N. 253 SENTENZA 4 - 26 novembre 2020

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Procedimento civile - Procedimento sommario di cognizione  -  Domanda
  riconvenzionale  devoluta   alla   decisione   del   tribunale   in
  composizione   collegiale   -   Inammissibilita',   anche    quando
  pregiudicante rispetto alla domanda principale - Irragionevolezza e
  violazione del diritto di difesa - Illegittimita' costituzionale in
  parte qua. 
- Codice di procedura civile, art.  702-ter,  secondo  comma,  ultimo
  periodo. 
- Costituzione, artt. 3 e 24. 
(GU n.49 del 2-12-2020 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Mario Rosario MORELLI; 
Giudici :Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana  SCIARRA,  Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  702-ter,
comma 2, del codice  di  procedura  civile,  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Termini Imerese, nel procedimento vertente tra A.  C.  e
altro e C. C., con ordinanza del 19 ottobre 2019, iscritta al  n.  37
del registro ordinanze 2020 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  C.  C.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  4  novembre  2020  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    uditi l'avvocato Luigi La Placa per  C.  C.  e  l'avvocato  dello
Stato Antonio Grumetto per il Presidente del Consiglio dei  ministri,
in collegamento da remoto, ai sensi del  punto  1)  del  decreto  del
Presidente della Corte del 30 ottobre 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 4 novembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 19 ottobre 2019, il Tribunale ordinario  di
Termini Imerese ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 702-ter, secondo  comma,  ultimo  periodo,  del  codice  di
procedura  civile,  per  violazione  degli  artt.  3   e   24   della
Costituzione. 
    Il giudice rimettente riferisce che, con ricorso per procedimento
sommario di cognizione ex art. 702-bis cod.  proc.  civ.,  gli  eredi
nominati in un testamento olografo avevano agito  nei  confronti  del
proprio genitore che possedeva i beni devoluti  in  successione  agli
stessi, chiedendone la restituzione. 
    Il convenuto, nel  costituirsi  in  giudizio,  domandava  in  via
riconvenzionale   l'accertamento   della   nullita'   del    predetto
testamento, rivendicando la propria qualita' di erede in  ragione  di
un precedente testamento pubblico. 
    Il giudice a quo evidenzia, in punto di rilevanza, che la domanda
riconvenzionale  proposta  dal  convenuto,  essendo  demandata   alla
decisione del tribunale  in  composizione  collegiale,  dovrebbe,  in
mancanza di una pronuncia di  illegittimita'  costituzionale,  essere
dichiarata inammissibile in virtu' di quanto  espressamente  disposto
dall'art. 702-ter, secondo comma, ultimo periodo,  cod.  proc.  civ.,
poiche' l'art. 702-bis, primo comma,  del  medesimo  codice  delimita
l'ambito  di  applicazione  del  procedimento  sommario  alle   cause
attribuite alla cognizione del tribunale in composizione monocratica. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza,  il  giudice  rimettente,
premesso che la  causa  introdotta  dal  convenuto  nel  procedimento
sommario ha carattere pregiudiziale rispetto a quella  formulata  dai
ricorrenti, ritiene che la norma censurata, laddove prevede  in  ogni
caso - e  dunque  anche  in  questa  ipotesi  -  la  declaratoria  di
inammissibilita'  della   domanda   riconvenzionale   di   competenza
collegiale, potrebbe porsi in  contrasto,  in  primo  luogo,  con  il
principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., atteso che la  decisione
separata  delle  due  cause  potrebbe  determinare  un  contrasto  di
giudicati. La  norma  sarebbe  irragionevole,  in  quanto,  ai  sensi
dell'art. 34 cod. proc.  civ.,  qualora  le  due  cause  rientrassero
invece nella competenza, per materia o valore, di un  altro  giudice,
la proposizione con domanda riconvenzionale della causa pregiudiziale
determinerebbe lo spostamento di entrambe le controversie al  giudice
superiore,  mentre  un'analoga  trattazione  congiunta  non   sarebbe
assicurata, stante la  previsione  censurata,  nel  caso  in  cui  la
questione pregiudiziale potesse essere trattata dal medesimo  ufficio
giudiziario, anche se in diversa composizione. 
    Il secondo comma dell'art. 702-ter cod. proc. civ.,  nella  parte
in cui impone  la  declaratoria  di  inammissibilita'  della  domanda
riconvenzionale   demandata   alla   decisione   del   tribunale   in
composizione collegiale,  si  porrebbe,  inoltre,  in  contrasto  con
l'art. 24 Cost., nella misura in cui consentirebbe al  ricorrente  di
abusare  dei  propri  poteri  processuali  ottenendo  celermente  una
decisione  sulla  domanda  principale  dipendente,  in  virtu'  della
maggiore  celerita'  del  procedimento  sommario  rispetto  a  quello
ordinario di cognizione che  il  convenuto  dovrebbe  incardinare,  a
fronte  della  declaratoria   di   inammissibilita'   della   domanda
riconvenzionale. 
    Ne', ad avviso del Tribunale  rimettente,  sarebbe  possibile,  a
fronte della chiara formulazione  letterale  della  norma  censurata,
un'interpretazione costituzionalmente orientata, pure suggerita dalla
dottrina, nel senso di evitare la  declaratoria  di  inammissibilita'
della domanda riconvenzionale in una ipotesi, come quella  sottoposta
al proprio esame, in cui ricorra un rapporto di  connessione  "forte"
per pregiudizialità-dipendenza tra cause, ritenendo possibile che, in
alternativa, il giudice possa disporre per entrambe le  controversie,
avvinte  dal  nesso  di  pregiudizialita'  per   subordinazione,   il
mutamento del rito in quello ordinario. 
    2.- In data 26 marzo  2020,  si  e'  costituito  in  giudizio  il
convenuto  C.  C.  deducendo  che,   ove   non   fosse   percorribile
un'interpretazione   costituzionalmente   orientata    del    sistema
normativo, nel senso di ritenere che il giudice adito con ricorso  ex
art. 702-bis cod. proc. civ. possa mutare il rito nell'ipotesi in cui
venga proposta una domanda  riconvenzionale  pregiudiziale  demandata
alla  cognizione  del  tribunale  in  composizione   collegiale,   le
questioni sollevate  dal  Tribunale  di  Termini  Imerese  dovrebbero
ritenersi fondate. Aggiunge, al riguardo, che il  diritto  di  difesa
della parte convenuta a fronte della declaratoria di inammissibilita'
della domanda sarebbe tanto piu' compromesso dalla non impugnabilita'
del relativo provvedimento. 
    3.- Con atto depositato il  25  marzo  2020,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  il  rigetto  delle
questioni sollevate dall'ordinanza di rimessione. 
    Ad avviso di quest'ultimo, il Tribunale rimettente potrebbe  gia'
disporre, nella  fattispecie  considerata,  il  mutamento  nel  rito,
tenendo conto della giurisprudenza di legittimita', che l'ha ritenuto
necessario in luogo della sospensione  della  causa  pregiudicata  ex
art. 295 cod. proc. civ., ove quella pregiudicante penda  dinanzi  ad
altro ufficio giudiziario (Corte di cassazione, sezione sesta civile,
sottosezione terza, ordinanza  2  gennaio  2012,  n.  3)  e  finanche
qualora le due cause siano incardinate di fronte allo stesso  ufficio
(Corte di  cassazione,  sezione  sesta  civile,  sottosezione  terza,
ordinanza 7 dicembre 2018, n.  31801).  La  questione  sarebbe  stata
quindi gia' risolta, nella prospettazione della  difesa  statale,  da
tale orientamento giurisprudenziale, che si pone nel senso  auspicato
dal giudice a quo. 
    4.- Con memoria  illustrativa  pervenuta  l'8  ottobre  2020,  il
convenuto ha ribadito le proprie deduzioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 19 ottobre 2019, il Tribunale ordinario  di
Termini Imerese ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 702-ter, secondo  comma,  ultimo  periodo,  del  codice  di
procedura  civile,  per  violazione  degli  artt.  3   e   24   della
Costituzione. 
    La disposizione e' stata censurata, in riferimento  ai  parametri
evocati, in quanto impone al giudice adito con  ricorso  sommario  di
cognizione di dichiarare  inammissibile  la  domanda  riconvenzionale
proposta dal convenuto, non rientrante  nell'ambito  applicativo  del
relativo rito speciale, laddove devoluta alla decisione del tribunale
in composizione collegiale, e cio' anche qualora mediante la  domanda
riconvenzionale sia stata introdotta una causa pregiudicante rispetto
a quella proposta in via principale. 
    Secondo la  prospettazione  del  giudice  rimettente,  in  questa
ipotesi   la   declaratoria   di   inammissibilita'   della   domanda
riconvenzionale demandata alla cognizione del collegio, imposta dalla
norma censurata, si porrebbe in  contrasto,  innanzi  tutto,  con  il
principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., atteso che la  decisione
separata  delle  due  cause  potrebbe  determinare  un  contrasto  di
giudicati. La disposizione sarebbe irragionevole  poiche',  ai  sensi
dell'art. 34 cod. proc.  civ.,  qualora  le  due  cause  rientrassero
invece nella competenza, per materia o valore, di un  altro  giudice,
la proposizione con domanda riconvenzionale della causa pregiudiziale
determinerebbe lo spostamento di entrambe le controversie al  giudice
superiore,  mentre  un'analoga  trattazione  congiunta  non   sarebbe
assicurata, stante la  previsione  censurata,  nel  caso  in  cui  la
questione pregiudiziale potesse essere trattata dal medesimo  ufficio
giudiziario, anche se in diversa composizione. 
    Inoltre,  sarebbe  violato  l'art.  24  Cost.,   in   quanto   la
disposizione censurata consentirebbe al ricorrente, in violazione del
diritto di  difesa  del  convenuto,  di  abusare  dei  propri  poteri
processuali,  ottenendo  celermente  una  decisione   sulla   domanda
principale dipendente, in ragione della sommarieta' del  procedimento
rispetto a quello ordinario di cognizione, che il convenuto  dovrebbe
incardinare a fronte della  declaratoria  di  inammissibilita'  della
domanda riconvenzionale. 
    Ne'  ad  avviso  del   Tribunale   rimettente   potrebbe   essere
effettuata, a fronte della chiara formulazione letterale della  norma
censurata, un'interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso
di  evitare  la  declaratoria  di  inammissibilita'   della   domanda
riconvenzionale in un'ipotesi,  come  quella  sottoposta  al  proprio
esame,  in  cui  ricorra  un  rapporto  di  connessione  "forte"  per
pregiudizialità-dipendenza  tra   cause   consentendo   all'autorita'
giudiziaria adita di mutare il rito in quello ordinario. 
    2.- Va preliminarmente affermato che sussistono le condizioni  di
ammissibilita' delle questioni di costituzionalita'. 
    In  particolare,  sul  piano  della   rilevanza,   deve   infatti
considerarsi che nel giudizio a quo  i  ricorrenti  hanno,  in  forza
della propria qualita' di eredi testamentari,  proposto  nelle  forme
del  procedimento  sommario  di  cognizione   domanda   di   rilascio
dell'immobile, gia' di proprieta' del de cuius, detenuto dal  proprio
genitore. 
    Quest'ultimo, a sua volta, proponeva domanda volta  ad  accertare
l'invalidita' del testamento  olografo  sul  quale  i  figli  avevano
fondato la loro azione, accertamento dal quale sarebbe conseguita  la
legittimita'  della  detenzione  dell'immobile  in   virtu'   di   un
precedente testamento pubblico in suo favore. 
    Tale  domanda  riconvenzionale   del   convenuto   ha   carattere
pregiudiziale sul piano tecnico-giuridico rispetto a quella formulata
dai ricorrenti poiche' l'effetto giuridico richiesto dagli stessi  ha
tra i  suoi  presupposti  la  validita'  del  testamento  che  li  ha
istituiti     eredi.     Infatti,     ricorre      un'ipotesi      di
pregiudizialità-dipendenza, allorche' tra le stesse parti si verta in
un processo in ordine alla nullita' del titolo che  in  un  altro  e'
posto a fondamento della domanda, poiche' al giudicato d'accertamento
della  nullita'  -  la  quale  impedisce  all'atto  di  produrre  sin
dall'origine qualunque effetto, sia pure  interinale  -  si  potrebbe
contrapporre un  distinto  giudicato,  d'accoglimento  della  pretesa
basata su quel medesimo titolo, contrastante con il primo  in  quanto
presupponente un  antecedente  logico  giuridico  opposto  (Corte  di
cassazione, sezione lavoro, sentenza 24 gennaio 2006, n. 1285;  Corte
di cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 5 dicembre 2002,  n.
17317). 
    Le  domande  finalizzate  all'accertamento  della  nullita'   dei
testamenti sono devolute, ex art. 50-bis,  primo  comma,  numero  6),
cod.  proc.  civ.,  alla  decisione  del  tribunale  in  composizione
collegiale  perche'  rientranti  «nelle  cause  di  impugnazione  dei
testamenti e di riduzione per lesione di legittima». 
    Di qui, la rilevanza delle questioni sollevate dal  Tribunale  di
Termini  Imerese  poiche'  l'art.  702-ter,  secondo  comma,   ultimo
periodo, cod. proc. civ. stabilisce che  le  domande  riconvenzionali
non rientranti tra quelle assoggettabili  al  procedimento  sommario,
ossia quelle che introducono cause in cui  il  tribunale  giudica  in
composizione monocratica, devono essere dichiarate inammissibili. 
    3.- E'  opportuno  premettere  una  sintetica  ricostruzione  del
quadro normativo di riferimento nel quale si colloca la  disposizione
censurata. 
    L'art.  51,  comma  1,  della  legge  18  giugno  2009,   n.   69
(Disposizioni per  lo  sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la
competitivita' nonche' in materia di processo  civile)  ha  inserito,
nel Libro IV, Titolo I, del  codice  di  procedura  civile,  il  Capo
III-bis  intitolato  «Del  procedimento  sommario   di   cognizione»,
introducendo un rito di carattere alternativo al  processo  ordinario
di cognizione, disciplinato dal secondo libro  del  medesimo  codice,
per  le  controversie  demandate  alla  decisione  del  tribunale  in
composizione monocratica. 
    Con la previsione del procedimento  sommario  di  cognizione,  il
legislatore ha  perseguito  l'obiettivo  di  ridurre  la  durata  dei
giudizi di primo grado, consentendo all'attore di scegliere  un  rito
piu' celere di quello ordinario di cognizione  per  la  decisione  di
controversie semplici, specie dal  punto  di  vista  istruttorio.  Si
tratta di una finalita' coerente, come evidenziato  anche  da  questa
Corte, con il  principio  di  ragionevole  durata  del  processo,  di
rilevanza costituzionale ex art.  111  Cost.  (sentenza  n.  172  del
2019). 
    Il procedimento sommario di cognizione si  caratterizza  per  una
destrutturazione formale rispetto a quello  ordinario  di  cognizione
poiche' e' prevista un'udienza tendenzialmente  unica  e  l'eventuale
istruttoria non ha le cadenze predeterminate dal  secondo  libro  del
codice di rito, atteso che «il giudice, sentite le parti, omessa ogni
formalita' non essenziale al contraddittorio, procede  nel  modo  che
ritiene piu' opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione
all'oggetto del provvedimento  richiesto  e  provvede  con  ordinanza
all'accoglimento o al rigetto delle domande»  (art.  702-ter,  quinto
comma, cod. proc. civ.). 
    Come hanno chiarito le Sezioni unite della Corte  di  cassazione,
dalla denominazione come  «sommario»  del  procedimento  disciplinato
dagli artt. 702-bis e  seguenti  cod.  proc.  civ.  non  deve  trarsi
tuttavia  un'indicazione,  come  potrebbe  pure  apparire,  circa  la
sommarieta' della cognizione, che resta piena, dovendo riferirsi tale
denominazione, piuttosto, alla descritta  «destrutturazione»  formale
del  procedimento.  Si  tratta,  pertanto,  di  un  rito  speciale  a
cognizione piena, che si conclude con un provvedimento  che,  sebbene
rivesta la forma dell'ordinanza, e' idoneo al  giudicato  sostanziale
(Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 10 luglio 2012,
n. 11512). 
    Peraltro, poiche' un binario processuale piu' agile e'  riservato
alle controversie connotate da maggiore semplicita', l'art.  702-ter,
terzo comma, cod. proc. civ. consente al giudice, laddove ritenga che
le difese svolte dalle parti richiedano un'istruzione  non  sommaria,
di mutare  il  rito  in  quello  ordinario  di  cognizione,  fissando
l'udienza di trattazione di cui all'art. 183 cod. proc. civ. 
    A  tale  facolta'  discrezionale  corrisponde,  per  la  medesima
finalita' ed in via speculare, a seguito dell'introduzione  dell'art.
183-bis cod. proc. civ. ad opera dell'art. 14  del  decreto-legge  12
settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti  di  degiurisdizionalizzazione
ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in  materia  di
processo civile), convertito, con modificazioni, in legge 10 novembre
2014,  n.  162,  quella  del  giudice  del  processo   ordinario   di
cognizione, di disporre, alla prima udienza di trattazione,  valutata
la complessita'  della  lite  e  dell'istruzione  probatoria,  previo
contraddittorio anche scritto con le parti, che si  proceda  a  norma
dell'art. 702-ter cod. proc. civ. 
    In definitiva, rientra nel  potere  discrezionale  dell'autorita'
giudiziaria adita indirizzare il giudizio di primo grado, incardinato
dall'attore nelle forme ordinarie del secondo  libro  del  codice  di
procedura civile ovvero in quelle sommarie di cui agli artt.  702-bis
e seguenti cod. proc. civ., verso il rito piu' adeguato, tenuto conto
delle esigenze derivanti dall'istruttoria e  dalla  complessita',  in
fatto e in diritto, della controversia. 
    4.- In questo piu' ampio quadro  normativo,  deve  dunque  essere
collocata la disposizione censurata che, con riferimento alle domande
riconvenzionali,  stabilisce  che  se   le   stesse   non   rientrano
nell'ambito  di  applicazione  del  rito  sommario  di  cognizione  -
limitato a propria volta dall'art. 702-bis, primo comma,  cod.  proc.
civ. alle controversie demandate  alla  decisione  del  tribunale  in
composizione monocratica - il giudice adito e' tenuto  a  dichiararle
inammissibili. 
    A questo riguardo occorre  considerare  che  la  pregiudizialita'
"tecnica"  e'  il  collegamento  esistente  sul  piano  del   diritto
sostanziale tra  rapporti  giuridici  diversi,  caratterizzato  dalla
circostanza  che  alla  fattispecie  dell'uno  appartiene  uno  degli
effetti dell'altro, nel senso che e' pregiudiziale il rapporto il cui
effetto rappresenta un elemento della fattispecie costitutiva  di  un
altro rapporto, definito dipendente o condizionato. 
    La  connessione  tra  cause  per  subordinazione,  dovuta  ad  un
rapporto di pregiudizialità-dipendenza, reclama la trattazione  e  la
decisione congiunta dei  diversi  rapporti  sostanziali  in  un  solo
processo per realizzare il coordinamento  del  contenuto  della  loro
disciplina. 
    Nella  stessa  giurisprudenza  della  Corte  di   cassazione   e'
consolidato il  principio  per  il  quale  sussiste  un  rapporto  di
pregiudizialità-dipendenza   tra   cause   quando   una    situazione
sostanziale rappresenti fatto costitutivo o comunque  elemento  della
fattispecie di  un'altra  situazione  sostanziale,  situazione  nella
quale, anche mediante la sospensione  del  processo  pregiudicato  ex
art. 295 cod. proc. civ.,  e'  necessario  garantire  uniformita'  di
giudicati, perche' la decisione del processo principale e'  idonea  a
definire in tutto o in parte il tema dibattuto (ex multis,  Corte  di
cassazione, sezione sesta civile, sottosezione  terza,  ordinanza  24
ottobre 2014, n. 22605; Corte di cassazione,  sezione  prima  civile,
ordinanza 26 maggio 2006, n. 12621). 
    Quando sussiste un nesso di pregiudizialità-dipendenza tra cause,
allo scopo di prevenire un conflitto pratico di giudicati, il  codice
di procedura civile individua una serie di meccanismi volti a evitare
la loro trattazione separata, assicurando il  cosiddetto  simultaneus
processus. 
    In particolare, se la causa pregiudicata e  quella  pregiudicante
pendono dinanzi a giudici diversi all'interno  dello  stesso  ufficio
giudiziario, il coordinamento si realizza con la  riunione  ai  sensi
dell'art. 274 cod. proc. civ., che viene disposta - con provvedimento
discrezionale e quindi insindacabile in sede di  legittimita'  (Corte
di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza 17
maggio 2017, n. 12441) - da parte del giudice dinanzi al  quale  sono
entrambe fissate, a seguito di decreto del Presidente della sezione o
del tribunale (a seconda della pendenza delle cause nella stessa o in
diverse sezioni). 
    Ancora piu' significativo e' il disposto dell'art. 34 cod.  proc.
civ. secondo cui «[i]l giudice, se per legge o per esplicita  domanda
di una delle parti e' necessario decidere con efficacia di  giudicato
una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore  alla
competenza  di  un  giudice  superiore,  rimette  tutta  la  causa  a
quest'ultimo, assegnando alle parti  un  termine  perentorio  per  la
riassunzione della causa davanti a lui». 
    Se il meccanismo di coordinamento prefigurato dall'art.  34  cod.
proc. civ.  non  si  realizza,  lo  stesso  e'  "recuperato"  con  la
sospensione  necessaria  della  causa  pregiudicata  ove   la   causa
pregiudiziale non sia stata ancora decisa in primo  grado  (art.  295
cod.  proc.  civ.)  e  con  la  sospensione  facoltativa   consentita
nell'ipotesi  in  cui  la  causa  pregiudiziale  sia   in   fase   di
impugnazione (art. 337, secondo comma, cod. proc. civ.); in tal senso
ex multis, Corte di cassazione, sezioni  unite  civili,  sentenza  19
giugno 2012, n. 10027. 
    Laddove,  poi,  nessun  coordinamento  risulti  possibile  o   si
realizzi  in  concreto  tra  le  cause  avvinte  da   un   nesso   di
pregiudizialità-dipendenza, potrebbe verificarsi un  vero  e  proprio
conflitto di giudicati nell'ipotesi  di  pronunce  contrastanti,  che
comporterebbe la "prevalenza" di quella  successiva,  sempreche'  non
sia stata  sottoposta  a  revocazione;  impugnazione  questa  che  e'
consentita soltanto ove tale seconda sentenza non  abbia  pronunciato
sulla  relativa  eccezione  di  giudicato  (ex  plurimis,  Corte   di
cassazione, sezione lavoro, sentenza 8 maggio 2009, n.  10623;  Corte
di cassazione, sezione sesta civile,  sottosezione  T,  ordinanza  31
maggio 2018, n. 13804). 
    5.- Cio' premesso, le questioni  di  legittimita'  costituzionale
sono fondate in riferimento ad entrambi i parametri evocati. 
    6.-  La  disposizione  censurata,  nel   contesto   della   sopra
richiamata  disciplina  del  procedimento  sommario,  stabilisce,  al
secondo comma: «Se rileva che  la  domanda  non  rientra  tra  quelle
indicate  nell'articolo  702-bis,  il  giudice,  con  ordinanza   non
impugnabile, la dichiara inammissibile. Nello  stesso  modo  provvede
sulla domanda riconvenzionale». 
    Quindi  il  giudice  e'  tenuto  a  dichiarare   in   ogni   caso
inammissibile la domanda riconvenzionale che, introducendo una  causa
in cui il tribunale decide in  composizione  collegiale  e  non  gia'
monocratica  (e  tale  e'  l'impugnativa  del  testamento  ai   sensi
dell'art. 50-bis, primo comma, numero 6, cod. proc. civ.),  non  puo'
essere proposta con il rito del procedimento sommario di cui all'art.
702-bis cod. proc. civ. 
    La formulazione letterale di  tale  previsione  non  consente  di
enucleare - in via interpretativa, come deduce l'Avvocatura  generale
dello Stato -  alcuna  distinzione  o  eccezione,  essendo  unica  la
"sorte" di ogni  domanda  riconvenzionale  che  introduca  una  causa
riservata alla cognizione  dello  stesso  tribunale  in  composizione
collegiale;  cio'  ove  anche  sussista  -  come  nella   fattispecie
all'esame del giudice a quo - un rapporto di  connessione  forte  per
pregiudizialità-dipendenza   tra    causa    principale    e    causa
riconvenzionale. L'interpretazione adeguatrice, orientata  a  rendere
conforme il dettato  normativo  a  Costituzione,  ha  pur  sempre  un
insuperabile limite nel dato  letterale  della  disposizione.  Questa
Corte ha piu' volte affermato che «l'univoco tenore della norma segna
il confine in presenza del quale  il  tentativo  interpretativo  deve
cedere  il  passo  al  sindacato  di   legittimita'   costituzionale»
(sentenza n. 232 del 2013; in senso conforme,  sentenze  n.  174  del
2019, n. 82 del 2017 e n. 36 del 2016). 
    La finalita' perseguita dal legislatore mediante tale  disciplina
- che e' quella di consentire in ogni caso che la domanda  principale
sia definita celermente nelle  forme  del  procedimento  sommario  di
cognizione - e' si' legittima in quanto funzionale  al  principio  di
ragionevole durata del processo. Tuttavia  la  norma  censurata,  nel
prevedere in ogni caso, ossia a prescindere dal tipo  di  connessione
sussistente tra la causa  riconvenzionale  e  quella  principale,  la
declaratoria di inammissibilita'  della  prima,  ove  demandata  alla
cognizione  del  tribunale  in  composizione  collegiale,  pone   una
conseguenza sproporzionata e, quindi, irragionevole ex art. 3  Cost.,
rispetto al pur legittimo scopo perseguito dal legislatore. 
    E' invero costante l'orientamento di questa Corte nel senso che -
sebbene in materia di conformazione  degli  istituti  processuali  il
legislatore  goda  di  ampia  discrezionalita'  e  il  controllo   di
costituzionalita' debba limitarsi a riscontrare se sia stato,  o  no,
superato il limite della manifesta irragionevolezza  o  arbitrarieta'
delle scelte compiute - deve  comunque  essere  verificato,  in  tale
valutazione, che il bilanciamento degli interessi  costituzionalmente
rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da  determinare
il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva  e
pertanto incompatibile con il dettato costituzionale.  Tale  giudizio
deve  svolgersi  proprio  attraverso   ponderazioni   relative   alla
proporzionalita'  dei  mezzi  scelti  dal   legislatore   nella   sua
discrezionalita' rispetto alle esigenze  obiettive  da  soddisfare  o
alle finalita' perseguite, tenuto conto  delle  circostanze  e  delle
limitazioni concretamente sussistenti (ex plurimis,  sentenze  n.  71
del 2015, n. 17 del 2011, n. 229 e n. 50 del 2010, n. 221 del 2008  e
n. 1130 del 1988; ordinanza n. 141 del 2011). 
    Questa Corte, in altra fattispecie di inammissibilita'  dell'atto
introduttivo  del  giudizio,  ha  operato  tale  valutazione  proprio
ponendo in comparazione le opposte esigenze  e,  conclusivamente,  ha
ritenuto    che     «le     conseguenze     sfavorevoli     derivanti
dall'inammissibilita'    non    sono     adeguatamente     bilanciate
dall'interesse ad evitare l'abuso» (sentenza n. 241 del 2017). 
    Nella fattispecie ora  in  esame  il  nesso  di  pregiudizialita'
comporta che la sorte della  causa  pregiudicata  e'  condizionata  -
logicamente e processualmente - da quella della  causa  pregiudicante
e, cio' non di meno, la  disposizione  censurata  impone  al  giudice
adito con ricorso ex art.  702-bis  cod.  proc.  civ.  di  dichiarare
inammissibile, in ogni caso, la domanda  riconvenzionale  in  limine,
prima ancora e a prescindere dalla valutazione che lo stesso  giudice
sara'  chiamato  ad  effettuare  sulla  domanda  principale  ex  art.
702-ter, quinto comma, cod. proc. civ. 
    In  tal  modo  risultano  ineluttabili  gli  inconvenienti  della
trattazione  separata  della  causa  pregiudicata,  con  procedimento
sommario, e della causa pregiudicante,  con  procedimento  ordinario,
fino, talora, all'estremo del conflitto di  giudicati.  E,  anche  se
vari istituti, sopra ricordati, ne consentono il raccordo  fino  alla
possibilita' di revocazione per contrasto di giudicati,  resta  fermo
che  gli  inconvenienti  della  trattazione  separata   possono   non
compensare - e di norma non compensano - la pur presumibile  maggiore
rapidita' della loro trattazione distinta. 
    7.- Le  conseguenze  eccessive  e,  dunque,  irragionevoli  della
regola,  senza   eccezioni,   di   inammissibilita'   della   domanda
riconvenzionale soggetta a riserva di collegialita', posta  dall'art.
702-ter,  secondo  comma,  cod.  proc.  civ.,  risaltano   anche   da
considerazioni di comparazione e di sistema. 
    Da una parte, puo'  osservarsi  che,  se  la  domanda  principale
introdotta  con  il  rito  del   procedimento   sommario   e   quella
riconvenzionale pregiudicante, soggetta a riserva  di  collegialita',
sono proposte davanti a due giudici diversi, si ha che -  secondo  la
giurisprudenza di legittimita' (Corte di  cassazione,  sezione  sesta
civile, sottosezione terza, ordinanza 2 gennaio  2012,  n.  3)  -  il
giudice del procedimento sommario non puo' sospendere il corso  della
prima causa ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ., ma deve mutare il
rito fissando l'udienza di cui all'art. 183 cod. proc. civ. e aprendo
cosi' all'ordinaria disciplina della connessione delle cause. Analoga
soluzione interpretativa ha accolto la giurisprudenza di legittimita'
ove le due cause siano state proposte, entrambe  in  via  principale,
innanzi  allo  stesso  giudice,  rispettivamente  con  il  rito   del
procedimento sommario e con quello del procedimento ordinario  (Corte
di cassazione, sezione sesta civile, sottosezione terza, ordinanza  7
dicembre 2018, n. 31801). 
    Quindi  nell'una  e  nell'altra  ipotesi  di  cause  proposte  in
processi distinti, legate dal nesso di  pregiudizialita'  necessaria,
e' stata affermata l'illegittimita' della sospensione, impugnata  con
regolamento  di  competenza,  del  procedimento  sommario  avente  ad
oggetto la causa pregiudicata, riconoscendosi  invece  la  necessita'
del mutamento del  rito  per  assicurare  il  simultaneus  processus.
Sicche' stride che cio' non sia invece possibile,  in  ragione  della
perentorieta' testuale della disposizione censurata,  quando  le  due
cause siano proposte fin dall'inizio in uno stesso  processo,  seppur
con  il  rito  del  procedimento  sommario,  allorche'   la   domanda
riconvenzionale risulti essere soggetta a riserva di collegialita'. 
    Parimenti, ove la domanda riconvenzionale possa essere decisa dal
giudice monocratico perche' non soggetta a riserva di collegialita' e
quindi non  ricorra  la  ragione  di  inammissibilita'  di  cui  alla
disposizione censurata, il giudice  del  procedimento  sommario  puo'
valutare  la  complessita'  risultante  dall'ampliamento  del   thema
disputatum e dalle difese svolte dalle parti. In  tale  evenienza  il
giudice, ove ritenga che cio' richieda, nel complesso,  un'istruzione
non sommaria, muta il rito fissando l'udienza  di  cui  all'art.  183
cod. proc. civ. (art. 702-ter, terzo comma, cod. proc. civ.). 
    Dall'altra parte, puo' considerarsi la progressiva  accentuazione
del controllo dell'autorita' giudiziaria nella scelta del  rito  piu'
adatto per la definizione della controversia in primo grado. 
    Come si e' evidenziato, infatti, l'art. 183-bis cod. proc.  civ.,
introdotto dal d.l. n. 132 del 2014, convertito nella  legge  n.  162
del 2014, nell'attribuire anche al giudice del procedimento ordinario
di cognizione il potere discrezionale di disporre la conversione  del
relativo  rito  in  quello  sommario,  ha  finito  con  il  demandare
all'autorita' giudiziaria la scelta  finale  sul  procedimento  "piu'
adatto", a seconda delle esigenze istruttorie e delle difficolta'  in
fatto ed in diritto della controversia, per la decisione della causa,
posto  che  l'art.  702-ter,  quinto  comma,  cod.  proc.  civ.  gia'
consentiva al giudice adito con ricorso per procedimento sommario  di
cognizione di mutare il rito in quello ordinario, con  la  fissazione
dell'udienza ex art. 183 cod. proc. civ.,  ove  ritenesse  necessaria
un'istruzione non sommaria. 
    E' dunque distonica,  specie  nell'assetto  normativo  successivo
all'emanazione dell'art.  183-bis  cod.  proc.  civ.,  nel  quale  e'
demandata al giudice adito la valutazione  ultima  circa  il  rito  -
ordinario o sommario - piu' adeguato per la trattazione della  causa,
una disposizione come quella censurata che, di contro, tale  facolta'
esclude, imponendo la declaratoria di inammissibilita' della  domanda
riconvenzionale che veicoli una  causa  attribuita  al  tribunale  in
composizione  collegiale  senza  consentire  al  giudice  stesso   di
valutare l'opportunita', in alternativa, di disporre il mutamento del
rito. 
    8.- La disposizione  censurata  viola,  inoltre,  il  diritto  di
difesa del convenuto garantito dall'art. 24 Cost. 
    E'  vero  -  e  va  ribadito  -  che  non  sussiste  un   diritto
costituzionalmente tutelato della parte al  processo  simultaneo,  in
quanto,   nell'ambito   della   discrezionalita'   conformativa   del
legislatore, esso e' la risultante di regole processuali finalizzate,
laddove possibile, a realizzare un'economia dei giudizi e a prevenire
il conflitto tra giudicati, ma la sua  inattuabilita'  non  lede,  in
linea di principio, il diritto di azione, ne' quello di difesa, se la
pretesa sostanziale dell'interessato puo' essere fatta  valere  nella
competente,  pur  se  distinta,  sede  giudiziaria  con  pienezza  di
contraddittorio e difesa. In tal senso e' la costante  giurisprudenza
di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 58 del  2020,  n.  451  del
1997 e n. 295 del 1995; ordinanze n. 215 e n. 124 del  2005,  n.  251
del 2003, n. 398 del 2000, n. 18 del 1999 e n. 308 del 1991). 
    Pero', al  contempo,  la  preclusione  assoluta,  anche  se  solo
iniziale,  del  simultaneus  processus  non  e'  compatibile  con  la
garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale (art. 24  Cost.)
ove non risulti sorretta da idonee ragioni giustificative. 
    Nel  bilanciamento  tra  le  opposte  esigenze  -  quella   della
rapidita'  del  processo  introdotto   dall'attore   e   quella   del
simultaneus processus in riferimento alla domanda riconvenzionale del
convenuto  -  siffatta  preclusione  risulta  lesiva   della   tutela
giurisdizionale di quest'ultimo allorche' si  tratti  di  connessione
"forte", quella per pregiudizialita' necessaria  rispetto  al  titolo
fatto valere dall'attore. 
    Per una scelta rimessa al solo attore - la cui causa,  dipendente
sul piano del  diritto  sostanziale  da  quella  riconvenzionale,  e'
demandata alla cognizione del tribunale in composizione monocratica -
il convenuto vede inesorabilmente dichiarata inammissibile la propria
domanda. 
    In tal modo e' significativamente leso il diritto di difesa dello
stesso, costretto  a  proporre  separatamente,  dinanzi  al  medesimo
tribunale, la propria domanda, pur pregiudiziale  a  quella  proposta
dal ricorrente nelle forme del procedimento sommario di cognizione, e
a confidare nel funzionamento di meccanismi di raccordo  eventuali  e
successivi. Diversamente il ricorrente, che abbia optato per il  piu'
celere procedimento sommario di cui agli  artt.  702-bis  e  seguenti
cod.  proc.  civ.,  puo'  ottenere,  per  tale  via,  una  pronuncia,
connotata da efficacia esecutiva, finanche  prima  dell'introduzione,
nel processo ordinario  di  cognizione,  della  causa  pregiudicante,
oggetto della domanda riconvenzionale dichiarata inammissibile e che,
invece,  ove  trattata  congiuntamente  nel  simultaneus   processus,
avrebbe potuto determinare un esito differente della lite. 
    Va ricordato al riguardo che questa Corte - che ha da lungo tempo
affermato che la connessione  e'  uno  dei  criteri  fondamentali  di
ripartizione del potere giurisdizionale, e provvede  all'esigenza  di
evitare incoerenze o incompletezze nell'esercizio del  potere  stesso
(sentenze n. 142 del 1970, n. 130 del 1963 e n. 29  del  1958)  -  ha
anche sottolineato, in generale,  che  «[a]l  principio  per  cui  le
disposizioni processuali non sono fine a se'  stesse,  ma  funzionali
alla miglior qualita' della decisione di merito, si ispira pressoche'
costantemente - nel regolare questioni di rito - il vigente codice di
procedura civile, ed in particolare vi si ispira  la  disciplina  che
all'individuazione del giudice  competente  [...]  non  sacrifica  il
diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa,
in ordine al "bene della vita" oggetto della loro contesa»  (sentenza
n. 77 del 2007). 
    9.- In conclusione, anche se la parte convenuta nel  procedimento
sommario, la quale proponga una domanda  riconvenzionale  soggetta  a
riserva di collegialita', legata a quella principale da un  nesso  di
pregiudizialita', non ha diritto al  simultaneus  processus,  neppure
quest'ultimo le puo' essere  precluso  dalla  prevista  pronuncia  di
inammissibilita', dovendo poter il giudice valutare  le  ragioni  del
convenuto a fronte di quelle dell'attore e, all'esito, mutare il rito
indirizzando la cognizione delle  due  domande  congiuntamente  nello
stesso processo secondo il  rito  ordinario,  piuttosto  che  tenerle
distinte dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale. 
    La reductio ad legitimitatem comporta  quindi  che,  in  caso  di
connessione per pregiudizialita' necessaria, il  giudice  deve  poter
valutare  la  domanda  riconvenzionale  e  mutare  il  rito  fissando
l'udienza di cui all'art. 183 cod.  proc.  civ.,  come  nell'ipotesi,
prevista dal terzo comma dell'art. 702-ter cod. proc. civ., in cui le
difese svolte dalle parti richiedano un'istruzione non sommaria. 
    In  tal   senso   va,   pertanto,   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 702-ter, secondo comma, ultimo periodo, cod.
proc. civ. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  l'illegittimita'  costituzionale   dell'art.   702-ter,
secondo comma, ultimo periodo, del codice di procedura civile,  nella
parte in cui non prevede che, qualora con la domanda  riconvenzionale
sia proposta una causa pregiudiziale a  quella  oggetto  del  ricorso
principale e la stessa rientri tra quelle in cui il tribunale giudica
in composizione  collegiale,  il  giudice  adito  possa  disporre  il
mutamento del rito fissando l'udienza di cui all'art. 183 cod.  proc.
civ. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2020. 
 
                                F.to: 
                  Mario Rosario MORELLI, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2020. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE