N. 135 SENTENZA 11 giugno - 6 luglio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Assistenza e solidarieta' sociale - Norme della Regione  Siciliana  -
  Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) -  Mancata
  fusione tra IPAB nei casi previsti  -  Automatica  estinzione,  con
  devoluzione al Comune territorialmente competente del patrimonio  e
  assorbimento del relativo personale - Violazione  dei  principi  di
  autonomia finanziaria degli  enti  locali,  di  corrispondenza  tra
  risorse e funzioni, dell'equilibrio di bilancio e di buon andamento
  della pubblica amministrazione - Illegittimita'  costituzionale  in
  parte qua - Obbligo per il legislatore regionale di provvedere alla
  complessiva risoluzione del problema delle IPAB in dissesto. 
- Legge della Regione Siciliana  9  maggio  1986,  n.  22,  art.  34,
  secondo comma. 
- Costituzione, artt. 97, secondo e quarto comma, 117, secondo comma,
  lettera e), e 119, primo, secondo, quarto e quinto  comma;  statuto
  della Regione Siciliana, art. 15, secondo comma. 
(GU n.28 del 8-7-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2,
della legge della Regione Siciliana 9 maggio 1986,  n.  22  (Riordino
dei  servizi  e  delle  attivita'  socio-assistenziali  in  Sicilia),
promossi dal Consiglio di giustizia  amministrativa  per  la  Regione
Siciliana con ordinanze del 15 ottobre 2018 e del 20  febbraio  2019,
iscritte, rispettivamente, ai numeri 79 e 80 del  registro  ordinanze
2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  23,
prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti gli atti di costituzione della Regione Siciliana  e,  fuori
termine, di L. V. e altri, nonche' di M.M. R. e altri; 
    udito  il  Giudice  relatore  Giancarlo  Coraggio,   secondo   le
prescrizioni del decreto della Presidente della Corte del  20  aprile
2020, punto 1), lettere a) e c), in  collegamento  da  remoto,  senza
discussione orale, in data 10 giugno 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'11 giugno 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  due  ordinanze  di  identico  tenore  il  Consiglio  di
giustizia amministrativa per la Regione Siciliana  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 97,  secondo  e  quarto  comma,  117,  secondo
comma, lettera e), 119, «primo, secondo,  quinto,  sesto,  settimo  e
ottavo comma» della Costituzione, nonche' all'art. 15, secondo comma,
del regio decreto legislativo 15 maggio 1946,  n.  455  (Approvazione
dello statuto della Regione siciliana), «unitamente  o  separatamente
considerati», questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  34,
comma 2, della legge della Regione Siciliana 9  maggio  1986,  n.  22
(Riordino  dei  servizi  e  delle  attivita'  socio-assistenziali  in
Sicilia), nella parte in  cui  «obbliga  i  Comuni  ad  assorbire  il
patrimonio ed il personale delle Istituzioni pubbliche di  assistenza
e  beneficenza   soppresse   autoritativamente   dall'Amministrazione
regionale, e cio' anche in deroga alle norme sul  contenimento  della
spesa pubblica (comprese quelle che introducono divieti di assunzioni
o limitazioni alle assunzioni di  personale)  e  sull'equilibrio  dei
bilanci  pubblici  (nonostante  tali  norme  siano  espressione   del
principio fondamentale del coordinamento della finanza pubblica)». 
    1.1.- Dalla lettura delle  due  ordinanze  emerge,  in  punto  di
fatto, che: 
    - i giudizi sono stati intrapresi dai Comuni di Castellamare  del
Golfo e di Piazza Armerina, insorti avverso i decreti del  Presidente
della Regione Siciliana con cui, ai sensi della norma censurata, sono
state  estinte,  rispettivamente,   le   Istituzioni   pubbliche   di
assistenza e beneficenza (IPAB) «Istituto  Regina  Elena  e  Vittorio
Emanuele II di Castellammare del Golfo» e «Istituto assistenziale  S.
Giuseppe e S. Giovanni Battista di Rodi», con devoluzione  ai  Comuni
medesimi di ogni rapporto attivo e passivo ad esse facente capo e con
trasferimento del personale dipendente; 
    -   i   Comuni   ricorrenti   lamentano   l'illegittimita'    dei
provvedimenti impugnati: a) perche' non hanno tenuto conto dei pareri
negativi espressi dai  competenti  organi  comunali  in  ordine  alla
successione in tutti i rapporti  attivi  e  passivi  delle  IPAB;  b)
poiche' l'automatico trasferimento del personale delle IPAB nei ruoli
degli  enti  locali  confligge  con  i  limiti  posti  dalla  vigente
normativa in materia di contenimento  della  spesa  pubblica  per  le
assunzioni a tempo indeterminato; c) perche'  la  norma  che  dispone
l'assorbimento del personale  deve  essere  interpretata  in  maniera
costituzionalmente  orientata,  con  conseguente  passaggio  all'ente
locale solo del personale reclutato tramite pubblico concorso; d)  in
via subordinata, il Comune di Castellamare del Golfo  ha  chiesto  di
sollevare questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  34,
comma 2, della legge della Regione Siciliana  n.  22  del  1986,  per
violazione degli artt. 81, 97, primo e terzo comma, 117 e 119  Cost.,
ove si ritenga che esso disponga  il  subentro  dell'ente  locale  in
tutti i rapporti attivi e passivi dell'IPAB  e  a  prescindere  dalla
verifica dei limiti di spesa per le assunzioni e dalla  modalita'  di
reclutamento del personale; 
    - in entrambi i giudizi si sono  costituiti  i  dipendenti  delle
IPAB disciolte, instando per il rigetto dei ricorsi; 
    - il TAR Sicilia, Palermo, sezione  terza,  con  sentenza  del  4
settembre 2018, n. 2122, ha accolto il ricorso proposto dal Comune di
Castellamare del Golfo, annullando l'atto impugnato, per  difetto  di
motivazione   in    relazione    ai    pareri    negativi    espressi
dall'amministrazione comunale in ordine alla successione nei rapporti
attivi e passivi delle estinte IPAB, per violazione delle  norme  che
pongono limiti assunzionali, e perche', secondo  una  interpretazione
costituzionalmente orientata della norma censurata, il  trasferimento
del personale potrebbe operare solo per i soggetti assunti a mezzo di
pubblico concorso; 
    - il TAR Sicilia, sezione staccata di Catania, con  sentenza  del
27 marzo 2018, n. 648, ha invece rigettato il  ricorso  proposto  dal
Comune di Piazza Armerina, ritenendo il provvedimento  di  estinzione
basato su un'adeguata istruttoria  e  sufficientemente  motivato,  le
limitazioni di assunzione del  personale  non  operanti  in  caso  di
successione ope legis,  e  il  disposto  trasferimento  di  personale
riferito esclusivamente a quello assunto con pubblico concorso; 
    - avverso le due sentenze  hanno  proposto  ricorso  in  appello,
innanzi al Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione
Siciliana, rispettivamente, i dipendenti  dell'IPAB  di  Castellamare
del Golfo e il Comune di Piazza  Armerina,  riproponendo  le  opposte
argomentazioni sostenute in primo grado. 
    1.2.- Cio' premesso in punto di fatto, il rimettente osserva  che
l'art.  4,  lettera  m),  dello  statuto  della   Regione   Siciliana
attribuisce alla Regione potesta' legislativa «esclusiva» in  materia
di pubblica beneficenza ed opere pie. 
    L'art. 34 della legge della Regione Siciliana n. 22  del  1986  -
prosegue il Consiglio di giustizia - stabilisce, al primo comma,  che
«[l]'Assessore regionale per gli enti locali  avvia  il  procedimento
amministrativo  per   la   fusione   delle   istituzioni   pubbliche,
proprietarie delle strutture non utilizzabili o  non  riconvertibili,
con altre IPAB che dispongono di strutture giudicate  utilizzabili  o
riconvertibili in esito alle procedure di cui ai precedenti  articoli
o con IPAB che, mediante l'integrazione delle strutture, su  proposta
del comune  territorialmente  competente,  possono  attivare  servizi
socioassistenziali e socio-sanitari conformi  alle  previsioni  degli
articoli 31 e 32 della presente legge»; al secondo comma,  che  «[i]n
subordine  l'istituzione  e'  estinta  e  i  beni  patrimoniali  sono
devoluti al  comune,  che  assorbe  anche  il  personale  dipendente,
facendone  salvi  i  diritti  acquisiti  in  rapporto   al   maturato
economico»; al terzo comma, che  «[l]a  fusione  e  l'estinzione  non
hanno luogo qualora la struttura non  utilizzabile  o  riconvertibile
appartenga ad istituzione che disponga di altre strutture  agibili  e
riconvertibili». 
    Il menzionato secondo comma dell'art. 34,  dunque,  attribuirebbe
alla Regione il potere di accertare se le  IPAB  non  siano  piu'  in
grado di funzionare autonomamente (nemmeno a seguito di  processi  di
fusione o di riconversione), nonche' di decidere  se  debbano  essere
soppresse, e  da  tale  decisione  conseguirebbe  automaticamente  la
devoluzione dei beni patrimoniali e il  trasferimento  del  personale
dalla soppressa istituzione al Comune territorialmente competente. 
    Deduce il rimettente che nel nostro ordinamento vige il principio
di autonomia finanziaria dei Comuni,  «espressamente  declinato»  sia
dall'art. 119 Cost. sia dai singoli statuti delle Regioni speciali e,
con specifico  riferimento  alla  Regione  Siciliana,  dall'art.  15,
secondo comma, del relativo statuto. 
    Corollario di tale principio sarebbe quello secondo cui «ad  ogni
trasferimento   di   funzioni   deve   corrispondere   un    adeguato
trasferimento (o un'attribuzione)  di  risorse  economico-finanziarie
per farvi fronte, principio che vale, all'evidenza, anche per il caso
di trasferimento di  complessi  patrimoniali  che  determinino  oneri
(quali spese di  manutenzione,  restauro  etc.)  forieri  di  perdite
economiche, nonche' - ovviamente - per il caso  di  trasferimento  di
personale». 
    Tale «"principio di correlazione fra funzioni e  risorse"  (cosi'
ormai correntemente definito in teoria generale)» sarebbe desumibile,
«oltre che  dalla  logica  giuridica  (e  dunque  dal  "principio  di
ragionevolezza" al quale  la  Corte  costituzionale  attribuisce,  da
sempre, valore fondamentale)»,  «dall'intero  assetto  del  Titolo  V
della Carta costituzionale;  e,  in  particolare,  dai  commi  primo,
quinto  e  sesto  dell'art.  119  della  Costituzione,   disposizioni
costituzionali che nella misura in cui (e nelle  parti  nelle  quali)
mirano a garantire uno standard minimo di tutela in favore degli Enti
locali - e dunque un valore costituzionale di base  -  sono  ad  essi
comunque applicabili (e da essi invocabili)  a  prescindere  da  ogni
delimitazione territoriale (il che risponde al criterio  metodologico
secondo cui agli enti locali ubicati nelle Regioni a statuto speciale
non puo' essere  riconosciuta  una  autonomia  finanziaria  inferiore
rispetto a quella devoluta agli enti ubicati nelle Regioni a  statuto
ordinario)». 
    L'art. 119,  primo  comma,  Cost.  -  prosegue  il  rimettente  -
stabilisce che i Comuni hanno autonomia finanziaria di entrata  e  di
spesa e tale «norma organizzativa di base»  sarebbe  stata  disattesa
dal legislatore siciliano, il quale, con il comma 4 (recte: comma  2)
dell'art. 34 della legge della Regione  Siciliana  n.  22  del  1986,
avrebbe creato un meccanismo idoneo «ad incidere  "estemporaneamente"
(id est: al di  fuori  da  ogni  programmazione  finanziaria  locale;
consentendo,   con    semplici    atti    provvedimentali    adottati
dall'Amministrazione regionale, di determinare sostanziali  modifiche
ai bilanci comunali  e  deroghe  alle  leggi  finanziarie  statali  e
regionali; e finanche alla legislazione sul contenimento della  spesa
pubblica, non ostante quest'ultima abbia natura di  "legislazione  di
principio") sull'autonomia finanziaria dei Comuni». 
    Ancora, l'art. 119, quinto comma  (recte:  quarto  comma),  Cost.
stabilisce che le risorse derivanti  dalle  fonti  di  cui  ai  commi
precedenti  consentono  ai  Comuni  di  finanziare  integralmente  le
funzioni  pubbliche  loro  attribuite,  ed   anche   tale   principio
costituzionale sarebbe stato disatteso dal legislatore siciliano,  il
quale con la disposizione  censurata  avrebbe  creato  un  meccanismo
idoneo a gravare i Comuni «di una nuova funzione (quella di  gestione
e manutenzione dei patrimoni in dissesto delle soppresse I.P.A.B.;  e
quella, di natura socio-assistenziale, di ricollocazione ed eventuale
riqualificazione del personale da esse dipendente), senza dotarli (di
un minimo) di risorse  finanziarie  (aggiuntive)  necessarie  per  il
raggiungimento dell'obiettivo». 
    Il sesto comma (recte: quinto comma) dell'art.  119  Cost.,  poi,
stabilisce che lo Stato, per provvedere a scopi diversi  dal  normale
esercizio delle loro funzioni, destina risorse aggiuntive ed effettua
interventi speciali in  favore  di  determinati  Comuni:  anche  tale
principio sarebbe stato violato dalla norma  censurata,  che  avrebbe
creato un meccanismo idoneo  a  devolvere  ai  Comuni  coinvolti  nel
processo di «acquisizione forzosa» in  esame  una  serie  di  compiti
volti al perseguimento di «scopi diversi» da quelli corrispondenti al
«"normale esercizio delle loro funzioni" [...], senza  dotarli  della
necessaria provvista finanziaria». 
    Secondo il rimettente, anche prescindendo dalla  questione  della
piena  o  parziale   applicabilita'   ai   Comuni   siciliani   delle
disposizioni contenute nell'art. 119 Cost., quello della correlazione
tra risorse e funzioni sarebbe «un principio immanente  e  pervasivo»
del sistema  costituzionale,  desumibile,  per  quanto  attiene  alla
Regione  Siciliana,  dall'art.  15,  secondo  comma,  dello  statuto,
secondo cui gli enti locali sono «dotati della piu'  ampia  autonomia
amministrativa e finanziaria», e la  disposizione  censurata  sarebbe
comunque  in  contrasto  con   tale   norma   statutaria   di   rango
costituzionale. 
    La  Corte  costituzionale,  occupandosi   della   questione   del
«trasferimento di funzioni senza risorse», avrebbe affermato  che  le
norme di legge «che consentono operazioni istituzionali di tal fatta»
sono costituzionalmente illegittime, in quanto lesive  del  principio
di correlazione  tra  funzioni  e  risorse,  nonche'  del  «principio
fondamentale  del  coordinamento  della  finanza  pubblica»   e   del
«principio dell'equilibrio dei bilanci  pubblici»,  «declinati  dagli
artt. 117, lettera "e" e 119 primo, settimo  ed  ottavo  comma  della
Costituzione»,  quando  determinano  i  seguenti  due  effetti:   «a)
un'alterazione del "rapporto  tra  complessivi  bisogni  regionali  e
insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte"; b) ed una  variazione
del rapporto entrate/spese  foriero  di  un  "grave  squilibrio"  nel
bilancio». 
    Nella fattispecie disciplinata  dalla  norma  censurata  cio'  si
verificherebbe ogni volta che il numero dei  dipendenti  in  transito
dalla soppressa IPAB verso il Comune  obbligato  ad  assumerli  o  le
spese di manutenzione dei beni patrimoniali ceduti determinino  spese
impreviste (non esistendo capitoli di bilancio su cui farli  gravare)
ovvero non possano trovare adeguata copertura (se non facendo ricorso
ad indebitamenti o a strumenti straordinari). 
    L'art. 34, comma 2, infine,  si  porrebbe  in  contrasto  con  la
legislazione  sul  contenimento  della  spesa  pubblica   -   e,   in
particolare con l'art. 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno  2014,
n. 90  (Misure  urgenti  per  la  semplificazione  e  la  trasparenza
amministrativa  e  per   l'efficienza   degli   uffici   giudiziari),
convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114,  e
con l'art. 1, comma 228,  della  legge  28  dicembre  2015,  n.  208,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)» - ritenuta  dalla
Corte costituzionale prevalente sulle  leggi  regionali  anche  delle
Regioni  a  statuto  speciale,  «in  quanto  espressione  del   (gia'
menzionato) "principio fondamentale" secondo cui  -  in  forza  degli
artt. 119, secondo comma, e 117 lett. "e" della Carta  costituzionale
- spetta allo Stato il coordinamento della finanza  pubblica»:  esso,
pertanto, sarebbe costituzionalmente illegittimo anche perche' idoneo
a «"scompaginare" la politica di contenimento delle  assunzioni  come
misura volta a perseguire il riequilibrio finanziario». 
    1.3.-  Il  rimettente  afferma,  quindi,  che  le  questioni   di
legittimita'   costituzionale   sarebbero   rilevanti    in    quanto
pregiudiziali ai fini della decisione della  causa,  posto  che  «dai
destini della  norma  regionale  derivano  i  destini  dell'impugnato
provvedimento e dunque del giudizio pendente in  appello  innanzi  al
Giudice amministrativo». 
    Secondo  il  giudice   a   quo,   non   sarebbe   possibile   una
interpretazione  costituzionalmente   orientata   della   norma   che
«valorizzi la rilevanza ostativa del  parere  negativo  espresso  dal
Comune», attesa la chiarezza del dato testuale. 
    In «nessun luogo del testo normativo» sarebbe specificato che  il
parere del Comune sulla soppressione dell'IPAB (e  sulle  conseguenti
operazioni di devoluzione del patrimonio e di transito del personale)
debba essere considerato vincolante o parzialmente vincolante  (oltre
che obbligatorio) su determinati punti. 
    La rigidita' del testo in esame, dunque, porterebbe ad  escludere
la possibilita' di una interpretazione costituzionalmente  orientata,
poiche' tale opzione  ermeneutica  presuppone  «un  certo  spazio  di
indeterminatezza della pericope». 
    1.3.1.- Ne', per  escludere  la  rilevanza  delle  questioni,  si
potrebbe sostenere che, a fronte di un parere sfavorevole del  Comune
in ordine alla soppressione dell'IPAB,  occorra,  per  discostarsene,
una motivazione rinforzata, e  che  tale  motivazione,  nei  casi  di
specie, non sia stata fornita dall'amministrazione regionale. 
    La motivazione posta a  fondamento  dei  provvedimenti  impugnati
sarebbe infatti sufficiente, in quanto proporzionata a quelle poste a
fondamento dei pareri sfavorevoli dei Comuni, i  quali  si  sarebbero
limitati ad  affermare  di  non  avere  le  risorse  finanziarie  per
accollarsi  i  costi  di  gestione  derivanti  dall'acquisizione  del
patrimonio e del personale delle IPAB. 
    Essendo,  dunque,  sufficientemente  motivate  le  determinazioni
dell'amministrazione  regionale  procedente,   la   rilevanza   delle
questioni  non  sarebbe  revocabile,  perche'  l'esito  del  giudizio
dipenderebbe  esclusivamente  dalla   «tenuta»   della   disposizione
censurata. 
    1.3.2.- La rilevanza non verrebbe meno neanche «ove  l'attenzione
si concentri esclusivamente sul contrasto della  norma  in  questione
con il c.d. "principio di coordinamento della finanza pubblica  (art.
117 lett. "e"  ed  art.  119,  secondo  comma,  della  Costituzione),
contrasto   scaturente   dalla   violazione   dei   cc.dd.    "limiti
assunzionali" introdotti dalla [...] normativa sul contenimento della
spesa e sul blocco delle assunzioni». 
    Anche in questo caso non sarebbe  possibile  «salvare»  la  norma
regionale    affermando    che,    secondo    una     interpretazione
costituzionalmente  orientata,  essa  si  applica  nel  rispetto  dei
predetti limiti e divieti. 
    Da un lato, infatti, la rilevanza  permarrebbe  comunque  per  la
parte della norma che impone ai  Comuni  l'acquisizione  forzosa  del
patrimonio (ancorche' passivo) della soppressa IPAB; dall'altro,  non
potrebbe ignorarsi che, secondo  il  consolidato  orientamento  della
Corte  dei  conti,  sezione   delle   autonomie,   «[n]ei   casi   di
trasferimento di personale ad altro ente  pubblico,  derivante  dalla
soppressione di un ente obbligatoriamente disposta dalla  legge,  non
si ritiene applicabile il limite assunzionale fissato dalla normativa
vigente in materia di spese di personale ai  fini  del  coordinamento
della finanza pubblica», e che in  tali  casi  «la  deroga  al  detto
vincolo comporta  [...]  il  necessario  riassorbimento  della  spesa
eccedente  negli  esercizi  finanziari  successivi   a   quello   del
superamento del limite» (Corte dei conti,  sezione  delle  autonomie,
deliberazione 4 febbraio 2016, n. 4). 
    Una volta chiarito, dunque,  che  dall'applicazione  della  norma
censurata deriva l'obbligo dei Comuni di procedere all'assunzione del
personale proveniente dall'IPAB, con accollo degli  oneri  finanziari
che  ne  conseguono,  anche  ove  cio'  possa  produrre  dissesti   o
indebitamenti  straordinari  (non  decisi   autonomamente),   sarebbe
evidente la  rilevanza  delle  sollevate  questioni  di  legittimita'
costituzionale. 
    1.4.- In relazione  alla  non  manifesta  infondatezza,  poi,  il
rimettente afferma che, «come del resto  gia'  illustrato  nei  primi
Capi della presente ordinanza»,  non  e'  revocabile  in  dubbio  che
l'introduzione mediante  legge  regionale  di  un  congegno  atto  ad
incidere sui richiamati principi costituisce una  evidente  «rottura»
dell'ordinario assetto delle «competenze legislative» stabilite dalla
Costituzione e determina una «eccessiva  compressione  dell'autonomia
finanziaria degli enti locali». 
    2.- E' intervenuta la Regione Siciliana, rappresentata  e  difesa
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
la non fondatezza delle questioni sollevate dal rimettente. 
    2.1.- Le  questioni  sarebbero  inammissibili,  in  primo  luogo,
perche' il giudice a quo avrebbe omesso di esperire il  tentativo  di
interpretazione conforme a Costituzione e avrebbe richiesto  l'avallo
interpretativo di questa Corte. 
    Andrebbe al riguardo rammentata la deliberazione della Corte  dei
conti, sezione delle autonomie, 4 febbraio 2016, n. 4,  pronunciatasi
sull'esame della questione di  massima  rimessale  dalla  sezione  di
controllo per la Regione Siciliana,  con  deliberazione  24  novembre
2015, n. 316, e riguardante proprio la «corretta  interpretazione  ed
applicazione delle previsioni di cui  all'art.  34,  comma  2,  della
legge della Regione siciliana 9 maggio 1986, n. 22». 
    La Corte dei conti, nella citata deliberazione, avrebbe affermato
che, «[n]ei casi di trasferimento di personale ad altro ente pubblico
derivante dalla soppressione di un  ente  obbligatoriamente  disposta
dalla legge,  non  si  ritiene  applicabile  il  limite  assunzionale
fissato dalla normativa vigente in materia di spese di  personale  ai
fini del coordinamento  di  finanza  pubblica.  La  deroga  al  detto
vincolo comporta, tuttavia, il necessario riassorbimento della  spesa
eccedente  negli  esercizi  finanziari   successivi   a   quello   di
superamento del limite». 
    Con  tale   interpretazione   costituzionalmente   orientata   il
rimettente avrebbe omesso di confrontarsi. 
    2.2.- Le questioni sarebbero poi  inammissibili  per  difetto  di
motivazione sulla non manifesta infondatezza. 
    In particolare, il riferimento  all'art.  97,  secondo  e  quarto
comma, Cost., contenuto  nel  punto  5  del  considerato  in  diritto
dell'ordinanza  di  rimessione  ma  non  riportato  nel  dispositivo,
sarebbe del tutto privo di supporto espositivo. 
    Quanto agli artt. 117, secondo comma, lettera e),  e  119  Cost.,
non  vi  sarebbe  alcuna  indicazione  delle  ragioni  per  cui  essi
sarebbero violati, ne' di quelle per cui le invocate disposizioni  in
tema di contenimento della spesa pubblica assurgerebbero a  parametri
interposti, ne', infine, dei motivi di contrasto tra esse e la  norma
censurata. 
    2.3.- Le questioni sarebbero comunque non fondate nel merito. 
    Rammenta  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  che  la   Regione
Siciliana ha competenza esclusiva in materia di «pubblica beneficenza
ed opere pie», ai sensi dell'art. 14, lettera m), dello statuto. 
    Il d.P.R. 30 agosto 1975,  n.  636  (Norme  di  attuazione  dello
statuto della regione siciliana in materia di pubblica beneficenza ed
opere  pie)  avrebbe  poi  disposto,  all'art.   1,   comma   1,   il
trasferimento in capo all'amministrazione regionale delle  competenze
amministrative gia' attribuite  agli  organi  centrali  e  periferici
dello Stato  dalla  legge  17  luglio  1890,  n.  6972  (Norme  sulle
istituzioni pubbliche di assistenza  e  beneficenza)  in  materia  di
ordinamento e controlli sulle istituzioni pubbliche di  assistenza  e
beneficenza  e  sugli  enti  comunali  di  assistenza,  operanti  nel
territorio della Sicilia. 
    Con  la  legge  della  Regione  Siciliana  n.  22  del  1986,  il
legislatore regionale avrebbe provveduto al «[r]iordino dei servizi e
delle attivita' socioassistenziali in Sicilia», dettando,  al  Titolo
V,  «[d]isposizioni  sulle  istituzioni  pubbliche  di  assistenza  e
beneficenza (IPAB)», concernenti la privatizzazione delle IPAB  (art.
30), nonche' le IPAB che non hanno caratteristiche di  enti  privati,
disciplinando, segnatamente, l'utilizzazione  delle  strutture  (art.
31), la loro riconversione (art. 32), ovvero la fusione ed estinzione
delle  IPAB  proprietarie  di  strutture  non  utilizzabili   e   non
riconvertibili (art. 34). 
    Con decreto del Presidente della  Regione  Siciliana  4  novembre
2002 sarebbero poi state dettate le «[l]inee guida  per  l'attuazione
del piano socio-sanitario della Regione siciliana», in cui si darebbe
atto che la ridefinizione  del  sistema  dei  servizi  socio-sanitari
della Regione necessita di interventi legislativi, tra cui una «legge
di riordino delle IPAB» (punto 4.1). 
    Il complesso processo di riordino, tuttavia,  non  avrebbe  avuto
ancora luogo. Si dovrebbe ritenere,  pertanto,  che  in  Sicilia,  in
assenza di una riforma legislativa, trovino  ancora  applicazione  le
disposizioni di cui alla legge n. 6972 del  1890,  che  affermano  la
natura pubblicistica delle IPAB, e quelle della legge  della  Regione
Siciliana n. 22 del 1986. 
    Lo   spirito   della   norma   censurata   sarebbe   chiaro    ed
inequivocabile: esperito  ogni  tentativo  di  rilancio  dell'IPAB  e
verificata l'impossibilita' di procedere alla fusione con altra  IPAB
del medesimo territorio  comunale,  l'istituzione  e'  estinta  e  il
patrimonio e il personale sono devoluti al Comune. 
    Non  potendo  l'IPAB  proseguire  nella  «mission»  a  suo  tempo
affidatale dai fondatori, sia per  questioni  organizzative  che  per
questioni economico-finanziarie, l'estinzione  dovrebbe  considerarsi
un atto dovuto e ineludibile. 
    Il Comune, prosegue  la  Regione  Siciliana,  per  effetto  delle
disposizioni normative vigenti, detiene la prerogativa di organizzare
e gestire i servizi socio-assistenziali, con la conseguenza che  solo
esso potrebbe subentrare nella  proprieta'  del  patrimonio  e  nelle
funzioni dell'IPAB. 
    A tal  proposito,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  richiama
ancora una volta la deliberazione  della  Corte  dei  conti,  sezione
delle autonomie n. 4 del 2016, ove si  sarebbe  pure  affermato  che,
«[o]ve una legge regionale stabilisca la soppressione di un ente e il
concomitante riassorbimento del personale da parte di un  altro  ente
pubblico, si deve ritenere applicabile il principio sancito dall'art.
97 della  Costituzione  dell'obbligatorieta'  del  previo  ricorso  a
procedure concorsuali per il  reclutamento  del  personale  da  parte
dell'ente soppresso. Pertanto, non possono essere ammessi  nei  ruoli
dell'ente pubblico accipiente dipendenti che non abbiano superato  un
pubblico concorso». 
    Nello stesso senso si sarebbe espressa la  sezione  di  controllo
per la Regione Siciliana della Corte dei conti con  la  deliberazione
28 aprile 2016, n. 81. 
    3.- Con due memorie depositate fuori termine si  sono  costituiti
alcuni dipendenti  delle  IPAB,  parti  dei  due  giudizi  a  quibus,
instando per la inammissibilita' e  non  fondatezza  delle  questioni
sollevate dal rimettente. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Con  due  ordinanze  di  identico  tenore  il  Consiglio  di
giustizia amministrativa per la Regione Siciliana  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 97,  secondo  e  quarto  comma,  117,  secondo
comma, lettera e), 119, «primo, secondo,  quinto,  sesto,  settimo  e
ottavo comma» della Costituzione, nonche' all'art. 15, secondo comma,
del regio decreto legislativo 15 maggio 1946,  n.  455  (Approvazione
dello statuto della Regione siciliana), «unitamente  o  separatamente
considerati», questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  34,
comma 2, della legge della Regione Siciliana 9  maggio  1986,  n.  22
(Riordino  dei  servizi  e  delle  attivita'  socio-assistenziali  in
Sicilia), nella parte in  cui  «obbliga  i  Comuni  ad  assorbire  il
patrimonio ed il personale delle Istituzioni pubbliche di  assistenza
e  beneficenza   soppresse   autoritativamente   dall'Amministrazione
regionale». 
    Secondo il rimettente, la disposizione censurata non assicura  la
correlazione tra risorse e  funzioni  degli  enti  locali,  determina
«un'eccessiva compressione»  dell'autonomia  finanziaria  dei  Comuni
siciliani e da' luogo a spese  impreviste  che  non  possono  trovare
adeguata  copertura,  in  violazione  dei   principi   di   autonomia
finanziaria degli enti  locali,  di  corrispondenza  tra  funzioni  e
risorse, dell'equilibrio  di  bilancio  e  di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione. 
    Essa, inoltre, sarebbe  in  contrasto  con  la  legislazione  sul
contenimento  della  spesa  pubblica  e  delle  assunzioni,   ed   in
particolare con l'art. 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno  2014,
n. 90  (Misure  urgenti  per  la  semplificazione  e  la  trasparenza
amministrativa  e  per   l'efficienza   degli   uffici   giudiziari),
convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114,  e
con l'art. 1, comma 228,  della  legge  28  dicembre  2015,  n.  208,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)», da  considerarsi
espressione di principi fondamentali di coordinamento  della  finanza
pubblica, vincolanti anche per le Regioni ad autonomia speciale. 
    2.- I giudizi vanno riuniti  per  essere  definiti  con  un'unica
pronuncia, vertendo su questioni identiche per oggetto e censure. 
    3.-   In   via   preliminare,   deve   essere    dichiarata    la
inammissibilita' della costituzione delle parti private M.M.  R.,  D.
R., A.M. C. e S. S. nel giudizio iscritto al registro ordinanze n. 80
del 2019, nonche' della costituzione di L. V., S.M. B., A. G., A. C.,
M. B. e V. A. nel giudizio iscritto al registro ordinanze n.  79  del
2019. 
    Esse, infatti, sono  intervenute,  rispettivamente,  in  data  18
febbraio e 4  marzo  2020,  oltre  il  termine  perentorio  stabilito
dall'art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla  Corte
costituzionale (tra le tante, sentenze n. 6  del  2018,  n.  102  del
2016, n. 220 e n. 128 del 2014, e ordinanza allegata alla sentenza n.
173 del 2016), ossia venti giorni dalla pubblicazione  dell'ordinanza
di rimessione nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica,  avvenuta,
nel caso di specie, il 5 giugno 2019. 
    4.-  Sempre   in   via   preliminare,   la   Regione   Siciliana,
rappresentata e  difesa  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
eccepito l'inammissibilita' delle  questioni,  in  primo  luogo,  per
avere  il   rimettente   omesso   di   esperire   il   tentativo   di
interpretazione costituzionalmente orientata ed inteso,  in  realta',
ottenere da questa Corte un avallo interpretativo. 
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, sarebbe possibile dare all'art.
34, comma 2, della legge della Regione Siciliana n. 22 del  1986  una
interpretazione  conforme  a  Costituzione  e  tale   interpretazione
sarebbe quella fatta propria dalla Corte  dei  conti,  sezione  delle
autonomie, con la deliberazione 4 febbraio 2016, n. 4,  pronunciatasi
sull'esame della questione di  massima  rimessale  dalla  sezione  di
controllo per la Regione Siciliana,  con  deliberazione  24  novembre
2015, n. 316, ed avente ad oggetto  proprio  l'interpretazione  della
norma censurata, sotto i profili della possibile  deroga  ai  vincoli
alle assunzioni posti dalla legislazione statale e al  principio  del
pubblico concorso. 
    La Corte dei conti, nella deliberazione n. 4  del  2016,  avrebbe
affermato, quanto al primo profilo qui rilevante, che «[n]ei casi  di
trasferimento di personale ad altro  ente  pubblico  derivante  dalla
soppressione di un ente obbligatoriamente disposta dalla  legge,  non
si ritiene applicabile il limite assunzionale fissato dalla normativa
vigente in materia di spese di personale ai fini del coordinamento di
finanza pubblica. La deroga al detto vincolo comporta,  tuttavia,  il
necessario  riassorbimento  della  spesa  eccedente  negli   esercizi
finanziari successivi a quello di superamento del limite». 
    4.1.- L'eccezione, che peraltro  riguarda  solo  l'aspetto  della
devoluzione del personale, non e' fondata. 
    E' vero che la Corte dei conti, nelle citate delibere, ha fornito
tale interpretazione della disposizione censurata, ritenendola idonea
a contemperare, da un lato, gli interessi statali sottesi alle  norme
di coordinamento della finanza  pubblica  che  pongono  vincoli  alle
assunzioni, e, dall'altro, l'autonomia  organizzativa  e  finanziaria
riservata alle Regioni a statuto speciale. 
    Il  rimettente,  tuttavia,  lungi  dal   non   considerare   tale
interpretazione  della  norma  come  possibile,  la  fa   addirittura
propria, per poi pero' dubitare della sua legittimita' costituzionale
dal  diverso  punto  di  vista  della  eccessiva  compressione  delle
autonomie locali (profilo, questo,  non  esaminato  dalla  Corte  dei
conti). 
    In altri termini, quello che l'Avvocatura contesta al  rimettente
non e' un  omesso  tentativo  di  interpretazione  costituzionalmente
orientata, ma  l'avere,  nel  merito,  sollevato  una  questione  non
fondata:  secondo  l'interveniente,  la  norma  censurata,  in   quel
significato fatto proprio anche dal rimettente,  sarebbe  conforme  a
Costituzione. 
    5.- La Regione Siciliana ha poi eccepito  l'inammissibilita'  per
difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, poiche':  1)
l'invocazione dell'art. 97, secondo e quarto comma,  Cost.,  indicato
al punto 5 del considerato in diritto dell'ordinanza di rimessione ma
non riportato nel dispositivo, sarebbe priva di supporto  espositivo;
2) non vi sarebbe alcuna indicazione delle ragioni per cui  sarebbero
violati gli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119 Cost.; 3) non
sarebbe spiegato perche' le invocate  norme  sul  contenimento  della
spesa pubblica assurgerebbero a parametri interposti, ne', ancora,  i
motivi di contrasto tra esse e la norma censurata. 
    5.1.-  Anche  questa  eccezione,  che  impone  di  delineare  con
precisione il thema decidendum  delle  questioni  sollevate,  non  e'
fondata. 
    Quanto al primo rilievo, e' vero che l'art. 97, secondo e  quarto
comma, Cost., compare esclusivamente in un passaggio del  considerato
in diritto ma non nel dispositivo. 
    A prescindere da tale aspetto formale, e' altresi'  vero  che  la
dedotta violazione dell'art.  97,  quarto  comma,  Cost.,  ossia  del
principio dell'accesso  all'impiego  nella  pubblica  amministrazione
mediante  pubblico  concorso,  non  e'  in  alcun   modo   sviluppata
nell'ordinanza di rimessione. 
    Il tema, cioe', pur essendo stato oggetto del giudizio  di  primo
grado e delle sentenze impugnate davanti al rimettente  -  le  quali,
pur recando due statuizioni opposte (annullamento e  rigetto),  hanno
entrambe ritenuto che il passaggio di dipendenti dalle IPAB ai Comuni
possa avvenire esclusivamente per gli assunti  a  mezzo  di  pubblico
concorso - e' estraneo alle questioni sollevate. 
    Diversamente e' a dirsi con  riferimento  al  principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97,  secondo
comma Cost., poiche', in caso di devoluzione  del  personale  -  che,
secondo il giudice a quo, nella sua  automaticita',  unitamente  alla
devoluzione  del  patrimonio,  determina  il  vulnus   ai   parametri
costituzionali invocati - la incisione sull'assetto  organizzativo  e
funzionale dell'amministrazione  ricevente  e'  intimamente  connessa
alla lamentata compressione dell'autonomia finanziaria. 
    Quanto agli altri rilievi, una lettura  sostanziale  ed  unitaria
dell'ordinanza di rimessione consente di affermare che il rimettente,
con  motivazione  sufficientemente  congrua  ed  articolata,  censura
l'art. 34, comma 2, della legge della Regione  Siciliana  n.  22  del
1986, perche', nel prevedere, a seguito  dell'estinzione  delle  IPAB
aventi  strutture  «non  utilizzabili  o  non   riconvertibili»,   la
necessaria devoluzione ai  Comuni  del  patrimonio  e  del  personale
dipendente: 1) non assicura la correlazione tra  risorse  e  funzioni
degli   enti   locali,    determina    «un'eccessiva    compressione»
dell'autonomia finanziaria dei Comuni siciliani e da' luogo  a  spese
impreviste che non possono trovare adeguata copertura, in  violazione
dei  principi  di  autonomia  finanziaria  degli  enti   locali,   di
corrispondenza tra funzioni e risorse, dell'equilibrio di bilancio  e
di  buon  andamento   della   pubblica   amministrazione,   di   cui,
rispettivamente all'art. 119,  primo  comma,  Cost.  e  all'art.  15,
secondo comma, dello statuto della Regione Siciliana,  all'art.  119,
quarto e quinto comma, all'art. 119, primo e sesto comma, e  all'art.
97 Cost. (il rimettente, in motivazione, riporta parte del  contenuto
dei  commi  quarto  e  quinto  dell'art.  119   Cost.,   erroneamente
indicandoli, rispettivamente, come quinto e sesto, ed invoca i  commi
settimo   e   ottavo,   non   presenti   nel   menzionato   parametro
costituzionale); 2) contrasta con l'art. 3, comma 5, del d.l.  n.  90
del 2014 e con l'art. 1, comma 228, della legge n. 208 del 2015, che,
nel disporre vincoli alle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni,
recano - come costantemente affermato  da  questa  Corte  -  principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica  (il  giudice  a
quo erroneamente invoca l'art. 117, secondo comma, lettera e,  Cost.,
ma e' chiaro che intende riferirsi all'art. 117, terzo comma,  Cost.,
in  relazione  alla  competenza   concorrente   nella   materia   del
coordinamento della finanza pubblica). 
    6.- Prima di passare all'esame del merito delle questioni, appare
necessario illustrare il contesto fattuale che ad esse fa da sfondo e
in cui opera la norma sospettata d'illegittimita' costituzionale. 
    6.1.- La Regione Siciliana negli  ultimi  anni,  in  applicazione
dell'art. 34, secondo comma, della legge regionale n. 22 del 1986, ha
provveduto alla  soppressione  di  diverse  IPAB  in  grave  dissesto
finanziario,  devolvendo  tutti  i  rapporti  attivi  e   passivi   e
trasferendo il personale ai Comuni nel cui territorio  ricadevano  le
strutture degli istituti. 
    Gia' nel giudizio di parificazione del rendiconto  della  Regione
Siciliana per l'esercizio 2014 le Sezioni  riunite  della  Corte  dei
conti per la Regione Siciliana osservavano: «[l]a maggior parte delle
centotrentasette  IPAB  sparse   sull'intero   territorio   regionale
presenta gravi  disavanzi  finanziari,  sicche'  pare  indispensabile
un'incisiva innovazione  del  settore  attraverso  l'introduzione  di
sistemi economico-patrimoniali di tipo  aziendale  e  attraverso  una
rigorosa riorganizzazione complessiva, che richiede la liquidazione e
l'estinzione di numerose istituzioni». 
    Analoghi rilievi si rinvengono nelle  deliberazioni  di  parifica
dei rendiconti degli anni 2016, 2017 e 2018, nella quale  ultima,  in
particolare,  si  osserva  che,  «mentre  a  livello   nazionale   il
legislatore e' intervenuto sul riordino del settore  con  il  decreto
legislativo 4 maggio 2001,  n.  207,  la  disciplina  delle  IPAB  in
Sicilia, anche in conseguenza della competenza legislativa regionale,
e' tuttora contenuta nelle norme del titolo  V  (articoli  30  -  43)
della legge regionale 9 maggio 1986, n. 22, che, a sua volta, avrebbe
dovuto  avere  carattere  transitorio.  Il  servizio   di   Vigilanza
dell'Assessorato nel corso del 2018 ha incrementato le  attivita'  di
vigilanza e ha  confermato  numerose  e  persistenti  criticita'  che
investono quasi tutte le IPAB: a) l'omessa o tardiva approvazione dei
bilanci  di  previsione  o  dei  consuntivi  e,  comunque,   l'omessa
trasmissione  degli   stessi   all'Assessorato;   b)   l'assenza   di
documentazione giustificativa dei bilanci e  dei  consuntivi;  c)  il
sistematico inserimento di previsioni di entrata non  supportate  dal
necessario titolo; d) l'inadempimento non infrequente degli  obblighi
contributivi e previdenziali; f) una gestione anomala del  personale,
spesso  individuato  al  di  fuori  di  selezioni  pubbliche;  g)  un
contenzioso di notevole importo, senza che nei  bilanci  siano  stati
previsti gli oneri conseguenti all'eventuale soccombenza; h)  diffusi
fenomeni di mala  gestio,  che  hanno  condotto  anche  all'avvio  di
numerosi  procedimenti  penali;  i)  la  violazione   di   norme   di
contabilita'  pubblica  e  l'illegittimo  ricorso  a   procedure   di
riequilibrio.  La  Corte  ribadisce  che  e'  necessaria  un'organica
riforma di tali Istituzioni, favorendo la privatizzazione di  quelle,
specialmente  di  origine  ecclesiastica,  che  non   hanno   matrice
pubblicistica; si tratta di un intervento non piu' rinviabile sia  in
considerazione della precarieta' finanziaria di  molte  IPAB  sia  in
ragione dell'esigenza di disciplinare l'intero  settore  dei  servizi
alla persona». 
    La Corte dei conti rileva, altresi', che «[i]l  tema  delle  IPAB
[...] puo' avere notevoli ricadute sulla finanza degli  enti  locali,
poiche' l'art. 34 della legge regionale n. 22 del 1986, prevede  che,
se l'istituzione e' estinta, i beni  patrimoniali  sono  devoluti  al
comune territorialmente competente, che assorbe  anche  il  personale
dipendente, facendone  salvi  i  diritti  acquisiti  in  rapporto  al
maturato economico». 
    La  grave  situazione  organizzativa  e  finanziaria  delle  IPAB
siciliane e' ben conosciuta dal legislatore  regionale,  come  emerge
dalla relazione di accompagnamento al disegno  di  legge  di  riforma
delle IPAB n. 308 del 20 luglio 2018 (XVII Legislatura), ove si legge
che «[l]e II.PP.A.B. [...] da alcuni  anni  vivono  una  grave  crisi
finanziaria,  dovuta  sia  alla  costante  riduzione  del  contributo
previsto dalla legge regionale n. 71/82, passato da quasi 10  milioni
di euro l'anno,  alle  1.698  migliaia  di  euro  del  corrente  anno
(addirittura nell'anno 2015 non e' stata prevista in bilancio  alcuna
somma), sia al costante aumento del costo dei servizi erogati  [...].
Le  II.PP.A.B.  siciliane,  tranne  pochissime  eccezioni,  non  sono
inserite nella programmazione regionale e  distrettuale  del  sistema
integrato  degli  interventi  e  servizi  sociali  e  socio-sanitari,
nonostante la previsione della L. n. 328/2000 ed il  D.P.R.S.  del  4
novembre 2002. I Comuni, infine, per le note  difficolta'  di  cassa,
liquidano le rette di ricovero, anch'essi, con grandi ritardi, spesso
oltre un anno dalla presentazione delle fatture/note contabili.  Tale
situazione ha prodotto gravi  disavanzi  nella  gestione  finanziaria
delle II.PP.AA.BB. (che complessivamente ammontano a circa 40 milioni
di euro), con ritardi nei pagamenti degli  stipendi  al  personale  e
delle fatture ai fornitori. In alcuni casi il ritardo  nel  pagamento
degli stipendi ammonta ad oltre 24  mesi.  Alcune  di  loro,  per  le
suddette motivazioni, da  qualche  anno  hanno  cessato  l'attivita',
altre hanno avviato il procedimento di estinzione». 
    6.2.- La grave situazione di dissesto  economico  delle  IPAB  ha
quindi originato diversi procedimenti  giurisdizionali  attivati  dai
Comuni innanzi ai due TAR siciliani (e tra questi  i  due  giudizi  a
quibus) per contestare i decreti di estinzione del  Presidente  della
Regione, recanti la  devoluzione  ai  Comuni  medesimi  di  «tutti  i
rapporti attivi e passivi» facenti capo alle  istituzioni  soppresse,
nonche' il trasferimento del personale. 
    Altro consistente filone di contenzioso collegato  all'estinzione
e' quello avviato dal personale trasferito, che, a fronte dei rifiuti
di assunzione opposti da alcuni  dei  Comuni  interessati,  ha  fatto
ricorso  ai  competenti  giudici  del   lavoro   per   l'accertamento
dell'esistenza di un rapporto di impiego alle loro  dipendenze  e  la
condanna al pagamento delle somme spettanti a titolo di retribuzione. 
    6.3.- Per trovare una soluzione alla spinosa vicenda  delle  IPAB
siciliane, e in particolare di quelle estinte, sono state  presentate
diverse iniziative legislative regionali, tutte confluite nel  citato
disegno di legge n. 308 del 2018, recante «Riordino delle Istituzioni
Pubbliche di assistenza e Beneficenza», che prevede  la  soppressione
di tutte le IPAB e la loro trasformazione  in  aziende  pubbliche  di
servizi alla persona (ASAP) ovvero in associazioni  o  fondazioni  di
diritto privato (artt. 1 e 3). 
    Nel citato disegno di legge, le ASAP, una per ciascuna Provincia,
«subentrano nelle funzioni, nelle attivita' e nelle competenze  delle
istituzioni soppresse e  succedono  in  tutti  i  rapporti  giuridici
attivi e passivi di qualunque genere nonche' al  patrimonio  gia'  di
titolarita' delle istituzioni soppresse» (art. 3, comma 3),  e  «[l]a
trasformazione non costituisce causa di risoluzione del  rapporto  di
lavoro del personale dipendente» (art. 3, comma 5). 
    Alla trasformazione si  accompagnano  l'obbligo  di  adozione  di
piani aziendali di risanamento finanziario (art. 13) e  l'istituzione
di fondi regionali per il  funzionamento  delle  aziende  e  il  loro
risanamento (artt. 14 e 15). 
    La descritta iniziativa legislativa si e' pero' arenata, poiche',
con nota dell'11 giugno 2019, n. 30514, la Ragioneria generale  della
Regione ha fornito  riscontro  negativo  alla  relazione  tecnica  di
accompagnamento, «in quanto carente e/o non esatto quanto esposto  in
merito alla copertura finanziaria degli oneri previsti a  carico  del
bilancio della Regione di cui al DDL  in  oggetto  e  mancante  degli
elementi  utili  a  dare  ampia  dimostrazione/giustificazione  della
quantificazione dei medesimi oneri». 
    7.- Nel  merito,  la  prima  delle  due  questioni,  con  cui  il
rimettente  lamenta  la  violazione   dei   principi   di   autonomia
finanziaria degli  enti  locali,  di  corrispondenza  tra  risorse  e
funzioni, dell'equilibrio di  bilancio  e  di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione (di cui, rispettivamente all'art. 119, primo
comma, Cost. e  all'art.  15,  secondo  comma,  dello  statuto  della
Regione Siciliana, all'art. 119, quarto e quinto comma, all'art. 119,
primo e sesto comma, e all'art. 97 Cost.), e' fondata. 
    7.1.- L'art. 34, comma 2, della legge della Regione Siciliana  n.
22 del 1986 prevede  che  le  IPAB  «proprietarie  di  strutture  non
utilizzabili o non riconvertibili», in caso di  mancata  fusione  con
altre IPAB aventi strutture  utilizzabili  o  riconvertibili  (o  che
«mediante l'integrazione delle strutture» possano  «attivare  servizi
socio-assistenziali e socio-sanitari conformi alle previsioni»  della
stessa legge regionale n. 22  del  1986),  sono  estinte  e  i  «beni
patrimoniali sono devoluti al comune, che assorbe anche il  personale
dipendente». 
    La norma censurata, per come  non  implausibilmente  interpretata
dal giudice a quo, dalla Corte dei conti (con la citata deliberazione
n. 316 del 2015 della sezione regionale di controllo) e da  tutte  le
parti, pubbliche e private,  coinvolte,  dispone  una  successione  a
titolo universale, con la conseguenza che ai Comuni  (individuati  ai
sensi dell'art. 60 della legge  della  Regione  Siciliana  27  aprile
1999, n. 10, recante «Misure di finanza regionale e norme in  materia
di  programmazione,  contabilita'  e  controllo.  Disposizioni  varie
aventi riflessi di natura  finanziaria»)  passano  non  solo  i  beni
immobili e il personale, ma anche tutti i rapporti giuridici attivi e
passivi facenti capo alle estinte IPAB. 
    Tale scelta in  se'  non  e'  irragionevole,  poiche',  ai  sensi
dell'art. 3 della legge della Regione Siciliana 2 gennaio 1979, n.  1
(Attribuzione ai comuni  di  funzioni  amministrative  regionali),  i
Comuni siciliani sono titolari delle generali funzioni amministrative
in materia di assistenza e beneficenza  (al  pari  dei  Comuni  delle
Regioni a statuto ordinario, ai sensi  dell'art.  25,  comma  1,  del
d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, recante «Attuazione  della  delega  di
cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382»). 
    Ad integrare la violazione dei dedotti  parametri  costituzionali
e' invece la rigidita' della norma, che impone  ai  Comuni  siciliani
l'accollo delle ingenti posizioni debitorie delle IPAB, accollo  che,
in   assenza   di   un'adeguata   provvista   finanziaria,    diventa
insostenibile nei casi  (come  quelli  di  specie)  dei  Comuni  piu'
piccoli, per i quali l'effetto quasi fisiologico della successione e'
quello dell'attivazione delle procedure di dissesto. 
    Questa Corte ha gia' affermato che «il subentro di un ente  nella
gestione di un altro ente soppresso (o sostituito) deve  avvenire  in
modo  tale  che  l'ente  subentrante  sia  salvaguardato  nella   sua
posizione finanziaria, necessitando al riguardo una disciplina  [...]
la quale regoli gli aspetti finanziari dei relativi rapporti attivi e
passivi e, dunque, anche il finanziamento della spesa necessaria  per
l'estinzione delle passivita' pregresse (tra le  altre,  sentenza  n.
364 del 2010)» (sentenza n. 8 del 2016; nello stesso senso,  sentenze
n. 364 del 2010, n. 116 del 2007, n. 437 del 2005 e n. 89 del 2000). 
    Ne' in senso contrario puo' essere valorizzata l'esistenza  nella
legge regionale n. 22 del 1986  di  un  fondo  regionale,  denominato
«Fondo   per   la   gestione   dei   servizi   e   degli   interventi
socio-assistenziali» (art. 44), dal  momento  che,  in  primo  luogo,
esso, e' ripartito, quanto alle spese connesse al  funzionamento  dei
servizi socio-assistenziali (cui in astratto potrebbero ricondursi  i
costi delle attribuzioni degli  enti  disciolti),  sulla  base  della
popolazione residente in ciascun Comune  secondo  i  dati  dell'Istat
dell'ultimo anno disponibile, e quindi senza nessun  ancoraggio  alle
spese effettivamente  necessarie  per  fare  fronte  alle  situazioni
debitorie delle IPAB estinte; e, in secondo luogo, non  ne  e'  certa
l'attivazione ne' sono certe le risorse  che  vi  confluiscono  (come
dimostra la citata relazione di accompagnamento al disegno  di  legge
regionale di riforma delle IPAB n. 308 del 2018). 
    7.2.- Sotto altro profilo, poi,  l'assorbimento  totalitario  del
personale proveniente dalle IPAB con conseguente immissione nei ruoli
organici dei Comuni, incidendo sui vincoli relativi  alle  assunzioni
negli anni successivi, comprime le scelte  organizzative  degli  enti
locali, impedendo di assumere figure che  possono  essere  necessarie
per lo svolgimento delle loro funzioni. 
    Questa Corte, con la sentenza n. 202 del  2014  -  nell'esaminare
una questione di legittimita' costituzionale avente  ad  oggetto  una
norma della Regione Campania che aveva disposto il trasferimento  del
personale dipendente dal soppresso Consorzio di bonifica della  Valle
Telesina a  quello  del  Sannio  Alifano  (peraltro  con  contestuale
attribuzione di un contributo annuo pari a 800.000 euro dal  2012  al
2016) - ha ritenuto che, pur accordando protezione  ad  «un  bene  di
indubbia pregnanza, quale la tutela  dei  lavoratori  interessati  al
processo di trasferimento», quella norma  andasse  interpretata  «nel
rispetto dei principi costituzionali,  tra  i  quali  assume  rilievo
prioritario il buon andamento della pubblica amministrazione sotto il
profilo dell'effettivo e corretto impiego dei  lavoratori  nel  nuovo
organismo in cui vengono inseriti. Ne  deriva  la  previa  necessaria
determinazione   dei   criteri    e    delle    modalita'    relativi
all'individuazione  delle  figure  professionali  e  dei   dipendenti
destinati  a  ricoprirle  in  modo  congruente  e   compatibile   con
l'apparato amministrativo ricevente». 
    Nello stesso senso, questa Corte, con  la  sentenza  n.  123  del
1968, ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  di  una  norma
della Regione Siciliana che, in violazione dell'art. 97 Cost.,  aveva
disposto  l'immissione  in  organico  di  personale  illegittimamente
assunto e di personale licenziato da molto  tempo,  dal  momento  che
l'assunzione non era rivolta  «a  provvedere  ad  effettive  esigenze
dell'Amministrazione ma solo ad incrementare gli organici». 
    In quella sede si e' osservato che «l'ordine  costituzionale  da'
la massima tutela al lavoro», ma si e' anche aggiunto che «[l]a norma
che accorda tale protezione non vive a se', ma forma sistema  con  le
altre che provvedono ad interessi di uguale  portata  costituzionale,
com'e' quello inerente al buon andamento dei pubblici uffici, cardine
della vita  amministrativa  e  quindi  condizione  dello  svolgimento
ordinato della vita sociale». 
    Le  medesime  considerazioni  di  fondo  sul  necessario  attento
bilanciamento tra tutela del  diritto  al  lavoro  ed  organizzazione
razionale  della  pubblica  amministrazione   sono   state   peraltro
riaffermate nelle recenti sentenze n. 170 e n. 79 del 2019. 
    8.-  Assorbita  la  seconda  questione,  deve   essere   pertanto
dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  34,  comma  2,
della legge della Regione Siciliana n. 22 del 1986,  nella  parte  in
cui prevede: «e i beni patrimoniali  sono  devoluti  al  comune,  che
assorbe anche il personale  dipendente,  facendone  salvi  i  diritti
acquisiti in rapporto al maturato economico». 
    9.- Dalla dichiarazione d'illegittimita' costituzionale  consegue
l'obbligo per il legislatore regionale di provvedere alla complessiva
risoluzione del problema delle  IPAB  in  dissesto,  individuando  un
ragionevole  punto  di  equilibrio  che  contemperi  tutti  i  valori
costituzionali in gioco, primo fra  tutti  quello  della  tutela  dei
soggetti deboli. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34,  comma  2,
della legge della Regione Siciliana 9 maggio 1986,  n.  22  (Riordino
dei servizi e delle attivita' socio-assistenziali in Sicilia),  nella
parte in cui prevede: «e i beni patrimoniali sono devoluti al comune,
che assorbe anche il personale dipendente, facendone salvi i  diritti
acquisiti in rapporto al maturato economico». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 giugno 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                    Giancarlo CORAGGIO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA