N. 90 SENTENZA 7 aprile - 15 maggio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Assistenza  e   solidarieta'   sociale   -   Integrazione   salariale
  straordinaria - Presentazione tardiva della  domanda  -  Decorrenza
  del trattamento dal trentesimo giorno successivo alla presentazione
  -  Denunciata  violazione  dei   principi   di   ragionevolezza   e
  proporzionalita' - Non fondatezza della questione. 
- Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, art. 25, comma 3. 
- Costituzione, artt. 3 e 41. 
(GU n.21 del 20-5-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Augusto Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  25,  comma
3, del decreto legislativo 14 settembre 2015,  n.  148  (Disposizioni
per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori  sociali
in costanza di rapporto di  lavoro,  in  attuazione  della  legge  10
dicembre  2014,  n.  183),  promosso  dal  Tribunale   amministrativo
regionale per il Lazio, sezione terza-bis, nel procedimento  vertente
tra la societa' Artemide Global Service srl e il Ministero del lavoro
e delle politiche sociali, con ordinanza del 4 luglio 2019,  iscritta
al n. 173 del registro ordinanze 2019  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 43,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito il Giudice relatore  Giulio  Prosperetti  nella  camera  di
consiglio del 6 aprile  2020,  svolta  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 24 marzo 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 4 luglio 2019 (reg. ord. n. 173 del  2019),
il  Tribunale  amministrativo  regionale  per   il   Lazio,   sezione
terza-bis, ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  3  e  41  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  25,
comma  3,  del  decreto  legislativo  14  settembre  2015,   n.   148
(Disposizioni  per  il  riordino  della  normativa  in   materia   di
ammortizzatori  sociali  in  costanza  di  rapporto  di  lavoro,   in
attuazione della legge 10 dicembre 2014,  n.  183),  secondo  cui  il
trattamento straordinario di integrazione  salariale  «[i]n  caso  di
presentazione tardiva della domanda,  [...]  decorre  dal  trentesimo
giorno successivo alla presentazione della domanda medesima». 
    1.1.- Il rimettente premette che il giudizio principale e'  stato
instaurato a  seguito  del  ricorso  presentato  da  Artemide  Global
Service (AGS) srl nei confronti del  Ministero  del  lavoro  e  delle
politiche  sociali  avverso  il  decreto  n.  95032  del   2016,   di
concessione del trattamento straordinario di  integrazione  salariale
in favore dei lavoratori dipendenti della societa'  medesima  per  il
periodo dal 30 dicembre 2015 al 1° ottobre 2016. 
    La societa' ricorrente,  operante  nel  settore  dei  servizi  di
pulizia e delle attivita'  ferroviarie,  ha  rappresentato:  di  aver
avuto  in  affidamento  dal  Consorzio  Stabile  Miles   l'esecuzione
dell'attivita' di pulizia del materiale rotabile in diverse  province
della Regione Siciliana; di aver incontrato in data 22 settembre 2015
le organizzazioni sindacali di categoria per discutere in ordine alle
modalita' di "passaggio di cantiere" di tutte le  maestranze  sino  a
quel momento impiegate dalla precedente aggiudicataria, come previsto
dall'art. 16-bis del contratto collettivo nazionale di  lavoro  della
mobilita'/area contrattuale attivita' ferroviarie del 20 luglio  2012
(CCNL); di essersi impegnata nella medesima data, previo accordo  con
le parti sociali, ad assorbire tutto  il  personale  avente  diritto,
garantendo l'integrale  applicazione  del  CCNL  di  categoria  ed  i
relativi  accordi  sottoscritti  in  sede  nazionale   nonche'   alla
riduzione oraria per effetto degli  ammortizzatori  sociali  in  atto
alla data del passaggio. 
    Viene riferito altresi' che il 1° ottobre 2015 le  parti  avevano
formalizzato  le  intese  cosi'  raggiunte  il  22  settembre   2015,
stabilendo di «sottoscrivere un contratto di solidarieta' ai sensi  e
per gli effetti dell'art. 21 comma l lettera "C" e comma 5 del D.Lgs.
148/2015 relativamente al personale impegnato nella  Regione  Sicilia
per il periodo dal 2 ottobre 2015 al 1  ottobre  2016»;  la  societa'
ricorrente rappresenta di aver presentato il 30 novembre 2015 domanda
per la fruizione per il predetto periodo  del  correlato  trattamento
straordinario di integrazione salariale. 
    Con  il  decreto  impugnato  il  trattamento  era  stato   invece
autorizzato limitatamente al periodo  dal  30  dicembre  2015  al  1°
ottobre 2016, in applicazione del disposto dell'art. 25, comma 3, del
d.lgs. n. 148 del 2015,  secondo  cui  «[i]n  caso  di  presentazione
tardiva della domanda, il trattamento decorre dal  trentesimo  giorno
successivo alla presentazione della domanda medesima». Cio' in quanto
la domanda di concessione del trattamento era stata presentata  oltre
il termine di sette giorni, previsto dal comma 1  dello  stesso  art.
25, dalla data di stipula dell'accordo collettivo aziendale  relativo
all'intervento richiesto. 
    Nell'esporre che con il ricorso la societa' AGS srl si doleva del
differimento  della  decorrenza  del  periodo  di   concessione   del
trattamento cosi' disposto dal decreto impugnato, il  giudice  a  quo
riferisce che, con sentenza non definitiva n. 9403 del  17  settembre
2018, respinti  gli  altri  motivi  di  gravame,  aveva  riservato  a
separata ordinanza la valutazione della  rilevanza  e  non  manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
25,  comma  3,  del  d.lgs.  n.  148  del  2015,  prospettata   dalla
ricorrente. 
    Al riguardo, il rimettente rappresenta che, ad avviso  della  AGS
srl, la disciplina recata dalla predetta disposizione delineerebbe un
trattamento deteriore rispetto a quello in  precedenza  statuito  (in
verita' per la fattispecie della  integrazione  salariale  ordinaria)
dall'art. 7 della legge 20 maggio 1975, n. 164 (Provvedimenti per  la
garanzia del salario) a mente del quale,  in  caso  di  presentazione
dell'istanza oltre il termine indicato,  l'eventuale  trattamento  di
integrazione salariale poteva aver luogo a decorrere da una settimana
anteriore rispetto alla data di presentazione.  Secondo  la  societa'
ricorrente, tale differente  trattamento  sanzionatorio  non  avrebbe
alcuna ragione pratica e confliggerebbe con gli artt. 2, 3, 36  e  97
Cost.,  in  quanto  «scarica  sull'impresa  l'onere  di  sostenere  i
trattamenti di integrazione relativamente ai trenta giorni successivi
alla presentazione dell'istanza»; inoltre, la  norma  discriminerebbe
le imprese operanti nel settore degli appalti pubblici, le  quali  in
forza della cosiddetta clausola sociale sono obbligate ad assumere  i
dipendenti delle imprese appaltatrici a cui subentrano. 
    1.2.- A scioglimento della riserva il TAR Lazio solleva,  dunque,
la questione di legittimita' costituzionale in esame  in  sostanziale
accoglimento della tesi della ricorrente. 
    Il  collegio  rimettente  innanzitutto  deduce  che  in  caso  di
subentro «l'impresa subentrante non e' immediatamente titolare  prima
della formalizzazione del  subentro,  dei  rapporti  contrattuali  di
lavoro con  i  dipendenti  dell'impresa  precedente,  per  cui  sara'
costretta a procrastinare l'avvio  e  poi  la  formalizzazione  degli
accordi con le OO.SS. relativi  alla  richiesta  del  trattamento  di
integrazione, con la conseguenza, illogica e vessatoria, che  per  la
fase antecedente al subentro il trattamento  di  integrazione  dovra'
gravare sull'imprenditore subentrante  poiche'  l'intervento  statale
decorrera' dal trentesimo giorno successivo alla presentazione  della
domanda di integrazione». 
    Con riguardo al profilo della rilevanza, il giudice a quo afferma
che  «emerge  a  chiare  note  dalla  scrutinata  infondatezza  degli
esaminati primi cinque motivi di ricorso, respinti  con  sentenza  n.
9403/2018, come in caso di accoglimento della  rimessa  questione  di
declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 25, co. 3, d.lgs.  cit.
che  ha  costituito  il  fondamento   giuridico   del   provvedimento
impugnato, il Tribunale dovra' accogliere il gravame». 
    In ordine alla non manifesta  infondatezza  della  questione,  il
rimettente evidenzia che «va  subito  rimarcato  come  il  meccanismo
della posticipazione  del  trattamento  di  integrazione  al  periodo
successivo al compimento del trentesimo  giorno  dalla  presentazione
dell'istanza  prodotta  oltre  il   termine   prescritto,   determini
un'ingiustificata compressione della  sfera  privata  del  datore  di
lavoro,  il  quale  dovra'  sopportare  i   costi   del   trattamento
integrativo per i trenta giorni antecedenti l'inizio  del  medesimo»;
cosi' «viene scaricato sull'imprenditore  il  peso  e  l'onere  della
corresponsione  ai  dipendenti,   del   trattamento   retributivo   e
previdenziale per i trenta giorni antecedenti alla concessione  della
provvidenza. E cio' appare tanto piu' grave se si  considera  che  in
tal modo vengono frustrate le finalita'  stesse  dell'istituto  della
cassa integrazione, che sono sociali ed assistenziali  (Consiglio  di
Stato, Sez. VI, 22 aprile 2014,  n.  2004;  T.A.R.  Campania-Salerno,
sez. I, 12 Dicembre 2017 n. 1750; Tribunale  Regionale  di  Giustizia
Amministrativa Trentino Alto Adige, 4.11.2015 n. 432)». 
    Ad  avviso   del   rimettente,   «[l]a   risposta   sanzionatoria
dell'ordinamento si profila ancor piu' ingiusta ove si  rifletta  che
essa interviene ai danni di un soggetto che versa gia' in  condizioni
di crisi aziendale, tanto da  indurlo  alla  richiesta  del  pubblico
sussidio. Di talche' appare oltremodo illogico addossare al  medesimo
anche l'onere aggiuntivo di sopportare il carico della retribuzione e
degli oneri riflessi dei lavoratori nel  periodo  non  coperto  dalla
provvidenza». 
    Inoltre  il  rimettente  deduce  che  «insit[o]   nel   delineato
meccanismo di postdatazione dell'aiuto pubblico, e' il sacrificio che
lo stesso determina della sfera di liberta' di  iniziativa  economica
tutelata dall'art. 42» (recte: 41) «della  Costituzione,  atteso  che
viene scaricato sull'imprenditore  datore  di  lavoro  un  onere  che
invece lo Sato riconosce, almeno provvisoriamente, come proprio, ma a
far tempo dal trentesimo giorno successivo alla data di presentazione
della domanda di aiuto». 
    Il giudice a quo ritiene che «se viene positivamente delibata  la
sussistenza dei presupposti dell'aiuto, non si intravede  la  ragione
per la quale siffatto onere debba gravare sul datore di  lavoro  solo
perche' l'istanza e' stata  prodotta,  in  ipotesi,  l'ottavo  giorno
dalla   conclusione   dell'accordo   sindacale»   e   che   «[s]tante
l'illustrata  angustia  del  termine  di  soli  sette  giorni   dalla
conclusione dell'accordo  sindacale  finalizzato  alla  richiesta  di
contributo, la sanzione della  sua  inosservanza  anche  di  un  solo
giorno si profila sproporzionata e confliggente con il  principio  di
proporzionalita',  che  e'   poi   un   corollario   di   quello   di
ragionevolezza, che anche il legislatore e' tenuto a rispettare». 
    Ad avviso del TAR «[m]aggiormente proporzionata e ragionevole  si
prospettava invece la previgente disciplina di cui all'art.  7  della
L. n. 164 del 20.5.1975, che stabiliva che "Qualora la domanda  venga
presentata dopo il termine indicato nel comma precedente, l'eventuale
trattamento di integrazione  salariale  non  potra'  aver  luogo  per
periodi  anteriori  di  una   settimana   rispetto   alla   data   di
presentazione"». 
    Evidenzia il  rimettente  che  «[l]o  spartiacque  temporale  era
dunque costituito sempre dalla data  della  domanda,  ma  i  relativi
effetti non potevano retroagire ad oltre una settimana dalla  stessa.
Viceversa secondo il meccanismo ingiusto e gravatorio  dell'art.  25,
co. 3 del d.lgs. n. 148/2015, il periodo  retributivo  coperto  dalla
provvidenza pubblica decorrera' dalla scadenza del trentesimo  giorno
successivo alla data di presentazione dell'istanza». 
    Nel rilevare che non «e' dato rinvenire nei lavori preparatori al
varo del  d.lgs.  n.  148/2015  alcuna  ragione  giustificatrice  del
censurato meccanismo di postdatazione della  decorrenza  dell'aiuto»,
il giudice a quo deduce che «la sanzione apprestata  dall'ordinamento
anche a fronte di un solo  giorno  di  ritardo  rispetto  all'angusto
termine di sette giorni» appare «quanto mai violativa  del  principio
di ragionevolezza e proporzionalita' scolpiti all'art. 3 della  Carta
fondamentale». 
    Prosegue  il  rimettente  che  «non  senza   rilievo   e'   anche
l'ulteriore  profilo  di  discriminazione   segnalato   dalla   parte
ricorrente, relativamente alla posizione delle  imprese  appaltatrici
di opere o  lavori  pubblici  che  versino  in  situazioni  di  crisi
aziendale  abilitante  alla  richiesta   del   sostegno   integrativo
pubblico. Invero, va considerato  che  in  caso  di  subentro  di  un
appaltatore nella gestione di un servizio ovvero di un'opera pubblica
in forza della c.d. clausola sociale, presente in tutti  i  contratti
collettivi nazionali di lavoro e  in  virtu'  della  quale  l'impresa
subentrante a seguito di gara pubblica e' obbligata ad assumere  alle
sue dipendenze e per tutta la durata  della  commessa,  i  lavoratori
dipendenti dell'impresa uscente, siccome il delineato  meccanismo  di
postdatazione dell'aiuto comporta la sua decorrenza non immediata  ma
differita  alla  scadenza  del  trentesimo  giorno  successivo   alla
presentazione della domanda, ne  deriva  che  l'impresa  appaltatrice
subentrante  non  puo'  immediatamente  porre  in  essere  le  misure
integrative del salario, a differenza delle imprese che, essendo gia'
titolari delle  posizioni  giuridiche  datoriali  nei  confronti  dei
propri dipendenti, possono anticipare le trattative sindacali  e  gli
accordi negoziali». 
    2.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio  incidentale  con  atto  depositato  il  12  novembre  2019,
chiedendo  di  dichiarare  la  questione  inammissibile  o   comunque
infondata. 
    Preliminarmente, la difesa statale deduce che la questione appare
inammissibile, in quanto «si contesta la previsione di una "sanzione"
che tale non e'». Cio' in quanto «[i]l differimento di 30  giorni  e'
semplicemente un termine procedimentale nell'ambito  della  procedura
di concessione di un beneficio economico», con la  conseguenza  della
«non pertinenza di tutta la giurisprudenza richiamata  nell'ordinanza
che afferisce invece al diverso tema delle sanzioni  e  dei  principi
che le regolano». 
    In secondo luogo, l'interveniente osserva che «nell'ordinanza  si
fa  riferimento  alla  circostanza  che   la   posticipazione   della
decorrenza del beneficio consegue "anche a fronte di un  solo  giorno
di ritardo" nella presentazione della domanda»,  ma  «tale  questione
non appare rilevante nel caso in esame, in cui il ritardo e' stato di
ben 54 giorni». 
    Ulteriore profilo di inammissibilita', ad avviso  dell'Avvocatura
generale, «e' dato dalla mancata indicazione del regime che  dovrebbe
conseguire ad una eventuale  pronuncia  di  incostituzionalita',  nel
senso che  possono  ipotizzarsi  diverse  opzioni  per  rendere  meno
gravose le conseguenze  del  ritardo  (ad  esempio:  ampliamento  del
termine di  sette  giorni;  decorrenza  del  beneficio  anteriore  al
trentesimo  giorno,  ovvero,  una  diversa  graduazione  del  periodo
successivamente al quale far decorrere il  beneficio  ecc.),  la  cui
individuazione spetta pero' al legislatore  e  non  deriverebbe  come
soluzione obbligata all'esito di una decisione di accoglimento  della
questione». 
    In ogni caso, secondo la difesa dello Stato,  la  questione  deve
ritenersi infondata. 
    Atteso che, nel concedere risorse pubbliche, il legislatore  gode
«di un'ampia discrezionalita' circa  l'ammontare  dei  benefici  (che
devono  essere  compatibili  con  la  situazione  del  bilancio),  le
modalita' della richiesta e la decorrenza degli  stessi»,  la  difesa
statale deduce che pertanto «non assume rilievo quanto sostenuto  dal
giudice remittente, secondo cui  la  norma  censurata  determinerebbe
"un'ingiustificata compressione della sfera  privata  del  datore  di
lavoro,  il  quale  dovra'  sopportare  i   costi   del   trattamento
integrativo per i trenta giorni antecedenti l'inizio del medesimo"». 
    Per  tali  motivi,  secondo  l'Avvocatura  generale,  «anche   la
disparita' di trattamento rispetto al  previgente  sistema  (previsto
dall'art. 7 della legge n.  164/1975)  non  appare  ingiustificata  o
irragionevole,  in  quanto  entrambe  le  scelte   devono   ritenersi
ricomprese nell'ambito del potere discrezionale  del  legislatore  di
disciplinare la concessione di provvidenze per  motivi  di  interesse
pubblico». 
    La difesa statale evidenzia  che  il  meccanismo  previsto  dalla
previgente disciplina di cui al citato art. 7 della legge n. 164  del
1975 era diverso, e  che  quindi  «non  e'  possibile  ipotizzare  un
paragone  tra  le  due  discipline,  stante  il  diverso   meccanismo
previsto». 
    La difesa dello Stato eccepisce,  poi,  l'inammissibilita'  della
questione in quanto sollevata «sotto il profilo  dell'art.  41  Cost.
(norma soltanto enunciata nel  dispositivo),  in  totale  assenza  di
alcuna argomentazione al riguardo, ad eccezione di un riferimento  al
(diverso) art. 42 Cost.». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Con  l'ordinanza  indicata   in   epigrafe,   il   Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza-bis, solleva, in
riferimento agli artt.  3  e  41  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  25,  comma  3,  del  decreto
legislativo 14 settembre 2015, n. 148 (Disposizioni per  il  riordino
della normativa in materia di ammortizzatori sociali in  costanza  di
rapporto di lavoro, in attuazione della legge 10  dicembre  2014,  n.
183),  secondo  cui  il  trattamento  straordinario  di  integrazione
salariale «[i]n caso di presentazione tardiva  della  domanda,  [...]
decorre dal trentesimo giorno  successivo  alla  presentazione  della
domanda medesima». 
    La questione e' insorta nel corso di un giudizio  promosso  dalla
societa'  Artemide  Global  Service  (AGS)  srl  nei  confronti   del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali avverso un decreto  di
concessione del trattamento straordinario di  integrazione  salariale
relativo al contratto di solidarieta' stipulato il  1°  ottobre  2015
dalla societa' ricorrente con le competenti organizzazioni  sindacali
ai sensi dell'art. 21, comma 1, lettera c), e  comma  5,  del  citato
d.lgs. n. 148 del 2015. 
    Nel ricorso la societa'  lamenta  la  riduzione  del  periodo  di
fruizione del trattamento concesso  dall'amministrazione  rispetto  a
quello richiesto: nella domanda, presentata il 30 novembre 2015,  era
indicato il periodo dal 2 ottobre 2015 al  1°  ottobre  2016,  mentre
l'amministrazione aveva autorizzato la corresponsione del trattamento
fino al 1° ottobre 2016, ma con decorrenza dal 30 dicembre 2015. Cio'
in applicazione della disposizione impugnata, poiche' la  domanda  di
concessione del  trattamento  era  stata  presentata  dalla  societa'
ricorrente decorso il termine, stabilito dal  comma  1  dello  stesso
articolo 25 del d.lgs. n. 148 del 2015, di sette giorni dalla data di
stipula  dell'accordo  collettivo  aziendale  relativo   al   ricorso
all'intervento costituito dal contratto di solidarieta' difensiva. 
    2.- Il giudice a quo  dubita  della  legittimita'  costituzionale
della disciplina, recata dalla disposizione impugnata, degli  effetti
della presentazione tardiva della domanda di  integrazione  salariale
straordinaria che consegue, nella fattispecie in esame, alla  stipula
del contratto di solidarieta' difensiva. 
    Si tratta del contratto  collettivo  aziendale  ora  disciplinato
dall'art. 21,  comma  5,  del  d.lgs.  n.  148  del  2015,  stipulato
dall'impresa con le organizzazioni sindacali  indicate  nell'art.  51
del decreto legislativo 15 giugno 2015, n.  81  (Disciplina  organica
dei contratti di lavoro  e  revisione  della  normativa  in  tema  di
mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge  10  dicembre
2014, n. 183) che, nello  stabilire  «una  riduzione  dell'orario  di
lavoro al fine di evitare, in tutto o in parte,  la  riduzione  o  la
dichiarazione di esubero del personale», e' stato definito  contratto
di  "solidarieta'  difensiva".  Gia'   previsto   dall'art.   1   del
decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno e ad
incremento dei livelli occupazionali), convertito, con modificazioni,
nella  legge  19  dicembre  1984,  n.   863,   tale   contratto,   in
considerazione della sua funzione a difesa dei livelli occupazionali,
e' stato espressamente incluso dal comma 1, lettera c), del  medesimo
art. 21 tra le causali in presenza delle quali puo' essere  richiesto
l'intervento  straordinario  di  integrazione   salariale,   il   cui
procedimento di concessione e' disciplinato dall'art. 25 del medesimo
decreto legislativo, nell'ambito del quale si colloca la disposizione
impugnata. 
    2.1.- Nell'iter argomentativo del rimettente  possono  enuclearsi
tre censure nei  confronti  della  disposizione  impugnata,  come  di
seguito sintetizzate. 
    Essa innanzitutto violerebbe l'art. 3 Cost.,  in  riferimento  ai
principi   di   ragionevolezza   e   proporzionalita',   in    quanto
comporterebbe  una   "sanzione"   ingiustificatamente   onerosa   per
l'impresa che presenti la domanda oltre il termine  di  sette  giorni
stabilito dal comma 1 del medesimo art. 25  del  d.lgs.  n.  148  del
2015. 
    Inoltre, la disposizione  sarebbe  lesiva  dello  stesso  art.  3
Cost., ma in riferimento  al  principio  di  uguaglianza,  in  quanto
opererebbe una discriminazione nei confronti delle imprese (quale  e'
la ricorrente nel giudizio principale) che subentrano  in  appalti  e
che devono quindi rispettare la cosiddetta clausola sociale (prevista
nella fattispecie dall'art. 16-bis del contratto collettivo nazionale
di lavoro della mobilita'/area contrattuale attivita' ferroviarie del
20 luglio 2012), secondo cui viene trasferito all'impresa subentrante
il personale gia' occupato in quella cessante. La discriminazione  e'
individuata con riferimento alla situazione delle altre imprese  «che
essendo  gia'  titolari  delle  posizioni  giuridiche  datoriali  nei
confronti dei propri dipendenti,  possono  anticipare  le  trattative
sindacali e gli accordi negoziali». 
    Infine,  la  disposizione  violerebbe   l'art.   41   Cost.,   in
riferimento  al  principio  di  liberta'  dell'iniziativa   economica
privata, poiche'  verrebbe  «scaricato  sull'imprenditore  datore  di
lavoro   un   onere   che   invece   lo   Stato   riconosce,   almeno
provvisoriamente, come proprio, ma a far tempo dal trentesimo  giorno
successivo alla data di presentazione della domanda di aiuto». 
    3.- Preliminarmente occorre dichiarare  l'inammissibilita'  della
questione in riferimento alle dedotte  violazioni  del  principio  di
uguaglianza, sotto il profilo del divieto di  discriminazione,  posto
dall'art. 3 Cost., e di quello di  libero  esercizio  della  liberta'
d'impresa sancito dall'art. 41  Cost.,  in  quanto  non  sorrette  da
adeguata motivazione (in tal senso, ex plurimis, sentenze n. 133 e n.
120 del 2016, e n. 223 del 2015). 
    3.1.- In ordine alla lesione dell'art. 3 Cost., in riferimento al
principio  di  uguaglianza,  l'asserita   discriminazione,   che   la
disposizione impugnata comporterebbe tra imprese  subentranti  in  un
appalto e le altre, risulta meramente enunciata. 
    Il rimettente si limita a prospettare in  via  generale  il  tema
senza  descrivere  ne'  argomentare  se  essa  si  sia  concretamente
manifestata  nella  fattispecie  in  esame  e  in  che   termini   e,
soprattutto, in che modo essa avrebbe inciso sulla determinazione del
notevole ritardo (oltre cinquanta giorni) nella  presentazione  della
domanda di concessione del trattamento straordinario di  integrazione
salariale rispetto al termine di sette  giorni,  stabilito  dall'art.
25, comma 1, del d.lgs. n. 148 del 2015, decorrente dalla stipula del
contratto di solidarieta'; ritardo sulle cui cause il giudice  a  quo
peraltro non fornisce alcun elemento esplicativo. 
    D'altro canto, le  peculiari  vicende  relative  al  subentro  in
appalti dedotte dal rimettente  potrebbero,  semmai,  influire  sulla
fase negoziale dell'accordo collettivo aziendale in oggetto; fase che
afferisce alla sfera privatistica e che si colloca  "a  monte"  della
stipula dell'accordo collettivo aziendale relativo all'intervento, la
cui data e' assunta dal legislatore come dies a quo di decorrenza del
termine per la presentazione della domanda. 
    3.2.- Parimenti carente di adeguata motivazione  e'  la  asserita
violazione dell'art. 41, primo comma, Cost. 
    Il rimettente afferma che la disposizione censurata lederebbe  la
sfera di  liberta'  di  iniziativa  economica  dell'imprenditore,  in
quanto porrebbe a carico dell'imprenditore stesso  un  onere  che  lo
Stato riconosce come proprio, ma a far tempo  dal  trentesimo  giorno
successivo alla presentazione della domanda di aiuti. 
    L'argomentazione e' apodittica. 
    Il rimettente non motiva infatti  le  ragioni  per  le  quali  la
disposizione impugnata assumerebbe un rilievo tale da determinare una
lesione diretta e rilevante all'esercizio della liberta' di  impresa,
idonea a configurare un reale vulnus al principio  sancito  dall'art.
41 Cost. (ex plurimis, sentenze n. 56 del 2015 e n. 96 del 2012). 
    4.- Rimane l'esame della dedotta violazione da parte della  norma
censurata  dell'art.  3  Cost.  in   riferimento   ai   principi   di
ragionevolezza  e   proporzionalita';   censura   che   nell'impianto
argomentativo  del   rimettente,   assume   indubbiamente   carattere
preponderante e prioritario. 
    4.1.- La censura non e' fondata. 
    Il rimettente assume che la disposizione impugnata  sanzionerebbe
in  modo  ingiustificatamente  oneroso  l'impresa  che,   dopo   aver
stipulato il contratto di solidarieta' difensiva (riduzione di orario
di lavoro per evitare licenziamenti collettivi), inoltri  la  domanda
di concessione del relativo trattamento straordinario di integrazione
salariale oltre il termine previsto dal comma 1 dello stesso art.  25
del d.lgs. n. 148 del 2015. 
    In via preliminare questa Corte rileva  che  il  legislatore  nel
disciplinare  la  materia  degli  ammortizzatori  sociali  e,   nello
specifico, nel conformare i  correlati  procedimenti  amministrativi,
gode di ampia discrezionalita', con il solo  limite  della  manifesta
irragionevolezza o arbitrarieta' delle scelte compiute. 
    Tale limite, contrariamente all'assunto del rimettente, non  puo'
ritenersi superato nella fattispecie in esame, anche alla luce  della
ricognizione del complessivo assetto della disciplina  in  materia  e
della sua evoluzione. 
    Nella  struttura  argomentativa  dell'ordinanza,  concernente  la
dedotta  irragionevolezza  della  disposizione   contestata,   assume
notevole  rilievo  il  richiamo  alla   previgente   disciplina   (il
rimettente richiama l'art. 7 della legge  20  maggio  1975,  n.  164,
recante «Provvedimenti per la garanzia del salario»). 
    Antecedentemente  al  d.lgs.  n.  148  del  2015,  i  termini  di
presentazione  della  domanda  di  concessione  dei  trattamenti   di
integrazione salariale e gli effetti del ritardo erano  disciplinati,
in modo sostanzialmente coincidente, per il trattamento ordinario (ai
sensi del ricordato art. 7 della legge n. 164 del 1975) e per  quello
straordinario (ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218
«Regolamento recante norme per la  semplificazione  del  procedimento
per la concessione del trattamento  di  cassa  integrazione  guadagni
straordinaria e di integrazione salariale a seguito della stipula  di
contratti di solidarieta', ai sensi  dell'articolo  20  della  L.  15
marzo 1997, n. 59 - allegato 1, numeri  90  e  91»),  al  quale  piu'
correttamente il rimettente avrebbe dovuto riferirsi. 
    Entrambe le disposizioni prevedevano che la domanda doveva essere
presentata entro venticinque giorni dalla fine del periodo di paga in
corso al termine  della  settimana  in  cui  aveva  avuto  inizio  la
sospensione o la riduzione dell'orario di lavoro  per  effetto  della
causale per la quale si chiedeva l'intervento,  e  che,  in  caso  di
ritardo della domanda, l'eventuale trattamento decorreva  dall'inizio
della settimana anteriore alla data di  presentazione  della  domanda
stessa. 
    Il giudice  a  quo,  nel  far  propria  la  prospettazione  della
societa' ricorrente, afferma che tale  precedente  assetto  normativo
sarebbe  maggiormente  rispondente  a  criteri  di  ragionevolezza  e
proporzionalita'  rispetto  alla  disposizione   impugnata,   laddove
stabiliva, con minor rigore, gli effetti del ritardo della domanda di
concessione del trattamento straordinario di integrazione  salariale:
in  tal  senso,  la  previgente  disciplina   sembra   essere   stata
erroneamente invocata in termini di tertium comparationis  in  chiave
retrospettiva. 
    Le disposizioni innanzi riferite, riguardanti i  procedimenti  di
concessione dei trattamenti di  integrazione  salariale,  sono  state
abrogate dall'art. 46, comma 1, lettere f) e o), del  d.lgs.  n.  148
del 2015 che, nel riordinare, in attuazione della legge di delega  10
dicembre 2014, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di riforma degli
ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e  delle  politiche
attive, nonche' in materia di riordino della disciplina dei  rapporti
di lavoro e dell'attivita' ispettiva  e  di  tutela  e  conciliazione
delle esigenze di  cura,  di  vita  e  di  lavoro),  la  stratificata
normativa in  materia  di  ammortizzatori  sociali  "in  costanza  di
rapporto di lavoro",  ha  dettato  agli  artt.  15  e  25  una  nuova
disciplina, rispettivamente, per il procedimento di  concessione  del
trattamento ordinario  e  di  quello  straordinario  di  integrazione
salariale. 
    Al riguardo occorre rilevare che l'art. 1, comma 2,  lettera  a),
numero 2), della predetta legge di delega stabilisce che il  riordino
dei procedimenti e' anche  finalizzato  alla  «semplificazione  delle
procedure  burocratiche  attraverso  l'incentivazione  di   strumenti
telematici  e  digitali,  considerando  anche  la   possibilita'   di
introdurre  meccanismi  standardizzati   a   livello   nazionale   di
concessione dei trattamenti prevedendo strumenti certi ed esigibili». 
    Il  legislatore  delegato  ha  nettamente  differenziato  i   due
procedimenti, scandendo in modo notevolmente diverso i termini  e  le
fasi del procedimento relativo all'integrazione ordinaria (art. 15) e
di quello concernente  l'integrazione  straordinaria  (art.  25),  in
precedenza disciplinati in maniera omogenea. 
    La revisione e' particolarmente incisiva proprio  in  riferimento
al  procedimento  che  viene  in  evidenza  nell'odierna   questione,
riguardante  la  concessione   del   trattamento   straordinario   di
integrazione  salariale  conseguente  al  contratto  di  solidarieta'
difensiva. 
    La precedente disciplina e quella  rivisitata  dall'art.  25  del
d.lgs. n. 148 del 2015 divergono  difatti  per  aspetti  di  assoluto
rilievo. Innanzi tutto il dies a quo del termine della  presentazione
della domanda, che nella precedente disciplina decorreva  dall'inizio
della riduzione/sospensione dell'orario di lavoro, mentre ora decorre
dalla  stipula  dell'accordo  collettivo,  che  assume,  dunque,  una
precisa rilevanza come parametro temporale previsto per  l'avvio  del
procedimento. Anche i termini (venticinque giorni e sette giorni) non
sono comparabili e cosi' gli effetti del ritardo. 
    Per il diverso trattamento di cassa integrazione  guadagni  (CIG)
ordinaria, l'art. 15 del d.lgs. n. 148 del  2015  ha  sostanzialmente
conservato il precedente procedimento, ma ha ridotto da venticinque a
quindici giorni il termine per la presentazione della  domanda;  tale
riduzione conferma la  volonta'  del  legislatore  di  velocizzare  i
procedimenti di  concessione  dei  trattamenti  di  integrazione  del
reddito in costanza del rapporto di lavoro. 
    Rimane, invece, comune ai due procedimenti  la  disciplina,  gia'
prevista dalle previgenti disposizioni,  relativa  al  caso  in  cui,
dall'omessa o tardiva presentazione della domanda  derivi,  in  danno
dei lavoratori interessati la perdita totale o parziale  del  diritto
all'integrazione salariale. Difatti, entrambe le normative (artt. 15,
comma 4, e 25, comma 4, del d.lgs. n. 148 del 2015) stabiliscono  che
l'impresa e' tenuta  a  corrispondere  ai  lavoratori  una  somma  di
importo equivalente alla integrazione salariale non percepita. 
    Tale disciplina conferma, sotto altro profilo,  l'attenzione  del
legislatore alla tempestivita' degli adempimenti richiesti al  datore
di lavoro in relazione al procedimento in esame  e  alle  conseguenze
che  in  caso  di  inottemperanza  si  determinano  sulla  sua  sfera
giuridica e patrimoniale. 
    La rilevata intervenuta  differenziazione  dei  due  procedimenti
contribuisce a rendere inconferente, ai fini del  presente  giudizio,
il richiamo operato dal rimettente alla previgente disciplina. 
    A tale differenziazione non sembra  estranea  la  diversa  natura
delle causali relative ai rispettivi  interventi,  in  quanto  quelle
relative  all'intervento  straordinario  di  integrazione   salariale
rivestono maggiore complessita' e  pregnanza,  anche  in  termini  di
discrezionalita'   valutativa,    stante    la    diversita'    delle
amministrazioni competenti a decidere sull'ammissione al trattamento:
il Ministero  del  lavoro  e  delle  politiche  sociali  per  la  CIG
straordinaria  e,  invece,  l'Istituto  nazionale  della   previdenza
sociale (INPS) per i trattamenti ordinari. 
    4.2.- La specifica disposizione impugnata dell'art. 25 del d.lgs.
n. 148 del 2015 si colloca, dunque, nel contesto di tale  complessivo
ridisegno del procedimento amministrativo in  esame,  ridefinendo  in
termini piu'  stringenti  il  collegamento  "dinamico"  fra  data  di
presentazione   della   domanda   e   decorrenza   del    trattamento
straordinario di integrazione salariale, cui consegue  che  l'entita'
del ritardo della domanda, rispetto al termine previsto dal  comma  1
del medesimo articolo, comporta un corrispondente effetto sul decorso
del trattamento richiesto. 
    La nuova conformazione del procedimento operata dall'art. 25  del
d.lgs. n. 148 del 2015 risulta complessivamente finalizzata a evitare
che si determinino situazioni di incertezza, sia per i  lavoratori  e
le  organizzazioni  sindacali  interessate  che  per  l'impresa,  con
effetti tanto piu' critici  ove  il  procedimento  amministrativo  si
concluda con un diniego  della  domanda  a  notevole  distanza  dalla
stipula   dell'accordo   aziendale   che   ha   dato    luogo    alla
sospensione/riduzione dell'orario di lavoro. In tal senso si richiede
all'impresa  la  massima  tempestivita'  nella  presentazione   della
domanda, obbligo cui  il  datore  di  lavoro  viene  chiamato  ora  a
rispondere in termini piu' rigorosi, per evitare che la  sua  inerzia
incida negativamente sull'attuazione degli interessi coinvolti. 
    5.- Alla luce di quanto fin  qui  osservato,  nella  disposizione
censurata non e'  dato  riscontrare  i  profili  di  irragionevolezza
dedotti dal rimettente. 
    Ne' la ragionevolezza della  disposizione  e'  incisa  da  quanto
asserito dal giudice a quo,  secondo  cui  l'effetto  prodotto  dalla
disposizione impugnata si determina anche  per  «un  solo  giorno  di
ritardo», posto che, ogni volta che un termine  e'  fissato,  il  suo
superamento, anche marginale, produce comunque gli effetti  lamentati
anche ove sia stabilito un piu' ampio margine  temporale  rispetto  a
quello di sette giorni previsto dal comma 1 del medesimo art. 25  del
d.lgs. n. 148 del 2015. 
    Parimenti ininfluente e' il riferimento da parte  del  rimettente
alla «angustia» del termine  di  sette  giorni  cosi'  stabilito  dal
citato comma. Nel merito si osserva che il predetto termine,  sebbene
certamente limitato, non e', difatti, tale da  renderne  impossibile,
arduo, o comunque eccessivamente oneroso il rispetto. Cio' tanto piu'
ove si consideri  che  la  domanda  di  concessione  del  trattamento
straordinario di integrazione salariale deve essere inoltrata in  via
telematica attraverso la procedura CIGS  on-line  (in  proposito,  le
circolari del Ministero  del  lavoro  e  delle  politiche  sociali  5
ottobre 2015, n. 24 e 9 novembre 2015, n. 30, e la circolare  INPS  2
dicembre 2015, n. 197). 
    6.- Sulla scorta delle argomentazioni innanzi svolte, va pertanto
dichiarata  la  non  fondatezza  della  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 25, comma 3, del d.lgs.  n.  148  del  2015,
sollevata dal rimettente in riferimento all'art.  3  Cost.  sotto  il
profilo  della  violazione   dei   principi   di   ragionevolezza   e
proporzionalita'. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 25, comma  3,  del  decreto  legislativo  14
settembre 2015, n. 148 (Disposizioni per il riordino della  normativa
in materia di ammortizzatori  sociali  in  costanza  di  rapporto  di
lavoro,  in  attuazione  della  legge  10  dicembre  2014,  n.  183),
sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con riguardo
al divieto di discriminazione, e all'art.  41  Cost.,  dal  Tribunale
amministrativo  regionale  per  il  Lazio,  sezione  terza-bis,   con
l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 25, comma 3, del d.lgs.  n.  148  del  2015,
sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., con riguardo ai  principi
di ragionevolezza e proporzionalita',  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio, sezione terza-bis, con  l'ordinanza  indicata
in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                    Giulio PROSPERETTI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 15 maggio 2020. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA