N. 131 SENTENZA 20 maggio - 26 giugno 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Volontariato - Norme della Regione Umbria - Cooperative di  comunita'
  -  Coinvolgimento  nella  co-programmazione,   co-progettazione   e
  accreditamento previste dal Codice del Terzo settore - Ricorso  del
  Governo - Denunciata violazione della competenza esclusiva  statale
  in materia di ordinamento civile - Non fondatezza, nei sensi di cui
  in motivazione. 
- Legge della Regione Umbria 11 aprile 2019, n. 2, art. 5,  comma  1,
  lettera b). 
- Costituzione, art. 117, secondo comma, lettera l). 
(GU n.27 del 1-7-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1,
lettera b), della legge della Regione Umbria 11  aprile  2019,  n.  2
(Disciplina delle cooperative di comunita'), promosso dal  Presidente
del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il  17-20  giugno
2019, depositato in cancelleria il 19 giugno 2019, iscritto al numero
70 del registro ricorsi 2019 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica numero 32, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Umbria; 
    udito il Giudice relatore Luca  Antonini  ai  sensi  del  decreto
della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a)
e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data  20
maggio 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 20 maggio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 17-20 giugno 2019 e  depositato  il
19 giugno 2019  (reg.  ric.  n.  70  del  2019),  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso  -  in  riferimento  all'art.  117,
secondo  comma,  lettera  l),  della  Costituzione  -  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, lettera  b),  della
legge della Regione Umbria 11 aprile 2019,  n.  2  (Disciplina  delle
cooperative di comunita'). 
    Ai fini di tale legge regionale, e «in assenza di norme nazionali
che le riconoscano, sono considerate "cooperative  di  comunita'"  le
societa' cooperative, costituite  ai  sensi  degli  articoli  2511  e
seguenti del codice civile ed iscritte all'Albo delle cooperative  di
cui   all'articolo   2512   del   codice   civile   e    all'articolo
223-sexiesdecies  delle  disposizioni  per  l'attuazione  del  codice
civile,  le  quali,  anche  al  fine  di  contrastare   fenomeni   di
spopolamento,  declino  economico,   degrado   sociale   urbanistico,
perseguono l'interesse  generale  della  comunita'  in  cui  operano,
promuovendo la partecipazione dei cittadini alla gestione di  beni  o
servizi  collettivi,  nonche'   alla   valorizzazione,   gestione   o
all'acquisto collettivo di beni  o  servizi  di  interesse  generale»
(art. 2); tali cooperative, oltre a rispettare quanto previsto  dalle
norme  del  codice  civile  in  materia  di   societa'   cooperative,
stabiliscono la propria sede e operano in uno  o  piu'  Comuni  della
Regione, nonche' prevedono nello statuto o nel regolamento  forme  di
coinvolgimento  dei   soggetti   appartenenti   alla   comunita'   di
riferimento, modalita' di partecipazione degli  stessi  all'assemblea
dei  soci  e  la  possibilita'  di   nominarli   nel   consiglio   di
amministrazione. 
    Tali cooperative hanno «come obiettivo la produzione di  vantaggi
a favore di una comunita' territoriale definita  alla  quale  i  soci
promotori  appartengono  o  eleggono  come  propria  nell'ambito   di
iniziative a sostegno dello  sviluppo  economico,  della  coesione  e
della solidarieta' sociale volte a rafforzare il  sistema  produttivo
integrato e a valorizzare le risorse e le  vocazioni  territoriali  e
delle comunita' locali nonche' a favorire la creazione di offerte  di
lavoro» (art. 1). 
    Sono previsti sia la istituzione, presso la Giunta regionale,  di
un albo regionale  delle  cooperative  di  comunita'  (art.  3),  sia
interventi finalizzati a sostenere il processo di  sviluppo  di  tali
cooperative, consistenti in finanziamenti  agevolati,  contributi  in
conto capitale e incentivi per  la  creazione  di  nuova  occupazione
(art. 4). 
    L'art. 5, rubricato «Strumenti e modalita' di raccordo», al comma
1 prevede tra l'altro  che  la  Regione  «riconoscendo  il  rilevante
valore sociale e la finalita' pubblica della cooperazione in generale
e delle cooperative di comunita' in particolare [...]  b)  disciplina
le   modalita'   di   attuazione   della   co-programmazione,   della
co-progettazione e dell'accreditamento previste dall'articolo 55  del
decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo  settore,
a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della  legge  6  giugno
2016, n. 106) e le  forme  di  coinvolgimento  delle  cooperative  di
comunita'  e  adotta  appositi   schemi   di   convenzione-tipo   che
disciplinano i rapporti tra le cooperative di comunita' e  le  stesse
amministrazioni pubbliche operanti nell'ambito regionale». 
    La disposizione statale richiamata stabilisce al comma 1  che  le
amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle proprie  funzioni  di
programmazione  e  organizzazione  a   livello   territoriale   degli
interventi e dei servizi nei settori  di  attivita'  degli  enti  del
Terzo settore (ETS), assicurano il coinvolgimento  attivo  di  questi
ultimi «attraverso forme di co-programmazione  e  co-progettazione  e
accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge
7 agosto 1990, n. 241, nonche' delle norme che disciplinano specifici
procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione
sociale  di  zona»,  definendo  nei  commi  successivi  i   caratteri
essenziali delle tre suddette forme. 
    1.1.-   Secondo   il   ricorrente,   la    disposizione    recata
dall'impugnato art. 5, comma 1, lettera b), si porrebbe in  contrasto
con  quella  statale  da  essa  richiamata  perche'  prevederebbe  il
coinvolgimento anche delle cooperative di comunita'  nelle  attivita'
di programmazione, progettazione e accreditamento: infatti, l'art. 55
del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117,  recante  «Codice  del
Terzo settore, a norma dell'articolo 1, comma 2,  lettera  b),  della
legge 6 giugno 2016, n. 106»,  limiterebbe  detto  coinvolgimento  ai
soli ETS, elencati dall'art. 4 dello stesso decreto, tra i quali  non
sarebbero ricomprese le cooperative di comunita'. 
    In  aggiunta,  si  sottolinea   che   il   coinvolgimento   delle
cooperative di comunita' previsto dalla norma regionale comporterebbe
«nella sostanza, l'omologazione di quelle agli enti del Terzo settore
i quali, invece, cosi' come tassativamente elencati, sono  gli  unici
soggetti legittimati, secondo la normativa statale di riferimento,  a
partecipare attivamente alla programmazione statale degli  interventi
di utilita' sociale». 
    In tal modo, la norma regionale avrebbe ampliato  il  novero  dei
soggetti del Terzo settore, individuati e  disciplinati  dalla  legge
statale  e  dal  diritto  privato,   cosi'   invadendo   la   materia
dell'ordinamento civile, riservata alla  competenza  esclusiva  dello
Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera  l),  Cost.  (e'
richiamata la sentenza n. 185 del 2018). 
    2.- Con atto depositato il 26 luglio 2019  si  e'  costituita  la
Regione Umbria, in persona del Presidente pro tempore, chiedendo  che
il ricorso sia dichiarato infondato. 
    La  resistente  evidenzia  anzitutto  che   le   cooperative   di
comunita', pur essendo ormai molto diffuse sul territorio,  non  sono
normativamente disciplinate a livello nazionale. 
    Ricorda poi i contenuti di una proposta di  legge  di  iniziativa
parlamentare  presentata  alla  Camera  dei   deputati   nella   XVII
legislatura,  avente  a  oggetto  proprio  la  disciplina   di   tali
cooperative, mai divenuta legge. 
    Segnala anche che diverse Regioni  hanno  approvato  norme  sulle
cooperative di comunita'  con  specifiche  leggi  (Abruzzo,  Liguria,
Puglia, Sardegna  e  Sicilia)  oppure  inserendo  articoli  a  queste
dedicati  nelle  leggi  regionali  sulla  cooperazione   (Basilicata,
Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana). 
    2.1.- Con riferimento al motivo di  ricorso,  la  Regione  Umbria
osserva che dalla definizione di  cooperativa  di  comunita'  fornita
dall'art. 2 della legge regionale impugnata risulterebbero  «evidenti
[...] le finalita' di carattere sociale perseguite da  tale  tipo  di
societa'», e cio' farebbe ritenere le cooperative di comunita' sempre
ricomprese nell'ambito degli ETS tra i quali l'art. 4 del  d.lgs.  n.
117 del 2017 menziona «le imprese  sociali,  incluse  le  cooperative
sociali». 
    In particolare, la definizione  di  impresa  sociale  e'  fornita
dall'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n.  112,
recante «Revisione della disciplina in materia di impresa sociale,  a
norma dell'articolo 1, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016,
n. 106» e le cooperative di comunita' ben vi  rientrerebbero  poiche'
tale norma statale consente di  acquisire  la  qualifica  di  impresa
sociale a tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti in  forma
di  societa',  che,  in  conformita'  alle  disposizioni  del  citato
decreto,  «esercitano  in  via  stabile  e  principale   un'attivita'
d'impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalita'
civiche, solidaristiche e di utilita' sociale, adottando modalita' di
gestione  responsabili  e  trasparenti  e  favorendo  il  piu'  ampio
coinvolgimento dei lavoratori,  degli  utenti  e  di  altri  soggetti
interessati alle loro attivita'». 
    A sostegno della qualificazione delle  cooperative  di  comunita'
come specifica forma di impresa sociale la resistente  riporta  anche
alcuni passaggi dello «Studio di fattibilita' per lo  sviluppo  delle
cooperative di  comunita'»,  tratto  dal  sito  del  Ministero  dello
sviluppo economico. 
    In  conclusione,  le  cooperative   di   comunita',   in   quanto
riconducibili  al  modello  della  impresa  sociale,   rientrerebbero
nell'ambito degli ETS e, pertanto, la norma regionale  impugnata  non
violerebbe in alcun modo la competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato nella materia dell'ordinamento civile. 
    3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  depositato  una
memoria con la quale replica agli  argomenti  esposti  dalla  Regione
Umbria   nell'atto   di   costituzione   nonche',   in    prossimita'
dell'udienza, delle brevi note ai sensi del decreto della  Presidente
della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera c). 
    In particolare, la memoria sottolinea che il d.lgs.  n.  112  del
2017, innovando rispetto alla  previgente  disciplina  della  impresa
sociale (contenuta nel decreto legislativo  24  marzo  2006,  n.  155
recante «Disciplina dell'impresa sociale,  a  norma  della  legge  13
giugno 2005, n. 118», oggi abrogato), non  farebbe  piu'  riferimento
«al fine della produzione o  dello  scambio  di  beni  o  servizi  di
utilita' sociale» (art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 155 del  2006),  ma
all'esercizio, in via  stabile  e  principale,  di  «un'attivita'  di
impresa di interesse generale» (art. 1, comma 1, del  d.lgs.  n.  112
del 2017). Inoltre, l'elenco delle attivita' considerate di interesse
generale, contenuto nell'art. 2, ricalcherebbe solo in  parte  quello
dell'abrogato art. 2 del d.lgs. n.  155  del  2006,  avendo  aggiunto
molti  altri  settori  in  cui  l'impresa  sociale  puo'   esercitare
l'attivita'. 
    Ricorda poi che il citato d.lgs. n. 112 del 2017 equipara ex lege
alle imprese sociali le cooperative sociali costituite ai sensi della
legge 8 novembre 1991, n. 381 (Disciplina delle cooperative sociali),
a prescindere dal possesso,  da  parte  delle  seconde,  di  tutti  i
requisiti che,  per  lo  stesso  decreto  delegato,  un'impresa  deve
necessariamente possedere per poter essere qualificata  come  impresa
sociale. 
    La memoria afferma quindi che le cooperative di  comunita',  come
individuate   dal   legislatore   umbro,   non   presenterebbero   le
caratteristiche ne' delle  imprese  sociali,  ne'  delle  cooperative
sociali,  essendo  prive  dei  connotati  tipici  e  propri  di  tali
tipologie di imprese. Cio' in  quanto  la  forma  societaria  normata
dall'art. 2 della  legge  regionale  impugnata  si  caratterizzerebbe
soltanto per il semplice e generico  scopo  mutualistico  proprio  di
tutte le societa' cooperative, ai sensi  dell'art.  2511  del  codice
civile, e non integrerebbe,  soprattutto  sul  piano  oggettivo,  «le
tipologie,  d'impresa   e   societarie,   puntualmente   definite   e
disciplinate, rispettivamente, dal d.lgs. n. 112/2017 e dalla  l.  n.
381/1991»,  in  ragione  delle  specifiche  e   tassative   attivita'
esercitate. 
    Quanto ai contenuti dello studio di fattibilita' richiamato dalla
difesa della Regione, la memoria non li  ritiene  rilevanti:  per  un
verso, il documento risale al 2016, ed e' quindi anteriore  sia  alla
revisione della disciplina in materia di impresa  sociale,  sia  alla
riforma degli ETS; per altro verso, il fatto che lo  stesso  analizza
le cooperative di comunita' essenzialmente dal punto di vista sociale
ed economico confermerebbe che si sarebbe in presenza di un  fenomeno
non giuridico. 
    Nelle brevi note, il ricorrente ribadisce che  il  coinvolgimento
nelle attivita' di cui all'art. 55 del d.lgs. n. 117 del 2017 sarebbe
riservato ai soli ETS; pertanto, non ne avrebbero titolo i  «soggetti
che, pur presentando tratti per certi  versi  assimilabili  a  quelli
degli enti tipizzati» - ma  tali  non  sarebbero  le  cooperative  di
comunita' -,  non  possiedono  la  qualifica  di  ETS.  Le  eventuali
eccezioni  a  tale   regola   sarebbero   puntualmente   previste   e
disciplinate  dal  d.lgs.  n.  117  del   2017   che,   infatti,   ha
espressamente individuato ipotesi di enti del Terzo settore ex  lege,
quali le cooperative sociali costituite ai sensi della legge  n.  381
del 1991 e l'Associazione della Croce Rossa italiana. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha promosso - in  riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera  l),  della  Costituzione   -   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 1, lettera b),  della  legge  della
Regione Umbria 11 aprile 2019, n. 2 (Disciplina delle cooperative  di
comunita'). 
    La legge regionale in esame considera cooperative di comunita' le
societa' cooperative che «anche al fine di  contrastare  fenomeni  di
spopolamento,  declino  economico,   degrado   sociale   urbanistico,
perseguono l'interesse  generale  della  comunita'  in  cui  operano,
promuovendo la partecipazione dei cittadini alla gestione di  beni  o
servizi  collettivi,  nonche'   alla   valorizzazione,   gestione   o
all'acquisto collettivo di beni  o  servizi  di  interesse  generale»
(art. 2). 
    Secondo la suddetta legge regionale, le societa' cooperative, per
ottenere il riconoscimento di cooperativa di comunita',  stabiliscono
la propria sede e operano in uno o piu' Comuni della Regione, nonche'
prevedono nello statuto o nel regolamento forme di coinvolgimento dei
soggetti appartenenti alla comunita'  di  riferimento,  modalita'  di
partecipazione degli stessi all'assemblea dei soci e la  possibilita'
di nominarli nel  consiglio  di  amministrazione.  Tali  cooperative,
infatti, hanno «come obiettivo la produzione di vantaggi a favore  di
una comunita' territoriale  definita  alla  quale  i  soci  promotori
appartengono o eleggono come  propria  nell'ambito  di  iniziative  a
sostegno  dello  sviluppo   economico,   della   coesione   e   della
solidarieta'  sociale  volte  a  rafforzare  il  sistema   produttivo
integrato e a valorizzare le risorse e le  vocazioni  territoriali  e
delle comunita' locali nonche' a favorire la creazione di offerte  di
lavoro» (art. 1). 
    Sono previsti sia la istituzione, presso la Giunta regionale,  di
un albo regionale  delle  cooperative  di  comunita'  (art.  3),  sia
interventi finalizzati a sostenere il processo di  sviluppo  di  tali
cooperative, consistenti in finanziamenti  agevolati,  contributi  in
conto capitale e incentivi per  la  creazione  di  nuova  occupazione
(art. 4). 
    L'art. 5, rubricato «Strumenti e modalita' di raccordo», al comma
1 prevede, tra l'altro, che la  Regione  «riconoscendo  il  rilevante
valore sociale e la finalita' pubblica della cooperazione in generale
e delle cooperative di comunita' in particolare [...]  b)  disciplina
le   modalita'   di   attuazione   della   co-programmazione,   della
co-progettazione e dell'accreditamento previste dall'articolo 55  del
decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo  settore,
a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della  legge  6  giugno
2016, n. 106) e le  forme  di  coinvolgimento  delle  cooperative  di
comunita'  e  adotta  appositi   schemi   di   convenzione-tipo   che
disciplinano i rapporti tra le cooperative di comunita' e  le  stesse
amministrazioni pubbliche operanti nell'ambito regionale». 
    1.1.-   Secondo   il   ricorrente,   la    disposizione    recata
dall'impugnato art. 5, comma 1, lettera b), si porrebbe in  contrasto
con  quella  statale  da  essa  richiamata  perche'  prevederebbe  il
coinvolgimento anche delle cooperative di comunita' nell'attivita' di
programmazione, progettazione e accreditamento:  infatti,  l'art.  55
del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117,  recante  «Codice  del
Terzo settore, a norma dell'articolo 1, comma 2,  lettera  b),  della
legge 6 giugno 2016, n. 106» (d'ora in avanti CTS) limiterebbe  detto
coinvolgimento ai soli enti  del  Terzo  settore  (ETS),  individuati
dall'art. 4 del decreto stesso, tra i quali non sarebbero  ricomprese
le cooperative di comunita'. La previsione del  coinvolgimento  delle
cooperative   di   comunita'    comporterebbe,    «nella    sostanza,
l'omologazione di quelle agli enti del Terzo settore i quali, invece,
cosi'  come  tassativamente  elencati,  sono   gli   unici   soggetti
legittimati,  secondo  la  normativa  statale   di   riferimento,   a
partecipare attivamente alla programmazione statale degli  interventi
di utilita' sociale». 
    In tal  modo,  la  norma  regionale  amplierebbe  il  novero  dei
soggetti del Terzo settore, individuati e  disciplinati  dalla  legge
statale  e  dal  diritto  privato,   cosi'   invadendo   la   materia
dell'ordinamento civile, riservata alla  competenza  esclusiva  dello
Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    1.2.- A confutazione della censura, la resistente  argomenta  che
la definizione di cooperativa di comunita'  fornita  dal  legislatore
regionale renderebbe  evidenti  le  finalita'  di  carattere  sociale
perseguite da tale tipo di societa', oggetto di disciplina  da  parte
di numerose Regioni, ma non da parte dello Stato. 
    Nel  senso  della  infondatezza  del   ricorso,   essa   richiama
l'elencazione degli ETS contenuta nell'art. 4 CTS e, in  particolare,
«le imprese sociali, incluse le cooperative sociali». Le  cooperative
di comunita' rientrerebbero, infatti, in ogni caso nella  definizione
di impresa sociale posta dall'art. 1 del decreto legislativo 3 luglio
2017, n. 112, recante  «Revisione  della  disciplina  in  materia  di
impresa sociale, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera  c)  della
legge 6 giugno 2016, n. 106», poiche' tale  qualifica  spetterebbe  a
tutti gli  enti  privati,  inclusi  quelli  costituiti  in  forma  di
societa', che, in conformita' alle disposizioni del  citato  decreto,
«esercitano in via stabile e  principale  un'attivita'  d'impresa  di
interesse generale, senza scopo di lucro  e  per  finalita'  civiche,
solidaristiche e di utilita' sociale, adottando modalita' di gestione
responsabili e trasparenti e favorendo il piu'  ampio  coinvolgimento
dei lavoratori, degli utenti e di  altri  soggetti  interessati  alle
loro attivita'». 
    2.- La questione non e' fondata, nei sensi di seguito precisati. 
    2.1.- Nel ricorso statale assume un ruolo centrale  il  contenuto
dell'art.  55  CTS,  che  la  norma  regionale  impugnata  renderebbe
riferibile a un soggetto, la cooperativa di  comunita',  privo  della
qualifica di ETS. 
    Su tale norma statale e' quindi opportuno soffermarsi. 
    Questa, al comma 1, stabilisce che le amministrazioni  pubbliche,
nell'esercizio   delle   proprie   funzioni   di   programmazione   e
organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei  servizi
nei settori di attivita' degli ETS, ne assicurano  il  coinvolgimento
attivo «attraverso forme di co-programmazione  e  co-progettazione  e
accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge
7 agosto 1990, n. 241, nonche' delle norme che disciplinano specifici
procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione
sociale di zona». 
    Nei commi successivi la suddetta disposizione specifica che: 
    «2. La co-programmazione e'  finalizzata  all'individuazione,  da
parte della  pubblica  amministrazione  procedente,  dei  bisogni  da
soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalita' di
realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili. 
    3.  La  co-progettazione  e'  finalizzata  alla  definizione   ed
eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio  o
di intervento finalizzati a soddisfare bisogni  definiti,  alla  luce
degli strumenti di programmazione di cui comma 2. 
    4. Ai fini di cui al comma 3,  l'individuazione  degli  enti  del
Terzo settore con cui attivare il partenariato avviene anche mediante
forme di accreditamento nel rispetto  dei  principi  di  trasparenza,
imparzialita',  partecipazione  e  parita'  di  trattamento,   previa
definizione, da  parte  della  pubblica  amministrazione  procedente,
degli obiettivi generali e specifici dell'intervento, della durata  e
delle caratteristiche essenziali dello stesso nonche' dei  criteri  e
delle modalita' per l'individuazione degli enti partner». 
    Il citato art. 55, che apre il Titolo VII del CTS,  disciplinando
i rapporti tra ETS e pubbliche  amministrazioni,  rappresenta  dunque
una  delle   piu'   significative   attuazioni   del   principio   di
sussidiarieta' orizzontale valorizzato dall'art. 118,  quarto  comma,
Cost. 
    Quest'ultima  previsione,  infatti,  ha  esplicitato  nel   testo
costituzionale   le   implicazioni   di   sistema    derivanti    dal
riconoscimento della «profonda socialita'»  che  connota  la  persona
umana (sentenza  n.  228  del  2004)  e  della  sua  possibilita'  di
realizzare una «azione positiva e responsabile» (sentenza n.  75  del
1992): fin da tempi molto  risalenti,  del  resto,  le  relazioni  di
solidarieta' sono state all'origine di una fitta  rete  di  libera  e
autonoma mutualita' che, ricollegandosi  a  diverse  anime  culturali
della nostra  tradizione,  ha  inciso  profondamente  sullo  sviluppo
sociale, culturale ed economico del nostro Paese.  Prima  ancora  che
venissero alla luce i sistemi pubblici di welfare, la creativita' dei
singoli si e' espressa in  una  molteplicita'  di  forme  associative
(societa' di mutuo soccorso, opere  caritatevoli,  monti  di  pieta',
ecc.) che hanno quindi saputo garantire  assistenza,  solidarieta'  e
istruzione a chi, nei momenti piu'  difficili  della  nostra  storia,
rimaneva escluso. 
    Nella   suddetta   disposizione   costituzionale,    valorizzando
l'originaria socialita' dell'uomo (sentenza n. 75 del  1992),  si  e'
quindi voluto superare l'idea  per  cui  solo  l'azione  del  sistema
pubblico e' intrinsecamente idonea allo svolgimento di  attivita'  di
interesse generale e  si  e'  riconosciuto  che  tali  attivita'  ben
possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma  iniziativa
dei cittadini» che, in linea di continuita'  con  quelle  espressioni
della societa' solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata  nel
tessuto comunitario del nostro Paese. 
    Si e'  identificato  cosi'  un  ambito  di  organizzazione  delle
«liberta' sociali» (sentenze n. 185 del 2018 e n. 300 del  2003)  non
riconducibile ne' allo Stato, ne' al mercato, ma a quelle  «forme  di
solidarieta'»  che,  in  quanto  espressive  di  una   relazione   di
reciprocita',  devono  essere  ricomprese  «tra  i  valori   fondanti
dell'ordinamento  giuridico,   riconosciuti,   insieme   ai   diritti
inviolabili   dell'uomo,   come   base   della   convivenza   sociale
normativamente prefigurata dal  Costituente»  (sentenza  n.  309  del
2013). 
    E' in espressa attuazione, in particolare, del principio  di  cui
all'ultimo comma dell'art. 118 Cost., che l'art. 55 CTS realizza  per
la  prima  volta   in   termini   generali   una   vera   e   propria
procedimentalizzazione  dell'azione  sussidiaria  -  strutturando   e
ampliando  una  prospettiva  che  era  gia'  stata  prefigurata,   ma
limitatamente  a  interventi  innovativi  e  sperimentali  in  ambito
sociale, nell'art. 1, comma 4, della legge 8 novembre  2000,  n.  328
(Legge  quadro  per  la  realizzazione  del  sistema   integrato   di
interventi e servizi sociali) e quindi dall'art. 7  del  decreto  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  30  marzo  2001  (Atto  di
indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla
persona ai sensi dell'art. 5 della legge 8 novembre 2000, n. 328) -. 
    L'art. 55 CTS, infatti, pone in  capo  ai  soggetti  pubblici  il
compito di assicurare, «nel  rispetto  dei  principi  della  legge  7
agosto 1990, n. 241, nonche' delle norme che  disciplinano  specifici
procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione
sociale  di  zona»,  il  coinvolgimento  attivo   degli   ETS   nella
programmazione,  nella  progettazione  e  nell'organizzazione   degli
interventi e dei servizi,  nei  settori  di  attivita'  di  interesse
generale definiti dall'art. 5 del medesimo CTS. 
    Cio' in quanto gli ETS sono identificati dal CTS come un  insieme
limitato di soggetti giuridici dotati di  caratteri  specifici  (art.
4), rivolti a «perseguire  il  bene  comune»  (art.  1),  a  svolgere
«attivita'  di  interesse  generale»  (art.  5),   senza   perseguire
finalita' lucrative soggettive (art.  8),  sottoposti  a  un  sistema
pubblicistico di registrazione  (art.  11)  e  a  rigorosi  controlli
(articoli da 90 a 97). 
    Tali elementi sono quindi valorizzati come la chiave di volta  di
un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici:  secondo  le
disposizioni specifiche delle leggi di  settore  e  in  coerenza  con
quanto disposto dal codice medesimo, agli ETS,  al  fine  di  rendere
piu' efficace l'azione amministrativa nei  settori  di  attivita'  di
interesse generale definiti dal CTS, e'  riconosciuta  una  specifica
attitudine  a  partecipare  insieme   ai   soggetti   pubblici   alla
realizzazione dell'interesse generale. 
    Gli ETS, in quanto rappresentativi della "societa' solidale", del
resto, spesso costituiscono sul  territorio  una  rete  capillare  di
vicinanza e solidarieta', sensibile in tempo reale alle esigenze  che
provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di  mettere  a
disposizione  dell'ente  pubblico  sia  preziosi   dati   informativi
(altrimenti  conseguibili  in  tempi  piu'   lunghi   e   con   costi
organizzativi  a  proprio  carico),   sia   un'importante   capacita'
organizzativa e  di  intervento:  cio'  che  produce  spesso  effetti
positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della
qualita' dei servizi e  delle  prestazioni  erogate  a  favore  della
"societa' del bisogno". 
    Si instaura, in questi termini, tra i  soggetti  pubblici  e  gli
ETS, in forza dell'art. 55, un canale di  amministrazione  condivisa,
alternativo   a   quello   del   profitto   e   del    mercato:    la
«co-programmazione», la «co-progettazione» e il  «partenariato»  (che
puo' condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano  come
fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso  rapporto
tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato  semplicemente  su
un rapporto sinallagmatico. 
    Il modello configurato dall'art. 55 CTS,  infatti,  non  si  basa
sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a
quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull'aggregazione
di  risorse  pubbliche  e  private  per  la   programmazione   e   la
progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i
livelli di cittadinanza attiva, di  coesione  e  protezione  sociale,
secondo una sfera relazionale che si  colloca  al  di  la'  del  mero
scambio utilitaristico. 
    Del resto, lo stesso  diritto  dell'Unione  -  anche  secondo  le
recenti direttive 2014/24/UE del Parlamento europeo e del  Consiglio,
del 26  febbraio  2014,  sugli  appalti  pubblici  e  2014/23/UE  del
Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,   del   26   febbraio   2014,
sull'aggiudicazione dei contratti di  concessione,  nonche'  in  base
alla relativa giurisprudenza della Corte di giustizia (in particolare
Corte di giustizia dell'Unione europea, quinta sezione,  sentenza  28
gennaio 2016, in causa C-50/14, CASTA  e  a.  e  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea, quinta sezione, sentenza 11  dicembre  2014,  in
causa C-113/13, Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino»  e  a.,  che
tendono a smorzare la  dicotomia  conflittuale  fra  i  valori  della
concorrenza e quelli della solidarieta') - mantiene, a ben vedere, in
capo agli Stati membri la possibilita' di apprestare, in relazione ad
attivita'  a  spiccata  valenza  sociale,  un  modello  organizzativo
ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di  solidarieta'
(sempre  che  le  organizzazioni  non  lucrative  contribuiscano,  in
condizioni di pari trattamento, in modo effettivo  e  trasparente  al
perseguimento delle finalita' sociali). 
    2.2.-  Lo  specifico  modello  di  condivisione  della   funzione
pubblica prefigurato dal richiamato art. 55 e' pero' riservato in via
esclusiva agli enti che rientrano nel perimetro definito dall'art.  4
CTS, in forza del quale costituiscono il Terzo settore gli  enti  che
rientrano   in   specifiche   forme   organizzative   tipizzate   (le
organizzazioni  di  volontariato,  le  associazioni   di   promozione
sociale, gli enti filantropici, le societa'  di  mutuo  soccorso,  le
reti associative, le imprese sociali e le cooperative sociali) e  gli
altri  enti   "atipici"   (le   associazioni   riconosciute   o   non
riconosciute, le fondazioni e  gli  altri  enti  di  diritto  privato
diversi dalle societa') che perseguono, «senza scopo di lucro,  [...]
finalita' civiche, solidaristiche e di utilita' sociale  mediante  lo
svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o  piu'  attivita'
di interesse generale in forma di azione volontaria o  di  erogazione
gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualita' o di produzione o
scambio di beni o servizi», e che risultano  «iscritti  nel  registro
unico nazionale del Terzo settore». 
    Agli enti che fuoriescono da tale perimetro  legale  non  possono
essere  riferibili  le  medesime  forme  di  coinvolgimento  previste
dall'art. 55 CTS: esiste una stretta connessione tra i  requisiti  di
qualificazione degli ETS e i  contenuti  della  disciplina  del  loro
coinvolgimento nella funzione pubblica. 
    Infatti, la originale e innovativa (nella sua  attuale  ampiezza)
forma di  collaborazione  che  si  instaura  mediante  gli  strumenti
delineati dall'art. 55 CTS richiede, negli enti privati  che  possono
prendervi parte, la rigorosa garanzia della comunanza di interessi da
perseguire e quindi la effettiva "terzieta'" (verificata e assicurata
attraverso  specifici  requisiti  giuridici  e  relativi  sistemi  di
controllo) rispetto al mercato e alle finalita' di  profitto  che  lo
caratterizzano. 
    2.3.- Risulta quindi pertinente, salvo  quanto  si  chiarira'  di
seguito, la censura del ricorrente che prefigura una violazione della
competenza statale in materia  di  ordinamento  civile:  in  effetti,
qualora la norma impugnata mirasse al coinvolgimento  anche  di  ogni
forma di cooperativa di comunita' nelle attivita' previste  dall'art.
55 CTS si verificherebbe, come appunto  rileva  il  ricorso  statale,
un'indebita omologazione di tali  cooperative  agli  ETS,  «i  quali,
invece, cosi' come tassativamente elencati, sono gli  unici  soggetti
legittimati,  secondo  la  normativa  statale   di   riferimento,   a
partecipare attivamente alla programmazione statale degli  interventi
di utilita' sociale». 
    Questa  Corte  nella  sentenza  n.  185  del  2018  ha,  infatti,
precisato che  ricade  tipicamente  nella  competenza  statale  nella
materia «ordinamento civile» non solo la  conformazione  specifica  e
l'organizzazione degli ETS, ma anche  la  definizione  delle  «regole
essenziali di correlazione con le autorita' pubbliche». 
    Il legislatore regionale, quindi, se da  un  lato  e'  abilitato,
nell'ambito delle attivita' che ricadono  nelle  materie  di  propria
competenza,  a  declinare  piu'  puntualmente,  in   relazione   alle
specificita' territoriali, l'attuazione di quanto previsto  dall'art.
55 CTS, non puo', dall'altro, alterare  le  regole  essenziali  delle
forme di coinvolgimento attivo nei rapporti tra gli ETS e i  soggetti
pubblici. 
    2.3.1.- Tuttavia, va rilevato che la legge reg. Umbria n.  2  del
2019  non  contiene,  in  nessuna   sua   disposizione,   un'espressa
qualificazione delle cooperative di comunita' come ETS. 
    Ai  sensi  dell'art.  1  della  legge  regionale  impugnata,   il
riconoscimento e la promozione da parte della  Regione  del  ruolo  e
della funzione delle cooperative di comunita' si realizzano, infatti,
«nel rispetto degli articoli  45,  117  e  118,  quarto  comma  della
Costituzione  e  della  normativa  nazionale»,  della  quale  vengono
necessariamente qui in rilievo il CTS e il d.lgs.  n.  112  del  2017
sull'impresa sociale. 
    Piuttosto, l'art. 2  della  legge  regionale,  nel  riferirsi  in
termini generali alle societa' cooperative, lascia ai soggetti che le
costituiscono la  liberta'  di  scegliere  quale  sottotipo  adottare
all'interno della comune forma societaria cooperativa:  in  sostanza,
se costituire una cooperativa sociale ai sensi della legge 8 novembre
1991, n. 381 (Disciplina delle cooperative sociali), una  cooperativa
a mutualita' prevalente, ai sensi degli articoli da 2512 a  2514  del
codice civile, ovvero una cooperativa il cui statuto non contempli le
clausole di non lucrativita' di cui all'art. 2514 cod. civ. 
    Ne deriva che le cooperative di comunita', proprio in forza della
normativa statale, possono: a)  essere  costituite  come  cooperative
sociali e, ai sensi dell'art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 112 del 2017,
«acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali»; oppure  b)
essere qualificate come imprese sociali, in quanto pero' rispettino i
requisiti costitutivi previsti dal d.lgs. n. 112 del  2017  -  tra  i
quali in primo luogo l'assenza di scopo di lucro  -  e  si  iscrivano
nell'apposita sezione del registro delle imprese, manifestando  cosi'
l'adesione al complessivo regime della impresa sociale,  atteso  che,
per tale tipologia di  ETS,  il  predetto  adempimento  «soddisfa  il
requisito dell'iscrizione nel  registro  unico  nazionale  del  Terzo
settore» (art. 11, comma 3, CTS). 
    In  entrambe  queste  ipotesi  non  e'   imputabile,   a   carico
dell'impugnato art. 5, comma 1, lettera b), della legge  reg.  Umbria
n. 2 del 2019, alcuna alterazione dell'impianto dell'art. 55 CTS:  le
cooperative di comunita' saranno  infatti  qualificate  come  imprese
sociali e quindi come ETS. 
    Nell'ipotesi, invece,  che  le  cooperative  di  comunita'  siano
differentemente costituite (perche' gli statuti  non  contemplano  la
clausola di non lucrativita'  di  cui  all'art.  2514  cod.  civ.)  o
qualificate (perche' le cooperative non  ritengano  di  acquisire  la
qualifica  di  impresa  sociale),  rimane  fermo   -   contrariamente
all'assunto della difesa regionale secondo cui le evidenti  finalita'
di  carattere  sociale  perseguite  dalle  cooperative  di  comunita'
farebbero sempre ricomprendere quest'ultime nell'ambito delle imprese
sociali  -  che  alle  stesse  non  sono  riferibili  le   forme   di
coinvolgimento attivo disciplinate dall'art. 55 CTS. 
    La norma impugnata ben puo' pero' essere interpretata  nel  senso
di non contraddire questa conclusione, in quanto - oltre a  prevedere
l'adozione di «appositi schemi di convenzione-tipo che disciplinano i
rapporti tra le cooperative di comunita' e le stesse  amministrazioni
pubbliche operanti nell'ambito regionale» - demanda alla  Regione  un
duplice compito: quello di disciplinare «le modalita'  di  attuazione
della co-programmazione, della co-progettazione e dell'accreditamento
previste dall'articolo 55 del [CTS]  e  le  forme  di  coinvolgimento
delle cooperative di comunita'». 
    L'uso della congiunzione «e»  nell'ultima  parte  del  richiamato
periodo conferma  un'interpretazione  per  cui  la  disciplina  delle
modalita' di attuazione degli istituti previsti dall'art. 55  CTS  e'
tenuta distinta da  quella  delle  forme  di  coinvolgimento  che  le
cooperative  di  comunita',  in  quanto  tali   (quando   cioe'   non
qualificabili come ETS),  possono  avere  con  i  soggetti  pubblici:
essendo gli ambiti concettuali dei due sistemi riconducibili a  fonti
diverse, questi non sono assimilati quanto a regime. 
    Tale interpretazione consente, in  definitiva,  di  escludere  il
vulnus prospettato dal ricorrente, perche'  la  norma  censurata  non
comporta alcuna  omologazione  tra  un  soggetto  estraneo  al  Terzo
settore e  quelli  che  vi  rientrano.  Essa,  infatti,  consente  di
disciplinare: a) le modalita' attuative dell'art. 55  CTS,  avendo  a
riguardo gli  ETS,  come  qualificati  dalla  normativa  statale  (e,
quindi, anche le cooperative di comunita' che in base  alla  suddetta
normativa  siano  tali);  b)  le  forme   di   coinvolgimento   delle
cooperative di comunita', che siano "soltanto" cosi' qualificabili (e
non anche come ETS) e che  non  potranno  essere  coinvolte  con  gli
stessi strumenti e modalita' riservati dal legislatore  statale  agli
ETS ai sensi del citato art. 55 CTS. 
    Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte, va da  se'  che
gli  schemi  di  convenzione-tipo,  richiamati   dalla   disposizione
impugnata e da adottare da parte della Regione, sono  necessariamente
diversi,  quanto  a  presupposti  e   contenuti,   dalle   forme   di
coinvolgimento tipicamente disciplinate per gli ETS, perche', qualora
attengano a cooperative di comunita' non qualificabili all'interno di
tale perimetro, la relazione convenzionale  con  l'ente  pubblico  si
pone su basi diverse da quella accordata ai primi. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,  comma  1,
lettera b), della legge della Regione Umbria 11  aprile  2019,  n.  2
(Disciplina delle cooperative di comunita'), promossa dal  Presidente
del Consiglio dei ministri,  in  riferimento  all'art.  117,  secondo
comma, lettera l), della Costituzione, con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                      Luca ANTONINI, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE