N. 48 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 febbraio 2021

Ordinanza del 10 febbraio 2021 del Tribunale amministrativo regionale
per la Lombardia sul ricorso proposto da C-Quadrat  Asset  Management
France S.a.s. contro Comune di Milano e Regione Lombardia. 
 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Lombardia - Disposizioni
  relative  al  patrimonio  edilizio  dismesso   con   criticita'   -
  Individuazione da parte dei  Comuni  degli  immobili  di  qualsiasi
  destinazione d'uso, dismessi da  oltre  cinque  anni,  che  causano
  criticita' per gli aspetti ivi  elencati  -  Prevista  applicazione
  della disciplina anche agli immobili gia'  individuati  dai  Comuni
  come degradati e abbandonati e a quelli per i quali il proprietario
  certifichi anche uno o piu' degli aspetti indicati nella  normativa
  di riferimento  -  Riconoscimento  di  un  incremento  dei  diritti
  edificatori pari al 20 per cento, con un  premio  eventuale  di  un
  ulteriore 5 per cento al ricorrere  di  determinati  presupposti  -
  Esenzione dall'eventuale obbligo di reperimento di aree per servizi
  e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale. 
- Legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12  (Legge  per  il
  governo del territorio), art. 40-bis, introdotto dall'art. 4, comma
  1, lettera a), della  legge  regionale  26  novembre  2019,  n.  18
  ("Misure di semplificazione e incentivazione per  la  rigenerazione
  urbana e territoriale,  nonche'  per  il  recupero  del  patrimonio
  edilizio esistente. Modifiche e integrazioni alla  legge  regionale
  11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo  del  territorio)  e  ad
  altre leggi regionali"). 
(GU n.16 del 21-4-2021 )
 
       IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA 
                           Sezione Seconda 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  992  del  2020,  proposto  da   C-Quadrat   Asset
Management France S.a.s., in persona del  legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentata  e  difesa  dagli  avv.ti  Antonio  Belvedere,
Matteo Peverati e Maurizio Malomo ed elettivamente domiciliata presso
lo studio degli stessi in Milano, piazza Eleonora Duse n. 3; 
    Contro il Comune di Milano, in persona del sindaco  pro  tempore,
rappresentato e difeso dagli avv.ti Paola Cozzi, Antonello Mandarano,
Alessandra Montagnani Amendolea, Anna  Maria  Pavin,  Maria  Lodovica
Bognetti ed Elena Maria Ferradini  ed  elettivamente  domiciliato  in
Milano, via della Guastalla n.  6,  presso  la  sede  dell'avvocatura
comunale; 
    Nei confronti Regione Lombardia, in persona  del  Presidente  pro
tempore, non costituita in giudizio; 
    Per l'annullamento: 
        della deliberazione  del  Consiglio  comunale  di  Milano  14
ottobre  2019,  n.  34,  avente  ad  oggetto  «controdeduzioni   alle
osservazioni e approvazione definitiva del Nuovo documento di  piano,
della variante del Piano dei servizi, comprensivo del  Piano  per  le
attrezzature religiose, e della  variante  del  Piano  delle  regole,
costituenti il Piano di governo del territorio, ai sensi  e  per  gli
effetti dell'art. 13 della legge regionale 11 marzo  2005,  n.  12  e
successive  modificazioni  ed  integrazioni»,  il   cui   avviso   di
approvazione e'  stato  pubblicato  nel  Bollettino  Ufficiale  della
Regione Lombardia - Serie «Avvisi e Concorsi» - n. 6 del  5  febbraio
2020, con specifico riferimento all'art. 11 delle Norme di attuazione
del Piano delle regole; 
        di  ogni  atto  o  provvedimento  presupposto,  successivo  o
comunque connesso e, ove  occorrer  possa,  della  deliberazione  del
consiglio comunale  n.  2  del  5  marzo  2019,  avente  per  oggetto
l'adozione di detta variante al P.G.T. del Comune di Milano; 
        e per il risarcimento del danno o per il riconoscimento di un
indennizzo. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano; 
    Vista l'ordinanza n. 927/2020 con cui e' stata fissata  l'udienza
pubblica per la trattazione del merito del ricorso; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Designato relatore il consigliere Antonio De Vita; 
    Tenutasi l'udienza in data 22 gennaio 2021 e uditi per le parti i
difensori mediante collegamento  da  remoto  in  videoconferenza,  ai
sensi dell'art. 25 del decreto-legge n. 137 del 2020,  convertito  in
legge n. 176 del 2020, come specificato nel verbale; 
 
                              F a t t o 
 
    1. Con il ricorso indicato in epigrafe, la societa' ricorrente ha
impugnato la  deliberazione  del  Consiglio  comunale  di  Milano  14
ottobre  2019,  n.  34,  avente  ad  oggetto  «controdeduzioni   alle
osservazioni e approvazione definitiva del Nuovo documento di  piano,
della variante del Piano dei servizi, comprensivo del  Piano  per  le
attrezzature religiose, e della  variante  del  Piano  delle  regole,
costituenti il Piano di governo del territorio, ai sensi  e  per  gli
effetti dell'art. 13 della legge regionale 11 marzo  2005,  n.  12  e
successive modificazioni ed integrazioni», con specifico  riferimento
all'art. 11 delle Norme di attuazione del Piano delle regole. 
    La ricorrente e' proprietaria di un immobile situato  nel  Comune
di  Milano,  in  via  Giacomo  Medici  del  Vascello  n.  14,  avente
destinazione urbanistica prevalentemente  terziaria-direzionale,  che
e' stato ricompreso tra gli «edifici abbandonati e  degradati»  dalla
tavola R.10 del Piano delle regole (P.d.R.) del Piano di governo  del
territorio (P.G.T.) e assoggettato alla disciplina dell'art. 11 delle
relative Norme di attuazione (N.d.A.). 
    Assumendo la lesivita' di tale disposizione, in quanto fortemente
limitativa del diritto di proprieta' sia  per  la  previsione  di  un
termine assai stringente per  l'avvio  dei  lavori  di  recupero  del
fabbricato individuato come  abbandonato  e  degradato,  sia  per  le
notevoli ripercussioni in caso di inadempienza, la ricorrente  ne  ha
chiesto l'annullamento. 
    Con una prima censura e' stato dedotto il difetto di  istruttoria
e  di  motivazione,  in  quanto  l'immobile   di   proprieta'   della
ricorrente, pur non risultando graficamente  individuato  tra  quelli
«abbandonati e degradati», sarebbe stato ricompreso  nell'elenco  dei
fabbricati contenuto nella tavola R.10 del Piano delle regole,  senza
l'implicitazione di una congrua motivazione a supporto  della  scelta
comunale. 
    Con la seconda censura  e'  stata  dedotta  la  violazione  della
normativa sul procedimento amministrativo, poiche' la ricorrente  non
sarebbe stata coinvolta  direttamente  nello  specifico  procedimento
culminato  con  l'inserimento  del  complesso  immobiliare   di   sua
proprieta' tra gli «edifici abbandonati e  degradati»,  come  imposto
invece dallo stesso art. 11 delle N.d.A.  e  dall'art.  40-bis  della
legge  regionale  n.  12  del  2005,  non  essendo  surrogabile  tale
adempimento  con  la  partecipazione  avvenuta  nel  procedimento  di
formazione e approvazione dello strumento urbanistico. 
    Con la terza censura e' stata dedotta la violazione dell'art.  23
della Costituzione, poiche' la  disposizione  impugnata  non  avrebbe
alcun fondamento legale, non essendo attribuita al consiglio comunale
alcuna    competenza    provvedimentale-sanzionatoria    in    ambito
urbanistico-edilizio; difatti, soltanto il sindaco potrebbe  adottare
ordinanze  contingibili  e  urgenti  volte  a  risolvere   «emergenze
sanitarie o di igiene pubblica a  carattere  esclusivamente  locale»,
con particolare riferimento  «all'urgente  necessita'  di  interventi
volti  a  superare  situazioni  di  grave  incuria  o   degrado   del
territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio
del decoro e della vivibilita'  urbana»,  mentre  farebbe  capo  alla
dirigenza, nell'ambito dell'attivita',  avente  natura  gestoria,  di
vigilanza urbanistico-edilizia nel  territorio  comunale,  l'adozione
degli ordinari provvedimenti repressivi. 
    Con la quarta doglianza la ricorrente  ha  dedotto  l'illegittima
introduzione   di   una   fattispecie    ablatoria    non    prevista
dall'ordinamento, altresi'  effettuata  in  assenza  dei  presupposti
procedurali e sostanziali per poterla porre in essere (mancato avviso
di  avvio  del  procedimento  espropriativo,  assenza  della   previa
dichiarazione  di  pubblica  utilita',  mancata  previsione   di   un
indennizzo, ecc.). 
    Con il quinto motivo si e' dedotto il difetto di istruttoria e di
motivazione, in quanto non sarebbe stata dimostrata la situazione  di
degrado   dell'immobile   di   proprieta'   della   ricorrente,   ne'
l'insalubrita' o il pericolo per la sicurezza urbana dello stesso,  e
nemmeno  sarebbe  rinvenibile  negli  atti  impugnati   una   congrua
motivazione a supporto della scelta comunale. 
    Con il sesto motivo la ricorrente ha eccepito l'incongruita',  in
quanto eccessivamente ristretto, del termine di diciotto  mesi  dalla
prima  individuazione  dell'immobile  abbandonato  e  degradato   per
avviare i lavori di recupero dello stesso, unitamente all'illogicita'
della previsione che assegna all'amministrazione comunale  il  potere
di procedere d'ufficio alla demolizione forzata in  caso  di  mancato
inizio dei lavori entro il predetto termine,  oppure  di  rilasciare,
insindacabilmente,  il  titolo  abilitativo  per  l'effettuazione  di
interventi di risanamento conservativo. 
    Con il settimo motivo di ricorso  la  ricorrente  ha  dedotto  la
violazione dell'art. 40-bis della legge regionale  n.  12  del  2005,
introdotto con la legge regionale n. 18 del 2019, in quanto l'art. 11
delle  N.d.A.  del  P.d.R.  si  porrebbe  in   contrasto   con   tale
disposizione regionale (sovraordinata) sopravvenuta (i) che fissa  in
tre anni  il  termine  entro  cui  presentare  richiesta  del  titolo
edilizio per avviare i lavori di ripristino dell'immobile  degradato,
(ii) che riconosce un incremento dei diritti edificatori pari al 20%,
con  un  premio  eventuale  di  un  ulteriore  5%  al  ricorrere   di
determinati   presupposti,   e   (iii)   che   esenta,   di   regola,
dall'eventuale  obbligo  di  reperimento  di  aree  per   servizi   e
attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale. 
    Con   l'ultimo   motivo   di   ricorso   sono    state    dedotte
l'irragionevolezza e la contraddittorieta' del divieto di  modificare
la destinazione d'uso in  presenza  di  interventi  di  conservazione
degli   edifici   esistenti   (consentiti   fino    al    risanamento
conservativo), sebbene l'art. 8 delle N.d.A. del Piano  delle  regole
stabilisca che  «il  mutamento  di  destinazione  d'uso  senza  opere
edilizie e'  sempre  ammesso»  e  l'art.  51,  comma  1  della  legge
regionale n. 12 del 2005, ammetta in maniera molto ampia la  modifica
della destinazione d'uso nell'ambito del tessuto urbanizzato. 
    Si e' costituito in giudizio il Comune di Milano, che ha  chiesto
il rigetto del ricorso; con separata memoria, la difesa  comunale  ha
controdedotto alle  censure  proposte  dalla  ricorrente  e,  in  via
subordinata, ha eccepito  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
40-bis della legge regionale n. 12  del  2005  per  violazione  degli
artt. 3, 5, 97, 117, secondo comma, lettera p), 117,  primo  e  terzo
comma, 118, primo e secondo comma della Costituzione,  ritenendo:  i)
violata la competenza esclusiva statale sulle  funzioni  fondamentali
dei comuni; ii)  usurpata  la  funzione  pianificatoria  comunale  in
materia urbanistica;  iii)  violato  l'art.  3-bis  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n.  380  del  2001,  quale  normativa  di
principio in materia di governo del territorio; iv) lesi  i  principi
di imparzialita' e buon andamento  dell'azione  amministrativa  e  di
ragionevolezza. 
    Con l'ordinanza n. 927/2020, e' stata fissata l'udienza  pubblica
per la trattazione del merito del ricorso. 
    In prossimita' dell'udienza di merito, i  difensori  delle  parti
hanno depositato memorie e documentazione a sostegno delle rispettive
posizioni. 
    All'udienza del 22 gennaio 2021, uditi i  difensori  delle  parti
mediante  collegamento  da  remoto  in  videoconferenza,   ai   sensi
dell'art. 25 del decreto-legge n. 137 del 2020, convertito  in  legge
n. 176 del 2020, la causa e' stata trattenuta in decisione. 
 
                            D i r i t t o 
 
    1.  In  via  preliminare,  deve  essere  modificato  l'ordine  di
trattazione dei motivi di ricorso, poiche'  la  settima  censura,  in
ragione  del  suo  carattere   assorbente,   deve   essere   trattata
prioritariamente rispetto alle altre:  infatti,  laddove  si  dovesse
giungere alla conclusione che l'art.  40-bis  della  legge  regionale
della Lombardia n. 12  del  2005  (inserito  dall'art.  4,  comma  1,
lettera a), legge regonale 26 novembre 2019, n. 18) abbia  l'identico
perimetro  applicativo  dell'art.  11  delle   N.d.A.   del   P.d.R.,
quest'ultima disposizione  dovrebbe  essere  annullata,  poiche',  in
ossequio  al  principio  di  gerarchia  delle  fonti  normative,  una
disposizione di natura regolamentare, qual e'  una  norma  del  Piano
delle regole (cfr., Consiglio di Stato, V, 16 aprile 2013,  n.  2094;
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Milano,  II,  22
maggio  2020,  n.  914),  non  puo'  porsi  in  contrasto   con   una
prescrizione  contenuta  in  una  legge  primaria  (regionale,  nella
specie); l'annullamento del richiamato art. 11 delle N.d.A. comunali,
costituendo la «piu' radicale illegittimita'» dedotta  (Consiglio  di
Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015,  n.  5),  soddisferebbe  pienamente
l'interesse della ricorrente e renderebbe del tutto superfluo l'esame
delle ulteriori censure contenute nel ricorso. 
    2. Tuttavia, proprio con riguardo al settimo motivo  di  ricorso,
la difesa comunale, dapprima, ha sostenuto  la  tesi  della  perfetta
compatibilita' dell'art. 11 delle  N.d.A.  con  l'art.  40-bis  della
legge regionale n. 12 del 2005,  sulla  scorta  di  un  tentativo  di
interpretazione   della    disposizione    di    legge    in    senso
costituzionalmente conforme, e successivamente, in  via  subordinata,
ne ha eccepito l'incostituzionalita' per contrasto con vari  precetti
costituzionali, chiedendo a questo collegio di rimettere la questione
all'esame della Corte costituzionale. 
    3. Osserva il collegio come la tesi svolta in via principale  dal
comune  non  possa   condividersi.   Le   due   regolamentazioni   si
riferiscono,  infatti,  alla  medesima   fattispecie   dettando   una
disciplina  in  tema  di  immobili  abbandonati  e  degradati  e,  in
particolare,  regole  volte  ad  incentivare  il  recupero  di   tali
immobili. Di conseguenza, sussiste una  sovrapposizione  tra  le  due
discipline che conferisce alla norma regionale il ruolo di  parametro
di legittimita' della  norma  regolamentare  dettata  dal  Comune  di
Milano. 
    Inoltre, l'impossibilita' di  procedere  ad  una  interpretazione
dell'art. 40-bis della legge regionale n. 12 del  2005,  in  modo  da
salvaguardare anche il disposto  di  cui  all'art.  11  delle  N.d.A.
comunali  risulta  evidente,  emergendo   l'inconciliabilita'   delle
richiamate disposizioni gia' da  un  semplice  esame  testuale  delle
stesse, poiche' viene regolamentata, in maniera divergente oltre  che
contrastante,  la  medesima  fattispecie,  ossia  la  disciplina   da
riservare agli immobili abbandonati e degradati; difatti, (i) secondo
il citato art. 11 delle N.d.A.,  l'arco  temporale  per  l'avvio  dei
lavori di recupero degli immobili «abbandonati  e  degradati»  e'  di
diciotto mesi dalla loro  prima  individuazione,  a  prescindere  dal
momento in cui si e' ottenuto il titolo abilitativo, mentre il  comma
4 dell'art. 40-bis della legge regionale n. 12 del 2005, fissa in tre
anni il termine entro cui presentare la  richiesta  di  rilascio  del
titolo edilizio o gli atti equipollenti (S.c.i.a. o C.i.l.a.)  oppure
«l'istanza preliminare funzionale all'ottenimento dei medesimi titoli
edilizi» per procedere al recupero; (ii) l'art. 11 delle  N.d.A.  non
riconosce alcun incremento dei diritti  edificatori,  ma  al  massimo
consente l'integrale conservazione dell'immobile o  della  superficie
lorda (SL) esistente, mentre l'art. 40-bis, commi 5 e 6  della  legge
regionale attribuisce,  nella  fase  di  recupero  dell'immobile,  un
incremento pari al 20% dei diritti edificatori o, se maggiore,  della
superficie lorda esistente, cui si puo' aggiungere un  incremento  di
un ulteriore 5%; (iii) l'art. 11 delle N.d.A.,  in  caso  di  mancato
tempestivo  adeguamento  o  di  demolizione  d'ufficio,   attribuisce
l'Indice di edificabilita' territoriale  unico  pari  a  0,35  mq/mq,
mentre l'art. 40-bis, commi 8 e 9, della legge regionale riconosce la
superficie lorda esistente fino all'indice di edificabilita' previsto
dallo strumento urbanistico; (iv) l'art. 40-bis, comma 5 della  legge
regionale prevede l'esenzione, di regola, dall'eventuale  obbligo  di
reperimento di  aree  per  servizi  e  attrezzature  pubbliche  e  di
interesse pubblico o generale, mentre nulla e' previsto dall'art.  11
delle N.d.A. 
    In  conseguenza  dell'evidenziato  contrasto  e  della  correlata
recessivita'  della  normativa  pianificatoria  comunale  rispetto  a
quanto stabilito dalla legge  regionale,  deve  essere  esaminata  la
questione, eccepita in via  subordinata  dalla  difesa  comunale,  di
legittimita' costituzionale dell'art. 40-bis della legge regionale n.
12 del 2005: l'eventuale declaratoria  di  incostituzionalita'  della
norma regionale farebbe salva la disciplina  contenuta  nell'art.  11
delle N.d.A., la  cui  applicabilita'  alla  fattispecie  oggetto  di
scrutinio imporrebbe l'esame delle restanti censure  di  ricorso,  su
cui indubbiamente permarrebbe l'interesse della ricorrente;  in  caso
contrario,  ossia  di  mancato  accoglimento   della   questione   di
costituzionalita', dovrebbe pronunciarsi l'annullamento dell'art.  11
delle N.d.A., in ragione  della  riconducibilita'  della  fattispecie
oggetto di scrutinio allo spettro di  applicazione  dell'art.  40-bis
della legge regionale n. 12 del 2005. 
    4. In ossequio al disposto di  cui  all'art.  23,  secondo  comma
della legge n. 87 del 1953, e' indispensabile procedere alla verifica
della rilevanza della questione  di  costituzionalita'  nel  presente
giudizio e della sua non manifesta infondatezza. 
    5. Quanto alla rilevanza della questione, come  gia'  evidenziato
al precedente punto 3, si  osserva  che  l'art.  40-bis  della  legge
regionale n. 12 del 2005, ha ad oggetto la  disciplina  da  applicare
agli  immobili  abbandonati  e  degradati  (nella  cui  categoria  e'
ricompreso quello della ricorrente) e si  sovrappone,  determinandone
in astratto l'invalidita', alla regolamentazione  comunale  contenuta
nell'art. 11 delle N.d.A. del P.d.R. E' gia' stato sottolineato  come
la (eventuale) declaratoria di incostituzionalita'  dell'art.  40-bis
della legge regionale n. 12 del 2005,  determinerebbe  l'applicazione
alla fattispecie oggetto di  esame  dell'art.  11  delle  N.d.A.  del
P.d.R.;  a  tal  punto  lo   scrutinio   di   questo   tribunale   si
concentrerebbe sul citato art. 11  e  dal  suo  esito  dipenderebbero
l'accoglimento o la reiezione, totali o parziali, del gravame. 
    La  rilevanza  della  questione  di  costituzionalita'   tuttavia
trascende le  conseguenze  dirette  che  l'art.  40-bis  della  legge
regionale produce sull'art.  11  delle  N.d.A.  Difatti,  in  seguito
all'eventuale declaratoria di  incostituzionalita'  del  citato  art.
40-bis,  non  puo'  escludersi  che  si  possa   comunque   procedere
all'annullamento dell'art. 11 delle N.d.A. comunali in ragione  della
fondatezza, anche parziale, dei restanti motivi  di  ricorso;  appare
nondimeno evidente  che  un  tale  annullamento  produrrebbe  effetti
sensibilmente diversi rispetto  a  quelli  che  scaturirebbero  dalla
permanente vigenza dell'art. 40-bis della legge regionale n.  12  del
2005. In tale ultimo frangente, agli immobili abbandonati e degradati
- compreso quello della ricorrente -  si  applicherebbero  le  regole
contenute  nella  disposizione  regionale,   mentre,   in   caso   di
declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 40-bis,  l'annullamento
dell'art. 11 delle N.d.A. determinerebbe l'applicazione agli immobili
fatiscenti dei principi generali afferenti alla materia  edilizia  ed
urbanistica, riconoscendo ai  titolari  dei  diritti  sugli  immobili
abbandonati e degradati la facolta' di scegliere se procedere o  meno
alla loro riqualificazione  e  con  le  tempistiche  e  le  modalita'
ritenute piu' opportune dai predetti soggetti. 
    Anche  nella  prospettiva  comunale,  l'ipotesi  di  annullamento
dell'art. 11 delle N.d.A. per violazione dell'art. 40-bis della legge
regionale - ove non  dichiarato  incostituzionale  -  non  lascerebbe
all'ente  locale  alcuno  spazio  per  intervenire  con  un   proprio
regolamento sulla materia, se non per aspetti del tutto  marginali  e
secondari, vista la completezza e la  sostanziale  autoapplicabilita'
della richiamata previsione regionale («Le  disposizioni  di  cui  al
presente articolo, decorsi  i  termini  della  deliberazione  di  cui
sopra,  si  applicano  anche  agli  immobili  non  individuati  dalla
medesima,  per  i  quali  il  proprietario,  con  perizia  asseverata
giurata, certifichi oltre alla cessazione dell'attivita', documentata
anche mediante dichiarazione sostitutiva dell'atto  di  notorieta'  a
cura della proprieta' o del legale rappresentante, anche uno  o  piu'
degli  aspetti  sopra  elencati,  mediante  prova   documentale   e/o
fotografica»: comma  1  dell'art.  40-bis);  di  contro,  l'eventuale
declaratoria di  incostituzionalita'  dell'art.  40-bis  della  legge
regionale lascerebbe intatto il potere comunale  di  intervenire  per
disciplinare ex novo la materia, anche  laddove  fosse  integralmente
annullato da questo tribunale l'art. 11 delle  N.d.A.;  in  tal  modo
verrebbe,   comunque,   pienamente    salvaguardata    la    potesta'
pianificatoria comunale. 
    Da tanto  discende  la  rilevanza  nel  presente  giudizio  della
questione di costituzionalita' dell'art. 40-bis della legge regionale
n. 12 del  2005,  poiche'  anche  in  seguito  alla  declaratoria  di
illegittimita'   costituzionale   della   citata    norma    potrebbe
determinarsi l'annullamento dell'art. 11  delle  N.d.A.  del  P.d.R.,
sebbene con conseguenze molto differenti, per entrambe le  parti  del
giudizio, rispetto a quelle scaturenti in caso di permanente  vigenza
dell'art. 40-bis della legge regionale n. 12 del 2005. 
    6. A questo punto e' necessario procedere alla verifica della non
manifesta infondatezza  della  questione  di  costituzionalita',  che
nella specie appare certamente sussistente. 
    L'art. 11 delle Norme di attuazione (N.d.A.) del P.d.R. ai  primi
tre commi stabilisce che «1. Il recupero  di  edifici  abbandonati  e
degradati, che comportano pericolo  per  la  salute  e  la  sicurezza
urbana, situazioni  di  degrado  ambientale  e  sociale,  costituisce
attivita' di pubblica utilita' ed  interesse  generale,  perseguibile
secondo le modalita' di cui al presente articolo. 
    2. Le disposizioni del presente articolo si applicano a tutte  le
aree e gli edifici, indipendentemente dalla destinazione  funzionale,
individuati nella tavola R.10, aggiornata con determina dirigenziale,
con  periodicita'  annuale,  previa  comunicazione   di   avvio   del
procedimento  nei  confronti  degli   interessati.   Si   considerano
abbandonati gli edifici dismessi da piu' di un anno, che  determinano
pericolo per  la  sicurezza  o  per  la  salubrita'  o  l'incolumita'
pubblica o disagio per il decoro e la qualita' urbana o  in  presenza
di  amianto  o   di   altri   pericoli   chimici   per   la   salute.
L'individuazione degli  immobili  di  cui  al  presente  comma  sara'
comunicata periodicamente alla prefettura e alla questura. 
    3. Alla proprieta' degli edifici abbandonati  e  degradati  cosi'
come  individuati  dalla   tavola   R.10,   fatti   salvi   eventuali
procedimenti in corso  ad  esito  favorevole,  e'  data  facolta'  di
presentare proposta di piano attuativo o  idoneo  titolo  abilitativo
finalizzato al  recupero  dell'immobile;  i  lavori  dovranno  essere
avviati entro diciotto  mesi  dalla  loro  prima  individuazione.  In
alternativa e' fatto obbligo di  procedere  con  la  demolizione  del
manufatto: 
        a)  in  caso  di  demolizione  dell'edificio   esistente   su
iniziativa della  proprieta'  e'  riconosciuta  integralmente  la  SL
esistente. I diritti edificatori saranno annotati nel Registro  delle
cessioni dei diritti edificatori, con  possibilita'  di  utilizzo  in
loco o in altre pertinenze dirette per mezzo di perequazione, secondo
la normativa vigente; 
        b) in caso di mancata demolizione dell'edificio esistente  da
parte  della  proprieta',  fatto   salvo   l'esercizio   dei   poteri
sostitutivi da parte del  comune  finalizzati  alla  demolizione,  e'
riconosciuto l'Indice di edificabilita'  territoriale  unico  pari  a
0,35 mq/mq. 
    Le  relative  spese  sostenute  da   parte   dell'amministrazione
dovranno essere rimborsate dalla proprieta' o dai titolari di diritti
su  tali  beni.  Se  non  rimborsate  tali  spese  saranno   riscosse
coattivamente secondo normativa vigente. 
    Di quanto sopra verra'  inviata  comunicazione  alla  proprieta',
alla prefettura e alla questura. 
    In  caso  di  mancata  demolizione  sono  ammessi  esclusivamente
interventi  di  conservazione  degli  edifici   esistenti   fino   al
risanamento conservativo senza modifica della destinazione d'uso». 
    L'art. 40-bis della legge regionale della  Lombardia  n.  12  del
2005 (inserito dall'art. 4, comma 1, lettera a), legge  regionale  26
novembre 2019, n. 18) stabilisce: «1.  I  comuni,  con  deliberazione
consiliare, anche sulla base di segnalazioni motivate e  documentate,
individuano  entro  sei  mesi  dall'entrata  in  vigore  della  legge
regionale, recante "Misure di semplificazione e incentivazione per la
rigenerazione urbana e territoriale,  nonche'  per  il  recupero  del
patrimonio edilizio esistente. Modifiche ed integrazioni  alla  legge
regionale 11 marzo 2005, n. 12 (legge per il governo del  territorio)
e ad altre leggi regionali" gli immobili  di  qualsiasi  destinazione
d'uso, dismessi da oltre cinque anni, che causano criticita' per  uno
o piu' dei seguenti aspetti: salute,  sicurezza  idraulica,  problemi
strutturali che ne pregiudicano la sicurezza,  inquinamento,  degrado
ambientale  e  urbanistico-edilizio.  La  disciplina   del   presente
articolo si applica, anche senza la deliberazione di cui sopra,  agli
immobili gia' individuati dai comuni come degradati e abbandonati. Le
disposizioni di cui al presente articolo,  decorsi  i  termini  della
deliberazione di cui sopra, si  applicano  anche  agli  immobili  non
individuati dalla medesima, per i quali il proprietario, con  perizia
asseverata giurata, certifichi oltre alla cessazione  dell'attivita',
documentata anche mediante  dichiarazione  sostitutiva  dell'atto  di
notorieta' a cura della proprieta' o del legale rappresentante, anche
uno o piu' degli aspetti sopra elencati, mediante  prova  documentale
e/o fotografica. I comuni aventi popolazione  inferiore  a  ventimila
abitanti,  entro  sei  mesi  dall'entrata  in  vigore   della   legge
regionale, recante "Misure di semplificazione e incentivazione per la
rigenerazione urbana e territoriale,  nonche'  per  il  recupero  del
patrimonio edilizio esistente. Modifiche ed integrazioni  alla  legge
regionale 11 marzo 2005, n. 12 (legge per il governo del  territorio)
e ad altre leggi regionali",  mediante  deliberazione  del  consiglio
comunale possono individuare gli ambiti  del  proprio  territorio  ai
quali non si applicano le disposizioni di cui ai commi  5  e  10  del
presente  articolo,  in  relazione  a  motivate  ragioni  di   tutela
paesaggistica. 
    2. I comuni, prima delle deliberazioni di  cui  al  comma  1,  da
aggiornare annualmente, notificano ai sensi del codice  di  procedura
civile  ai  proprietari  degli  immobili  dismessi  e   che   causano
criticita' le ragioni dell'individuazione, di modo che questi,  entro
trenta  giorni  dal  ricevimento  di  detta  comunicazione,   possano
dimostrare, mediante prove documentali, l'assenza dei presupposti per
l'inserimento. 
    3. Le disposizioni del presente articolo non si applicano in ogni
caso: 
        a) agli immobili eseguiti in assenza di titolo abilitativo  o
in totale difformita' rispetto allo stesso titolo,  a  esclusione  di
quelli  per  i  quali  siano  stati  rilasciati  titoli  edilizi   in
sanatoria; 
        b) agli immobili  situati  in  aree  soggette  a  vincoli  di
inedificabilita' assoluta. 
    4. La richiesta di piano attuativo, la richiesta di  permesso  di
costruire,  la  segnalazione  certificata  di  inizio  attivita',  la
comunicazione di inizio lavori asseverata o l'istanza di  istruttoria
preliminare funzionale all'ottenimento dei  medesimi  titoli  edilizi
devono essere presentati entro tre anni  dalla  notifica  di  cui  al
comma 2. La deliberazione di  cui  al  comma  1  attesta  l'interesse
pubblico al recupero dell'immobile individuato,  anche  ai  fini  del
perfezionamento  dell'eventuale  procedimento  di  deroga  ai   sensi
dell'art. 40. 
    5. Gli interventi sugli immobili di cui al comma  1  usufruiscono
di  un  incremento  del  20%  dei   diritti   edificatori   derivanti
dall'applicazione dell'indice di edificabilita' massimo  previsto  o,
se maggiore di quest'ultimo, della superficie lorda esistente e  sono
inoltre esentati dall'eventuale obbligo di reperimento  di  aree  per
servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o  generale,
a eccezione di quelle  aree  da  reperire  all'interno  dei  comparti
edificatori o degli immobili  oggetto  del  presente  articolo,  gia'
puntualmente individuate all'interno degli strumenti urbanistici e da
quelle   dovute   ai   sensi   della   pianificazione    territoriale
sovraordinata. A tali interventi non si applicano gli incrementi  dei
diritti edificatori  di  cui  all'art.  11,  comma  5.  Nei  casi  di
demolizione l'incremento dei diritti edificatori del 20%  si  applica
per un periodo massimo di dieci anni  dalla  data  di  individuazione
dell'immobile quale dismesso. 
    6.  E'  riconosciuto  un  ulteriore  incremento  dell'indice   di
edificabilita' massimo previsto dal P.G.T. o rispetto alla superficie
lorda (SL)  esistente  del  5%  per  interventi  che  assicurino  una
superficie deimpermeabilizzata e  destinata  a  verde  non  inferiore
all'incremento  di  SL  realizzato,  nonche'   per   interventi   che
conseguano una diminuzione dell'impronta al suolo pari ad  almeno  il
10%. A tal fine possono essere utilizzate anche le superfici  situate
al di fuori del lotto  di  intervento,  nonche'  quelle  destinate  a
giardino  pensile,  cosi'  come  regolamentate  dalla  norma  UNI  n.
11235/2007. 
    7. Se il proprietario non provvede entro il  termine  di  cui  al
comma 4, non puo' piu' accedere ai benefici di cui ai commi 5 e  6  e
il  comune  lo  invita  a  presentare  una  proposta  di  riutilizzo,
assegnando un termine da definire in ragione della complessita' della
situazione riscontrata, e comunque non inferiore a mesi quattro e non
superiore a mesi dodici. 
    8. Decorso il termine di cui al comma 7 senza presentazione delle
richieste o dei titoli di cui al  comma  4,  il  comune  ingiunge  al
proprietario la demolizione dell'edificio o degli edifici interessati
o, in alternativa, i necessari interventi di recupero  e/o  messa  in
sicurezza  degli  immobili,  da  effettuarsi  entro   un   anno.   La
demolizione effettuata dalla proprieta' determina il  diritto  ad  un
quantitativo  di  diritti  edificatori  pari  alla  superficie  lorda
dell'edificio demolito fino all'indice di edificabilita' previsto per
l'area. I diritti edificatori  generati  dalla  demolizione  edilizia
possono sempre essere perequati e  confluiscono  nel  Registro  delle
cessioni dei diritti edificatori di cui all'art. 11, comma 4. 
    9. Decorso infruttuosamente il termine di  cui  al  comma  8,  il
comune provvede in via sostitutiva, con  obbligo  di  rimborso  delle
relative spese a carico della proprieta', cui e' riconosciuta  la  SL
esistente fino all'indice di edificabilita' previsto dallo  strumento
urbanistico. 
    10. Tutti gli interventi di rigenerazione degli immobili  di  cui
al  presente  articolo  sono  realizzati   in   deroga   alle   norme
quantitative, morfologiche,  sulle  tipologie  di  intervento,  sulle
distanze previste dagli  strumenti  urbanistici  comunali  vigenti  e
adottati e ai regolamenti edilizi, fatte salve  le  norme  statali  e
quelle sui requisiti igienico-sanitari. 
    11. Per gli  immobili  di  proprieta'  degli  enti  pubblici,  si
applicano le disposizioni di cui ai commi 5 e  6  a  condizione  che,
entro tre anni dalla individuazione di  cui  al  comma  1,  gli  enti
proprietari approvino il progetto di rigenerazione ovvero avviino  le
procedure per la messa all'asta, l'alienazione o il conferimento a un
Fondo. 
    11-bis. Gli interventi di cui al presente articolo riguardanti il
patrimonio edilizio soggetto a tutela culturale e paesaggistica  sono
attivati  previo  coinvolgimento  del  Ministero  per  i  beni  e  le
attivita'  culturali  e  per  il  turismo  e   nel   rispetto   delle
prescrizioni di tutela previste dal Piano paesaggistico regionale  ai
sensi del decreto legislativo n. 42/2004» (comma  aggiunto  dall'art.
13, comma 1, lettera b), legge regionale 9 giugno 2020, n. 13). 
    Tale disposizione regionale si rivela sostanzialmente completa ed
esaustiva con riguardo al trattamento  giuridico  da  riservare  agli
immobili abbandonati  e  degradati,  residuando  in  capo  ai  comuni
compiti meramente attuativi ed esecutivi, con una parziale  eccezione
per i comuni aventi popolazione inferiore  a  ventimila  abitanti,  i
quali,  per  motivate  ragioni  di  tutela   paesaggistica,   possono
individuare gli ambiti del proprio territorio a cui non  si  applica,
in  caso  di  riqualificazione,  l'incremento  del  20%  dei  diritti
edificatori e in relazione ai quali non si puo' derogare  alle  norme
quantitative, morfologiche, sulle tipologie  di  intervento  e  sulle
distanze. 
    7.  L'applicazione  della  disposizione  regionale   oggetto   di
scrutinio comprime in maniera eccessiva - con violazione degli  artt.
5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lettera  p),  terzo  e
sesto comma, e 118 della Costituzione -  la  potesta'  pianificatoria
comunale, in particolare dei  comuni  che  hanno  piu'  di  ventimila
abitanti (come il Comune di Milano), non consentendo a siffatti  enti
alcun intervento correttivo o derogatorio in  grado  di  valorizzare,
oltre alla propria autonomia pianificatoria,  anche  le  peculiarita'
dei singoli territori di cui  i  comuni  sono  la  piu'  immediata  e
diretta espressione. 
    La normativa  regionale  risulta  particolarmente  analitica  sia
nell'individuazione  dei  presupposti   di   operativita'   che   nel
procedimento da seguire  e  non  si  presta  ad  interpretazioni  che
salvaguardino il potere di pianificazione comunale e  l'interesse  ad
un assetto ordinato del territorio che  tale  pianificazione  mira  a
realizzare. La formulazione letterale della previsione e la  puntuale
regolamentazione dettata comportano, dunque, il fallimento in  radice
di ogni  tentativo  di  interpretazione  costituzionalmente  conforme
atteso che la normativa non lascia spazi per poter «adeguare» in  via
interpretativa  il  dettato  di  legge  alle   superiori   previsioni
costituzionali (cfr. Corte costituzionale, sentenza  n.  218  del  10
ottobre 2020, punto 2.2 del diritto, che richiama le sentenze n.  204
e n. 95 del 2016). 
    Infatti, il legislatore  regionale  ha  imposto,  a  regime,  una
disciplina urbanistico-edilizia in ordine al recupero degli  immobili
fatiscenti  ingiustificatamente  rigida  e   uniforme,   operante   a
prescindere dalle decisioni  comunali  e  in  grado  di  produrre  un
impatto sulla pianificazione locale molto incisivo  e  potenzialmente
idoneo a stravolgere l'assetto del territorio, o di parti  importanti
dello stesso, in maniera  del  tutto  dissonante  rispetto  a  quanto
stabilito nello strumento urbanistico generale.  A  ben  vedere,  pur
essendo rimessa ordinariamente al consiglio comunale l'individuazione
degli immobili abbandonati e degradati,  e'  comunque  consentito  al
proprietario di  un  immobile  versante  nelle  predette  condizioni,
indipendentemente dall'inserimento dello stesso  nell'elenco  formato
dal comune, di certificare con perizia asseverata giurata, oltre alla
cessazione dell'attivita', anche la sussistenza dei  presupposti  per
beneficiare del regime di favore di cui all'art.  40-bis.  Il  comune
quindi non ha la  facolta'  di  selezionare,  discrezionalmente,  gli
immobili  da  recuperare,  in  quanto  l'applicazione   della   norma
regionale, in presenza dei richiesti presupposti fattuali,  ossia  di
immobili abbandonati e degradati, puo' avvenire anche su impulso  del
proprietario  del  manufatto.   L'assoluta   incertezza   in   ordine
all'impatto sul territorio di una tale previsione, sia da un punto di
vista quantitativo che qualitativo, impedisce al comune una  coerente
programmazione in ambito urbanistico,  rendendola  in  alcune  parti,
anche importanti, del tutto ineffettiva e ultronea. 
    Tuttavia pure nel caso in cui il comune  abbia  gia'  individuato
gli immobili da recuperare  -  come  nella  fattispecie  oggetto  del
presente contenzioso  -  si  deve  segnalare  che  il  riconoscimento
generalizzato e automatico di  un  indice  edificatorio  premiale  di
rilevante portata (da un minimo del  20%  ad  un  massimo  del  25%),
accompagnato dall'esenzione  dall'eventuale  obbligo  di  reperimento
degli standard, assume ugualmente un  rilievo  significativo  sia  in
quanto la  norma  regionale  si  applica  anche  agli  immobili  gia'
individuati come abbandonati e degradati dal comune prima  della  sua
entrata in vigore, sia perche' gli  interventi  di  recupero  vengono
ritenuti  ininfluenti  ai  fini  della  quantificazione  del   carico
urbanistico, senza alcuna considerazione per cio' che ne consegue. 
    L'applicazione  dell'art.  40-bis  anche   agli   immobili   gia'
individuati come abbandonati e degradati dal comune prima  della  sua
entrata in  vigore  -  oltre  che  a  quelli  segnalati  dai  privati
interessati   -   rappresenta   una   violazione    della    potesta'
pianificatoria comunale poiche' impone, in  via  non  temporanea,  un
regime  urbanistico-edilizio  che  prescinde  -  o   addirittura   si
discosta - dalle scelte  comunali  sottese  all'individuazione  degli
immobili fatiscenti o alla loro non inclusione  nell'elenco.  Venendo
al caso di specie, il Comune di Milano ha ricompreso l'immobile della
ricorrente nell'elenco di quelli abbandonati e degradati (allegato  3
del comune) con l'obiettivo di consentirne il recupero a condizioni -
indicate nell'art. 11 delle N.d.A. - e con un  impatto  sensibilmente
diversi  rispetto  a  quelli  previsti  nell'art.  40-bis.  La  legge
regionale  si   sovrappone,   tuttavia,   alla   decisione   comunale
perseguendo obiettivi ulteriori e, in parte, confliggenti con  quelli
dell'ente territoriale. 
    8. La  lesione  della  potesta'  pianificatoria  comunale  appare
evidente e soprattutto il sacrificio delle prerogative comunali cosi'
determinatosi risulta non proporzionato, con violazione del principio
di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, all'obiettivo
perseguito dalla legge regionale, pur meritorio nelle sue  finalita',
di favorire il  recupero  degli  immobili  abbandonati  e  degradati.
L'applicazione  dell'art.  40-bis  anche  agli  immobili   fatiscenti
individuati prima  della  sua  introduzione  -  come  pure  a  quelli
segnalati direttamente dai  privati  -  stravolge  la  pianificazione
territoriale del comune, il quale aveva  elaborato  e  introdotto  un
regime speciale per il recupero dei citati immobili, proprio  tenendo
in considerazione l'impatto degli interventi di riqualificazione  sul
tessuto urbano esistente.  Difatti,  un  conto  e'  riqualificare  un
immobile, conservandone la medesima  consistenza  (oppure  demolirlo,
consentendo il recupero della sola superficie lorda  esistente:  art.
11 delle N.d.A.), un altro conto e' riconoscere a titolo di beneficio
un indice edificatorio aggiuntivo, oscillante tra il 20%  e  il  25%,
cui si accompagna l'esenzione dall'eventuale obbligo  di  reperimento
degli standard. Tale ultima  disciplina  determina  un  considerevole
impatto  sull'assetto  pianificatorio  in  relazione   a   molteplici
aspetti: l'aumento del peso insediativo dell'immobile recuperato  non
risulta  bilanciato  dal  contestuale  reperimento   degli   standard
urbanistici e dalla realizzazione delle opere di urbanizzazione,  cui
consegue  altresi'  il  mancato  rispetto  dell'indice   edificatorio
comunale e delle prescrizioni regionali sulla riduzione  del  consumo
di suolo.  L'art.  40-bis,  comma  5,  esonera,  seppure  con  alcune
eccezioni,  dall'obbligo  di   individuare   aree   per   servizi   e
attrezzature pubbliche  e  di  interesse  pubblico  o  generale,  non
garantendo un corretto rapporto tra il  carico  urbanistico  gravante
sulla zona  interessata  dall'intervento  di  riqualificazione  e  le
corrispondenti dotazioni  pubbliche,  disattendendo  in  tal  modo  i
principi che presiedono ad  una  corretta  attivita'  pianificatoria.
Cio' risulta in violazione anche  della  normativa  statale  (decreto
ministeriale n. 1444 del 1968) che si pone quale principio in materia
di governo del territorio (art. 117, terzo comma della Costituzione),
in  relazione  al  livello  minimo  di  standard  che  devono  essere
garantiti sul territorio comunale. 
    9. La  norma  appare  altresi'  irragionevole  -  con  violazione
dell'art. 3 della Costituzione, sotto altro profilo - nella parte  in
cui non si rapporta ai principi contenuti in altre norme della stessa
legge regionale n. 12  del  2005  (in  specie  quelli  riferiti  alla
riduzione del consumo di suolo: cfr. art. 1, comma 3-bis, e art.  19,
comma 2, lettera b-bis) e  della  legge  regionale  n.  31  del  2014
(«Disposizioni  per  la  riduzione  del  consumo  di   suolo   e   la
riqualificazione del suolo  degradato»),  poiche'  la  riduzione  del
consumo di suolo rappresenta un obiettivo prioritario e  qualificante
della pianificazione territoriale regionale, orientata ad un  modello
di sviluppo territoriale sostenibile (proprio  con  riferimento  alla
Regione Lombardia, cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 179 del  16
luglio  2019,  punto  12.1  del  diritto);  sebbene  l'attivita'   di
riqualificazione e  recupero  di  immobili  abbandonati  e  degradati
rientri nell'attivita' di rigenerazione urbana, la  stessa  non  puo'
porsi come indifferente rispetto agli obiettivi  di  limitazione  del
consumo del suolo libero, che  altrimenti  risulterebbero  del  tutto
recessivi rispetto a  quelli  di  recupero  del  patrimonio  edilizio
esistente dismesso e non utilizzabile.  Il  mancato  bilanciamento  e
contemperamento  tra  i   due   obiettivi   rende   irragionevole   e
contraddittoria la normativa regionale sulla  riqualificazione  degli
immobili degradati dismessi. La Corte costituzionale  ha  gia'  avuto
modo di evidenziare, con riguardo all'art. 5, comma  4  della  citata
legge regionale n. 31 del 2014 (contenente, in origine, un divieto di
ius variandi in relazione ai contenuti edificatori del  documento  di
piano per un tempo  indefinito),  una  intrinseca  contraddittorieta'
nella «rigidita' insita nella norma censurata (...) tale da  incidere
in modo non proporzionato sull'autonomia dell'ente locale,  non  solo
perche' impedisce la rivalutazione  delle  esigenze  urbanistiche  in
precedenza espresse (...), ma soprattutto perche', al  tempo  stesso,
la preclude quando questa sia rivolta alla  protezione  degli  stessi
interessi generali sottostanti alle finalita' di  fondo  della  legge
regionale  e  quindi  coerenti  con  queste»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 179 del 16 luglio 2019, punto 12.6 del diritto). 
    10. Inoltre viene lesa anche la funzione amministrativa  comunale
in ambito urbanistico, in quanto l'art. 40-bis, quale norma che opera
a regime, contiene una disciplina puntuale e specifica  con  riguardo
agli interventi di recupero del patrimonio edilizio dismesso presenti
nel territorio comunale, che non lascia alcuno spazio  di  intervento
significativo all'attivita' pianificatoria comunale, pure qualificata
quale funzione fondamentale ai sensi dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera p)  della  Costituzione;  difatti,  la  previsione  di  premi
volumetrici in misura fissa e prestabilita, accompagnata da ulteriori
importanti  deroghe  alla  disciplina   urbanistica-edilizia,   quali
l'esenzione  dall'obbligo  di  conferimento  dello  standard  e   dal
rispetto delle norme quantitative, morfologiche, sulle  tipologie  di
intervento e delle  distanze  previste  dallo  strumento  urbanistico
locale, non soltanto impedisce al comune  qualsiasi  possibilita'  di
autonoma  scelta  in  sede  di   pianificazione   generale,   ma   e'
potenzialmente idonea a stravolgerla in  ampi  settori,  alterando  i
rapporti tra  il  carico  urbanistico  e  le  dotazioni  pubbliche  e
private. Cio' assume un maggiore  rilievo  in  un  Comune,  quale  e'
Milano, in cui e' stato  introdotto  il  principio  dell'indifferenza
funzionale, ossia una liberta' di scelta delle funzioni da  insediare
in tutti i  tessuti  urbani  senza  alcuna  esclusione  e  senza  una
distinzione ed un rapporto percentuale predefinito. 
    Tali  considerazioni  trovano  riscontro  anche   nella   recente
giurisprudenza della Corte  costituzionale,  che  ha  ricordato  come
«nell'attuazione del nuovo titolo V della Costituzione, il  punto  di
sintesi  e'  stato  fissato  dal  legislatore  statale   tramite   la
disposizione per cui "sono funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera p) della Costituzione: [...] d)
la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale  nonche'
la  partecipazione  alla  pianificazione  territoriale   di   livello
sovracomunale", ma "[f]erme restando le funzioni di programmazione  e
di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie  di  cui
all'art. 117, commi terzo e quarto della Costituzione, e le  funzioni
esercitate ai sensi dell'art. 118 della Costituzione" (art. 14, comma
27 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante  "Misure  urgenti
in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di   competitivita'
economica", convertito, con  modificazioni,  nella  legge  30  luglio
2010, n. 122, come sostituito dall'art. 19, comma 1, lettera  a)  del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante "Disposizioni urgenti per
la revisione della spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi  ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario", convertito, con modificazioni, nella  legge  7
agosto 2012, n. 135). Il "sistema della pianificazione", che  assegna
in modo preminente ai  comuni,  quali  enti  locali  piu'  vicini  al
territorio,  la  valutazione  generale  degli   interessi   coinvolti
nell'attivita'  urbanistica  ed  edilizia,  non  assurge,  dunque,  a
principio  cosi'  assoluto  e  stringente  da  impedire  alla   legge
regionale - fonte normativa primaria,  sovraordinata  agli  strumenti
urbanistici locali - di prevedere interventi in deroga [che  tuttavia
devono essere] quantitativamente,  qualitativamente  e  temporalmente
circoscritti (sentenze n. 245 del 2018 e  n.  46  del  2014)»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 119 del 23 giugno  2020,  punto  7.1  del
diritto). 
    Quindi, sebbene non possa escludersi a priori e in  via  astratta
la  legittimita'  dell'intervento  del  legislatore   regionale,   e'
necessario che quest'ultimo persegua esigenze  generali  che  possano
ragionevolmente giustificare disposizioni limitative  delle  funzioni
gia' assegnate agli enti locali, anche nel rispetto del principio  di
sussidiarieta' verticale, sancito nell'art. 118  della  Costituzione:
«si  deve  verificare  nell'ambito  della   funzione   pianificatoria
riconosciuta come funzione fondamentale dei comuni, "quanto la  legge
regionale toglie all'autonomia comunale e quanto di  questa  residua,
in nome di quali interessi sovracomunali  attua  questa  sottrazione,
quali compensazioni procedurali essa  prevede  e  per  quale  periodo
temporale la dispone", inteso che "[i]l giudizio di  proporzionalita'
deve percio' svolgersi,  dapprima,  in  astratto  sulla  legittimita'
dello scopo perseguito dal legislatore regionale e quindi in concreto
con  riguardo  alla  necessita',  alla  adeguatezza  e  al   corretto
bilanciamento degli interessi coinvolti" (sentenza n. 179 del  2019).
Proprio  tale  giudizio,  cosi'  dinamicamente  inteso,  consente  di
verificare se, per effetto  di  una  normativa  regionale  rientrante
nella materia del governo del territorio, come quella sub iudice, non
venga menomato il nucleo delle funzioni  fondamentali  attribuite  ai
comuni all'interno  del  "sistema  della  pianificazione",  cosi'  da
salvaguardarne la portata anche rispetto al  principio  autonomistico
ricavabile dall'art. 5  della  Costituzione»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 119 del 23 giugno 2020, punto 7.1 del diritto). 
    Nella specie, nessuna «riserva di tutela» e'  stata  riconosciuta
al comune,  consentendogli  di  sottrarsi,  per  an  o  per  quomodo,
all'applicazione della normativa derogatoria oggetto di scrutinio,  e
neppure e' stato previsto il ricorso  ad  una  fase  di  cooperazione
finalizzata  al  coordinamento  degli  strumenti  di   pianificazione
incidenti sul governo del territorio. In tal senso appare  pertinente
il riferimento al precedente della Corte costituzionale  sulla  legge
regionale del Veneto relativa al Piano casa, in cui si  e'  affermato
«che, nel consentire interventi in deroga agli strumenti  urbanistici
o  ai  regolamenti  locali,  il  legislatore  regionale  veneto,   in
attuazione dell'intesa sancita tra Stato, regioni ed enti  locali  in
sede di Conferenza unificata il  1°  aprile  2009,  ha  compiuto  una
ponderazione degli interessi pubblici coinvolti,  attraverso  sia  la
limitazione dell'entita' degli interventi ammessi,  sia  l'esclusione
di  alcune  componenti  del  patrimonio   edilizio   dall'ambito   di
operativita' della legge regionale censurata e delle disposizioni  di
deroga. E cio' ha fatto consentendo, altresi', ai comuni,  nella  sua
prima applicazione, di sottrarre i propri strumenti urbanistici  e  i
propri  regolamenti  all'operativita'  delle  deroghe  ammesse  dalla
medesima legge regionale» (Corte costituzionale, sentenza n. 119  del
23 giugno 2020, punto 7.2 del diritto). 
    Del resto, il modus procedendi  da  ultimo  richiamato  e'  stato
seguito dalla stessa Regione  Lombardia,  che  attraverso  l'art.  5,
comma 6 della legge regionale n. 12 del 2009 (Piano casa) - sul punto
ripreso dall'art. 3, comma 4 della legge  regionale  n.  4  del  2012
(Nuovo piano casa) - ha previsto che «entro il termine perentorio del
15  ottobre  2009  i  comuni,  con  motivata  deliberazione,  possono
individuare parti del proprio territorio nelle quali le  disposizioni
indicate nell'art. 6  non  trovano  applicazione,  in  ragione  delle
speciali   peculiarita'   storiche,    paesaggistico-ambientali    ed
urbanistiche delle medesime, compresa l'eventuale salvaguardia  delle
cortine edilizie esistenti, nonche'  fornire  prescrizioni  circa  le
modalita' di applicazione della presente legge con  riferimento  alla
necessita' di reperimento di spazi per parcheggi  pertinenziali  e  a
verde». 
    Ugualmente,  la  salvaguardia  delle  prerogative  pianificatorie
comunali e'  riscontrabile  altresi'  nella  normativa  regionale  in
materia di recupero ai fini  abitativi  dei  sottotetti  esistenti  -
artt. 63-65 della legge regionale della Lombardia n. 12  del  2005  -
dove  si  prevede  la  possibilita'  per  il  comune   di   escludere
dall'applicazione sul proprio territorio del regime  ivi  contemplato
[art. 65 - Ambiti di esclusione - «1. Le  disposizioni  del  presente
capo non si applicano negli ambiti territoriali per i quali i comuni,
con  motivata  deliberazione  del  consiglio  comunale,  ne   abbiano
disposta l'esclusione, in applicazione dell'art.  1,  comma  7  della
legge regionale 15 luglio 1996, n. 15 (Recupero ai fini abitativi dei
sottotetti esistenti). 
    1-bis. Fermo restando quanto disposto dal comma 1, i comuni,  con
motivata deliberazione, possono ulteriormente  disporre  l'esclusione
di parti del territorio comunale, nonche' di determinate tipologie di
edifici o di intervento,  dall'applicazione  delle  disposizioni  del
presente capo. 
    1-ter. Con il medesimo provvedimento di cui  al  comma  1-bis,  i
comuni possono, altresi', individuare ambiti territoriali  nei  quali
gli interventi di recupero ai fini abitativi dei sottotetti, se volti
alla realizzazione di nuove unita' immobiliari, sono, in  ogni  caso,
subordinati  all'obbligo  di  reperimento  di  spazi  per   parcheggi
pertinenziali nella misura prevista dall'art. 64, comma 3. 
    1-quater. Le determinazioni assunte nelle deliberazioni  comunali
di cui ai commi 1, 1-bis e 1-ter  hanno  efficacia  non  inferiore  a
cinque anni e comunque fino  all'approvazione  dei  P.G.T.  ai  sensi
dell'art. 26, commi 2 e 3. Il piano delle regole individua  le  parti
del  territorio  comunale  nonche'  le  tipologie  di  edifici  o  di
intervento escluse dall'applicazione delle disposizioni del  presente
capo. 
    1-quinquies. In  sede  di  redazione  del  P.G.T.,  i  volumi  di
sottotetto recuperati ai fini abitativi in applicazione  della  legge
regionale n. 15/1996, ovvero delle disposizioni  del  presente  capo,
sono computati ai sensi dell'art. 10, comma 3, lettera b»]. 
    Dai richiamati esempi emerge come, in alcuni frangenti, lo stesso
legislatore regionale lombardo  si  e'  dimostrato  rispettoso  delle
prerogative  pianificatorie   comunali,   pur   non   rinunciando   a
disciplinare la materia del  governo  del  territorio  nell'esercizio
delle proprie attribuzioni. 
    Diversamente, in presenza di prescrizioni di  durata  indefinita,
in carenza di  profili  interlocutivi  e  nell'assolutezza,  finanche
contraddittoria con gli obiettivi posti in sede regionale, risultanti
dalla disciplina contenuta nell'art. 40-bis della legge regionale  n.
12 del 2005, non puo' ritenersi superato,  «ai  sensi  del  legittimo
esercizio del principio  di  sussidiarieta'  verticale,  il  test  di
proporzionalita' con riguardo all'adeguatezza e  necessarieta'  della
limitazione imposta all'autonomia comunale in merito a  una  funzione
amministrativa  che  il  legislatore  statale  ha  individuato   come
connotato   fondamentale   dell'autonomia   comunale»   (cfr.   Corte
costituzionale, sentenza n. 179 del 16 luglio 2019,  punto  12.7  del
diritto). 
    11.  L'art.  40-bis  sembra  porsi  in  contrasto  anche  con  il
principio espresso dall'art. 3-bis del decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001, secondo il quale la  riqualificazione  di
un  determinato  contesto   puo'   avvenire   attraverso   forme   di
compensazione incidenti sull'area interessata, tuttavia senza aumento
della superficie coperta: al  contrario  l'art.  40-bis  della  legge
regionale  prevede  un  premio  del  20%  della   superficie   lorda,
aumentabile fino al  25%  al  ricorrere  di  determinate  condizioni.
Sebbene l'art. 103, comma 1 della legge regionale  n.  12  del  2005,
abbia escluso una diretta applicazione nella Regione Lombardia  della
disciplina di dettaglio prevista, tra l'altro,  dall'art.  3-bis  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, comunque  e'
stata fatta salva l'applicazione dei principi contenuti nella  citata
disposizione statale, al cui novero certamente appartiene il  divieto
di  consentire  un  aumento  della  superficie  coperta  in  sede  di
riqualificazione di un immobile; deve ricomprendersi  difatti  tra  i
principi statali in materia di governo del territorio  la  previsione
secondo la quale  un  incentivo  per  recuperare  un  bene  non  puo'
spingersi fino al punto di compromettere la tutela di un altro  bene,
di almeno pari rango,  qual  e'  quello  legato  alla  riduzione  del
consumo di suolo, peraltro fatto  proprio  dallo  stesso  legislatore
regionale. 
    12. Infine, l'art. 40-bis della legge regionale n. 12  del  2005,
appare  in  contrasto  anche  con  i  principi   di   uguaglianza   e
imparzialita' dell'amministrazione discendenti dagli  artt.  3  e  97
della Costituzione, visto che  riconosce  delle  premialita'  per  la
riqualificazione di  immobili  abbandonati  e  degradati  (anche)  in
favore di soggetti che non hanno provveduto  a  mantenerli  in  buono
stato e che hanno favorito l'insorgere di  situazioni  di  degrado  e
pericolo, a differenza dei  proprietari  diligenti  che  hanno  fatto
fronte agli  oneri  e  ai  doveri  conseguenti  al  loro  diritto  di
proprieta', ma che proprio per  questo  non  possono  beneficiare  di
alcun vantaggio in caso di intervento sul proprio immobile. La  norma
regionale, quindi, incentiva in maniera assolutamente discriminatoria
e irragionevole situazioni di abbandono e di degrado, da cui discende
la possibilita' di ottenere premi volumetrici e norme urbanistiche ed
edificatorie piu' favorevoli rispetto a quelle ordinarie. 
    13. In conclusione, il giudizio deve essere sospeso  e  gli  atti
vanno trasmessi alla Corte costituzionale in quanto risulta rilevante
e non manifestamente  infondata  la  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 40-bis della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005
(inserito dall'art. 4,  comma  1,  lettera  a),  legge  regionale  26
novembre 2019, n. 18), recante «Disposizioni relative  al  patrimonio
edilizio dismesso con criticita'», per violazione degli artt.  3,  5,
97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lettera p), terzo e sesto
comma, e  118  della  Costituzione,  secondo  quanto  specificato  in
precedenza. 
    14. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e  sulle  spese
resta riservata alla decisione definitiva. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale per la  Lombardia,  Sezione
Seconda, non definitivamente pronunciando: 
        a) dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 40-bis della legge
regionale della Lombardia n. 12 del 2005 (inserito dall'art. 4, comma
1, lettera a), legge regionale 26  novembre  2019,  n.  18),  recante
«Disposizioni  relative   al   patrimonio   edilizio   dismesso   con
criticita'», per violazione degli artt. 3, 5, 97, 114, secondo comma,
117, secondo comma, lettera p), terzo e  sesto  comma,  e  118  della
Costituzione; 
        b) dispone la sospensione del presente giudizio; 
        c) ordina la immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale; 
        d) ordina che, a cura  della  Segreteria  della  Sezione,  la
presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente
della Giunta regionale della Lombardia e comunicata al Presidente del
Consiglio regionale della Lombardia; 
        e)  riserva  alla   decisione   definitiva   ogni   ulteriore
statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese. 
    Cosi' deciso in Milano nella camera di consiglio del  22  gennaio
2021, tenutasi mediante collegamento da  remoto  in  videoconferenza,
secondo quanto disposto dall'art. 25 del  decreto-legge  n.  137  del
2020, convertito in legge n.  176  del  2020,  con  l'intervento  dei
magistrati: 
        Italo Caso, Presidente; 
        Antonio De Vita, consigliere, estensore; 
        Lorenzo Cordi', referendario. 
 
                         Il Presidente: Caso 
 
 
                                                 L'estensore: De Vita