N. 56 SENTENZA 9 - 31 marzo 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Condannati ultrasettantenni  -  Possibile
  espiazione  della  reclusione  mediante  detenzione  domiciliare  -
  Preclusione  per  coloro  che  abbiano   riportato   condanne   con
  l'aggravante della recidiva -  Irragionevolezza  e  violazione  dei
  principi di rieducazione e umanita'  della  pena  -  Illegittimita'
  costituzionale parziale. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 01. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. 
(GU n.14 del 7-4-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  47-ter,
comma 01, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), promosso dal Magistrato di sorveglianza  di  Milano,
nel procedimento di sorveglianza ad istanza di A. C.,  con  ordinanza
del 20 marzo 2020, iscritta al n. 134 del registro ordinanze  2020  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  41,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  A.  C.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 2021 il Giudice  relatore
Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato Andrea Vigani per A. C. e l'avvocato dello Stato
Vincenzo Rago per  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  in
collegamento da remoto,  ai  sensi  del  punto  1)  del  decreto  del
Presidente della Corte del 30 ottobre 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 marzo 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 marzo 2020, iscritta al n. 134 del  r.o.
2020, il Magistrato di sorveglianza di Milano ha sollevato  questioni
di legittimita' costituzionale, in riferimento agli  artt.  3  e  27,
terzo comma, della Costituzione, dell'art. 47-ter,  comma  01,  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),
«nella parte in cui prevede che  i  condannati  ultrasettantenni  che
abbiano  riportato  condanne  con  l'aggravante  della  recidiva  non
possono usufruire della misura della detenzione domiciliare  prevista
dalla norma in esame», e in subordine «nella parte in cui non prevede
che i condannati ultrasettantenni che abbiano riportato condanne  con
l'aggravante della recidiva non possono usufruire della misura  della
detenzione domiciliare prevista dalla norma in esame, salva l'ipotesi
in cui siano acquisiti  elementi  specifici,  in  relazione  al  caso
concreto, dai  quali  risulti  cessata  o  grandemente  diminuita  la
pericolosita' del soggetto». 
    1.1.-  Il  rimettente  e'  chiamato  a  giudicare  su  un'istanza
presentata personalmente da  un  condannato,  che  aveva  chiesto  di
essere ammesso alla misura alternativa della  detenzione  domiciliare
presso l'abitazione della moglie. 
    Al momento della presentazione dell'istanza, il condannato  aveva
settantotto  anni  ed  era  detenuto  in  esecuzione  di   una   pena
complessiva di quattordici anni e sette mesi di reclusione -  di  cui
tredici anni e otto mesi ancora da espiare - per una serie  di  reati
fallimentari e tributari accertati in diverse sentenze  di  condanna,
alcune delle quali avevano applicato la circostanza aggravante  della
recidiva, preclusiva della concedibilita' della misura alternativa in
forza  della  disposizione  censurata;  cio'  che  comporterebbe   il
necessario rigetto dell'istanza. 
    Il  giudice  a   quo   dubita,   tuttavia,   della   legittimita'
costituzionale della preclusione in parola. 
    1.2.- Osserva il rimettente che l'applicazione della recidiva non
esprimerebbe un giudizio di maggiore  pericolosita'  del  condannato,
quanto piuttosto una valutazione di maggiore gravita'  del  fatto  di
reato commesso; e che la sua applicazione dipenderebbe da «condizioni
variabili e ingovernabili quali l'effettiva  contestazione  da  parte
del PM (che  non  sempre  assolve  l'obbligo  di  contestarla)  e  la
discrezionalita' del giudice nel riconoscerla e applicarla». 
    D'altra parte,  anche  ad  ammettere  che  la  recidiva  implichi
indirettamente un giudizio di maggiore pericolosita',  tale  giudizio
risalirebbe al  tempo  della  sentenza  di  condanna  e  non  sarebbe
pertanto attuale al tempo della decisione sulla  misura  alternativa,
in relazione alle circostanze oggettive e soggettive del presente. 
    Sarebbe inoltre contraddittorio  che  la  detenzione  domiciliare
possa  essere  concessa  in   linea   di   principio   a   condannati
ultrasettantenni  senza  soglie  di  pena,  essendo  pero'   preclusa
allorche' sia stato a suo  tempo  applicato  un  istituto,  quale  la
recidiva, che incide solo sulla commisurazione della pena,  e  dunque
in  ragione  di  un   «fattore   imponderabile,   aleatorio   e   non
rappresentativo di pericolosita' attuale o non meritevolezza». 
    Tutto  cio'  determinerebbe  la  violazione  del  «principio   di
eguaglianza, proporzionalita' e ragionevolezza»  di  cui  all'art.  3
Cost., alla luce della giurisprudenza di questa Corte  che  considera
incompatibili con tale parametro le presunzioni assolute arbitrarie e
irrazionali,  in  quanto  non  rispondenti  a  dati   di   esperienza
generalizzati.  E  sarebbe,  altresi',  violato   il   principio   di
proporzionalita' della pena, connesso alla funzione  rieducativa  che
l'art. 27, terzo comma, Cost. affida alla pena stessa. 
    Il rimettente invoca a sostegno delle censure varie  pronunce  di
questa Corte che hanno colpito automatismi in materia  di  disciplina
dell'immigrazione (sentenza n. 172 del 2012), di  recidiva  (sentenza
n. 185 del  2015),  di  presunzione  assoluta  di  adeguatezza  della
custodia  cautelare  in  carcere  (sentenza  n.  110  del  2012);   e
sottolinea come la presunzione di pericolosita'  che  il  legislatore
ricollega, nella disciplina  ora  censurata,  all'applicazione  della
recidiva possa essere agevolmente smentita mediante  la  formulazione
di «ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta
a base della presunzione stessa, potendosi riscontrare nella  pratica
condannati con recidiva  per  nulla  pericolosi  e  condannati  senza
recidiva  molto  pericolosi,  in  entrambi   i   casi   per   ragioni
imponderabili». «Il giudizio sulla personalita' del reo e  sulla  sua
pericolosita' soggettiva» - conclude il rimettente - «e' bloccato dal
meccanismo automatico della norma, quando invece  -  proprio  perche'
ultrasettantenne - egli potrebbe essere concretamente ben lontano nel
tempo e nello spazio da  contesti,  ambienti,  occasioni,  relazioni,
capacita' al delitto, in misura tale da neutralizzare nel presente la
pericolosita' ritenuta nel passato». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le  questioni  siano  dichiarate  manifestamente
infondate. 
    L'eta'  del  condannato  non  rappresenterebbe,  anzitutto,   una
condizione  incompatibile  con  il  regime  carcerario,   avendo   la
giurisprudenza di legittimita' stabilito  che  la  concessione  della
misura non avviene automaticamente, bensi' sulla base di una verifica
della meritevolezza del condannato e dell'idoneita'  della  misura  a
favorirne il recupero e a prevenire la commissione di nuovi reati. 
    La preclusione stabilita dal legislatore sarebbe il frutto di una
scelta  discrezionale,  sindacabile  soltanto  ove   trasmodi   nella
manifesta   irragionevolezza   o   nell'arbitrio.   Cio'    non    si
verificherebbe in relazione alla norma  censurata,  dal  momento  che
l'esclusione della misura derivante dall'applicazione della  recidiva
si fonderebbe su una prognosi di  segno  negativo  non  irragionevole
circa la futura condotta del condannato. 
    Piu'  che  una  presunzione   assoluta   di   pericolosita',   la
disposizione  in  esame  stabilirebbe  infatti  una  presunzione   di
inidoneita'  della  detenzione  domiciliare,  che  pero'   troverebbe
fondamento  in  un  giudizio  concreto  e  puntuale  sfavorevole   al
condannato (e' citata la sentenza n. 50 del 2020). 
    D'altra  parte,  l'applicazione  della  recidiva  in   tanto   si
giustificherebbe  in  quanto  il  nuovo  delitto  «sia  in   concreto
espressivo non solo di una maggiore pericolosita' criminale, ma anche
di  un  maggior  grado  di   colpevolezza,   legato   alla   maggiore
rimproverabilita'  della  decisione  di  violare  la   legge   penale
nonostante  l'ammonimento  individuale  scaturente  dalle  precedenti
condanne» (e' citata la sentenza n. 73 del  2020);  e  tale  maggiore
rimproverabilita' non potrebbe essere desunta  in  via  generale  dal
solo fatto delle precedenti condanne, ma  dovrebbe  -  ad  esempio  -
essere esclusa allorche' il nuovo delitto sia stato commesso dopo  un
lungo  lasso   di   tempo   dal   precedente,   o   allorche'   abbia
caratteristiche affatto diverse. 
    3.- Si e' costituito tramite il proprio difensore  il  condannato
istante, chiedendo che le questioni siano dichiarate fondate. 
    Osserva  la  parte  che  la  disposizione   censurata   introduce
nell'ordinamento, salvo che per alcuni condannati, tra cui coloro che
abbiano riportato  condanne  con  l'aggravante  della  recidiva,  una
presunzione    relativa    di    incompatibilita'    del     soggetto
ultrasettantenne  con  il  regime  carcerario  fondata   su   ragioni
umanitarie, e in particolare sul sostanziale riconoscimento, da parte
del legislatore, dell'inadeguatezza del carcere a svolgere pienamente
la funzione prevista dall'art. 27, terzo comma, Cost.  nei  confronti
di  un  detenuto  di  eta'  cosi'  avanzata.  Tale  lettura   sarebbe
confermata dalla particolare latitudine dei  presupposti  applicativi
della misura, che non e' soggetta a limiti di pena e dipende soltanto
dal raggiungimento  del  settantesimo  anno  di  eta'  da  parte  del
condannato, anche a esecuzione della pena gia' iniziata. 
    La preclusione a carico di chi sia stato  condannato  in  passato
con l'aggravante della recidiva impedirebbe invece alla  magistratura
di sorveglianza di concedere la misura - sulla base delle circostanze
presenti al momento dell'esecuzione  della  pena  -  per  effetto  di
valutazioni formulate da un giudice diverso, in un processo  diverso,
sulla base dei soli elementi allora a sua disposizione. 
    La disciplina censurata impedirebbe dunque qualsiasi  valutazione
in concreto di pericolosita' attuale e di adeguatezza o meritevolezza
della misura da parte del  detenuto,  concretizzando  nei  fatti  una
presunzione assoluta incompatibile con il principio  di  uguaglianza,
nonche' con la stessa funzione rieducativa della pena. 
    4.- In prossimita' dell'udienza, il difensore del  condannato  ha
depositato  una  memoria,  in  cui  ha  sostanzialmente  ribadito  le
argomentazioni gia' svolte nell'atto di costituzione. 
    In replica alle deduzioni dell'Avvocatura generale  dello  Stato,
la parte insiste sulla natura assoluta della presunzione sottesa alla
disposizione censurata,  che  non  consentirebbe  alcuna  valutazione
attuale  da  parte  del  magistrato  di  sorveglianza.  Ne'  potrebbe
affermarsi che non si tratterebbe tanto di una  presunzione  assoluta
di pericolosita', quanto di  una  presunzione  di  inidoneita'  della
detenzione domiciliare  che  troverebbe  fondamento  in  un  giudizio
concreto e puntuale sfavorevole al condannato, dal momento  che  tale
giudizio sarebbe stato espresso dal giudice del merito,  lontano  nel
tempo e nell'oggetto dalle valutazioni - individualizzate  e  fondate
su una prognosi ragionevole circa l'utilita' di ciascuna misura a far
procedere il condannato sulla via  dell'emenda  e  del  reinserimento
sociale - normalmente compiute  dalla  magistratura  di  sorveglianza
(sono citate le sentenze n. 149 del 2018, n. 291 e n. 189  del  2010,
n. 255 del 2006 e n. 436 del 1999). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  il  Magistrato  di
sorveglianza  di  Milano  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma,  della
Costituzione, dell'art. 47-ter, comma 01, della legge 26 luglio 1975,
n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle
misure privative e limitative della liberta'), «nella  parte  in  cui
prevede che  i  condannati  ultrasettantenni  che  abbiano  riportato
condanne con l'aggravante della recidiva non possono usufruire  della
misura della detenzione domiciliare prevista dalla norma in esame», e
in subordine «nella  parte  in  cui  non  prevede  che  i  condannati
ultrasettantenni che  abbiano  riportato  condanne  con  l'aggravante
della recidiva non possono usufruire della  misura  della  detenzione
domiciliare prevista dalla norma in esame,  salva  l'ipotesi  in  cui
siano acquisiti elementi specifici, in relazione  al  caso  concreto,
dai quali risulti cessata o grandemente  diminuita  la  pericolosita'
del soggetto». 
    2.-  Le  questioni  sollevate  in  via  principale  dal   giudice
rimettente sono fondate. 
    2.1.- La disposizione censurata stabilisce in via generale che la
pena  della  reclusione  -  indipendentemente   dalla   sua   durata,
complessiva  o  residua  -  «puo'»  essere  espiata   nella   propria
abitazione  o  in  altro  luogo  pubblico  di  cura,   assistenza   o
accoglienza, quando il condannato abbia compiuto  i  settant'anni  di
eta'. 
    Essa  detta,  dunque,  una  disciplina  piu'  favorevole  per  il
condannato ultrasettantenne rispetto a quella fissata dal  successivo
comma 1, lettera d), dello stesso  art.  47-ter  ordin.  penit.,  che
consente parimenti l'espiazione della  pena  della  reclusione  nella
forma della detenzione domiciliare al condannato che abbia compiuto i
sessant'anni, alla duplice condizione - pero'  -  che  si  tratti  di
pena,  anche  residua,  non  superiore  a  quattro  anni,  e  che  il
condannato sia «inabile anche parzialmente». 
    Il  venir  meno  di   queste   condizioni   per   il   condannato
ultrasettantenne  trova  agevole  spiegazione  in  riferimento   alla
duplice ratio della misura prevista dal comma 01. 
    Da un lato, come rilevato dalla dottrina, il legislatore  presume
qui la diminuzione della pericolosita'  sociale  del  condannato  che
abbia  raggiunto  i  settant'anni,  e   la   possibilita'   del   suo
contenimento  mediante  l'obbligo  di   permanenza   nel   domicilio,
accompagnato dalle prescrizioni del giudice e dai dovuti controlli. 
    Dall'altro,   e   forse   soprattutto,   il   legislatore   muove
dall'ulteriore presunzione che il carico di sofferenza associato alla
permanenza in carcere cresca  con  l'avanzare  dell'eta',  e  con  il
conseguente sempre maggiore bisogno, da parte del condannato, di cura
e assistenza personalizzate, che  difficilmente  gli  possono  essere
assicurate in un contesto intramurario, caratterizzato dalla  forzata
convivenza con un gran numero di altri detenuti di ogni eta'. Sicche'
la  misura  alternativa  all'esame,  piu'  che  all'obiettivo   della
rieducazione del condannato, appare  qui  ispirata  al  principio  di
umanita' della pena, sancito peraltro dallo  stesso  art.  27,  terzo
comma, Cost. 
    Nella  medesima  logica  si  colloca  d'altronde   la   parallela
disposizione dettata, in materia di misure cautelari, dall'art.  275,
comma 4, secondo periodo, del codice di procedura  penale,  a  tenore
del quale la custodia cautelare in carcere non puo' essere  disposta,
nei  confronti  di  chi  abbia  compiuto  settant'anni,   salvo   che
sussistano «esigenze cautelari di eccezionale rilevanza»; imponendosi
in ogni altro caso il ricorso alla misura meno gravosa degli  arresti
domiciliari, anche in presenza di esigenze  cautelari  che  avrebbero
consentito, nei confronti di una persona  piu'  giovane,  il  ricorso
alla misura carceraria. 
    2.2.- Cosi' come accade in  materia  di  custodia  cautelare,  il
favor espresso dal legislatore  per  l'esecuzione  domiciliare  della
pena nei confronti dei condannati ultrasettantenni non e',  peraltro,
incondizionato. 
    Il comma 01 vieta, infatti, la concessione  della  misura  a  tre
categorie di persone. Anzitutto, a chi sia stato condannato  per  uno
tra i principali delitti contro la liberta' sessuale, ovvero per  uno
dei delitti menzionati dall'art. 51, comma 3-bis, cod. proc.  pen.  o
dall'art. 4-bis ordin. penit.; in secondo  luogo,  a  chi  sia  stato
dichiarato delinquente abituale, professionale  o  per  tendenza;  e,
infine, a chi sia stato condannato in passato con l'aggravante  della
recidiva di cui all'art. 99 del codice penale. 
    In presenza di una di tali cause ostative, il legislatore ritiene
evidentemente che venga meno  la  prima  delle  presunzioni  poc'anzi
evidenziate:  quella,   cioe',   di   attenuata   pericolosita'   del
condannato.  Nonostante  l'eta'  avanzata,  la  tipologia  del  reato
commesso ovvero la peculiare storia criminale del reo dimostrerebbero
- senza possibilita' di prova contraria da parte del condannato - una
sua persistente pericolosita' sociale non neutralizzabile con la mera
detenzione  domiciliare;  cio'  che  renderebbe   senza   alternative
l'esecuzione intramuraria. 
    Proprio  sulla   contro-presunzione   assoluta   di   persistente
pericolosita' del condannato, derivante dalla mera  applicazione  nei
suoi confronti dell'aggravante della recidiva, si appuntano  i  dubbi
di legittimita' costituzionale sollevati dal giudice a quo. 
    2.3.- In proposito, conviene subito rilevare che la  disposizione
censurata   e'   l'unica,   nell'intero    corpus    dell'ordinamento
penitenziario, a far discendere conseguenze  radicalmente  preclusive
di una misura alternativa a carico di chi  sia  stato  condannato  in
passato con l'aggravante della recidiva, in una qualunque  delle  sue
forme disciplinate dall'art. 99 cod. pen. 
    In  talune  circoscritte  ipotesi,  l'ordinamento   penitenziario
prevede, a carico dei soli condannati ai quali sia stata applicata la
recidiva reiterata di cui  all'art.  99,  quarto  comma,  cod.  pen.,
condizioni piu' gravose per l'accesso ai benefici penitenziari  (art.
30-quater ordin. penit.), ovvero il divieto di concedere una  seconda
volta  le  misure  alternative  dell'affidamento  in   prova,   della
detenzione domiciliare (nelle sue diverse forme) e della semiliberta'
(art. 58-quater ordin. penit.). Altre disposizioni - introdotte, come
quella censurata, dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251  (Modifiche  al
codice penale e alla legge 26 luglio 1975,  n.  354,  in  materia  di
attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione  delle
circostanze di reato per i recidivi, di usura e di  prescrizione),  e
che rendevano piu' gravose, a carico dei  soli  condannati  ai  quali
fosse stata applicata la recidiva reiterata, le condizioni di accesso
anche a  talune  misure  alternative  -  sono  state  successivamente
abrogate dal  decreto-legge  1°  luglio  2013,  n.  78  (Disposizioni
urgenti  in  materia  di  esecuzione  della  pena),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013,  n.  94  (e'  il  caso  del
previgente comma 1.1 dell'art. 47-ter ordin. penit. e del  previgente
art. 50-bis ordin. penit.). 
    La menzionata  disposizione  di  cui  all'art.  58-quater  ordin.
penit.  mostra  in  modo  particolarmente  evidente  l'anomalia   del
meccanismo preclusivo qui  all'esame:  mentre  soltanto  la  recidiva
reiterata osta a una seconda concessione di una misura alternativa (e
dunque anche alla concessione  di  tutte  le  ipotesi  di  detenzione
domiciliare diverse  da  quella  in  esame),  qui  gia'  la  recidiva
semplice di cui all'art. 99, primo comma, cod. pen.  osta  in  radice
alla detenzione domiciliare; e cio'  proprio  nei  confronti  di  una
categoria di detenuti - quelli ultrasettantenni - rispetto  ai  quali
la vita carceraria risulta, in via generale, particolarmente gravosa. 
    2.4.- L'Avvocatura generale dello Stato assume che  il  singolare
automatismo preclusivo  previsto  in  parte  qua  dalla  disposizione
censurata  non  riposerebbe,  in  realta',  su  di  una   presunzione
assoluta,   ma   si   fonderebbe   piuttosto   su   una   valutazione
individualizzata, compiuta dal giudice di cognizione nel  momento  in
cui ha ritenuto la  sussistenza  della  recidiva  nella  sentenza  di
condanna; valutazione  che,  secondo  l'ormai  costante  insegnamento
della giurisprudenza  di  legittimita'  e  di  questa  stessa  Corte,
presuppone tanto un giudizio di maggiore gravita' del fatto di reato,
connesso alla maggiore colpevolezza di  chi  decide  di  compiere  la
condotta  criminosa  nonostante  l'ammonimento  rappresentato   dalla
precedente condanna nei  propri  confronti,  quanto  un  giudizio  di
maggiore  pericolosita'  del   condannato,   dimostrata   dalla   sua
accentuata propensione a violare la legge penale (ex multis, sentenze
n. 73 del 2020 e n. 185 del 2015; Corte di cassazione, sezioni  unite
penali, sentenza 27 maggio-5  ottobre  2010,  n.  35738).  Il  fatto,
dunque, che il giudice della cognizione abbia ritenuto applicabile la
recidiva - quanto meno ai fini del suo  bilanciamento  con  eventuali
circostanze attenuanti ai sensi dell'art.  69  cod.  pen.  -  sarebbe
indicativo,  secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  di   una
condizione di maggiore pericolosita'  del  condannato  giudizialmente
accertata nel caso concreto, che il legislatore non irragionevolmente
avrebbe  valorizzato  per  negare  a  tale  categoria  di  condannati
l'accesso alla misura alternativa della detenzione domiciliare. 
    Questa Corte, tuttavia, non e' persuasa da tale argomento. 
    La valutazione  individualizzata  sul  surplus  di  pericolosita'
soggettiva -  valutazione  che,  pure,  il  giudice  di  merito  deve
indubbiamente  compiere  allorche'  decide  se  ritenere  o  meno  la
sussistenza della recidiva contestata all'imputato - non  e'  infatti
ne' attuale, ne' specifica rispetto alla  sussistenza  delle  ragioni
che potrebbero deporre in favore  della  esecuzione  della  pena  sub
specie di detenzione domiciliare. 
    In effetti, la disposizione censurata condiziona  l'accesso  alla
detenzione domiciliare al presupposto che il soggetto non  sia  «mai»
stato condannato con l'aggravante di cui all'art. 99 cod. pen., senza
precisare - dunque - se l'aggravante  debba  essere  stata  applicata
nella stessa sentenza di condanna attualmente in  esecuzione,  ovvero
in altra sentenza gia' pronunciata nei suoi  confronti  in  qualsiasi
momento  del  passato.  Una  tale  sentenza  potrebbe  essere   stata
pronunciata in un passato assai remoto; e il giudice  della  condanna
della pena attualmente  in  esecuzione  ben  potrebbe  avere  escluso
l'applicazione  della  recidiva,  proprio   in   considerazione   del
carattere risalente dei precedenti reati commessi dal  condannato,  e
dunque della loro irrilevanza ai fini di quel giudizio di  accentuata
pericolosita' e colpevolezza che condiziona la stessa  applicabilita'
dell'aggravante. 
    Ma  anche  nell'ipotesi  in  cui  sia  proprio  la  sentenza   in
esecuzione ad avere applicato la recidiva, il  giudizio  di  maggiore
pericolosita' sociale ad essa sotteso e' formulato dal giudice  della
cognizione unicamente ai fini della  determinazione  del  quantum  di
pena da infliggere al condannato, per effetto dell'applicazione degli
inasprimenti di pena previsti dall'art. 99 cod. pen., ovvero del  suo
bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti. Da tale  giudizio
la  disposizione  censurata  fa  pero'  discendere  una   conseguenza
automatica in relazione alla differente questione -  che  rimane  del
tutto estranea all'orizzonte valutativo del giudice della  cognizione
- se il condannato debba essere ammesso a scontare la propria pena in
regime di detenzione domiciliare anziche'  all'interno  del  carcere,
alla luce di tutti i fattori normalmente considerati dal  giudice  di
sorveglianza al quale il condannato richieda la misura alternativa in
parola. Fattori, questi ultimi, tra i quali non potrebbero non essere
considerati  i  cambiamenti  avvenuti  nella  persona  del   reo,   e
l'eventuale percorso rieducativo  in  ipotesi  gia'  intrapreso,  nel
lungo periodo che normalmente separa il tempus della commissione  del
reato ritenuto aggravato dalla recidiva - tempus con  riferimento  al
quale il giudice di cognizione aveva formulato la propria valutazione
di accentuata pericolosita' sociale del reo - e quello del  passaggio
in  giudicato  della   relativa   sentenza   di   condanna,   nonche'
nell'eventuale periodo di esecuzione da lui scontato nel frattempo in
carcere. Come questa Corte ha gia' avuto modo di rilevare,  «[m]entre
la  recidiva  rinviene  nel  fatto  di  reato  il  suo   termine   di
riferimento, la condotta susseguente si proietta nel  futuro  e  puo'
segnare una radicale discontinuita' negli atteggiamenti della persona
e nei suoi rapporti sociali» (sentenza n.  183  del  2011);  radicale
discontinuita' di cui il  giudice  di  sorveglianza  deve  essere  in
condizione  di  tenere  conto,  nella  valutazione  se   l'esecuzione
intramuraria sia  comunque  necessaria  anche  nei  confronti  di  un
condannato di eta' avanzata, o se gli scopi della pena possano essere
soddisfatti anche mediante un trattamento meno afflittivo. 
    Ne' l'eta' avanzata del condannato, ne' la conseguente sofferenza
addizionale connessa alla permanenza  in  carcere,  spiegano  d'altra
parte alcun ruolo nel giudizio che sta alla base della decisione  del
giudice della  cognizione  se  ritenere  sussistente  la  circostanza
aggravante della recidiva; mentre tali  considerazioni  svolgerebbero
ovviamente  un  ruolo  di  primo  piano  nel  bilanciamento  che   la
magistratura di sorveglianza dovrebbe svolgere a fronte di un'istanza
di detenzione domiciliare, ove il suo esame  non  le  fosse  precluso
dalla disposizione censurata. 
    L'individualizzazione del giudizio di pericolosita'  sociale  del
condannato, su cui insiste  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  si
rivela  cosi'  soltanto  apparente.  La  disposizione  censurata,  in
realta', fa discendere in modo automatico un effetto preclusivo della
detenzione domiciliare da un giudizio svolto tempo prima dal  giudice
della  cognizione,  avente  un  oggetto  affatto  diverso  da  quello
relativo alla concreta meritevolezza del condannato ad essere ammesso
alla misura alternativa  in  parola,  sulla  base  delle  circostanze
sussistenti al momento dell'esecuzione della pena. 
    Da cio' discende l'intrinseca irragionevolezza della disposizione
censurata, anche in rapporto ai principi di rieducazione  e  umanita'
della pena, in conformita' alla  costante  giurisprudenza  di  questa
Corte che considera contrarie agli artt. 3 e 27, terzo  comma,  Cost.
le preclusioni assolute all'accesso ai benefici penitenziari  e  alle
misure alternative alla detenzione (ex plurimis, sentenze n. 253  del
2019, n. 149 del 2018, n. 291 del 2010, n. 189 del 2010). 
    2.5.- Tale conclusione non e' smentita dalla recente sentenza  n.
50 del 2020, che - in relazione alla peculiare ipotesi di  detenzione
domiciliare cosiddetta  "generica"  di  cui  all'art.  47-ter,  comma
1-bis, ordin. penit., fruibile da tutti coloro che  debbano  scontare
non piu' di due anni, anche  quale  residuo  di  maggior  pena  -  ha
ritenuto legittima la preclusione all'accesso alla  misura  a  carico
dei condannati per taluno dei delitti di  cui  all'art.  4-bis  ordin
penit., quando non ricorrano i presupposti per l'affidamento in prova
al servizio sociale. 
    Questa Corte ha infatti sottolineato  come  in  tale  ipotesi  la
preclusione trovi «fondamento concomitante in elementi che discendono
dalla necessaria valutazione giudiziale del caso concreto»,  compiuta
dalla  stessa  magistratura  di  sorveglianza  in   sede   di   esame
dell'istanza del condannato, che  deve  per  l'appunto  essere  stato
ritenuto in concreto non  meritevole  di  essere  ammesso  alla  piu'
favorevole misura dell'affidamento in prova al servizio  sociale.  In
quel caso la valutazione, posta in essere nella fase esecutiva  della
pena,  e'  -  dunque  -  attuale  e  contestualizzata  rispetto  alla
possibile concessione di misure alternative, a differenza  di  quanto
accade rispetto alla preclusione oggetto della disposizione all'esame
nel presente giudizio. 
    2.6.-   In   conclusione,   deve   dichiararsi   l'illegittimita'
costituzionale della disposizione censurata limitatamente  all'inciso
«ne' sia stato mai condannato con l'aggravante di cui all'articolo 99
del codice penale», restando cosi' assorbita la  questione  formulata
in via subordinata dal rimettente. 
    Il venir meno di  tale  inciso  comporta  la  riespansione  degli
ordinari poteri discrezionali  della  magistratura  di  sorveglianza,
chiamata a valutare se il condannato sia meritevole di essere ammesso
alla detenzione domiciliare (ex multis, Corte di cassazione,  sezione
prima penale, sentenza 8 febbraio-6 marzo 2012, n. 8712; sentenza  18
giugno-10 luglio 2008,  n.  28555),  tenuto  conto  anche  della  sua
eventuale residua pericolosita' sociale, da apprezzarsi  in  concreto
sulla base di  tutte  le  circostanze  risultanti  al  momento  della
decisione sull'istanza relativa. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 47-ter,  comma
01, della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della  liberta'),  limitatamente  alle  parole  «ne'  sia  stato  mai
condannato  con  l'aggravante  di  cui  all'articolo  99  del  codice
penale». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA