N. 115 SENTENZA 19 maggio - 23 giugno 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Bilancio e contabilita' pubblica - Piani di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali (PREP) - Riformulazione dichiarata costituzionalmente illegittima - Ricalcolo pluriennale del disavanzo del piano modificato, fino a un massimo di venti anni, ferma restando la disciplina prevista per gli altri - Violazione del principio dell'equilibrio del bilancio, nonche' dell'equita' intergenerazionale e della responsabilita' di mandato - Illegittimita' costituzionale. Bilancio e contabilita' pubblica - Piani di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali (PREP) - Riformulazione dichiarata costituzionalmente illegittima - Nuova disciplina introdotta in sede di conversione del decreto-legge - Denunciato difetto di omogeneita' - Non fondatezza della questione. Bilancio e contabilita' pubblica - Piani di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali (PREP) - Riformulazione dichiarata costituzionalmente illegittima - Possibile riproposizione - Durata massima del piano - Denunciata violazione del principio dell'equilibrio del bilancio nonche' dell'equita' intergenerazionale e della responsabilita' di mandato - Non fondatezza delle questioni, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione. - Decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, art. 38, commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter. - Costituzione, artt. 1, 2, 3, 24, 70, 77, 81, 97, primo comma, 100, 102, primo comma, 103, 104, primo comma, 111, 113, 117, primo comma, e 119, sesto comma; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Preambolo; Trattato dell'Unione europea, art. 3; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6; Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 1.(GU n.26 del 24-6-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Marta CARTABIA; Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, promosso dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Calabria, nel procedimento relativo al Comune di Reggio Calabria, con ordinanza del 26 agosto 2019, iscritta al n. 211 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2019. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito il Giudice relatore Aldo Carosi nella camera di consiglio del 6 maggio 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a); deliberato nella camera di consiglio del 19 maggio 2020. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 26 agosto 2019, la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Calabria, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58. Il citato art. 38, comma 1-terdecies, sostituisce la tabella di cui al comma 5-bis dell'art. 243-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), con la seguente: «Rapporto passivita'/impegni di cui al titolo I - Durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale Fino al 20 per cento - 4 anni Superiore al 20 per cento e fino al 60 per cento - 10 anni Superiore al 60 per cento e fino al 100 per cento per i comuni fino a 60.000 abitanti - 15 anni Oltre il 60 per cento per i comuni con popolazione superiore a 60.000 abitanti e oltre il 100 per cento per tutti gli altri comuni - 20 anni». Le ulteriori disposizioni censurate stabiliscono: «2-bis. Gli enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'articolo 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, anche se non ancora approvato dalla competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente, possono riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente secondo la procedura dell'articolo 1, commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205. 2-ter. La riproposizione di cui al comma 2-bis deve contenere il ricalcolo complessivo del disavanzo gia' oggetto del piano modificato, nel rispetto della disciplina vigente, ferma restando la disciplina prevista per gli altri disavanzi». 1.1.- Il rimettente riferisce che, con deliberazione della Commissione straordinaria dell'8 febbraio 2013, n. 17, il Comune di Reggio Calabria aveva fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (PRFP) prevista per gli enti in predissesto dall'art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, poi integrata e rimodulata, con successiva deliberazione 15 luglio 2013, n. 142, in virtu' dell'art. 1, comma 15, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 giugno 2013, n. 64. Il piano di riequilibrio afferente alla citata procedura - che prevedeva che il disavanzo derivante dalla revisione straordinaria dei residui ex art. 243-bis, comma 8, lettera e), del d.lgs. n. 267 del 2000 venisse ripianato in dieci anni - era stato approvato dalla Corte dei conti, sezioni riunite in speciale composizione, con sentenza 17 luglio 2014, n. 26/2014/EL, a seguito dell'impugnativa, ex art. 243-quater, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, del diniego opposto dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Regione Calabria, con delibera 30 gennaio 2014, n. 11. Successivamente, il Comune di Reggio Calabria, con deliberazione del Consiglio comunale 29 giugno 2016, n. 42, aveva proceduto, ai sensi dell'originaria stesura dell'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)», alla rimodulazione del predetto piano, che, pero' non era approvata ne' dalla sezione regionale di controllo per la Regione Calabria della Corte dei conti, ne' dalle sezioni riunite in speciale composizione. Quindi, in virtu' della modifica del predetto art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015 ad opera dell'art. 1, comma 434, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), il Comune di Reggio Calabria aveva presentato un'ulteriore rimodulazione del piano di riequilibrio, avvalendosi della facolta' di ripiano trentennale del disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui effettuata ai sensi dell'art. 243-bis, comma 8, lettera e), del d.lgs. n. 267 del 2000. Detta rimodulazione veniva approvata dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Regione Calabria, con delibera 26 settembre 2017, n. 86. L'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, come sostituito dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016, e' stato pero' dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 18 del 2019 di questa Corte. Conseguentemente, la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Regione Calabria, con delibera 6 marzo 2019, n. 31, ha ritenuto il piano adottato sulla base di detta disposizione privo di supporto normativo e pertanto inefficace, mentre sarebbe dovuta ritenersi efficace la procedura di riequilibrio precedente. E' quindi intervenuto l'art. 38, comma 2-bis, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, che consente agli enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, anche se non ancora approvato dalla competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente, di riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente, secondo la procedura dell'art. 1, commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020). Avvalendosi della facolta' di rimodulazione prevista dalla menzionata disposizione, il Comune di Reggio Calabria, con deliberazione del Consiglio comunale 30 luglio 2019, n. 37, ha riproposto il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, modificandone la durata, giacche' ha previsto una dilazione temporale del recupero del disavanzo incluso nel piano in un termine doppio (ventennale anziche' decennale) rispetto a quello originario. Piu' in particolare, il piano riproposto prevede che il disavanzo gia' oggetto della procedura di riequilibrio venga recuperato in ulteriori quattordici quote annue che si sommano alle sei annualita' del piano gia' decorso, e, quindi, in venti anni complessivi. 1.2.- Dopo aver premesso di essere investito della valutazione della modifica del piano di riequilibrio finanziario pluriennale del Comune di Reggio Calabria ai sensi dell'art. 38, comma 2-bis, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, e aver sinteticamente descritto la procedura di riequilibrio, il rimettente assume di essere legittimato a sollevare l'incidente di costituzionalita' in tale sede, secondo quanto riconosciuto da questa Corte nelle recenti sentenze n. 105 e n. 18 del 2019, nell'ambito del controllo sul detto piano, assimilato, a questi fini, al controllo preventivo di legittimita' e a quello di parificazione dei bilanci statali e regionali. Inoltre, le questioni sollevate sarebbero rilevanti in quanto il rimettente e' chiamato a pronunciarsi sulle rimodulazioni di cui all'art. 38, commi 2-bis e 2-ter, del d.l. n. 34 del 2019, convertito, con modificazioni, nella legge n. 58 del 2019, ai sensi del successivo comma 2-quater - in base al quale dette rimodulazioni sono oggetto di approvazione o di diniego della competente sezione regionale della Corte dei conti - nonche', in caso di approvazione della riscrittura, a esprimere ulteriori giudizi sul raggiungimento degli «obiettivi intermedi». Sarebbe quindi indispensabile fare applicazione delle norme censurate, delle quali, alla luce dell'inequivoco dato testuale, il rimettente esclude la praticabilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata. 1.3.- Secondo il giudice rimettente, il combinato disposto dei commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter, dell'art. 38 del d.l. n. 34 del 2019, convertito, con modificazioni, nella legge n. 58 del 2019, nella parte in cui consentirebbe agli enti locali che si fossero avvalsi della facolta' loro concessa dall'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015 (come modificato dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016), di riproporre il piano di riequilibrio finanziario pluriennale gia' approvato, estendendolo a un orizzonte ultradecennale, sarebbe innanzitutto in contrasto con il principio dell'equilibrio di bilancio, nelle declinazioni dell'equilibrio dinamico e intergenerazionale, di cui agli artt. 81, 97, primo comma, 117, primo comma, Cost. - quest'ultimo in relazione al Preambolo alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, all'art. 3 del Trattato sull'Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993 - e 119, sesto comma, Cost., anche in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3 Cost. Cio' in quanto «la pianificazione di risanamento, contenuta nel piano medesimo, continu[erebbe] pero' ad essere incentrata su proiezioni di entrata e di spesa, di durata decennale, dal momento che l'art. 38, ai commi 2-bis e 2-ter, non impone, ne' consente, una revisione di tale pianificazione nel suo complesso». Anche il piano di smaltimento dei debiti commerciali, secondo quanto previsto dall'art. 1, comma 889, della legge n. 205 del 2017, in base al quale la rimodulazione del piano di riequilibrio avverrebbe «[f]ermi restando i tempi di pagamento dei creditori», continuerebbe ad avere una durata decennale, incongruente con l'allungamento della nuova pianificazione. In tal modo, il complesso delle disposizioni in esame, «prevedendo la variazione non dell'intero percorso di risanamento ma della sola "spalmatura" nel tempo del disavanzo originario, [...] rende[rebbe] praticamente impossibile alla sezione di controllo la verifica della congruita' della pianificazione nonche' del futuro rispetto degli "obiettivi intermedi" e di quelli "finali" di cui all'art. 243-quater, comma 6, T.U.E.L.». Il giudice rimettente ritiene, altresi', che il combinato disposto dei commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter dell'art. 38 censurato, consentendo di ripianare uno squilibrio di origine risalente in un periodo doppio rispetto a quello inizialmente prospettato, provocherebbe il «ribaltamento su generazioni future di debiti risalenti nel tempo, oltre alla liberazione di risorse (in virtu' dell'alleggerimento della quota annuale di disavanzo da recuperare) che, lungi dall'essere destinate al risanamento finanziario dell'ente, [potrebbero essere] impiegate per espandere la spesa futura». Tale procedura costituirebbe una lesione dell'equita' intergenerazionale, determinando la traslazione del debito pregresso da una generazione all'altra, senza che vi sia una correlata utilita' per il sacrificio sopportato. Cio' provocherebbe, inoltre, ad avviso del rimettente, una deresponsabilizzazione dei rappresentanti eletti dalla comunita' locale, in quanto si avrebbe uno spostamento, «sulle generazioni future, del peso di gestioni finanziarie passate». Tale «scenario di riequilibrio ventennale min[erebbe] alla radice uno degli aspetti piu' pregnanti della legalita' finanziaria [nel sistema fondato] su una democrazia rappresentativa, ossia la funzionalizzazione delle procedure finanziarie al vincolo di mandato degli amministratori verso la comunita' che rappresentano». Le disposizioni in esame sarebbero altresi' in contrasto con il principio dell'equilibrio di bilancio - che trova copertura costituzionale, nelle declinazioni dell'equilibrio dinamico e intergenerazionale, negli artt. 81, 97, primo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione al Preambolo alla CDFUE e all'art. 3 TUE - nonche' con l'art. 119, sesto comma, Cost., quest'ultimo anche in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3 Cost., in quanto estenderebbero la durata del suddetto piano di riequilibrio, in origine decennale, a un orizzonte ultradecennale (ventennale, nel caso specifico). Il rimettente dubita, inoltre, della legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 2-bis, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, per contrasto con gli artt. 3, 24, 70, 100, 102, primo comma, 103, 104, primo comma, 111 e 113 Cost., in quanto troverebbe applicazione in fattispecie in cui e' consentito riproporre un piano di riequilibrio gia' oggetto di pronuncia della Corte dei conti che ha assunto giuridica stabilita', e sarebbe dunque lesivo del principio di ragionevolezza e certezza del diritto, riconducibile all'art. 3 Cost., del principio di separazione dei poteri - ravvisabile nella lettura congiunta degli artt. 70, 102, primo comma, e 104, primo comma, Cost. - del principio di effettivita' della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) e del giusto processo (art. 111 Cost.). Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, e all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, entrambi ratificati e resi esecutivi con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal momento che la prevista facolta' di riproposizione del piano di riequilibrio, inserita in un contesto di instabilita' della disciplina legislativa del ripiano, estremamente mutevole nel tempo, determinerebbe una situazione di incertezza giuridica e di mancanza di affidamento in grado di pregiudicare sia le ragioni dei consociati, ai quali deve essere assicurata la piena trasparenza contabile, sia la realizzazione del diritto dei creditori di conoscere i tempi di soddisfazione del proprio credito al fine di poter programmare le loro attivita' economiche. Cio' in quanto, in particolare, si tratterebbe di norma-provvedimento idonea a incidere su pochi e determinati comuni. Infine, i commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter dell'art. 38 del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, violerebbero anche l'art. 77 Cost., in quanto le norme da essi recate, introdotte in sede di conversione, sarebbero disomogenee rispetto al contenuto del decreto-legge, che intendeva disciplinare «la crescita economica» ovvero «specifiche situazioni di crisi», e non presenterebbero i caratteri dell'urgenza. 2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso nel senso della non fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate. In ordine alla dedotta violazione dell'art. 77 Cost., per mancanza dei presupposti di necessita' e urgenza, ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il sindacato sulla legittimita' dell'adozione, da parte del Governo, di un decretolegge deve essere limitato ai casi di «evidente mancanza» di detti presupposti, di «manifesta irragionevolezza» o «arbitrarieta' della relativa valutazione». Nel caso di specie, si tratterebbe di un provvedimento d'urgenza ab origine a contenuto plurimo, con disposizioni di varia natura riconducibili alle due finalita' indicate dal preambolo del d.l. n. 34 del 2019, come convertito: stabilire misure per la crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi. In questo contesto, le disposizioni censurate sarebbero volte a uniformare la normativa sulla procedura di prevenzione del dissesto degli enti locali alla necessita', evidenziata nella sentenza n. 18 del 2019, che la stessa, per essere legittima, sia supportata da un piano di rientro strutturale di breve periodo. Al contempo, si e' inteso evitare gli effetti pregiudizievoli, anche in ordine al rischio dell'erogazione dei servizi essenziali, della necessita' di ripianare la quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui richiesta dall'art. 243-bis comma 8, lettera e), del d.lgs. n. 267 del 2000, in un periodo massimo di dieci anni. Quanto agli ulteriori parametri, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che il legislatore, nel disciplinare la materia dei piani di riequilibrio a seguito della sentenza n. 18 del 2019, avrebbe tenuto conto delle caratteristiche dell'istituto e dell'affidamento degli enti che avevano impostato la programmazione finanziaria e adottato i documenti contabili, confidando nella legittimita' della norma caducata. La rideterminazione del disavanzo da ripianare risulterebbe, infatti, dalla sommatoria dei valori corrispondenti al disavanzo da revisione straordinaria dei residui, ai sensi dell'art. 243, comma 8, lettera e), del d.lgs. n. 267 del 2000, e al maggiore disavanzo da riaccertamento dei residui ai sensi dell'art. 3, comma 7, lettere da a) ad e), del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42). In quest'ottica, le disposizioni censurate si connoterebbero quale sistema di norme sostanziali, procedurali e processuali che, nel rispetto dell'art. 81 Cost., sarebbero volte a escludere un indebito allargamento della spesa degli enti locali dando evidenza contabile e rilevanza giuridica ad alcune diacronie intercorrenti tra la realizzazione delle entrate e l'erogazione delle spese. In definitiva, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate, il disavanzo ulteriore dovrebbe essere inteso non come un mero raffronto numerico tra componenti contabili, bensi' come un documento analiticamente corredato dall'elenco delle singole poste interessate, dalle relative ragioni giuridiche e dalla scadenza delle singole obbligazioni. Considerato in diritto 1.- Con l'ordinanza in epigrafe la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Calabria, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, 117, primo comma, e 119, sesto comma, della Costituzione, quest'ultimo anche in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3 Cost. Le norme censurate disciplinano la riformulazione del piano di riequilibrio degli enti locali che stavano applicando l'art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)», come modificato dalla legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), nella versione dichiarata illegittima con la sentenza di questa Corte n. 18 del 2019. Secondo la Sezione rimettente il combinato disposto dei commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter, dell'art. 38 del d.l. n. 34 del 2019, convertito, con modificazioni, nella legge n. 58 del 2019, nella parte in cui consentirebbe agli enti locali che si fossero avvalsi della facolta' loro concessa dall'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, di riproporre il piano di riequilibrio finanziario pluriennale (PRFP) gia' approvato, estendendolo a un orizzonte ultradecennale, sarebbe in contrasto con il principio dell'equilibrio di bilancio, nelle declinazioni dell'equilibrio dinamico e intergenerazionale, di cui agli artt. 81, 97, primo comma, 117, primo comma, e 119, sesto comma, Cost. anche in combinato disposto con gli articoli 1, 2 e 3 Cost. Cio' in quanto «la pianificazione del risanamento, contenuta nel piano medesimo, continu[erebbe] pero' ad essere incentrata su proiezioni di entrata e di spesa, di durata decennale, dal momento che l'art. 38, ai commi 2-bis e 2-ter, non impone, ne' consente, una revisione di tale pianificazione nel suo complesso». Anche il piano di smaltimento dei debiti commerciali, secondo quanto previsto dall'art. 1, comma 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), in base al quale la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio avverrebbe «[f]ermi restando i tempi di pagamento dei creditori», continuerebbe ad avere una durata decennale, incongruente con l'allungamento della nuova pianificazione. In tal modo, il complesso delle disposizioni in esame, «prevedendo la variazione non dell'intero percorso di risanamento ma della sola "spalmatura" nel tempo del disavanzo originario, [...] rende[rebbe] praticamente impossibile alla Sezione di controllo la verifica della congruita' della pianificazione nonche' del futuro rispetto degli "obiettivi intermedi" e di quelli "finali" di cui all'art. 243-quater, comma 6, T.U.E.L.». Il giudice rimettente ritiene, altresi', che il combinato disposto dei commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter dell'art. 38 provocherebbe il «ribaltamento su generazioni future di debiti risalenti nel tempo, oltre alla liberazione di risorse (in virtu' dell'alleggerimento della quota annuale di disavanzo da recuperare) che, lungi dall'essere destinate al risanamento finanziario dell'ente, [sarebbero] impiegate per espandere la spesa futura». Tale procedura costituirebbe una lesione dell'equita' intergenerazionale, determinando la traslazione del debito pregresso da una generazione all'altra senza che vi sia una correlata utilita' per il sacrificio sopportato. Cio' provocherebbe, inoltre, ad avviso del Collegio rimettente, una deresponsabilizzazione dei rappresentanti eletti dalla comunita' locale, in quanto si avrebbe uno «spostamento, sulle generazioni future, del peso di gestioni finanziarie passate». Tale «scenario di riequilibrio ventennale min[erebbe] alla radice uno degli aspetti piu' pregnanti della legalita' finanziaria [nel sistema fondato] su una democrazia rappresentativa, ossia la funzionalizzazione delle procedure finanziarie al vincolo di mandato degli amministratori verso la comunita' che rappresentano». Le disposizioni in esame sarebbero altresi' in contrasto con il principio dell'equilibrio di bilancio che trova copertura costituzionale, nelle declinazioni dell'equilibrio dinamico e intergenerazionale, negli stessi artt. 81, 97, primo comma, 117, primo comma, - quest'ultimo in relazione al Preambolo alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e all'art. 3 del Trattato sull'Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993 - e 119, sesto comma, anche in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3 Cost., in quanto estenderebbe la durata del suddetto piano di riequilibrio finanziario pluriennale, in origine decennale, ad un orizzonte ultradecennale (ventennale nel caso specifico). Il rimettente dubita inoltre della legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 2-bis, del medesimo d.l. n. 34 del 2019, convertito, con modificazioni, nella legge n. 58 del 2019, per contrasto con gli artt. 3, 24, 70, 100, 102, primo comma, 103, 104, primo comma, 111 e 113 Cost., in quanto - applicandosi a fattispecie in cui e' consentito riproporre il piano di riequilibrio gia' oggetto di pronuncia della Corte dei conti, che avrebbe quindi raggiunto giuridica stabilita' - lederebbe i principi di ragionevolezza e certezza del diritto (art. 3 Cost.), di effettivita' della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), del giusto processo (art. 111 Cost.) e della separazione dei poteri (artt. 70, 102, primo comma, 104, primo comma, Cost.). Sarebbero violati, inoltre, gli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, e all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, entrambi ratificati e resi esecutivi con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal momento che la prevista facolta' di riproposizione del piano di riequilibrio, inserita in un contesto di instabilita' della disciplina legislativa del ripiano, estremamente mutevole nel tempo, determinerebbe una situazione di incertezza giuridica e di mancanza di affidamento in grado di pregiudicare sia le ragioni dei consociati, ai quali deve essere assicurata la piena trasparenza contabile, sia la realizzazione del diritto dei creditori di conoscere i tempi di soddisfazione del proprio credito al fine di poter programmare le loro attivita' economiche. Cio' in quanto, in particolare, si tratterebbe di norma-provvedimento idonea a incidere su pochi e determinati Comuni. Le disposizioni censurate sarebbero, infine, in contrasto con l'art. 77 Cost., in quanto, introdotte in sede di conversione, risulterebbero disomogenee rispetto al contenuto del decreto-legge che intendeva disciplinare «la crescita economica» ovvero «specifiche situazioni di crisi» e non presenterebbero i caratteri dell'urgenza. 1.1.- Intervenuto in giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha concluso nel senso della non fondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate. In ordine alla dedotta violazione dell'art. 77 Cost., per mancanza dei presupposti di necessita' e urgenza, ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il sindacato sulla legittimita' dell'adozione, da parte del Governo, di un decretolegge deve essere limitato ai casi di «evidente mancanza» di detti presupposti o di «manifesta irragionevolezza» o «arbitrarieta' della relativa valutazione». Nel caso di specie, si tratterebbe di un provvedimento d'urgenza con disposizioni di varia natura, riconducibili alle due finalita' indicate dal suo preambolo: stabilire misure per la crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi. In questo contesto, le disposizioni censurate sarebbero volte a uniformare la normativa sulla procedura di prevenzione del dissesto degli enti locali all'esigenza, evidenziata nella sentenza di questa Corte n. 18 del 2019, che la stessa, per essere legittima, sia supportata da un piano di rientro strutturale di breve periodo. Al contempo, si e' inteso evitare gli effetti pregiudizievoli, anche in ordine al rischio dell'erogazione dei servizi essenziali, della necessita' di ripianare la quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui, richiesta dall'art. 243-bis, comma 8, lettera e), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» (di seguito anche TUEL), in un periodo massimo di dieci anni. Quanto all'asserita lesione degli ulteriori parametri, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che il legislatore, nel disciplinare la materia dei piani di riequilibrio a seguito della citata sentenza n. 18 del 2019, avrebbe tenuto conto delle caratteristiche dell'istituto e dell'affidamento degli enti che avevano impostato la programmazione finanziaria e adottato i documenti contabili, confidando nella legittimita' della norma caducata. 2.- Anzitutto, giova ribadire la legittimazione delle sezioni regionali della Corte dei conti a sollevare incidente di costituzionalita' in sede di controllo di legittimità-regolarita' sui bilanci degli enti locali (sentenze n. 105 e n. 18 del 2019), assimilato, a questi fini, alla parifica dei rendiconti regionali (sentenza n. 49 del 2018). 3.- In punto di rilevanza, le questioni sollevate sono ammissibili in considerazione della necessita' di applicare le norme sospettate d'illegittimita' per monitorare, valutare e assumere decisioni in ordine alle modalita' di attuazione del piano di riequilibrio, operazione che deve essere effettuata dalla Corte dei conti con cadenza semestrale, in quanto indefettibile per controllare l'andamento della procedura di predissesto. 4.- Le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 70, 100, 102, primo comma, 103, 104, primo comma, 111, 113 e 117, primo comma - quest'ultimo in relazione al Preambolo alla CDFUE, all'art. 3 TUE, all'art. 6 CEDU e all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU - nonche' al «combinato disposto» dell'art. 119, sesto comma, con gli artt. 1, 2 e 3, Cost., sono inammissibili per grave carenza del percorso argomentativo. Il giudice a quo evoca difatti cumulativamente una pluralita' di parametri, alcuni dei quali interposti, e di principi di ampio respiro, e cio' anche in riferimento a norme che hanno un diverso contenuto precettivo. In tal modo, egli non motiva adeguatamente in ordine al contrasto tra i primi e le seconde. In particolare, il rimettente non specifica quali dei differenti precetti espressi dai parametri evocati, che sono richiamati in una generica deduzione d'insieme e che non vengono adeguatamente esaminati, sarebbero stati in concreto lesi dalle disposizioni censurate: specificazione che sarebbe stata tanto piu' necessaria in considerazione della evidenziata eterogeneita' delle norme da queste ultime poste. Ne' il giudice a quo, pur avendo affermato che si sarebbe al cospetto di una legge-provvedimento, da' conto delle ragioni per cui le disposizioni censurate sarebbero ascrivibili a questa particolare categoria di norme, avuto particolare riguardo al requisito dell'incidenza su un numero limitato di destinatari: incidenza che egli afferma in maniera meramente assertiva, non avendo fornito alcun elemento concreto utile a darne riscontro. In conclusione, deve ritenersi che il giudice a quo non abbia assolto l'onere di motivazione su di esso incombente in ordine alla non manifesta infondatezza del dubbio di incostituzionalita' prospettato in riferimento ai suddetti parametri, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui «non basta l'indicazione delle norme da raffrontare per valutare la compatibilita' dell'una rispetto al contenuto precettivo dell'altra, ma e' necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione» (ex plurimis, sentenza n. 212 del 2018). 5.- Nel merito, e' pregiudiziale la questione sollevata in riferimento all'art. 77 Cost., configurandosi come potenzialmente assorbente in caso di eventuale accoglimento (ex multis, sentenze n. 288 e n. 247 del 2019). 5.1.- La questione non e' fondata. Il rimettente denuncia il difetto di omogeneita' delle norme censurate, introdotte in sede di conversione, rispetto a quelle originariamente contenute nel d.l. n. 34 del 2019. In disparte l'assertivita' di tale rilievo, non specificamente motivato, si osserva che il d.l. in esame e' intitolato «Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi» e che l'articolo in cui si inseriscono i commi censurati e' rubricato «Debiti enti locali». In generale, la giurisprudenza costituzionale esige che la disposizione introdotta in sede di conversione non sia palesemente o totalmente estranea, o addirittura "intrusa", rispetto a contenuti e finalita' del decreto-legge in cui viene inserita (ex multis sentenze n. 247, n. 226 e n. 181 del 2019). Con particolare riferimento ai decreti-legge a contenuto eterogeneo ab origine quale quello in esame, occorre inoltre considerare specificamente il profilo teleologico, ossia il rispetto della ratio che li ispira (sentenza n. 154 del 2015), per cui «la verifica di compatibilita' con l'art. 77, secondo comma, Cost. delle disposizioni introdotte dal Parlamento, in sede di conversione di un decreto-legge, impone di procedere all'individuazione, da un lato, della ratio del provvedimento governativo, e, dall'altro lato, del contenuto delle disposizioni aggiunte, per poi raffrontarli» (ordinanza n. 34 del 2013). Applicando i principi illustrati alla fattispecie in esame non v'e' dubbio che il nesso teleologico sussista. Nel parere del Comitato per la legislazione si legge che il decreto-legge «contiene disposizioni di varia natura che appaiono ricondotte ad una cornice unitaria dalle due finalita', invero assai ampie, indicate dal preambolo: stabilire misure per la crescita economica e prevedere misure per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi; il decreto-legge appare cosi' riconducibile alla categoria dei "provvedimenti governativi ab origine a contenuto plurimo", da ritenere, ciononostante, secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 244 del 2016), rispondenti al requisito dell'omogeneita' allorquando "le molteplici disposizioni che li compongono, ancorche' eterogenee dal punto di vista materiale, presentano una sostanziale omogeneita' di scopo"». Dai lavori preparatori (Camera dei deputati, Commissioni riunite V e VI, seduta 21 maggio 2019) emerge che, ai fini della valutazione di ammissibilita' delle proposte emendative, in considerazione degli ampi contenuti del decreto-legge, e' stato adottato «un criterio di ordine finalistico, attribuendo un particolare rilievo alla coerenza delle finalita' perseguite dalle proposte emendative con le principali finalita' del provvedimento, quali risultanti dal titolo e dai Capi in cui e' suddiviso il medesimo provvedimento, vale a dire: misure fiscali per la crescita economica, rilancio degli investimenti privati, tutela del made in Italy, nonche' risoluzione di specifiche situazioni di crisi». In particolare, per quanto concerne l'emendamento in esame, esso e' stato dichiarato ammissibile in quanto connesso a quelli recanti misure in favore degli enti locali, ivi comprese quelle volte alla riduzione del debito dei predetti enti. Alla luce di tali considerazioni, le norme non risultano "intruse" rispetto alle finalita' del decreto-legge in cui sono state inserite. 6.- Prima di passare all'esame delle altre censure di merito, occorre chiarire un equivoco in cui incorre l'Avvocatura generale dello Stato, in qualche modo condizionata da alcune proposizioni contenute nell'ordinanza di rimessione, della cui parziale inesattezza si dira' in prosieguo. Detto equivoco risiede nella convinzione che questa Corte abbia dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, come sostituito dall'art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016, con riguardo all'intrinseca durata del piano di riequilibrio prevista nell'arco temporale di trent'anni. Per quanto appresso piu' analiticamente argomentato, questa Corte non ha colpito la misura temporale del piano in se' considerata, bensi' i meccanismi contabili previsti dalla disposizione viziata. Infatti, con la suddetta pronuncia e' stato accertato il contrasto con gli «artt. 81 e 97, primo comma, Cost., sia sotto il profilo della lesione dell'equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilita' nell'esercizio del mandato elettivo» (sentenza n. 18 del 2019). Veniva in quel contesto precisato che il piano di riequilibrio e' ontologicamente finalizzato alla continua ricerca di una stabilita' economica di media e lunga durata, nell'ambito della quale la responsabilita' politica del mandato elettorale si esercita, non solo attraverso il rendiconto del realizzato, ma anche in relazione al consumo delle risorse impiegate. La norma dichiarata costituzionalmente illegittima si discostava radicalmente da tali parametri, consentendo di destinare, per un trentennio, in ciascun esercizio relativo a tale periodo, alla spesa di parte corrente somme vincolate al rientro dal disavanzo. Era quindi nell'utilizzazione "sviata" delle somme destinate al rientro il vulnus ai precetti costituzionali e non nella durata, in quanto tale, del programma. E' evidente che consentire per un trentennio - ma il principio vale per qualsiasi deroga all'immediato rientro che consenta di allargare l'entita' del disavanzo anziche' ridurlo - all'ente territoriale di "vivere ultra vires" comporta l'aggravio del deficit strutturale, anziche' il suo risanamento. Cio' e' tanto vero che la regola fisiologica del rientro dal disavanzo e' quella del rientro annuale, al massimo triennale e comunque non superiore allo scadere del mandato elettorale (art. 42, comma 12, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante «Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42», e art. 188 del d.lgs. n. 267 del 2000). Ogni periodo di durata superiore comporta il sospetto di potenziale dissesto e puo' essere giustificato solo se il meccanismo normativo che lo prevede sia effettivamente finalizzato al riequilibrio, dimodoche' «l'istruttoria relativa alle ipotesi di risanamento deve essere congrua e coerente sotto il profilo storico, economico e giuridico» (sentenza n. 18 del 2019). Quanto all'elusione del principio di responsabilita' nell'esercizio della rappresentanza democratica, la violazione degli artt. 81 e 97, primo comma, Cost. (allora, l'art. 119, sesto comma, non era stato evocato dal rimettente) era stata individuata: a) nel consentire agli enti locali coinvolti nella procedura di predissesto di evitare il controllo semestrale della sezione regionale della Corte dei conti attinente alla corretta attuazione del piano; b) nel consentire loro di utilizzare il programma antecedente di pagamento dei creditori, lucrando la disponibilita' - in termini di spesa corrente per l'intero trentennio - derivante dal minore accantonamento finanziario delle somme necessarie per l'intero periodo di rientro e dall'impiego contra legem delle anticipazioni di liquidita'; c) nell'aggiramento delle complesse procedure di verifica di congruita' e sostenibilita' del piano attraverso una rimodulazione autonoma in termini esclusivamente numerici, cosi' sottraendo alla Corte dei conti quello che la sezione rimettente denominava correttamente «canone concreto di controllo». 7.- Cio' premesso, le censure rivolte all'art. 38, comma 2-ter, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, con modificazioni, nella legge n. 58 del 2019, in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 119, sesto comma, Cost., sono fondate. Per quel che si dira' piu' specificamente nel prosieguo e' solo questa disposizione a essere in contrasto con i suddetti parametri, mentre le altre due - se interpretate in modo sistematico - risultano conformi e coerenti con le finalita' del piano di riequilibrio. Il censurato comma 2-ter dell'art. 38 stabilisce che la riproposizione del piano di riequilibrio deve contenere il ricalcolo pluriennale, fino a un massimo di venti anni, del disavanzo oggetto del piano modificato «ferma restando la disciplina prevista per gli altri disavanzi». Come gia' accennato, il legislatore - fin dalla norma precedentemente oggetto di declaratoria di incostituzionalita' (art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015) - ha consentito, alla luce di evidenti difficolta' di risanamento di alcune fattispecie concrete come quelle oggetto del giudizio a quo, di modificare i piani di riequilibrio, originariamente concepiti come unica e definitiva chance per l'ente locale di evitare il dissesto. Da tale mutato orientamento del legislatore deriva che a essere in contrasto con gli evocati parametri costituzionali non e' la durata astrattamente fissata nel limite di venti anni dalla tabella dell'art. 38, comma 1-terdecies, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, bensi' il meccanismo di manipolazione del deficit che consente - come gia' la norma dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 18 del 2019 - di sottostimare, attraverso la strumentale tenuta di piu' disavanzi, l'accantonamento annuale finalizzato al risanamento e, conseguentemente, di peggiorare, anziche' migliorare, nel tempo del preteso riequilibrio, il risultato di amministrazione. Tale meccanismo manipolativo consente, tra l'altro, una dilatazione della spesa corrente - pari alla differenza tra la giusta rata e quella sottostimata - che finisce per incrementare progressivamente l'entita' del disavanzo effettivo. Il censurato comma 2-ter autorizza, infatti, gli enti locali che si trovano nella situazione del Comune di Reggio Calabria a tenere separati disavanzi di amministrazione ai fini del risanamento e a ricalcolare la quota di accantonamento indipendentemente dall'entita' complessiva del deficit. E' fuor di dubbio che ogni bilancio consuntivo puo' avere un solo risultato di amministrazione, il quale deriva dalla sommatoria delle situazioni giuridiche e contabili degli esercizi precedenti fino a determinare un esito che puo' essere positivo o negativo. Consentire di avere piu' disavanzi significa, in pratica, permettere di tenere piu' bilanci consuntivi in perdita. Da cio' consegue che la gestione del Comune in predissesto, anziche' essere strettamente raccordata al piano ritualmente approvato dal Ministero dell'interno e dalla Corte dei conti, riparte da un quadro incerto e irrazionalmente indeterminato, preclusivo di una serie di operazioni indefettibili per raccordare il nuovo piano di riequilibrio con quello approvato originariamente. Gli artt. 81 e 97, primo comma, Cost. risultano, dunque, violati perche' il censurato art. 38, comma 2-ter, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, esonera l'ente locale in situazione di predissesto da una serie di operazioni indefettibili per ripristinare l'equilibrio e, in particolare, dall'aggiornamento delle proiezioni di entrata e di spesa, dalla ricognizione delle situazioni creditorie e debitorie, dalla previa definizione degli accordi con i nuovi creditori e con quelli vecchi eventualmente non soddisfatti, nonche' dalla ricognizione e dimostrazione della corretta utilizzazione dei prestiti stipulati per adempiere alle pregresse obbligazioni passive. I predetti principi risultano violati insieme all'art. 119, sesto comma, Cost. sotto il profilo dell'equita' intergenerazionale, in quanto il comma 2-ter del citato art. 38 consente di utilizzare risorse vincolate al pagamento di debiti pregressi per la spesa corrente, in tal modo allargando la forbice del disavanzo. Analoga violazione sussiste sotto il profilo della responsabilita' di mandato, nella misura in cui l'ente locale in predissesto viene esonerato dal fornire contezza dei risultati amministrativi succedutisi nel tempo intercorso tra l'approvazione del piano originario e quello rideterminato. E' costante l'orientamento di questa Corte secondo cui «il bilancio e' un "bene pubblico" nel senso che e' funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell'ente territoriale, sia in ordine all'acquisizione delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche, onere inderogabile per chi e' chiamato ad amministrare una determinata collettivita' ed a sottoporsi al giudizio finale afferente al confronto tra il programmato ed il realizzato» (ex plurimis, sentenza n. 184 del 2016). E' evidente che un consistente lasso temporale, senza neppure specificare da quale bilancio consuntivo e da quale gestione annuale sia stato originato il deficit, interrompe completamente la correlazione tra attivita' del rappresentante politico e risultati imputati alle collettivita' amministrate succedentesi nel tempo. 7.1.- E', comunque, utile descrivere sinteticamente il meccanismo di sottostima consentito dalla disposizione illegittima, che esonera dalla elaborazione di alcuni elementi essenziali che articolano il piano di riequilibrio. Quest'ultimo si fonda: a) su una determinazione aggiornata, sotto il profilo finanziario e giuridico, del disavanzo in relazione al quale vanno calcolate le quote annuali costanti di risorse da accantonare mediante sottrazione alla spesa corrente, secondo il numero di annualita' del piano; b) sull'individuazione dei creditori con i quali va stipulato un coerente sistema di rateazione non superiore al piano di riequilibrio; c) sulla corretta e attendibile determinazione delle fonti di entrata per la medesima durata del piano di riequilibrio. A questo meccanismo "necessario" il legislatore ha aggiunto, a partire dal 2013 (decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante «Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonche' in materia di versamento di tributi degli enti locali», convertito, con modificazioni, nella legge 6 giugno 2013, n. 64), l'istituto delle anticipazioni di liquidita', vale a dire anticipazioni di cassa a "lunga restituzione", al fine di eliminare, in via del tutto eccezionale, la morosita' degli enti pubblici. Questa Corte, nel definire il perimetro entro il quale le anticipazioni di liquidita' non sarebbero entrate in contrasto con la regola aurea dell'art. 119, sesto comma, Cost., aveva sottolineato come la misura di dette anticipazioni non potesse superare l'entita' dei debiti inevasi e, conseguentemente, quella del disavanzo accertato prima che l'ente possa accedere alla richiesta di anticipazione (sentenza n. 181 del 2015). Corollario di tale complesso ordito normativo e' che la misura complessiva delle anticipazioni non puo' essere superiore a quella dei debiti inevasi al momento dell'ultima anticipazione. Tale regola, custodita oltre che dalla clausola generale dell'art. 81 Cost. anche dalla specifica disciplina dei piani di riequilibrio (in particolare dai commi 6 e 7 dell'art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000), e' stata derogata dalla norma illegittima. Questa consente di tenere piu' disavanzi (e, in definitiva, piu' bilanci paralleli) sui quali definire separatamente ad libitum sia l'uso irrituale delle singole anticipazioni, sia il calcolo dell'indebitamento e delle quote annuali di rientro. Cio' spiega in particolare come, nel caso oggetto del giudizio a quo, a fronte del deficit accertato dalla Commissione prefettizia a monte dell'unico piano di riequilibrio approvato dal Ministero dell'interno e dalla Corte dei conti - pari a euro 110.918.410,00, ripartito in dieci annualita' di accantonamento di 11.091.804,10 - ci si trovi ora in presenza di anticipazioni di liquidita' pari a euro 258.837.831,63 oltre ad un ulteriore prestito regionale per un servizio obbligatorio di parte corrente pari a euro 64.974.388,27 a fronte di una rata di accantonamento ventennale sottostimata in euro 2.538.485,47 annui. Tale esito sarebbe stato precluso se il nuovo piano di riequilibrio avesse tenuto conto, in ossequio al principio di continuita' dei bilanci e alle previsioni dei commi 6 e 7 dell'art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, della situazione economico-finanziaria complessiva e di quella debitoria correttamente stimata, nonche' dei risultati delle singole gestioni succedutesi dopo l'approvazione del primo piano di riequilibrio. E' costante l'orientamento di questa Corte secondo cui il «rendiconto - indipendentemente dalla compilazione e redazione dei complessi allegati al bilancio previsti dal d.lgs. n. 118 del 2011 - deve contenere, in coerenza con le risultanze di detti allegati, tre elementi fondamentali: a) il risultato di amministrazione espresso secondo l'art. 42 del decreto in questione; b) il risultato della gestione annuale inerente al rendiconto; c) lo stato dell'indebitamento e delle eventuali passivita' dell'ente applicate agli esercizi futuri. Infatti, il primo risultato chiarisce la situazione economico-finanziaria al termine dell'esercizio in modo comparabile a quella dell'anno precedente e a quella che sara' determinata per l'esercizio successivo. Il secondo enuclea - dal contesto complessivo di cui al precedente punto a) - le risultanze della gestione annuale integralmente imputabile agli amministratori in carica. Il terzo fornisce il quadro pluriennale dell'indebitamento, consentendo una prospettiva di sindacato sia in relazione ai vincoli europei, sia in relazione all'equita' intergenerazionale, strumento servente alla determinazione dei costi-benefici afferenti alle generazioni future con riguardo alle politiche di investimento in concreto adottate. Tali elementi, indipendentemente dalla tecnicita' degli allegati al bilancio, costituiscono appunto la necessaria attuazione degli evocati precetti costituzionali di natura finanziaria» (sentenza n. 49 del 2018; in senso conforme, sentenza n. 274 del 2017). Coerentemente con tali principi, piu' volte richiamati da questa Corte, i commi 6 e 7 dell'art. 243-bis del d.lgs. 267 del 2000 prevedono, tra i vari adempimenti necessari a redigere e a verificare la congruita' del piano di riequilibrio: a) la puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, dei fattori di squilibrio rilevati, dell'eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall'ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio; b) l'individuazione, con relativa quantificazione e previsione dell'anno di effettivo realizzo, di tutte le misure necessarie per ripristinare l'equilibrio strutturale del bilancio, per l'integrale ripiano del disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio a partire da quello in corso alla data di accettazione da parte dei creditori del piano; c) l'indicazione, per ciascuno degli anni del piano di riequilibrio, della percentuale di ripiano del disavanzo di amministrazione da assicurare e degli importi previsti o da prevedere nei bilanci annuali e pluriennali per il finanziamento dei debiti fuori bilancio. E' altresi' previsto dal comma 7 che, ai fini della predisposizione del piano, l'ente e' tenuto a effettuare una ricognizione di tutti i debiti fuori bilancio riconoscibili ai sensi dell'art. 194 del TUEL. Il perimetro costituzionale disegnato da tali disposizioni consiste nella funzionalita' della procedura a ridurre il deficit fino ad azzerarlo nel tempo prescritto. Cio' mediante la scansione del percorso attraverso i risultati conseguiti nei singoli esercizi attinenti al piano e la definizione di una proporzione accettabile dei sacrifici imposti alle future generazioni di amministrati affinche' l'oneroso rientro dal disavanzo sia comunque compensato dal traguardo dell'equilibrio, presupposto necessario per la sana amministrazione. 8.- Infine, le censure rivolte ai commi 1-terdecies e 2-bis dell'art. 38 del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 119, sesto comma, Cost., non sono fondate nei sensi e nei limiti appresso specificati. I commi 1-terdecies e 2-bis dell'art. 38 del d.l. n. 34 del 2019 devono essere inquadrati nel contesto sistematico del TUEL dopo la declaratoria d'incostituzionalita' del comma 2-ter del medesimo art. 38. L'art. 38, comma 1-terdecies, sostituisce la tabella di cui al comma 5-bis dell'art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, gia' introdotta dall'art. 1, comma 888, della legge n. 205 del 2017, con un nuovo prospetto che tiene conto, ai fini della durata massima del piano di riequilibrio, del rapporto tra passivita' maturate e impegni di parte corrente, rapporto che per la classe dei Comuni di entita' demografica superiore ai 60.000 abitanti puo' oltrepassare la percentuale del cento per cento. L'art. 38, comma 2-bis, dispone: «[g]li enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'articolo 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, entro la data del 14 febbraio 2019 di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, anche se non ancora approvato dalla competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente, possono riproporre il piano per adeguarlo alla normativa vigente secondo la procedura dell'articolo 1, commi 888 e 889, della legge 27 dicembre 2017, n. 205». L'art. 1, comma 888, della legge n. 205 del 2017 dispone che il piano di riequilibrio disciplinato dall'art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000 possa essere prolungato dal precedente termine di dieci anni fino a un termine «di durata compresa tra quattro e venti anni» sulla base del rapporto tra le passivita' da ripianare nel medesimo e l'ammontare degli impegni di cui al titolo I della spesa del rendiconto dell'anno precedente a quello di deliberazione del ricorso alla procedura di riequilibrio o dell'ultimo rendiconto approvato, secondo la tabella sostituita dal precedente comma 1-terdecies dell'art. 38 del d.l. n. 34 del 2019, come convertito. Il successivo comma 889 del medesimo art. 1 della legge n. 205 del 2017 prevede che «[f]ermi restando i tempi di pagamento dei creditori, gli enti locali che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno conseguito l'approvazione, ai sensi dell'articolo 243-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, prima della data di entrata in vigore della presente legge, possono rimodulare o riformulare il predetto piano, al fine di usufruire delle modifiche introdotte dal comma 888 del presente articolo. Gli enti locali che intendono avvalersi di tale facolta' trasmettono la deliberazione consiliare contenente la relativa richiesta alla competente sezione regionale della Corte dei conti e al Ministero dell'interno nel termine di quindici giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il consiglio dell'ente locale, entro il termine perentorio di quarantacinque giorni dalla data di esecutivita' della deliberazione di cui al periodo precedente, approva il piano rimodulato o riformulato, corredato del parere dell'organo di revisione economico-finanziaria. Al procedimento di formazione e di approvazione del piano si applicano le disposizioni degli articoli 243-bis, commi 6, 7, 8, 9 e 9-bis, e 243-quater del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000; i termini previsti dal citato articolo 243-quater sono ridotti alla meta'. Per gli enti locali per i quali la competente sezione regionale della Corte dei conti, alla data di entrata in vigore della presente legge, ha gia' accertato il grave mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano originario, ferme restando le eventuali misure prescritte ai sensi dell'articolo 148-bis del citato testo unico, un ulteriore mancato rispetto degli obiettivi del nuovo piano rimodulato o riformulato, accertato nell'ambito della procedura di controllo di cui all'articolo 243-quater, comma 6, del medesimo testo unico, costituisce reiterazione del mancato rispetto degli obiettivi ai sensi del comma 7 del citato articolo 243-quater». Cosi' ricostruito il quadro sistematico in cui si inseriscono le disposizioni denunciate, occorre preliminarmente ribadire l'inesattezza dell'affermazione del giudice rimettente, secondo cui il termine decennale sarebbe indefettibile per effetto della sentenza di questa Corte n. 18 del 2019. E' invece corretto il rilievo in base al quale e' suo compito valutare la rimodulazione del piano di riequilibrio, a seguito di una modifica normativa intervenuta durante la sua vigenza, e che tale valutazione non e' possibile in presenza di un meccanismo di calcolo avulso dalla reale situazione amministrativo-contabile. Tale meccanismo viene tuttavia rimosso dalla declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 38, comma 2-ter, e da cio' deriva che delle altre due disposizioni censurate puo' essere fornita una interpretazione costituzionalmente orientata, diversa da quella del giudice a quo. E' costante infatti l'orientamento di questa Corte secondo cui anche le norme finanziario-contabili afferenti agli enti territoriali - ancorche' connotate da un peculiare rapporto con il parametro costituzionale dell'equilibrio dinamico (ex plurimis, sentenza n. 155 del 2015) - sono soggette alla regola «dell'interpretazione conforme a Costituzione, secondo la quale, in presenza di ambiguita' o anfibologie del relativo contenuto, occorre dar loro il significato compatibile con i parametri costituzionali. Al contrario, ove fosse possibile solo [l'ipotesi ermeneutica adottata dalla Sezione rimettente] cio' determinerebbe l'illegittimita' costituzionale dello stesso principio contabile, dal momento che, cosi' interpretato, esso diventerebbe un veicolo per un indebito allargamento - in contrasto con l'art. 81 Cost. - della spesa di enti gia' gravati dal ripiano pluriennale di disavanzi di amministrazione pregressi» (sentenza n. 279 del 2016). Una volta chiarito che questa Corte non ha mai individuato un limite temporale alla durata del piano di riequilibrio, e' altresi' vero che in piu' occasioni il legislatore statale e' stato ammonito sulle potenziali conseguenze negative delle deroghe alla fisiologica situazione dell'equilibrio del bilancio, che di regola andrebbe ripristinata immediatamente dall'amministrazione, nel corso del cui mandato il disavanzo si e' venuto a formare. Cosi', e' stato piu' volte ribadito che, «[f]erma restando la discrezionalita' del legislatore nello scegliere i criteri e le modalita' per porre riparo a situazioni di emergenza finanziaria come quelle afferenti ai disavanzi sommersi, non puo' non essere sottolineata la problematicita' di soluzioni normative, mutevoli e variegate come quelle precedentemente descritte, le quali prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali lunghi e differenziati, ben oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative anche in termini di equita' intergenerazionale (in senso conforme, sentenza n. 107 del 2016)» (sentenza n. 6 del 2017). Nondimeno, con la sentenza n. 18 del 2019 e' stata dichiarata costituzionalmente illegittima non la durata trentennale in se' considerata, bensi' il meccanismo privo di sostenibilita' economico-finanziaria che la disposizione denunciata autorizzava secondo prospettive di indebitamento illimitate. In tale ottica non e' quindi la durata ventennale del riequilibrio a essere dirimente nel presente scrutinio di legittimita' costituzionale, bensi' la configurazione astratta delle norme di risulta, una volta eliminata la possibilita' di prendere a riferimento risultati di amministrazione separati. Secondo tale angolo di osservazione, l'art. 38, comma 1-terdecies, del d.l. n. 34 del 2019, convertito, con modificazioni, nella legge n. 58 del 2019, si limita a sostituire la tabella che dovra' essere presa a riferimento per rimodulare il piano di riequilibrio, ma non crea un automatismo applicativo, e neppure determina la denunciata arbitrarieta' dei poteri conferiti all'ente locale dalla disposizione contenuta nel comma 2-ter, dal momento che il nuovo piano dovra' superare lo scrutinio di sostenibilita' della Corte dei conti. Il comma 2-bis del medesimo art. 38, a sua volta, detta la nuova procedura per "riproporre il piano", ma non certo per renderlo esecutivo nei termini con cui viene redatto dall'ente locale, poiche' tale riproposizione dovra' essere sottoposta alla procedura di controllo precedentemente evocata. Cio' comporta che una non corretta e inattendibile determinazione di una nuova rata di accantonamento pluriennale e un uso delle anticipazioni di liquidita' per la copertura di nuove spese - fenomeni lamentati dal giudice rimettente - non potranno essere oggetto di approvazione proprio alla luce dei meccanismi previsti dal procedimento di modifica del piano di riequilibrio. Il richiamo, contenuto nel citato comma 2-bis, ai commi 888 e 889 della legge n. 205 del 2017 riguarda, infatti, l'allungamento del limite temporale del piano e i limiti e le modalita' attraverso le quali il medesimo potra' essere sottoposto all'approvazione della Corte dei conti, non certo un arbitrario meccanismo aritmetico, come afferma il rimettente. Il comma 889 ribadisce l'intangibilita' dei tempi di pagamento negoziati con i creditori - e quindi anche di quelli previsti nel piano decennale attualmente in vigore - e specifica la procedura per l'adozione, per il controllo della Corte dei conti e per l'approvazione definitiva del nuovo piano da parte del Consiglio comunale. Cio' chiarisce che non vi puo' essere alcuna determinazione unilaterale dell'entita' e della durata del piano da parte dell'ente locale, in quanto esso dovra' essere sottoposto a un attento sindacato di natura tecnico-giuridica (ex plurimis, sentenza n. 39 del 2014) da parte della competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti, secondo i canoni dell'art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000. Tale sindacato dovra', tra l'altro, riguardare lo stato di attuazione del vecchio piano di pagamento dei creditori, l'esistenza di eventuali debiti fuori bilancio, la previa procedura di riconoscimento degli stessi, la previa negoziazione con gli ulteriori creditori eventualmente emersi dopo l'approvazione del piano decennale (con la conseguente diacronica struttura del nuovo piano, scaglionato secondo obbligazioni passive nuove e pregresse), la verifica che le anticipazioni di liquidita' siano effettivamente servite per il pagamento di debiti maturati negli esercizi anteriori e non siano surrettiziamente computate tra le fonti di copertura della spesa corrente e che sia assicurata l'iscrizione - analiticamente specificata - del rimborso dei prestiti nella parte passiva del bilancio. Dette operazioni sono - come si evince dalla struttura del citato art. 243-bis e, in particolare, dei suoi commi 6 e 7 - necessarie e propedeutiche per quantificare il disavanzo e le sue modalita' di riparto ventennale. Una volta dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 2-ter, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, il combinato delle ulteriori disposizioni censurate e' dunque suscettibile di una interpretazione secundum Constitutionem nei sensi e nei limiti precisati e cio' determina la non fondatezza delle censure a esse rivolte. 9.- Tenuto conto della tormentata genesi legislativa delle norme oggetto del presente giudizio e della ricaduta della presente pronuncia sulle fattispecie concrete interessate da complesse vicende di risanamento, e' opportuno ribadire che la normativa di risulta, dopo l'accoglimento delle questioni attinenti all'art. 38, comma 2-ter, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, e' immediatamente applicabile anche in assenza di ulteriori interventi legislativi. Innanzitutto, come gia' precisato per analoga fattispecie, anche la presente evidenzia importanti peculiarita' originate indubbiamente dall'interruzione del controllo della spesa nel lasso temporale intercorso tra l'approvazione del piano decennale e la presente pronuncia. E quindi si pone il problema delle gestioni intervenute senza un aggiornato piano di riequilibrio come questa Corte ha gia' chiarito in una recente pronuncia, relativa a una fattispecie analoga, riferita alla gestione contabile di una amministrazione comunale: «[s]e, da un lato, l'amministrazione comunale, fino alla data della presente pronuncia, ha gestito realmente partite di spesa superiori a quelle costituzionalmente consentite, in tal modo peggiorando lo stato dei propri conti, dall'altro lo ha fatto sulla base di disposizioni legislative in vigore e di atti contabili dimensionati in rapporto alle potenzialita' consentite dalle medesime disposizioni. Ne e' derivato che tale gestione si e' dipanata in una serie di impegni e pagamenti, in relazione ai quali l'affidamento dei soggetti venuti in contatto con l'amministrazione comunale e la funzionalita' di progetti avviati secondo contratti e situazioni negoziali in itinere non possono essere travolti dalla dichiarazione di illegittimita' di norme che hanno consentito, durante la loro vigenza, il sovradimensionamento della spesa. [...] A ben vedere - proprio in ragione della peculiarita' del diritto del bilancio e in particolare del principio di equilibrio dinamico che sposta nel tempo la continua tensione verso un bilanciato contrappeso tra entrate e spese - si e' in presenza di una graduazione "naturale" degli effetti temporali della presente sentenza sulla gestione del bilancio comunale e sulle situazioni giuridiche a essa sottese» (sentenza n. 4 del 2020). Con riguardo alla situazione venutasi a creare nel lungo arco temporale prima ricordato, l'ente locale dovra' avviare il necessario risanamento nei termini di legge precedentemente precisati. A tal fine, la normativa di risulta gia' consente: a) di calcolare correttamente un unico risultato di amministrazione; b) di determinare - nel rispetto del principio di continuita' - le risultanze degli esercizi di bilancio successivi al 2013, imputando a ciascuna amministrazione in carica le risultanze economico-finanziarie della propria gestione; c) di determinare l'entita' del debito contratto con le anticipazioni di liquidita' e le modalita' del suo rimborso; d) di determinare le quote annuali di rientro dal disavanzo e la durata temporale del rientro attraverso il rapporto passività-impegni di spesa corrente; e) di redigere il piano in modo da consentire il sindacato in ordine alla sua sostenibilita' da parte della competente sezione regionale della Corte dei conti ai fini dell'eventuale approvazione di quest'ultima. 10.- Rimane fermo l'ammonimento di questa Corte circa l'intrinseca pericolosita' di «soluzioni che trasformino il rientro dal deficit e dal debito in una deroga permanente e progressiva al principio dell'equilibrio del bilancio [...]. La tendenza a perpetuare il deficit strutturale nel tempo, attraverso uno stillicidio normativo di rinvii, finisce per paralizzare qualsiasi ragionevole progetto di risanamento, in tal modo entrando in collisione sia con il principio di equita' intragenerazionale che intergenerazionale. [...] Di fronte all'impossibilita' di risanare strutturalmente l'ente in disavanzo, la procedura del predissesto non puo' essere procrastinata in modo irragionevole, dovendosi necessariamente porre una cesura con il passato cosi' da consentire ai nuovi amministratori di svolgere il loro mandato senza gravose "eredita'". Diverse soluzioni possono essere adottate per assicurare tale discontinuita', e siffatte scelte spettano, ovviamente, al legislatore» (sentenza n. 18 del 2019). Al di la' del fatto che i poteri di prevenzione e riscontro sui bilanci degli enti locali scontano necessariamente la complessita' di situazioni locali di penuria finanziaria endemica, non puo' sottacersi che il quadro costituzionale e normativo vigente avrebbe consentito - e consente - di affrontare le situazioni patologiche in modo piu' appropriato di quel che e' avvenuto negli esercizi piu' recenti. E' stato gia' segnalato - con riguardo agli enti territoriali - che «l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa deve essere esercitata nel rispetto dell'equilibrio del bilancio e che gli enti territoriali devono contribuire, insieme agli altri enti della finanza allargata, all'osservanza dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea» (sentenza n. 4 del 2020). In tale prospettiva, l'equilibrio individuale dei singoli enti e' un presupposto della sana gestione finanziaria e del corretto esercizio dell'autonomia, nonche' del dovere di concorrere a realizzare gli obiettivi macroeconomici nazionali e dell'Unione europea. Ne consegue «che tutte le disfunzioni [...] devono essere rimosse e non possono essere computate nell'attivazione dei meccanismi di solidarieta' previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell'art. 119 Cost. E' in ordine al deficit strutturale imputabile alle caratteristiche socio-economiche della collettivita' e del territorio, e non alle patologie organizzative, che deve essere rivolto l'intervento diretto dello Stato. Le risorse necessariamente stanziate per tali finalita' - proprio in virtu' dei superiori precetti costituzionali - devono essere prioritariamente destinate dallo Stato alle situazioni di accertato squilibrio strutturale dei bilanci degli enti locali» (sentenza n. 4 del 2020). Quanto ai meccanismi di prevenzione, occorre poi ricordare che il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, ha previsto strumenti puntuali e coordinati per prevenire situazioni di degrado progressivo nella finanza locale, come quella in esame. Il comma 3 dell'art. 148-bis del d.lgs. n. 267 del 2000 - disposizione introdotta dall'art. 3, comma 1, lettera e), del d.l. n. 174 del 2012, come convertito - prevede che, «[q]ualora l'ente non provveda alla trasmissione dei suddetti provvedimenti o la verifica delle sezioni regionali di controllo dia esito negativo, e' preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i quali e' stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilita' finanziaria», mentre l'art. 243-quater, comma 3, del d.lgs. n. 267 del 2000 prevede che, «[i]n caso di approvazione del piano, la Corte dei conti vigila sull'esecuzione dello stesso, adottando, in sede di controllo effettuato ai sensi dell'articolo 243-bis, comma 6, lettera a), apposita pronuncia». Questa Corte ha precisato che si tratta controlli di legittimità-regolarita' sui bilanci di natura preventiva, finalizzati a evitare danni irreparabili all'equilibrio di bilancio (sentenze n. 39 del 2014 e n. 60 del 2013). La loro tempestiva attivazione dopo l'approvazione del piano di rientro decennale - unitamente al controllo semestrale ai sensi del combinato disposto dei commi 3 e 6 dell'art. 243-quater del d.lgs. n. 267 del 2000 - avrebbe potuto interdire quelle gestioni che hanno costretto il legislatore a intervenire per l'ulteriore prolungamento della procedura di predissesto. E' vero che nei casi che hanno originato la fattispecie normativa in esame e quella inerente alla sentenza n. 18 del 2019 gli enti locali coinvolti non avevano reso ostensibile l'andamento storico delle passivita', l'indicazione dei presupposti per attivare le anticipazioni di liquidita' e gli altri elementi previsti dai commi 6 e 7 dell'art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000. Tuttavia, la Corte dei conti ben dispone, anche in sede di controllo, del potere di ordinare tempestivamente incombenti istruttori secondo le modalita' dell'art. 3, comma 8, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), il quale prevede che «la Corte dei conti puo' richiedere alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo interno qualsiasi atto o notizia e puo' effettuare e disporre ispezioni e accertamenti diretti. Si applica il comma 4 dell'articolo 2 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453». Cio', soprattutto con riguardo all'attuazione dei piani di riequilibrio piu' problematici, avrebbe probabilmente consentito di prevenire una cosi' rapida espansione dei deficit in lassi temporali relativamente brevi.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 2-ter, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58; 2) dichiara inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, sollevate dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Calabria, in riferimento agli artt. 3, 24, 70, 100, 102, primo comma, 103, 104, primo comma, 111, 113 e 117, primo comma - quest'ultimo in relazione al Preambolo alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, all'art. 3 del Trattato sull'Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993, all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, e all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, entrambi ratificati e resi esecutivi con legge 4 agosto 1955, n. 848 -, nonche' all'art. 119, sesto comma, in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3, della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe; 3) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, sollevata dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Calabria, in riferimento all'art. 77 Cost., con l'ordinanza in epigrafe; 4) dichiara non fondate, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 1-terdecies e 2-bis, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, sollevate dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Calabria, in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 119, sesto comma, Cost., con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2020. F.to: Marta CARTABIA, Presidente Aldo CAROSI, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2020. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA