N. 165 SENTENZA 24 giugno - 24 luglio 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Universita' e istituti di  alta  cultura  -  Personale  accademico  -
  Reclutamento nel ruolo di professore di prima e  seconda  fascia  -
  Procedura di valutazione per la chiamata diretta dei ricercatori  a
  tempo indeterminato,  in  servizio  nell'universita'  medesima,  in
  possesso  dell'abilitazione  scientifica  nazionale   -   Carattere
  temporaneo   e   discrezionale   della   procedura   -   Denunciata
  irragionevolezza, violazione dei principi di uguaglianza e di  buon
  andamento dell'amministrazione - Non fondatezza delle questioni. 
- Legge 30 dicembre 2010, n. 240, art. 24, comma 6. 
- Costituzione, artt. 3 e 97. 
(GU n.31 del 29-7-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Aldo CAROSI,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  24,  comma
6, della legge  30  dicembre  2010,  n.  240  (Norme  in  materia  di
organizzazione  delle  universita',   di   personale   accademico   e
reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e
l'efficienza  del  sistema  universitario),  promosso  dal  Tribunale
amministrativo regionale per la Calabria  nel  procedimento  vertente
tra D. D.A. e altri e la Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  e
altri, con ordinanza del 30 aprile  2019,  iscritta  al  n.  152  del
registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti l'atto di  costituzione  di  D.  D.A.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito il Giudice relatore Daria de Pretis ai  sensi  del  decreto
della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a)
e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data  23
giugno 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 giugno 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 aprile 2019,  iscritta  al  n.  152  del
registro ordinanze del 2019, il  Tribunale  amministrativo  regionale
per la Calabria ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 24, comma 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in
materia di organizzazione delle universita', di personale  accademico
e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita'
e l'efficienza del sistema universitario), in riferimento agli  artt.
3 e 97 della Costituzione. 
    Il rimettente e' stato adito da D. D.A., ricercatore confermato a
tempo indeterminato in possesso di abilitazione scientifica nazionale
di  prima  fascia,  per  l'annullamento,  sia  della  nota  con   cui
l'Universita' della Calabria, presso cui presta servizio, ha respinto
la sua istanza di essere sottoposto alla valutazione per la  chiamata
in ruolo come professore associato, sia del  regolamento  del  citato
ateneo sulla chiamata dei professori di  ruolo  di  prima  e  seconda
fascia, nonche' per  l'accertamento  del  suo  diritto  soggettivo  a
essere sottoposto alla procedura di valutazione. 
    Nel giudizio principale, promosso nei  confronti  del  Presidente
del   Consiglio   dei   ministri,   del   Ministro   dell'Istruzione,
dell'universita' e  della  ricerca,  nonche'  dell'Universita'  della
Calabria, sono intervenuti ad adiuvandum altri  ricercatori  a  tempo
indeterminato con abilitazione scientifica nazionale e  mai  valutati
dai propri atenei per la chiamata nel ruolo dei professori associati. 
    1.1.- Il giudice a quo dubita della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 24, comma 6, della legge n. 240 del 2010 nella parte in cui
prevede che la procedura di valutazione  di  cui  al  comma  5  dello
stesso articolo «puo' essere utilizzata», anziche'  «e'  utilizzata»,
per la chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia  di
ricercatori a tempo indeterminato e nella parte  in  cui  prevede  il
termine ultimo del 31  dicembre  2019  per  l'utilizzazione  di  tale
procedura. L'art. 24 sui "Ricercatori a tempo determinato"  definisce
al comma 3, lettera b), la figura del ricercatore cosiddetto "di tipo
B" e stabilisce, al citato comma 5, che «nel terzo anno di  contratto
di cui al comma 3, lettera b), l'universita' valuta il  titolare  del
contratto stesso, che abbia conseguito l'abilitazione scientifica  di
cui all'articolo 16, ai fini della chiamata nel ruolo  di  professore
associato, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, lettera e)». 
    1.2.- Dopo avere  respinto  il  motivo  di  ricorso  fondato  sul
preteso contrasto della norma censurata con  il  diritto  dell'Unione
europea,  il  rimettente  ritiene  impraticabile   un'interpretazione
costituzionalmente orientata, in quanto la lettera dell'art. 24 della
legge n. 240 del 2010 - la' dove prevede, al comma 5, che  nel  terzo
anno di contratto l'universita' «valuta» il ricercatore di tipo B  in
possesso  dell'abilitazione  scientifica  nazionale  ai  fini   della
chiamata in ruolo come professore associato e, al  comma  6,  che  la
stessa procedura di valutazione «puo'» essere utilizzata, ai medesimi
fini, per  i  ricercatori  a  tempo  indeterminato  muniti  anch'essi
dell'abilitazione scientifica nazionale -  deporrebbe  con  chiarezza
nel senso di individuare a  carico  dell'universita'  un  obbligo  di
valutazione solo nel primo caso e una mera facolta' nel secondo. 
    Le questioni sarebbero dunque  rilevanti,  giacche'  soltanto  il
loro accoglimento consentirebbe di annullare il diniego impugnato nel
giudizio principale. 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
ricostruisce  sinteticamente  il  quadro  normativo  delineato  dalla
riforma di cui alla legge n. 240 del 2010 con  riguardo  alle  figure
dei ricercatori a tempo determinato, titolari dei contratti di lavoro
subordinato disciplinati alle lettere a) e b) del comma  3  dell'art.
24, e all'esaurimento del ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato
istituito  dall'art.  1  del  d.P.R.   11   luglio   1980,   n.   382
(Riordinamento  della  docenza  universitaria,  relativa  fascia   di
formazione  nonche´  sperimentazione  organizzativa  e  didattica)  e
osserva che la norma censurata  violerebbe  innanzi  tutto  l'art.  3
Cost., per irragionevolezza «estrinseca» e per lesione del  principio
di uguaglianza. 
    Sotto il primo profilo, la scelta legislativa di  non  sottoporre
"di  diritto"  i  ricercatori  a  tempo  indeterminato  che   abbiano
conseguito  l'abilitazione  scientifica  nazionale  alla  valutazione
della propria universita' per la chiamata nel ruolo di professore  di
prima  e  seconda  fascia  sarebbe  incongrua  rispetto  al  fine  di
selezionare i docenti meritevoli, perseguito dalla legge n.  240  del
2010. Non vi sarebbe  ragionevole  giustificazione  di  limitare  per
costoro la indicata chiamata e cio' produrrebbe,  inoltre,  l'effetto
paradossale di negare il diritto di essere valutato a un  ricercatore
a tempo indeterminato con abilitazione di prima fascia, attribuendolo
invece a un ricercatore a tempo determinato con abilitazione solo  di
seconda fascia. 
    Ad avviso  del  rimettente,  l'irragionevolezza  del  trattamento
riservato ai ricercatori a  tempo  indeterminato  potrebbe  rivelarsi
ancora «piu' profonda» qualora  la  Corte  di  giustizia  dell'Unione
europea,  pronunciando  su  un  rinvio  pregiudiziale  proposto   dal
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanza  del  3
aprile 2019, n. 4336, ritenesse che la clausola 5 (recante «Misure di
prevenzione degli abusi») dell'accordo  quadro  sul  lavoro  a  tempo
determinato, concluso il 18 marzo 1999, allegato  alla  direttiva  n.
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno  2008,  relativa  all'accordo
quadro CES,  UNICE  e  CEP  sul  lavoro  a  tempo  determinato,  vada
interpretata nel senso che osti a una normativa nazionale  che,  come
quella italiana, preclude ai  ricercatori  cosiddetti  "di  tipo  A",
assunti con  contratto  di  lavoro  a  tempo  determinato  di  durata
triennale prorogabile per due anni, la successiva instaurazione di un
rapporto  a  tempo  indeterminato.   La   stabilizzazione   di   tali
ricercatori, infatti,  «li  assimilerebbe  di  molto  ai  ricercatori
confermati». 
    Sotto  il  secondo  profilo,  la  norma  censurata  introdurrebbe
un'irragionevole disparita' di trattamento dei  ricercatori  a  tempo
indeterminato  che  abbiano  conseguito  l'abilitazione   scientifica
nazionale rispetto ai ricercatori a tempo determinato di  tipo  B  in
possesso di analoga abilitazione, per  i  quali  il  citato  comma  5
dell'art. 24, assunto a tertium comparationis,  prevede  l'automatica
sottoposizione a valutazione nel terzo  anno  di  contratto  ai  fini
della chiamata in ruolo come professori associati. E cio'  nonostante
l'omogeneita' delle due situazioni quanto a modalita' di reclutamento
(pubblico concorso con valutazione  di  titoli  e  pubblicazioni,  da
discutere pubblicamente con una commissione),  a  mansioni  (ricerca,
didattica, didattica integrativa e di servizio  agli  studenti)  e  a
impegno lavorativo (350 ore in regime di tempo pieno  nei  primi  tre
anni), «in disparte le differenze eminentemente  legate  alla  durata
del rapporto». 
    1.3.1.-  L'art.  24,  comma  6,  della  legge  n.  240  del  2010
violerebbe altresi' l'art. 97 Cost. 
    Il rimettente osserva che questa Corte, in  fattispecie  diversa,
ha  gia'  affermato  che  l'obiettivo   di   favorire   il   ricambio
generazionale     nell'universita',     pur     appartenendo     alla
discrezionalita'  del  legislatore,  deve  essere   bilanciato,   nel
rispetto dell'art. 97 Cost., con l'esigenza di mantenere in  servizio
docenti in grado di dare  un  positivo  contributo  per  l'esperienza
professionale acquisita, in funzione  dell'efficiente  andamento  del
servizio (e' citata la sentenza n. 83 del 2013).  Analogamente,  «pur
nel  rinnovo   dello   statuto   della   figura   del   ricercatore»,
contrasterebbe    con    il    principio    di     buon     andamento
dell'amministrazione «ostacolare la progressione  di  ricercatori  di
esperienza sol perche' entrati nel vigore di pregressa disciplina». 
    2.- Con atto depositato il 21 ottobre 2019 si  e'  costituito  in
giudizio D. D.A., ricorrente nel processo principale, che ha concluso
per l'accoglimento delle questioni. 
    Dopo  avere  tratteggiato  le  figure  del  ricercatore  a  tempo
indeterminato e di quello a tempo determinato di tipo  B,  mettendone
in evidenza le caratteristiche comuni per modalita' di reclutamento e
mansioni a essi riservate, la parte privata aderisce  sostanzialmente
alle censure mosse dal rimettente. 
    Quanto alla violazione del principio di uguaglianza  nell'accesso
al  ruolo  dei  professori   associati,   i   ricercatori   a   tempo
indeterminato sarebbero sottoposti, rispetto ai loro omologhi a tempo
determinato  di   tipo   B,   a   un   trattamento   penalizzante   e
discriminatorio, aggravato dal fatto che i secondi hanno maturato, al
momento della valutazione, un periodo di servizio di soli  tre  anni,
pari alla durata del loro contratto, mentre i primi potrebbero  avere
conseguito - come avrebbe effettivamente conseguito il ricorrente nel
processo principale - un'anzianita' di servizio ben piu' lunga, oltre
ad  avere  superato  la  procedura  di   conferma   con   valutazione
dell'attivita' di ricerca scientifica e di didattica  integrativa  da
parte di una commissione nazionale. 
    Un'ulteriore «sperequazione» ai danni  dei  ricercatori  a  tempo
indeterminato,   «assolutamente   gratuita   e    incomprensibilmente
punitiva», deriverebbe poi dalla possibilita', concessa  dall'attuale
formulazione dell'art. 24, comma 3, lettera b), della  legge  n.  240
del 2010, che i contratti ivi disciplinati siano stipulati  non  solo
con i ricercatori a tempo determinato di tipo  A  o  con  i  titolari
degli assegni di ricerca previsti all'art. 51, comma 6,  della  legge
27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica), come era stabilito ab origine,  ma  anche  con  chi  abbia
conseguito l'abilitazione scientifica nazionale di prima o di seconda
fascia ovvero abbia usufruito per almeno  tre  anni  non  consecutivi
degli assegni di ricerca di cui all'art. 22 della stessa legge n. 240
del 2010. Mentre nell'impianto originario di  quest'ultima  legge  si
accedeva alla posizione di ricercatore di tipo B solo avendo maturato
un periodo almeno triennale  di  servizio  con  l'universita'  (nella
forma del contratto di tipo A o dell'assegno di ricerca ex  art.  51,
comma 6, della legge n. 449 del 1997), nell'attuale assetto normativo
possono accedere anche soggetti  che  non  hanno  intrattenuto  alcun
rapporto di servizio con l'universita'. E, come rilevato dal  giudice
a quo, potrebbe assurdamente capitare che un ricercatore di ruolo  in
possesso dell'abilitazione scientifica  nazionale  di  prima  fascia,
come lo stesso ricorrente nel processo principale, non venga chiamato
dal proprio ateneo come professore associato, mentre dovrebbe  essere
chiamato un ricercatore a tempo  determinato  di  tipo  B  che  abbia
conseguito la sola abilitazione di seconda fascia. 
    Il denunciato trattamento normativo violerebbe anche gli artt.  4
e  35  Cost.  Tali  disposizioni  impedirebbero  al  legislatore   di
introdurre senza giustificazione razionale norme  che  comprimono  le
aspettative di crescita professionale dei lavoratori, con particolare
riguardo a quelli che, come i ricercatori universitari,  prestano  un
servizio pubblico. La «elevazione professionale»  dei  ricercatori  a
tempo indeterminato si troverebbe in una sorta di limbo, rimessa alle
scelte discrezionali dell'universita' di appartenenza, che potrebbero
dipendere da circostanze e  valutazioni  indipendenti  dal  merito  e
legate, ad esempio, a ragioni di  carattere  economico-finanziario  e
alla disponibilita' dei cosiddetti "punti organico". 
    Quanto alla violazione dell'art. 97 Cost.,  una  disciplina  che,
come  quella  censurata,  subordina  l'avanzamento  in  carriera  dei
ricercatori di ruolo a valutazioni del tutto discrezionali nell'an  e
nel quando, senza dare rilievo al merito dell'attivita' scientifica e
didattica  svolta,  svilirebbe  la  figura  principalmente  coinvolta
nell'attivita' di ricerca scientifica, in contrasto con lo scopo  che
l'art. 1 della legge n. 240 del 2010, richiamando gli artt. 9,  comma
primo, e 33, comma primo, Cost., assegna alle universita' quali «sede
primaria di libera ricerca e di  libera  formazione  nell'ambito  dei
rispettivi ordinamenti e [...] luogo di apprendimento ed elaborazione
critica delle conoscenze». 
    Il  ricercatore  di  ruolo,  a  differenza  di  quello  a   tempo
determinato di tipo B, si troverebbe infatti  in  una  situazione  di
vera e propria soggezione nei confronti del proprio  ateneo,  che  ne
minerebbe la liberta' di ricerca.  Sarebbe  posto  in  condizione  di
«subalternita' rispetto alla  sua  struttura  di  afferenza,  nonche'
rispetto  ai  professori  ordinari  del   suo   settore   scientifico
disciplinare» e al «potere di fatto che il professore  ordinario  "di
riferimento"  [...]  e'  in  grado  di  esercitare  nell'ambito   del
Dipartimento». Un ricercatore a  tempo  indeterminato  di  eccellente
valore potrebbe non essere chiamato nei ruoli di professore associato
solo perche' «nel  suo  settore  scientifico  disciplinare  e'  stato
attivato un posto da ricercatore di  tipo  B,  che  vincola  apposite
risorse per la chiamata di quest'ultimo», a prescindere  dal  merito.
La perdita di ogni chance di progressione in  carriera  provocherebbe
nel ricercatore a tempo indeterminato demotivazione  e  frustrazione,
con inevitabili ricadute sul suo  rendimento  e  con  compromissione,
oltre che delle istanze di promozione  della  ricerca  scientifica  e
della  liberta'  di   trasmissione   del   sapere   garantite   dalla
Costituzione,  anche  del  principio  di  buon  andamento,   che   le
universita' sono tenute a rispettare. 
    La norma censurata contrasterebbe, infine, con l'art. 2 Cost. Nel
contesto dell'universita', formazione sociale  dove  si  sviluppa  la
personalita' dello studioso nella  relazione  con  i  colleghi,  essa
riserverebbe  alla  valutazione  discrezionale  del  dipartimento  di
appartenenza  la  decisione  sulla  progressione  in   carriera   del
ricercatore  di  ruolo  in  possesso  dell'abilitazione   scientifica
nazionale, cosi' mortificandolo in ambito lavorativo e  peggiorandone
il rendimento e la qualita' della vita, nonche' la stessa dignita'. 
    3.- Con atto depositato il 22  ottobre  2019  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso  per  la
non fondatezza delle questioni. 
    Ad avviso dell'interveniente, la ratio della automatica procedura
di  valutazione  riservata  ai  ricercatori  di  tipo  B  (cosiddetta
tenure-track), di cui al comma 5 dell'art. 24 della legge n. 240  del
2010, risiederebbe nella necessita' di  assicurare  il  trattenimento
nell'ateneo del ricercatore che ivi si e'  formato  all'esito  di  un
percorso lungo, strutturato e contraddistinto da  un  susseguirsi  di
contratti  a  tempo  determinato,  assolvendo  dunque  anche  a   una
finalita' di stabilizzazione  dell'organico.  Senza  tale  procedura,
infatti, il ricercatore di tipo B, a differenza  di  quello  a  tempo
indeterminato,  non  avrebbe  piu'  alcun  rapporto  di  lavoro   con
l'universita', perderebbe continuita' scientifica e sarebbe  tagliato
fuori dal sistema nelle more dell'indizione delle ordinarie procedure
comparative di reclutamento ex art. 18 della legge n. 240 del 2010. 
    Il comma 6 dello  stesso  art.  24,  invece,  sarebbe  una  norma
speciale che consente alle  universita',  per  un  periodo  di  tempo
limitato, di utilizzare la procedura del comma  5  per  chiamare  nel
ruolo dei  professori  di  prima  e  seconda  fascia  sia  professori
associati che ricercatori a tempo  indeterminato  in  servizio  nelle
medesime universita'  e  in  possesso  dell'abilitazione  scientifica
nazionale, entro un contingente massimo rispetto alla totalita' delle
assunzioni di professori e utilizzando risorse destinate a tal  fine,
fino alla meta' di quelle necessarie per coprire i posti  disponibili
di professore di ruolo. 
    Sussisterebbero dunque  differenze  tra  i  soggetti  destinatari
delle due procedure, nonche' tra  le  rationes  sottese  alle  stesse
procedure e tra i loro presupposti, in  quanto  l'una,  di  carattere
obbligatorio, e' volta a immettere nel ruolo dei professori associati
ricercatori sui quali l'universita' ha investito  negli  anni  e  che
sarebbero destinati altrimenti  a  uscire  dal  sistema,  mentre  con
l'altra il  legislatore  ha  inteso  concedere  alle  universita'  la
facolta' di far progredire in ruolo studiosi gia'  inquadrati  tra  i
docenti a tempo indeterminato. 
    La differenza sostanziale alla base  del  diverso  meccanismo  di
progressione dovrebbe essere individuata nel «differente percorso che
struttura i due profili in esame». 
    Il ricercatore di tipo B,  infatti,  e'  sottoposto  a  un  primo
concorso per stipulare il contratto a tempo determinato  di  tipo  A,
alla valutazione per il rinnovo biennale  di  tale  contratto,  a  un
secondo concorso per accedere al contratto  a  tempo  determinato  di
tipo B,  alla  valutazione  per  il  conseguimento  dell'abilitazione
scientifica nazionale e, infine, alla  valutazione  per  l'immissione
nel ruolo dei professori associati. 
    Il ricercatore a tempo indeterminato, invece, sarebbe una  figura
residua   del   vecchio   sistema   di   reclutamento   universitario
contraddistinta   da   una   maggiore   stabilita'.   Per    giungere
all'immissione in ruolo quale professore di seconda fascia, deve aver
superato un solo concorso e avere  ottenuto  la  conferma  in  ruolo,
oltre all'abilitazione scientifica nazionale.  L'ordinamento  avrebbe
comunque apprestato  anche  per  tale  figura  specifiche  chance  di
carriera, mediante la procedura speciale  ex  art.  24,  comma  6,  o
mediante quella ordinaria ex art. 18 della legge n. 240 del 2010. 
    La progressione del ricercatore di tipo  B  non  potrebbe  essere
assimilata a quella del ricercatore a tempo indeterminato, in  quanto
caratterizzata da molteplici prove concorsuali  e  valutazioni  della
produttivita'  scientifica,  che  giustificherebbero   «l'automatismo
premiale» delineato dal legislatore, cui si affianca  un  «meccanismo
di incentivo» della produttivita' degli studiosi al fine di reclutare
i  migliori,  selezionati  attraverso   un   puntuale   percorso   di
perfezionamento. Il ricercatore a tempo indeterminato vedrebbe invece
consolidarsi  la  propria  posizione  con  il  primo  concorso  e  la
valutazione per la conferma.  La  diversita'  e  non  assimilabilita'
delle due figure, alla base  dei  diversi  sistemi  di  reclutamento,
sarebbe stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza amministrativa. 
    La prospettata violazione dell'art. 3 Cost.  non  sarebbe  dunque
fondata e, anzi, un'equiparazione di trattamento  determinerebbe  una
discriminazione al contrario, favorendo ingiustamente i ricercatori a
tempo  indeterminato  e  sottraendo   le   risorse   vincolate   alla
tenure-track a vantaggio di coloro che sono gia' stabili nel sistema.
Inoltre, sarebbe compressa l'autonomia  costituzionalmente  garantita
alle universita' in ordine alle politiche di reclutamento  e  all'uso
delle risorse economiche, che rimarrebbero in  gran  parte  vincolate
alla chiamata  di  studiosi  gia'  nei  rispettivi  ruoli.  Cio'  che
comporterebbe la contestuale erosione del principio di  comparazione,
sotteso alle procedure di cui all'art. 18  della  legge  n.  240  del
2010, e la diminuzione delle chance di chiamata di soggetti  estranei
all'ateneo. 
    Infine,  la  temporaneita'  della  previsione  censurata  sarebbe
giustificata  dalla  sua  eccezionalita',   avendo   il   legislatore
delineato  un  regime  transitorio  nel  quale  gli  atenei   possono
valorizzare i docenti in servizio escludendo le procedure comparative
aperte anche agli  "esterni",  in  considerazione  della  contestuale
introduzione, ai fini della progressione in carriera,  dell'ulteriore
requisito dell'abilitazione scientifica nazionale. 
    4.- Il ricorrente nel processo principale  ha  depositato  il  1°
giugno 2020 una memoria illustrativa, insistendo  per  l'accoglimento
delle questioni. 
    4.1.-  In  primo  luogo,  osserva  che  per  effetto  dei   piani
straordinari di reclutamento dei ricercatori a tempo  determinato  di
tipo B, ai quali il legislatore ha fatto ripetutamente ricorso  negli
ultimi anni - da ultimo, con il decreto-legge 19 maggio 2020,  n.  34
(Misure  urgenti  in  materia  di  salute,  sostegno  al   lavoro   e
all'economia, nonche' di  politiche  sociali  connesse  all'emergenza
epidemiologica da COVID-19), in  corso  di  conversione  -  per  fare
fronte  al  drammatico  aumento  del  precariato  universitario,   la
discriminazione subita  dai  ricercatori  a  tempo  indeterminato  si
sarebbe notevolmente acuita. 
    Infatti, allorche' i ricercatori di tipo B -  cosi'  reclutati  -
accedono alla posizione di professore di seconda fascia ex  art.  24,
comma 5, della legge n. 240 del 2010, le risorse  attribuite  per  il
loro  reclutamento  straordinario  devono  essere  utilizzate   dalle
universita' come co-finanziamento di tali posizioni, per le quali non
sono  state  previste  risorse  aggiuntive.   Il   meccanismo   cosi'
congegnato dai decreti ministeriali di attuazione dei suddetti  piani
straordinari (il primo dei quali sarebbe stato  impugnato  da  alcuni
ricercatori a tempo indeterminato, tuttavia con  esito  negativo:  e'
citata la sentenza del Consiglio di Stato, sezione  sesta,  23  marzo
2020, n. 2022, che avrebbe  rilevato  il  difetto  di  interesse  dei
ricorrenti)  comporterebbe,  di  conseguenza,  la  sottrazione  delle
risorse a disposizione degli atenei per la chiamata dei ricercatori a
tempo indeterminato nel ruolo dei professori associati. 
    4.2.- In secondo luogo, la parte ribadisce che la possibilita' di
stipulare  contratti  di  tipo  B  in  regime  di  tempo  definito  -
recentemente ammessa dall'art. 5, comma 5-bis, del  decreto-legge  30
aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita  economica  e  per  la
risoluzione di  specifiche  situazioni  di  crisi),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58 - consentirebbe a un
ricercatore  di  quel  tipo  che  avesse  conseguito   l'abilitazione
scientifica  nazionale,  dopo  soli  tre  anni  di  impegno  a  tempo
definito, di "scavalcarne" uno a  tempo  indeterminato  dotato  della
stessa abilitazione, nonostante quest'ultimo abbia dovuto per  almeno
tre anni, sino alla conferma nel ruolo, prestare obbligatoriamente un
impegno a tempo pieno. Ne' si potrebbe obiettare che per accedere  al
contratto di tipo B sono necessari tre anni di assegni di ricerca, di
borse  di  studio  o  di  contratti  di  tipo  A,  poiche'  l'attuale
disciplina legittima l'accesso  anche  a  chi  e'  solo  in  possesso
dell'abilitazione scientifica nazionale. 
    4.3.- Infine, il ricorrente nel processo principale contesta  che
i ricercatori  a  tempo  indeterminato  appartengano  a  un  ruolo  a
esaurimento, come ritenuto dal giudice  a  quo.  La  figura  infatti,
lungi  dall'essere  stata  abolita,  sarebbe  disciplinata  in   modo
organico dalla legge n. 240 del 2010, come dimostra  la  rubrica  del
suo art. 6, dedicata allo  «Stato  giuridico  dei  professori  e  dei
ricercatori  di  ruolo»,  nonche'  il  fatto  che  viene   presa   in
considerazione anche da leggi successive, tra  cui,  ad  esempio,  la
legge 31 dicembre 2012, n.  247  (Nuova  disciplina  dell'ordinamento
della professione forense), che esonera i ricercatori  confermati  in
materie giuridiche dall'obbligo della formazione continua (art. 11) e
li  inserisce  tra  i  membri  delle   commissioni   di   esame   per
l'abilitazione da avvocato (art. 47). 
    Inoltre, si dovrebbe considerare che, quando  il  legislatore  ha
inteso mettere in esaurimento il ruolo degli assistenti universitari,
lo  ha  fatto  con  una  disposizione   espressa   (art.   3,   comma
quattordicesimo, del decreto-legge 1° ottobre 1973, n.  580,  recante
«Misure urgenti per l'Universita'»,  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 30 novembre 1973, n. 766), continuando a  definirlo  tale
in leggi successive, come all'art. 6, comma 4, della legge n. 240 del
2010. 
    5.- Il 15 giugno 2020 D. D.A. ha  depositato  anche  «brevi  note
aggiuntive», ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20
aprile 2020, punto 1, lettera c). 
    In esse contesta  l'assunto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri secondo cui la ratio  della  previsione  censurata  andrebbe
individuata  nella  necessita'  di  trattenere  nell'universita'   il
ricercatore di tipo B in essa formatosi  «all'esito  di  un  percorso
lungo, strutturato e contraddistinto da un susseguirsi di contratti a
tempo determinato», che renderebbe la sua  progressione  in  carriera
non assimilabile a quella del ricercatore a tempo indeterminato. 
    Secondo la disciplina vigente  infatti  i  contratti  di  tipo  B
potrebbero essere stipulati anche  con  chi  ha  conseguito  soltanto
l'abilitazione scientifica nazionale di prima o  di  seconda  fascia,
senza   avere   intrattenuto   alcun   rapporto   di   servizio   con
l'universita',  mentre  il  ricercatore  a  tempo  indeterminato   ha
superato un concorso pubblico ed e' stato sottoposto alla valutazione
di conferma nel ruolo, oltre ad avere «alle  spalle»  un  periodo  di
almeno tre anni di regime a tempo pieno. 
    Inoltre,  il  sistema  sarebbe  congegnato  in   modo   tale   da
incoraggiare le universita' a bandire procedure per  il  reclutamento
di ricercatori di tipo B - alle quali pero' non  possono  partecipare
quelli a tempo indeterminato - anziche' procedure valutative "aperte"
per posti di professore associato, giacche' questi  ultimi  impegnano
«0,7 punti organico»,  mentre  i  posti  di  ricercatori  di  tipo  B
impegnano  solo  «0,5  punti  organico».  D'altra  parte,   reclutare
ricercatori di tipo B sarebbe piu' conveniente anche perche'  possono
svolgere  attivita'  didattica  non  integrativa,  e  le  universita'
potrebbero cosi' «riservarsi un momento  di  ulteriore  verifica  del
rendimento del docente-ricercatore prima di assumerlo definitivamente
come professore associato». 
    Di conseguenza, i ricercatori a tempo indeterminato, oltre a  non
essere  titolari  del  diritto  alla  automatica   sottoposizione   a
valutazione,  vedrebbero  ridursi  significativamente  le  chance  di
divenire professori associati tramite le procedure bandite ex art. 18
della legge n. 240 del 2010, e verrebbero cosi'  a  trovarsi  in  una
sorta di «binario morto». D'altro canto, l'estensione  a  essi  della
procedura ex art. 24, comma 5,  richiederebbe  «risorse  estremamente
esigue», tali da non giustificare nemmeno sotto il profilo  economico
la censurata discriminazione. 
    6.- Il 15 giugno 2020  anche  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha depositato «brevi note»,  insistendo  per  l'infondatezza
delle questioni e chiedendo in alternativa la restituzione degli atti
al giudice a quo per una nuova valutazione sulla rilevanza. 
    L'interveniente  ribadisce  che  la   ragione   della   censurata
diversita' di trattamento deve  essere  individuata  nel  «differente
percorso» che caratterizza i ricercatori a tempo determinato di  tipo
B e quelli a tempo indeterminato. La  progressione  di  carriera  dei
primi   sarebbe   infatti   connotata   da   maggiore   complessita',
presupponendo  molteplici  prove  concorsuali  e  valutazioni   della
produttivita' scientifica, non previste  invece  per  i  secondi,  ai
quali il legislatore garantirebbe comunque «ben due procedure  -  una
ordinaria ed una speciale - mediante le quali assicurare le chance di
carriera». 
    La differenza tra le due categorie deriverebbe anche dal  diverso
«regime di impegno», in quanto l'art. 6 della legge n. 240  del  2010
prevede per i ricercatori a tempo determinato l'obbligo  di  svolgere
anche  compiti  di  didattica,   mentre   i   ricercatori   a   tempo
indeterminato possono essere titolari di «corsi e moduli curriculari»
solo con il loro consenso e  compatibilmente  con  la  programmazione
didattica definita dai competenti organi accademici. 
    Quanto al termine per l'utilizzo delle procedure, l'interveniente
ribadisce che esso, in ragione dell'eccezionalita' della norma  sulla
valutazione  dei  ricercatori  a  tempo   indeterminato,   troverebbe
«fondamento nell'esigenza di strutturare un  regime  transitorio  che
consenta agli Atenei [di] valorizzare i docenti in servizio». 
    A questo riguardo, l'Avvocatura  precisa  che  nel  frattempo  il
termine e' stato prorogato fino al  31  dicembre  2021  dall'art.  5,
comma 2 [recte: comma 1, lettera b],  del  decreto-legge  29  ottobre
2019, n. 126  (Misure  di  straordinaria  necessita'  ed  urgenza  in
materia di reclutamento del personale  scolastico  e  degli  enti  di
ricerca   e   di   abilitazione   dei   docenti),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 20  dicembre  2019,  n.  159,  sicche'  la
rilevanza delle questioni dovrebbe poter essere  nuovamente  valutata
anche alla luce di tale recente intervento normativo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria  dubita
della legittimita' costituzionale dell'art. 24, comma 6, della  legge
30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia  di  organizzazione  delle
universita', di personale accademico e reclutamento,  nonche'  delega
al Governo per incentivare la qualita'  e  l'efficienza  del  sistema
universitario), in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione. 
    La questione e' stata sollevata in un  giudizio  promosso  da  un
ricercatore universitario a tempo indeterminato  in  servizio  presso
l'Universita'  della  Calabria  e   in   possesso   dell'abilitazione
scientifica nazionale di prima fascia, per l'annullamento della  nota
con cui la stessa Universita' ha respinto la sua richiesta di  essere
sottoposto alla valutazione per la chiamata in ruolo come  professore
associato e del regolamento dello stesso ateneo  sulla  chiamata  dei
professori  di  ruolo  di  prima  e  seconda  fascia,   nonche'   per
l'accertamento del suo diritto soggettivo a  essere  sottoposto  alla
procedura di valutazione. 
    La disposizione censurata,  nella  versione  vigente  al  momento
della  pronuncia  dell'ordinanza  di  rimessione,  cosi'   stabiliva:
«[n]ell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, fermo
restando quanto previsto dall'articolo 18, comma  2,  dalla  data  di
entrata in  vigore  della  presente  legge  e  fino  al  31  dicembre
dell'ottavo anno successivo, la procedura di  cui  al  comma  5  puo'
essere utilizzata per la chiamata nel ruolo di professore di prima  e
seconda fascia di professori di seconda fascia e ricercatori a  tempo
indeterminato in  servizio  nell'universita'  medesima,  che  abbiano
conseguito l'abilitazione scientifica di cui all'articolo 16.  A  tal
fine le universita' possono utilizzare fino alla meta' delle  risorse
equivalenti a quelle necessarie per coprire i  posti  disponibili  di
professore di ruolo. A decorrere dal  nono  anno  l'universita'  puo'
utilizzare le  risorse  corrispondenti  fino  alla  meta'  dei  posti
disponibili di professore di ruolo per le chiamate di  cui  al  comma
5». 
    Piu' precisamente, la previsione  e'  oggetto  di  censura  nella
parte in cui dispone che la procedura di  valutazione  riservata  dal
comma 5 ai titolari dei contratti di cui  al  comma  3,  lettera  b),
dello stesso articolo «puo' essere utilizzata» - per la chiamata  nel
ruolo  di  professore  di  seconda  fascia  di  ricercatori  a  tempo
indeterminato  che  abbiano   ottenuto   l'abilitazione   scientifica
nazionale - e non invece «e' utilizzata»,  come  lo  stesso  comma  5
prevede per i ricercatori a tempo determinato cosiddetti di tipo B, i
quali, una volta ottenuta l'abilitazione scientifica nazionale,  sono
sottoposti di diritto alla valutazione ai fini della  chiamata  dalla
propria Universita'. E' censurata inoltre nella parte in cui fissa il
termine ultimo  del  31  dicembre  2019  (e  cioe'  «al  31  dicembre
dell'ottavo anno successivo» all'entrata in vigore della legge n. 240
del 2010) per l'utilizzazione di tale procedura. 
    1.1.- L'art. 24, comma 6, della legge n. 240 del 2010  violerebbe
innanzitutto  l'art.  3  Cost.,  sotto  il  duplice   profilo   della
irragionevolezza e della lesione del principio di uguaglianza. 
    Nel primo  senso,  la  scelta  legislativa  di  configurare  come
discrezionale il potere  di  ciascuna  Universita'  di  sottoporre  a
valutazione per la chiamata i ricercatori a tempo  indeterminato  che
abbiano  conseguito  l'abilitazione  scientifica  nazionale   sarebbe
incongrua rispetto al fine di  selezionare  i  meritevoli  perseguito
dalla legge n. 240 del 2010. L'irragionevolezza di questa limitazione
sarebbe dimostrata dalla paradossale conseguenza che ne  deriverebbe,
per  cui  a  un  ricercatore  a  tempo  indeterminato   in   possesso
dell'abilitazione di prima fascia sarebbe negato il diritto di essere
valutato per la chiamata a professore  associato,  diritto  spettante
invece per legge ai ricercatori a tempo determinato con  abilitazione
solo di seconda fascia. 
    Nel   secondo   senso,   la   norma   censurata    determinerebbe
un'irragionevole disparita' di trattamento dei  ricercatori  a  tempo
indeterminato rispetto ai ricercatori a tempo determinato di  tipo  B
quanto al regime della chiamata a professori associati,  pur  essendo
la posizione dei due tipi di ricercatore, a giudizio del  rimettente,
sostanzialmente  sovrapponibile  per   modalita'   di   reclutamento,
mansioni e impegno lavorativo. Il comma 5 dell'art. 24 della legge n.
240 del 2010, assunto a tertium comparationis, riserva  infatti  solo
ai secondi, una volta giunti al terzo anno del contratto  e  ottenuta
l'abilitazione  scientifica  di   seconda   fascia,   il   meccanismo
dell'automatica sottoposizione a valutazione ai fini  della  chiamata
in ruolo come professori associati. 
    Sarebbe violato infine l'art. 97 Cost., in  quanto  il  principio
del buon andamento dell'amministrazione esigerebbe  che  l'obiettivo,
pur legittimo, di favorire il ricambio  generazionale  del  personale
accademico sia bilanciato con quello del rispetto delle  esigenze  di
progressione di carriera dei ricercatori reclutati nel  vigore  della
disciplina precedente. 
    2.- Cosi' definiti i termini delle questioni,  occorre  occuparsi
di alcuni profili preliminari alla decisione nel merito. 
    2.1.- In primo luogo, devono essere dichiarate inammissibili,  in
quanto dirette a  estendere  il  thema  decidendum  oltre  i  termini
definiti nell'atto di rimessione, le questioni proposte nei suoi atti
difensivi dalla parte privata con riferimento  agli  artt.  4  e  35,
nonche' 2 Cost. Per costante orientamento di questa  Corte,  infatti,
non possono essere presi in  considerazione  «ulteriori  questioni  o
profili di costituzionalita' dedotti dalle parti, sia che siano stati
eccepiti ma non fatti propri dal giudice a quo, sia che siano diretti
ad ampliare o modificare successivamente il  contenuto  delle  stesse
ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 271 del 2011, n. 236 del 2009, n.
56 del 2009, n. 86 del 2008)» (sentenza n. 203 del 2016; nello stesso
senso, sentenze n. 150 e n. 85 del 2020). 
    2.2.- In secondo luogo, e' adeguata la  motivazione  con  cui  il
rimettente   esclude   la    possibilita'    di    un'interpretazione
costituzionalmente orientata. La lettera dell'art. 24 della legge  n.
240 del 2010,  la'  dove  prevede,  al  comma  5,  che  l'universita'
«valuta» il ricercatore  di  tipo  B  in  possesso  dell'abilitazione
scientifica nazionale ai fini della chiamata in ruolo come professore
associato e, al comma  6,  che  la  stessa  procedura  «puo'»  essere
utilizzata per  i  ricercatori  a  tempo  indeterminato,  depone  con
chiarezza nel senso di configurare un obbligo di valutazione solo nel
primo caso e una mera facolta' nel secondo. 
    Le questioni sono dunque  rilevanti,  perche'  soltanto  il  loro
accoglimento consentirebbe di  annullare  il  diniego  impugnato  nel
giudizio principale. 
    2.3.- Va inoltre respinta l'istanza del Presidente del  Consiglio
dei ministri di restituzione degli atti al  giudice  a  quo  per  una
nuova valutazione sulla rilevanza,  in  conseguenza  dell'intervenuta
modifica del comma 6 dell'art. 24 della legge n. 240 del 2010 a opera
dell'art. 5, comma 1, lettera b), del decreto-legge 29 ottobre  2019,
n. 126 (Misure di straordinaria necessita' ed urgenza in  materia  di
reclutamento del personale scolastico e degli enti di  ricerca  e  di
abilitazione dei docenti), convertito, con modificazioni, nella legge
20 dicembre 2019, n. 159. 
    Per quello che qui  rileva,  lo  ius  superveniens,  sostituendo,
all'art. 24, comma 6, le parole  «dell'ottavo»  con  le  parole  «del
decimo», si limita a differire al 31 dicembre 2021 il termine,  prima
fissato al  31  dicembre  2019,  entro  cui  le  universita'  possono
utilizzare la procedura di valutazione  del  comma  5  a  favore  dei
ricercatori a  tempo  indeterminato  (e  dei  professori  di  seconda
fascia). E' cosi' introdotta  un'ulteriore  proroga  del  termine  in
questione, che, originariamente stabilito al 31  dicembre  del  sesto
anno successivo all'entrata in vigore della legge  n.  240  del  2010
(quindi al 31 dicembre 2017), era  gia'  stato  prorogato  una  prima
volta  al  31  dicembre  2019  (dall'art.   4,   comma   3-bis,   del
decreto-legge  30  dicembre  2016,  n.  244,   recante   «Proroga   e
definizione di termini», convertito, con modificazioni,  nella  legge
27 febbraio 2017, n. 19). 
    Pur incidendo su un frammento normativo investito dalle  censure,
la  modifica  si  risolve  nel  semplice  prolungamento  del  termine
precedentemente stabilito, che non costituisce in se'  oggetto  della
questione, diretta a contestare non la durata ma  l'esistenza  stessa
di un limite temporale all'utilizzo della procedura di valutazione. 
    Come questa Corte ha gia' avuto modo di  precisare,  un'eventuale
restituzione degli atti al giudice rimettente,  ove  questa  non  sia
giustificata  dalla  necessita'  che  sia  nuovamente   valutata   la
perdurante  rilevanza  nel  giudizio  a  quo  e  la   non   manifesta
infondatezza della quaestio a suo tempo sollevata, potrebbe condurre,
proprio in aperto  contrasto  col  principio  di  effettivita'  della
tutela giurisdizionale  che  non  puo'  essere  disgiunta  dalla  sua
tempestivita', a un inutile  dilatamento  dei  tempi  dei  giudizi  a
quibus, soggetti  per  due  volte  alla  sospensione  conseguente  al
promovimento dell'incidente di legittimita' costituzionale, e  a  una
duplicazione dello  stesso  giudizio  di  costituzionalita',  con  il
rischio di vulnerare il canone di  ragionevole  durata  del  processo
sancito dall'art. 111 Cost. (sentenze n. 222 del  2015,  n.  172  del
2014 e n. 186 del 2013). 
    La  marginalita'  dello  ius  superveniens  comporta  invece   il
"trasferimento" delle questioni sulla disposizione cosi'  modificata,
rimanendo sostanzialmente invariata la norma in essa contenuta e, con
essa, le censure che la investono (ex plurimis, sentenze  n.  44  del
2018 e n. 84 del 1996). 
    3.- Nel merito le questioni non sono fondate. 
    3.1.- La riforma del sistema universitario operata con  la  legge
n.  240  del  2010  ha  trasformato   la   figura   del   ricercatore
universitario, introducendo la  nuova  posizione  del  ricercatore  a
contratto a tempo determinato,  destinata  a  sostituire  quella  del
vecchio ricercatore a tempo indeterminato, a suo tempo istituita  con
l'art. 1, comma 4, del d.P.R. 11 luglio 1980, n.  382  (Riordinamento
della docenza universitaria, relativa fascia  di  formazione  nonche'
sperimentazione organizzativa e didattica),  adottato  in  attuazione
della legge 21 febbraio  1980,  n.  28  (Delega  al  Governo  per  il
riordinamento  della  docenza  universitaria  e  relativa  fascia  di
formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica). 
    Sulla scia di quanto gia' anticipato  con  la  legge  4  novembre
2005, n.  230  (Nuove  disposizioni  concernenti  i  professori  e  i
ricercatori universitari e delega al  Governo  per  il  riordino  del
reclutamento  dei  professori  universitari),  che   aveva   limitato
l'assunzione di ricercatori di questo tipo alla copertura  dei  posti
banditi non oltre il 30 settembre 2013 (art. 1, commi  7  e  22),  la
riforma del 2010  ne  ha  definitivamente  vietato  il  reclutamento,
stabilendo espressamente che, dalla sua entrata  in  vigore,  per  la
copertura dei posti di ricercatore  le  universita'  possono  avviare
esclusivamente  le  procedure  previste  per  il   reclutamento   dei
ricercatori a tempo determinato (art. 29, comma 1). 
    Gia' questo consente di cogliere una prima sostanziale diversita'
fra i due tipi di posizione in esame:  a  regime,  quella  del  nuovo
ricercatore   a   tempo   determinato;   destinata   al   progressivo
superamento, quella del vecchio ricercatore di ruolo. A tale  diversa
collocazione   nella   prospettiva   definita   dalla   riforma,   si
accompagnano molteplici differenze sostanziali di  regime  giuridico,
riguardanti  modalita'  di  accesso,  compiti  e,   soprattutto,   la
stabilita' o la precarieta' delle due posizioni. 
    3.1.1.-   L'accesso   al   ruolo   dei   ricercatori   «a   tempo
indeterminato», definiti anche ricercatori «di ruolo»,  avveniva  per
pubblici concorsi decentrati presso le  singole  sedi  universitarie,
con le modalita' originariamente disciplinate dal d.P.R. n.  382  del
1980, poi dall'art. 2 della legge 3 luglio 1998, n. 210 (Norme per il
reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo),
e da ultimo,  e  per  l'ultima  volta,  dall'art.  1,  comma  7,  del
decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180 (Disposizioni urgenti  per  il
diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la  qualita'  del
sistema   universitario   e   della   ricerca),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 9 gennaio 2009, n.  1,  sulla  base  della
valutazione comparativa dei candidati. 
    Dopo tre anni dalla immissione in ruolo  i  ricercatori  venivano
sottoposti a un giudizio di conferma  da  parte  di  una  commissione
nazionale e, nel caso di giudizio  favorevole,  erano  immessi  nella
fascia dei ricercatori confermati (art. 7, quinto comma, della  legge
n. 28 del 1980). In tale ruolo - nel  quale  possono  optare  per  il
regime di impegno a tempo pieno o a tempo definito - sono destinati a
restare fino all'eventuale passaggio ad altra posizione accademica  o
comunque fino alla cessazione del servizio per limiti di eta'. 
    Al  ricercatore  a  tempo  indeterminato  sono  affidati  compiti
principalmente di ricerca scientifica, cui  si  aggiungono  attivita'
didattiche integrative dei corsi  di  insegnamento  ufficiali,  quali
esercitazioni, collaborazione con  gli  studenti  nella  preparazione
delle tesi di laurea e partecipazione alla sperimentazione  di  nuove
modalita` di insegnamento (art. 32, primo comma, del  d.P.R.  n.  382
del 1980). Dal 1990 e' inoltre possibile affidare al  ricercatore  di
ruolo, con il suo consenso, ulteriori corsi o moduli di  insegnamento
(art. 12, comma 3, della legge 19  novembre  1990,  n.  341,  recante
«Riforma degli ordinamenti didattici universitari»; possibilita'  poi
confermata a condizioni piu' stringenti dall'art. 11 della  legge  n.
230 del 2005). 
    Questo sistema di compiti trova sostanziale conferma nell'art.  6
della legge n. 240 del 2010, che in particolare impone ai ricercatori
di ruolo di riservare annualmente ai descritti compiti  di  didattica
integrativa e di servizio agli studenti «fino ad un  massimo  di  350
ore in regime di tempo pieno e fino ad  un  massimo  di  200  ore  in
regime di tempo definito» (comma 3). 
    3.1.2.- La riforma del 2010 introduce come detto la nuova  figura
del ricercatore a  tempo  determinato  (art.  24,  rubricato  appunto
«Ricercatori  a  tempo  determinato»),  selezionato   con   procedure
pubbliche  disciplinate  dalle  singole   universita'   con   proprio
regolamento nel rispetto dei criteri elencati al comma 2 dello stesso
art. 24, e con il quale l'universita' stipula apposito  contratto  di
durata triennale per lo svolgimento «delle attivita' di didattica, di
didattica integrativa e  di  servizio  agli  studenti  nonche'  delle
attivita' di ricerca» (comma 1). 
    Il comma 3 del citato art. 24 disciplina due tipi di contratto. 
    Il primo - previsto alla lettera  a)  del  comma  3,  da  cui  la
definizione corrente del destinatario come ricercatore "di tipo A"  -
ha durata triennale, prorogabile per due  anni  per  una  sola  volta
previa positiva valutazione delle attivita` didattiche e  di  ricerca
svolte. Requisiti di accesso alla selezione sono il titolo di dottore
di  ricerca  o  un  titolo  equivalente,  ovvero,   per   i   settori
interessati, il diploma di specializzazione medica, nonche' eventuali
ulteriori requisiti definiti nel regolamento di ateneo. La  posizione
del ricercatore di tipo A corrisponde al passaggio intermedio fra  la
posizione del titolare di assegno di dottorato o di post-dottorato  e
la carriera accademica, ed e'  destinata  ad  aprire  l'accesso  alla
posizione di ricercatore di tipo B. 
    Questo secondo tipo di contratto, previsto alla  lettera  b)  del
comma 3 - da cui la definizione di  ricercatore  "di  tipo  B"  -  ha
durata triennale. Originariamente era  riservato  ai  ricercatori  di
tipo A o a coloro che hanno usufruito per almeno tre anni di  assegni
di ricerca (ai sensi dell'art. 51, comma 6, della legge  27  dicembre
1997, n. 449, recante «Misure per la  stabilizzazione  della  finanza
pubblica») o di borse post-dottorato  (ai  sensi  dell'art.  4  della
legge 30 novembre 1989, n. 398, recante «Norme in materia di borse di
studio universitarie»), ovvero di analoghi contratti, assegni o borse
in atenei stranieri. L'accesso  al  contratto  di  tipo  B  e'  stato
successivamente   esteso   a   coloro   che    sono    in    possesso
dell'abilitazione scientifica nazionale di professore di prima  o  di
seconda fascia, o del titolo di specializzazione medica o di  assegni
di ricerca di cui all'art. 22 della stessa  legge  (versione  attuale
della citata lettera b introdotta dall'art. 1, comma 338, della legge
11 dicembre 2016, n. 232, recante «Bilancio di previsione dello Stato
per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2017-2019»). 
    Il rapporto instaurato sulla base di ciascuno dei  due  contratti
puo' essere a tempo pieno o a tempo definito,  essendo  stata  estesa
tale possibilita' anche ai contratti di  tipo  B,  per  i  quali  era
originariamente previsto solo il regime di tempo pieno  (la  modifica
e' stata introdotta al comma 4 dell'art. 24 dall'art. 5, comma 5-bis,
del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, recante «Misure  urgenti  di
crescita economica e per la risoluzione di specifiche  situazioni  di
crisi», convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n.
58). L'impegno annuo complessivo richiesto a tutti  i  ricercatori  a
tempo determinato per attivita' di didattica, didattica integrativa e
servizio agli studenti e` pari a 350 ore per il regime di tempo pieno
e a 200 ore per il regime di tempo definito. 
    3.2.- Per quello che qui rileva, occorre ricordare inoltre che la
legge n. 240 del  2010  ha  integralmente  riformato  il  sistema  di
reclutamento dei professori universitari, segnando il passaggio da un
sistema  basato  su  concorsi  locali  a  un  sistema  a  due  stadi,
consistenti, il primo, nell'«abilitazione scientifica nazionale»  per
le funzioni di professore di prima o di seconda  fascia  nei  diversi
settori scientifico-disciplinari, e,  il  secondo,  nella  «chiamata»
presso il singolo ateneo a seguito di una valutazione comparativa  in
sede  locale  aperta  a  candidati  in   possesso   dell'abilitazione
scientifica nello specifico settore concorsuale della posizione messa
a bando. 
    La procedura per l'abilitazione scientifica si svolge  a  livello
nazionale e si basa su una  valutazione  di  titoli  e  pubblicazioni
(art. 16 della legge n. 240 del 2010); la durata dell'abilitazione e'
di quattro anni, successivamente elevati a sei e infine a nove, quale
e' attualmente (in seguito alla modifica disposta dall'art. 5,  comma
1, lettera a, del d.l. n. 126 del 2019). La chiamata vera  e  propria
avviene invece a cura della  singola  universita',  che  gestisce  la
relativa  procedura  comparativa  sulla  base  del  proprio  apposito
regolamento (art. 18 della legge n. 240 del 2010). 
    Se questo e' il metodo ordinario di reclutamento  dei  professori
associati e ordinari, ossia delle sole figure di ruolo del sistema  a
regime, la stessa legge n. 240 del 2010 prevede, al comma 5 dell'art.
24, per i ricercatori a tempo determinato di tipo B, un meccanismo di
chiamata  particolare,  che  prescinde  dall'avvio  della   descritta
procedura comparativa. In coerenza con il  carattere  temporaneo  del
contratto, la riforma ha disegnato per questo tipo di  ricercatori  a
contratto un sistema di avanzamento nella carriera, da ricercatore  a
tempo  determinato  a  professore  associato,  ispirato  al   modello
anglosassone  del  cosiddetto  tenure-track,  cioe'  a  un   percorso
accademico connotato, alternativamente, dal carattere per cosi'  dire
automatico dell'avanzamento in  presenza  di  determinate  condizioni
(abilitazione  nazionale  ed   esito   positivo   della   valutazione
dell'ateneo) ovvero dall'uscita dall'universita' se quelle condizioni
non si sono realizzate. In questo modo e' previsto che, all'esito del
triennio del contratto, il ricercatore di tipo B che ha ottenuto  nel
frattempo  l'abilitazione  scientifica  nazionale  e'   doverosamente
sottoposto alla valutazione dell'universita' di  appartenenza  e,  in
caso di superamento  positivo  di  essa,  e'  chiamato  dalla  stessa
universita' come professore associato. Per il ricercatore di  tipo  B
che abbia conseguito la necessaria abilitazione scientifica nazionale
questo costituisce dunque il modo normale di immissione nel ruolo  di
professore  associato  al  termine  del  periodo  di  contratto.   Al
contrario, il rapporto con l'universita' del ricercatore  di  tipo  B
termina   definitivamente   qualora   egli   non    abbia    ottenuto
l'abilitazione o se la successiva valutazione dell'ateneo  non  abbia
avuto esito positivo.  La  potenziale  (e  a  determinate  condizioni
fisiologica) continuita' del percorso cosi' tracciato  dalla  riforma
e'  confermata  dal  fatto  che  l'universita',  quando  bandisce  un
contratto di ricercatore di tipo B, e' tenuta a impegnare le  risorse
necessarie per la copertura di una posizione di professore associato. 
    Occorre precisare a questo punto che la previsione oggetto  della
presente questione di costituzionalita' (comma 6 dell'art.  24  della
legge n. 240 del 2010) estende  transitoriamente  l'applicazione  del
meccanismo di chiamata appena descritto - riservato come detto in via
ordinaria alla chiamata a professore  associato  dei  ricercatori  di
tipo  B  -  ai  ricercatori  a  tempo   indeterminato   in   possesso
dell'abilitazione scientifica nazionale di professore di prima  o  di
seconda fascia -  oltre  che  ai  professori  associati  in  possesso
dell'abilitazione di  professore  di  prima  fascia  -  per  i  quali
l'avanzamento al grado superiore della carriera dovrebbe avvenire  in
via ordinaria secondo la procedura di chiamata regolata  all'art.  18
della legge n. 240 del 2010. 
    In deroga a quest'ultima disciplina, alle singole universita'  e'
dunque consentito, nei limiti delle risorse disponibili e nell'ambito
delle percentuali delle medesime risorse indicate dalla stessa legge,
effettuare chiamate attraverso procedure riservate agli  interni  nei
ruoli dei professori, associato o ordinario, di chi  presta  servizio
presso di esse come ricercatore di ruolo. Al carattere eccezionale  e
derogatorio dell'utilizzo della descritta procedura di  chiamata  dei
ricercatori a tempo indeterminato si accompagna, oltre alla ricordata
temporaneita' (il termine per l'utilizzo e' attualmente fissato al 31
dicembre 2021), la discrezionalita' del  ricorso  alla  procedura  da
parte  del  singolo  ateneo,  discrezionalita'  di  cui  appunto   il
rimettente si duole. 
    La ragione della  previsione  nel  contesto  della  normativa  di
riforma e' evidente: con essa il legislatore ha inteso  farsi  carico
delle aspettative di chi era gia' in servizio, reclutato  sulla  base
della disciplina previgente, e apprestare un  canale  accelerato  per
assorbire le vecchie posizioni dei ricercatori di ruolo, offrendo una
chance di  avanzamento  all'interno  dell'ateneo  di  appartenenza  a
coloro fra essi che hanno conseguito l'abilitazione nazionale. Stante
la  limitatezza  delle  risorse,  tuttavia,  e   la   necessita'   di
salvaguardare il prioritario obiettivo di messa a  regime  del  nuovo
sistema, la scelta di chiamare attraverso la procedura riservata agli
interni il personale  a  tempo  indeterminato  gia'  in  servizio  e'
affidata alla valutazione discrezionale di  ciascun  ateneo,  che  vi
provvede  nell'esercizio  dell'autonomia   a   esso   garantita   nel
reclutamento del personale accademico, in  attuazione  delle  proprie
politiche di sviluppo e sulla base  della  ponderazione  dei  diversi
interessi in gioco. 
    Fra gli interessi di cui ogni  universita'  deve  necessariamente
tenere conto, nel momento in cui si determina a  operare  o  meno  la
chiamata,  non  possono  non  esservi  le  legittime  aspirazioni  di
sviluppo di carriera dei ricercatori a tempo indeterminato che  hanno
ottenuto l'abilitazione scientifica  nazionale  e  desiderano  essere
chiamati nella posizione corrispondente. 
    Conviene ricordare, in ogni caso, che le scelte al riguardo degli
atenei sono state  accompagnate  da  ripetute  misure  legislative  e
interventi finanziari diretti a favorire la  chiamata  attraverso  la
descritta procedura come professori associati dei ricercatori a tempo
indeterminato in possesso di abilitazione scientifica nazionale. 
    Gia' la legge n. 240 del 2010, al comma  9  dell'art.  29,  aveva
riservato apposite risorse per gli anni 2011 e seguenti ai fini della
chiamata di professori di seconda fascia anche secondo  la  descritta
procedura dell'art. 24, comma 6, sulla base di un piano straordinario
poi   attuato   con   i   decreti   del   Ministro   dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca scientifica del 15 dicembre  2011  e
del 28 dicembre 2012. 
    Successivamente, l'art. 1, comma 401, lettera b), della legge  30
dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il  triennio  2019-2021),
nell'adottare misure di  sostegno  per  l'accesso  dei  giovani  alla
ricerca e per la competitivita' del sistema universitario italiano  a
livello  internazionale,  ha  autorizzato  «in  deroga  alle  vigenti
facolta' assunzionali» la copertura di  nuovi  posti  destinati  alla
progressione  in  carriera  dei  ricercatori  universitari  a   tempo
indeterminato in possesso  dell'abilitazione  scientifica  nazionale,
«nel limite di spesa di 10 milioni  di  euro  a  decorrere  dall'anno
2020». Di questi posti, almeno il 50 per cento  deve  essere  coperto
con le procedure aperte di valutazione comparativa di cui all'art. 18
della legge n. 240 del 2010 e non piu'  del  50  per  cento  mediante
chiamata secondo la procedura dell'art. 24,  comma  6,  della  stessa
legge. L'applicazione di questa misura e' stata prorogata per  l'anno
2021 dall'art. 6, comma 5-sexies, del decreto-legge 30 dicembre 2019,
n. 162  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  proroga  di  termini
legislativi,  di  organizzazione  delle  pubbliche   amministrazioni,
nonche' di innovazione tecnologica), convertito,  con  modificazioni,
nella legge 28 febbraio 2020, n. 8, nel limite di spesa  incrementato
a 15 milioni di euro annui a decorrere dal 2022. 
    4.- Alla luce di quanto esposto e' agevole respingere le  censure
di irragionevolezza e di ingiustificata disparita' di trattamento. Le
ragioni della non fondatezza di entrambe coincidono e  consentono  di
trattare insieme i due profili di lamentata lesione dell'art. 3 Cost. 
    4.1.- La scelta legislativa espressa  nella  norma  censurata  e'
dunque, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, coerente
con l'assetto generale della riforma e non risulta in  contrasto  con
la logica che la ispira, di progressione per  merito  nella  carriera
universitaria. Come  detto,  l'impostazione  di  fondo  e'  che,  nel
sistema a regime, solo  due  sono  le  posizioni  di  ruolo  a  tempo
indeterminato, quella di professore associato e quella di  professore
ordinario, a ciascuna delle quali  si  accede  per  una  procedura  a
doppio stadio, in cui entrambi i passaggi si svolgono in  concorrenza
e sono aperti a tutti coloro che  siano  in  possesso  dei  requisiti
previsti. 
    Nel descritto contesto, il  carattere  discrezionale  del  potere
dell'universita' di chiamata ex art. 24,  comma  6,  esprime  un  non
irragionevole bilanciamento fra l'interesse dei ricercatori  a  tempo
indeterminato, ai quali e' offerto in via transitoria  un  canale  di
accesso, alternativo e a partecipazione riservata, alla posizione  di
professore  associato,  e  l'interesse   degli   atenei   a   operare
autonomamente le proprie scelte di reclutamento del personale. 
    Nella scelta discrezionale che la legge le affida,  l'universita'
e' tenuta a considerare tutti gli interessi in gioco e  a  bilanciare
in particolare l'interesse  dei  ricercatori  a  tempo  indeterminato
meritevoli a  vedersi  chiamati  come  professori  associati  con  le
effettive esigenze didattiche e di ricerca  dell'universita'  stessa,
nonche' con l'interesse all'uso piu' consono delle risorse  destinate
al reclutamento, come noto  limitate,  in  attuazione  delle  proprie
politiche di sviluppo. La chiamata del ricercatore  comporta  infatti
l'impegno di nuove risorse destinate a coprire il maggior costo di un
professore associato, cio' che - si osserva anticipando l'esame della
lamentata disparira'  di  trattamento  -  non  avviene  nel  caso  di
chiamata a professore associato del ricercatore di  tipo  B,  per  la
quale l'impegno di risorse avviene per legge nel  momento  del  bando
del contratto di tipo B. La coerenza  della  soluzione  adottata  dal
legislatore con la norma censurata rispetto agli  obiettivi  generali
di selezione dei docenti perseguiti dalla riforma universitaria -  e,
in definitiva, la sua non irragionevolezza - e' confermata anche  dal
quadro  complessivo  delle  misure  di  sostegno   per   la   ricerca
universitaria, nel quale essa attualmente si colloca. Si ricordano, a
questo proposito, le citate previsioni che hanno riservato  anche  ai
ricercatori  a  tempo  indeterminato  in  possesso  di   abilitazione
scientifica nazionale, «in deroga alle vigenti facolta' assunzionali»
e con lo stanziamento di  specifiche  risorse  aggiuntive  -  la  cui
"esiguita'", lamentata dal ricorrente nel processo principale, non e'
di immediata evidenza - procedure straordinarie per  la  chiamata  di
professori di seconda fascia,  sia  di  tipo  comparativo,  ai  sensi
dell'art. 18 della legge n. 240 del 2010, sia di tipo  "interno",  ai
sensi proprio dell'art. 24, comma 6, della medesima legge. 
    Ne' vale infine a dimostrare la lamentata irragionevolezza  della
norma la considerazione che il reclutamento dei ricercatori di tipo B
ridurrebbe le risorse da destinare alla chiamata attraverso procedura
riservata di ricercatori a tempo indeterminato  in  servizio.  In  un
sistema a risorse limitate, la  soluzione  adottata  dal  legislatore
nell'esercizio della sua discrezionalita' bilancia in modo certamente
non irragionevole l'interesse alla messa a regime del  sistema  e  al
ricambio generazionale del personale accademico con  l'interesse  del
personale gia' in servizio alla progressione in carriera. 
    4.2.- Ugualmente non fondato e' il profilo di censura riguardante
la denunciata disparita' di trattamento fra  i  ricercatori  a  tempo
indeterminato e i ricercatori di  tipo  B,  quanto  al  regime  della
chiamata a professore associato attraverso procedura riservata. 
    A sostegno della censura, il giudice a quo  invoca  come  tertium
comparationis il comma 5 dello stesso art. 24, la' dove  prevede  che
al termine del loro contratto triennale i ricercatori di  tipo  B  in
possesso di abilitazione scientifica nazionale  sono  automaticamente
valutati dalle universita' di appartenenza ai fini della chiamata  in
ruolo come professori associati, e  chiede  un  intervento  in  parte
sostitutivo e in parte ablativo sul censurato comma 6, che regola  lo
stesso tipo di chiamata dei ricercatori di ruolo muniti del  medesimo
titolo abilitativo: per un verso la sottoposizione a  valutazione  da
parte delle universita' di questi secondi dovrebbe essere trasformata
da facoltativa  in  automatica;  per  altro  verso,  dovrebbe  essere
eliminato il limite temporale previsto  dalla  norma  per  l'utilizzo
della procedura, che diventerebbe in tal modo permanente. 
    Come precisato sopra (punti 3.1 e 3.2), tuttavia, le  due  figure
di ricercatore che il  rimettente  rappresenta  come  sostanzialmente
sovrapponibili  presentano  talune   diversita'   per   aspetti   del
rispettivo  regime  giuridico   -   riguardanti   le   modalita'   di
reclutamento e i compiti, e in particolare l'impegno didattico -,  ma
cio' che radicalmente le differenzia e' il  fatto,  del  resto  cosi'
evidente da non richiedere molte precisazioni, di essere,  la  prima,
una posizione a tempo determinato, legata all'amministrazione  da  un
rapporto contrattuale di  durata  triennale  non  rinnovabile,  e  la
seconda, invece, una  posizione  a  tempo  indeterminato  stabilmente
incardinata  nella  pubblica  amministrazione.   Queste   «differenze
eminentemente legate alla durata del rapporto» - che il giudice a quo
mostra  di  considerare  marginali  («in  disparte»)  senza  tuttavia
offrire  alcuna  motivazione  al  riguardo  -  sono  gia'   da   sole
sufficienti a  escludere  in  radice  la  prospettata  disparita'  di
trattamento. 
    Secondo il costante orientamento di questa Corte,  la  violazione
del principio di uguaglianza  sussiste  qualora  situazioni  omogenee
siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e  non  quando
alla  diversita'   di   disciplina   corrispondano   situazioni   non
assimilabili (ex plurimis, sentenze n. 85 del 2020, n. 155 del  2014,
n. 108 del 2006, n. 340 e n. 136 del 2004). Di  conseguenza,  la  non
omogeneita' delle fattispecie normative messe a  confronto  rende  il
tertium comparationis indicato dal giudice a quo inidoneo a  svolgere
tale funzione (ex plurimis, sentenze  n.  276  e  n.  133  del  2016;
ordinanza n. 46 del 2020). 
    Tanto piu' decisive risultano, le descritte differenze,  al  fine
di escludere che  il  diverso  regime  della  chiamata  a  professore
associato determini un'irragionevole discriminazione dei  ricercatori
di ruolo, considerato che tale chiamata nel caso  del  ricercatore  a
tempo determinato conduce alla immissione in  ruolo  (in  alternativa
alla  fuoriuscita  dal  sistema  accademico),  mentre  nel  caso  del
ricercatore a tempo indeterminato si risolve in un passaggio  da  una
posizione stabile a un'altra. 
    La  procedura  automatica  di  valutazione  di  cui  al  comma  5
dell'art. 24 della legge  n.  240  del  2010  e'  cosi'  riservata  a
ricercatori  che,  se  non  chiamati,  alla  scadenza  del  contratto
vedrebbero cessare il loro rapporto di  lavoro  con  l'universita'  e
che, pur in  possesso  dell'abilitazione  scientifica  nazionale,  in
attesa dell'indizione e dello svolgimento delle  ordinarie  procedure
comparative di reclutamento ex art. 18 della legge n.  240  del  2010
rischierebbero di perdere continuita' scientifica. 
    La  disposizione  mira  a  consentire  ai  ricercatori  a   tempo
determinato  meritevoli  di  passare  alla  posizione  di  professore
associato e assume al contempo una funzione incentivante e  premiale,
non essendo estranea alla scelta del  legislatore  la  considerazione
del  lungo  e  impegnativo  percorso  compiuto  dai  ricercatori  qui
considerati,  ordinariamente  contraddistinto   dal   succedersi   di
contratti a tempo determinato -  da  quelli  di  tipo  A,  di  durata
triennale prorogabile per due anni, a quelli  di  tipo  B,  anch'essi
triennali - e dalle plurime positive valutazioni della  produttivita'
scientifica (nonche' dell'attivita'  didattica  svolta)  che  a  tale
progressione si riferiscono. 
    Affatto diversa e', come visto  sopra,  la  ratio  del  carattere
discrezionale della facolta' concessa al comma 6  dello  stesso  art.
24, che  contempera  l'obiettivo  di  dare  risposta  alle  legittime
aspettative di progressione  in  carriera  dei  ricercatori  gia'  di
ruolo, per i quali non  sussiste  alcun  rischio  di  esclusione  dal
sistema universitario, con le esigenze  di  garanzia  delle  autonome
scelte degli atenei in materia di organizzazione  della  didattica  e
della ricerca e nell'impegno delle risorse destinate al reclutamento. 
    Non muta infine i termini della questione l'argomento valorizzato
dal rimettente in chiave di paradosso, secondo cui al  ricercatore  a
tempo indeterminato con abilitazione di prima fascia verrebbe  negato
il diritto di essere valutato, attribuito  invece  al  ricercatore  a
tempo determinato con abilitazione "solo" di seconda fascia. 
    Al   ricercatore    a    tempo    indeterminato    in    possesso
dell'abilitazione di prima fascia e degli altri necessari requisiti -
cosi' come del resto al ricercatore a tempo determinato che si  trovi
nella stessa condizione - e' consentito di partecipare alle procedure
aperte per  la  copertura  di  posti  di  prima  fascia  disciplinate
all'art. 18 della legge n. 240 del 2010,  senza  che  dalle  speciali
discipline di chiamata di cui  ai  commi  5  e  6  dell'art.  24  sia
possibile desumere argomenti per ampliarne  la  portata  applicativa,
come  sarebbe  se  si  pretendesse  di  far  valere  in  quella  sede
l'abilitazione di prima fascia.  E  d'altro  canto,  in  risposta  al
ricordato e solo apparente paradosso,  e'  facile  osservare  che  lo
stesso comma 6 consente  al  ricercatore  di  ruolo  anche  l'accesso
diretto  alla  prima  fascia,   se   in   possesso   della   relativa
abilitazione,  accesso  non  consentito  invece  dal   comma   5   al
ricercatore di tipo B che fosse titolare della medesima abilitazione. 
    In conclusione, il regime speciale apprestato dal legislatore per
i  ricercatori  a  tempo  determinato  di  tipo   B   rispecchia   la
peculiarita' del nuovo percorso di carriera e si basa su  un  diverso
regime di finanziamento. Le  situazioni  poste  a  raffronto  non  si
prestano,  pertanto,  a  una  valutazione  comparativa,  che  imponga
l'estensione della disciplina prevista per i primi ai  ricercatori  a
tempo indeterminato (sentenza n. 20 del 2018). 
    4.3.-  Per  le  ragioni  esposte,  si  deve  escludere  anche  la
violazione del principio di buon andamento di cui all'art. 97  Cost.,
che il giudice a quo  ravvisa  nel  fatto  che  il  legislatore,  nel
perseguire con il nuovo «statuto  del  ricercatore»  l'obiettivo  del
ricambio  generazionale,  avrebbe  sacrificato  la  progressione   di
ricercatori  di  esperienza  «sol  perche'  entrati  nel  vigore   di
pregressa disciplina». 
    Come visto, la norma censurata non ostacola  la  progressione  in
carriera dei ricercatori  a  tempo  indeterminato  ma  si  limita  ad
offrire un canale  di  progressione  ulteriore  che  si  affianca  al
sistema ordinario di reclutamento dei professori  ex  art.  18  della
legge n. 240 del 2010. 
    Contrariamente  a  quanto  ritiene  il  rimettente,  dunque,   il
legislatore non ha affatto sacrificato l'interesse dei ricercatori di
ruolo a favore di quello  al  ricambio  generazionale,  ma  tra  tali
interessi ha operato un non irragionevole bilanciamento. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 24, comma 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in
materia di organizzazione delle universita', di personale  accademico
e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita'
e l'efficienza del sistema universitario),  sollevate  dal  Tribunale
amministrativo regionale per la Calabria, in riferimento agli artt. 3
e 97 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2020. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA