ausiliario del magistrato. L'opposizione poteva proporsi,  entro
venti giorni dall'avvenuta comunicazione del decreto, «al  presidente
dell'ufficio  giudiziario  competente»  e  il  processo  era   quello
speciale  previsto  per  gli  onorari  di  avvocato;   era   altresi'
espressamente prescritto  che  l'ufficio  giudiziario  procedesse  in
composizione monocratica. 
    Nella nuova e vigente formulazione dell'art. 170 - ora costituito
solo dal  suo  comma  1  -  e',  invece,  previsto  un  mero  rinvio:
«[l]'opposizione  e'  disciplinata  dall'articolo  15   del   decreto
legislativo 1° settembre  2011,  n.  150».  A  tale  disposizione  fa
riferimento la giurisprudenza, puntualizzata da ultimo in un  recente
intervento chiarificatore (Cass., sez. un. civ., n. 4315  del  2020),
che  ha   superato,   tra   l'altro,   un   precedente   orientamento
giurisprudenziale secondo cui, ove la revoca  fosse  contenuta  nella
sentenza o ordinanza che aveva deciso la controversia per la quale il
beneficio del patrocinio a spese dello  Stato  era  stato  accordato,
l'impugnazione della revoca seguiva le stesse regole  processuali  di
impugnazione della sentenza o dell'ordinanza  (Corte  di  cassazione,
sezione sesta civile, sentenza  13  aprile  2016,  n.  7191,  che  ha
ritenuto esperibile il rimedio ordinario dell'appello). 
    3.- Espressione della complessita' di questo sistema  che  si  e'
evoluto non senza incertezze sul  piano  normativo  e',  a  riguardo,
proprio la problematica del regime processuale del decreto di revoca,
nel processo civile, dell'ammissione  al  patrocinio  a  spese  dello
Stato;  sul  quale  regime  si  appuntano  le  censure  del   giudice
rimettente quanto alla mancata  previsione  della  collegialita'  del
giudice dell'opposizione allorche' sia collegiale il giudice  che  ha
pronunciato il decreto di revoca. 
    Il riconoscimento della natura giurisdizionale di  tale  decreto,
di cui si e' detto sopra, comporta che il procedimento  di  primo  (e
unico) grado e' a struttura bifasica eventuale  e  a  contraddittorio
differito. L'opposizione non introduce un giudizio di impugnazione in
un grado  superiore,  non  essendo  ammissibile  un  primo  grado  di
giudizio senza contradditorio, ma apre a  una  fase  in  prosecuzione
nell'unico  grado  con  la  costituzione  del   contraddittorio   tra
l'opponente,  che  contesta  la   legittimita'   della   revoca   del
patrocinio, e l'opposto (amministrazione della giustizia). Del resto,
l'espressa previsione dell'art. 15, comma 6, del d.lgs.  n.  150  del
2011 secondo cui «[l]'ordinanza che  definisce  il  giudizio  non  e'
appellabile», mostra che la fase decisoria  dell'opposizione  sia  da
ritenere una prosecuzione del giudizio di primo grado e non gia'  una
revisio prioris instantiae. Cio' tra l'altro comporta -  in  sintonia
con il carattere semplificato del procedimento -  che  non  opera  la
ragione di astensione di cui all'art. 51, primo comma, numero 4), del
codice di procedura civile, che preclude al giudice che ha conosciuto
della  causa  «in  altro  grado  del  processo»  di  decidere  o   di
partecipare alla decisione (in tal senso, con  riferimento  ad  altro
procedimento di opposizione a struttura bifasica, la sentenza  n.  78
del 2015 di questa Corte). 
    3.1.-   Quanto    poi    alla    monocraticita'    del    giudice
dell'opposizione, c'e' da considerare che il  censurato  art.  15  e'
inserito  tra  le  disposizioni  che  disciplinano  le   controversie
regolate dal rito sommario di cognizione di  cui  al  Capo  III,  che
accorpa plurimi modelli processuali (articoli da 14 a 30),  ai  quali
si  applicano  anche  le  disposizioni   comuni   alle   controversie
disciplinate  dal  rito  sommario  di  cognizione,   richiamate   dal
precedente art. 3. 
    In particolare, rileva, da una parte, il comma 2 dell'articolo da
ultimo citato, che detta una regola generale sulla collegialita'  del
giudice dell'impugnazione quando la causa e' giudicata in primo grado
in  composizione  collegiale,  prescrivendo  espressamente   che   il
presidente  del  «collegio»   designa   il   giudice   relatore.   Ma
plausibilmente  il  giudice  rimettente  esclude   un'interpretazione
estensiva di tale regola anche alla  fattispecie  al  suo  esame.  E'
vero, infatti, che nell'opposizione  ex  art.  15  censurato  non  e'
individuabile una vera e  propria  "impugnazione",  bensi'  una  fase
dell'unico giudizio di primo grado. 
    D'altra parte, la collegialita' del giudice  dell'opposizione  e'
talora prevista nei singoli procedimenti speciali regolati  dal  rito
sommario di cognizione, tra  cui  il  giudizio  di  opposizione  alla
liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato (art. 14,  comma
1, del d.lgs. n. 150 del 2011). Invece, l'art. 15 citato, pur  avendo
una  struttura  simile  a  quella  dell'art.  14,  non   prevede   la
collegialita'. Anzi, come gia' ricordato, l'art. 170 del  t.u.  nella
sua originaria formulazione prescriveva all'opposto la monocraticita'
del  giudice  dell'opposizione.  Questa  prescrizione  e  quella  del
termine  di  venti  giorni  per  proporre  l'opposizione  sono  state
abrogate, in parte qua, con la riformulazione dell'art. 170, che piu'
non le contiene. 
    Ma - anche se, per il termine, si e'  ritenuto  applicabile  alla
"opposizione" ex art.  15,  con  interpretazione  estensiva,  proprio
quello previsto per l'"impugnazione" vera e propria (sentenza n.  106
del 2016) - analoga interpretazione  estensiva  non  e'  praticabile,
quanto alla composizione del giudice dell'opposizione, non  potendosi
ricavare a contrario una  regola  opposta  a  quella  della  generale
monocraticita', prima prevista dall'art. 170 t.u., non  essendo  cio'
compatibile con il rinvio che lo stesso art. 170 fa all'art.  15  del
d.  lgs.  n.  150  del  2011.  Disposizione   questa   che   -   come
plausibilmente ritiene il giudice rimettente -  contiene  una  regola
specifica  e  piu'  puntuale:  il  ricorso  e'   proposto   al   capo
dell'ufficio giudiziario -  presidente  del  tribunale  o  presidente
della corte d'appello - cui appartiene il magistrato che ha emesso il
provvedimento impugnato (art.  15,  comma  2).  Da  cio'  il  giudice
rimettente, in sintonia con la giurisprudenza di legittimita', desume
una competenza funzionale, che significa,  in  particolare,  generale
monocraticita'  del  giudice   dell'opposizione   in   un'ottica   di
semplificazione del procedimento. 
    4.-  In  questo  complesso  e  articolato  quadro  normativo,  in
continua evoluzione, finora esaminato, si collocano le  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate dall'ordinanza  di  rimessione,
che sono inammissibili in riferimento a entrambi i parametri  evocati
dal giudice rimettente. 
    4.1.- Con riferimento all'art. 3 Cost., deve  considerarsi,  come
si  e'  sopra  evidenziato,   che   la   disciplina   normativa   dei
provvedimenti, specie quelli di revoca, in tema di patrocinio a spese
dello Stato, e' storicamente connotata da lacune  e  attraversata  da
discrasie  che  l'intervento  del  testo  unico  delle   disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia  non  e'
riuscito a superare completamente. 
    In questo contesto si collocano anche le questioni sollevate  dal
rimettente, ossia la singolare attribuzione - a  opera  dell'art.  15
del d.lgs. n. 150 del 2011 che, sotto tale profilo, detta una  regola
speciale rispetto a quanto previsto per  i  procedimenti  sommari  di
cognizione semplificati dall'art. 3 dello stesso  decreto  in  ordine
alla necessaria collegialita' del giudice dell'impugnazione  -  a  un
giudice  monocratico   della   cognizione   su   opposizioni   contro
provvedimenti,  aventi  natura  giurisdizionale,  pronunciati  da  un
giudice in composizione collegiale; questione che, tuttavia, non puo'
essere risolta da questa Corte, poiche' implica, proprio  in  ragione
del descritto contesto normativo, valutazioni sistematiche rientranti
nella  discrezionalita'  del  legislatore,  discrezionalita'  che  e'
peraltro particolarmente ampia in materia processuale  (ex  plurimis,
sentenza n. 45 del 2019; ordinanza n. 273 del 2019). 
    Anche recentemente questa Corte (ordinanza  n.  3  del  2020)  ha
ribadito che «la giurisprudenza costituzionale ha in  piu'  occasioni
ricondotto l'istituto del patrocinio a spese dello  Stato  nell'alveo
della disciplina processuale (sentenza n. 81 del 2017;  ordinanze  n.
122 del  2016  e  n.  270  del  2012),  nella  cui  conformazione  il
legislatore gode di ampia discrezionalita', con il solo limite  della
manifesta irragionevolezza o arbitrarieta' delle scelte adottate  (ex
plurimis, sentenza n. 97 del 2019)». E, proprio con riferimento  alla
disciplina della revoca del decreto di  ammissione  al  patrocinio  a
spese dello Stato, questa Corte (sentenza n. 47 del 2020) ha ritenuto
«inammissibili questioni rispetto alle quali si chiede una  pronuncia
connotata da un cospicuo tasso di manipolativita'  (sentenze  n.  219
del 2019, n. 23 del 2016 e n. 277 del 2014; ordinanze n. 254 e n. 122
del 2016)». 
    Insomma, questa Corte non puo' sostituirsi al legislatore in tali
valutazioni discrezionali, tanto piu' che un intervento additivo come
quello auspicato dal giudice rimettente rischierebbe  di  creare  non
secondarie disarmonie applicative. 
    Occorre considerare, infatti, che la problematica non riguarda  i
soli  provvedimenti  emessi  dai  giudici  civili   in   composizione
collegiale.  In  particolare,  la  giurisprudenza  della   Corte   di
cassazione, per  un  verso,  riconduce  le  controversie  incardinate
dall'opposizione ex art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 alla  materia
civile, e quindi alla cognizione  del  giudice  civile,  anche  se  i
provvedimenti  sono  stati  emessi  dal  giudice  penale  (Corte   di
cassazione, sezioni unite  civili,  sentenza  3  settembre  2009,  n.
19161) e, per un altro, ha sancito la sussistenza della giurisdizione
del  giudice  ordinario  anche  sulle  opposizioni  proposte   contro
provvedimenti resi dai giudici amministrativi (Corte  di  cassazione,
sezioni unite civili, sentenza 23 dicembre 2016, n. 26907). 
    In sostanza,  sebbene  nella  fattispecie  risulti  distonica  la
previsione dell'ordinanza di un giudice monocratico che  deliberi  in
sede di opposizione avverso  un  decreto  di  natura  giurisdizionale
anche quando questo e' emesso da un giudice collegiale, vi e' che una
pronuncia  di  accoglimento  di  questa  Corte,  per  non  comportare
incertezze  nella  stessa  declinazione  del  principio  del  giudice
naturale precostituito per  legge  (art.  25,  primo  comma,  Cost.),
richiederebbe di indicare in modo puntuale il collegio che, a seconda
del  giudice  collegiale  (non  solo  civile,  ma  anche   penale   e
amministrativo) che ha emesso il provvedimento  impugnato  di  revoca
del patrocinio, sarebbe competente  a  decidere  dell'opposizione  ai
sensi degli artt. 170 del t.u. e 15 del d.lgs. n. 150 del 2011. 
    E' evidente che un intervento di tale portata, che implica un pur
auspicabile riordino del sistema  normativo,  esula  dai  compiti  di
questa  Corte  ed  e'  demandato  alle  valutazioni  e   scelte   del
legislatore. 
    Ne', infine, puo' trascurarsi di evidenziare  che  una  pronuncia
additiva, come  quella  richiesta  dal  giudice  rimettente,  sarebbe
comunque inidonea a ricondurre a piena coerenza il  sistema,  poiche'
la collegialita' finirebbe con il divenire una  regola  non  generale
bensi' asimmetrica, in  quanto  operante,  o  no,  in  ragione  della
composizione monocratica o collegiale del giudice che  ha  emesso  il
decreto impugnato;  la  quale  potrebbe  anche  essere,  in  ipotesi,
controversa e sub iudice. 
    4.2.- Parimenti inammissibili sono le questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate con riferimento all'art.  97  Cost.,  atteso
che, secondo costante giurisprudenza costituzionale, il principio  di
buon  andamento,  di  cui  all'evocato  parametro,   e'   «riferibile
all'amministrazione  della  giustizia  soltanto  per  quanto  attiene
all'organizzazione e al funzionamento degli  uffici  giudiziari,  non
all'attivita' giurisdizionale in senso stretto» (ex multis,  sentenze
n. 90 del 2019 e n. 91 del 2018). 
    5.- Le questioni di legittimita'  costituzionale,  sollevate  dal
giudice  rimettente,  vanno,  quindi,  dichiarate  inammissibili  con
riferimento a entrambi gli evocati parametri. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 170 del  d.P.R.  30  maggio  2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia di spese di  giustizia  (Testo  A)»  e  dell'art.  15  del
decreto  legislativo  1°  settembre  2011,   n.   150   (Disposizioni
complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e
semplificazione dei  procedimenti  civili  di  cognizione,  ai  sensi
dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n.  69),  sollevate,  in
riferimento agli  artt.  3  e  97  della  Costituzione,  dalla  Corte
d'appello di Torino, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 marzo 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA