N. 53 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio 2021

Ordinanza  del  16  febbraio  2021  del  Tribunale   di   Lecce   nel
procedimento civile promosso da Evangelio Valter Salvatore c/Dussmann
Service S.r.l.. 
 
Lavoro e occupazione - Procedura selettiva  finalizzata  ad  assumere
  alle dipendenze dello Stato, a decorrere  dal  1°  marzo  2020,  il
  personale impegnato per almeno dieci anni, anche non  continuativi,
  purche'  includano  il  2018  e  il  2019,  presso  le  istituzioni
  scolastiche ed educative statali, per lo svolgimento dei servizi di
  pulizia  e  ausiliari,  in   qualita'   di   dipendente   a   tempo
  indeterminato di imprese titolari di contratti per  lo  svolgimento
  dei predetti servizi - Mancata previsione  dell'esclusione,  per  i
  lavoratori che abbiano partecipato alla  selezione  e  siano  stati
  assunti  dal  Ministero  dell'istruzione,  dell'applicazione  della
  disciplina relativa ai licenziamenti collettivi e della risoluzione
  di diritto del rapporto di  lavoro  con  le  imprese  titolari  dei
  relativi appalti di  servizi  contestualmente  all'assunzione  alle
  dipendenze dello Stato. 
- Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni  urgenti  per  il
  rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, nella legge
  9 agosto 2013, n. 98, art. 58, commi 5-bis, 5-ter  e  5-quater,  in
  combinato disposto con gli articoli 5, comma 3, e 24 della legge 23
  luglio 1991, n.  223  (Norme  in  materia  di  cassa  integrazione,
  mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione  di  direttive
  della Comunita' europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni
  in materia di mercato del lavoro) e con  l'art.  18,  primo  comma,
  della legge 20 maggio  1970,  n.  300  (Norme  sulla  tutela  della
  liberta' e dignita' dei  lavoratori,  della  liberta'  sindacale  e
  dell'attivita'  sindacale  nei  luoghi  di  lavoro  e   norme   sul
  collocamento). 
(GU n.18 del 5-5-2021 )
 
                          TRIBUNALE DI LECCE 
                           sezione lavoro 
 
          Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale 
 
    Nella controversia tra Evangelio Valter Salvatore,  rappresentato
e  difeso  dall'avv.  S.  Serafino   e   Dussmann   Service   S.r.l.,
rappresentata e difesa dagli avvocati M. F. Cavaliere, I. M. Signore,
F. Moizo. 
    A scioglimento della riserva assunta in  data  26  gennaio  2021,
questo  giudice  ha  rilevato  la  presenza  di  una   questione   di
legittimita'  costituzionale   dirimente   rispetto   all'esito   del
giudizio. 
    Si premette che, data la complessita' della fattispecie e per una
migliore lettura dell'ordinanza, si ritiene di suddividere la  stessa
in paragrafi riguardanti le domande di parte ricorrente, le difese ed
eccezioni del resistente, la normativa applicabile al caso di specie,
la rilevanza della questione, la  non  manifesta  infondatezza  della
stessa e le conclusioni con l'intervento che questo giudice chiede  a
codesta Ecc.ma Corte. 
    Si  indica  parimenti  -  essendo  circostanze  pacifiche  e  non
contestate - che  il  datore  di  lavoro  impiega  piu'  di  quindici
dipendenti, che il lavoratore e' stato assunto prima dell'entrata  in
vigore del decreto  legislativo  n.  23/2015,  che  i  dipendenti  da
licenziare - in virtu' della nota del 1° ottobre 2019 - integrano  il
requisito per l'applicazione  della  legge  n.  223/1991,  che  parte
ricorrente ha indicato i dipendenti  nella  medesima  situazione  del
ricorrente (circa 65; cfr. pg. 11 e 12  ricorso)  e  ha  indicato  in
ricorso  il  numero  di  dipendenti   dimessisi   a   seguito   della
riorganizzazione di Dussmann Service S.r.l. (d'ora in poi anche  solo
Dussmann) legata all'internalizzazione del servizio di pulizia  nelle
scuole ex legge n. 145/2018. 
    Non e' contestato  che  il  ricorrente  avesse  i  requisiti  per
partecipare alla selezione riservata, che la  abbia  superata  e  sia
stato assunto dal Ministero il 2 marzo 2020. 
    Irrilevanti sono le vicende relative agli aumenti  di  orario  di
lavoro (l'assunzione originaria e'  stata  con  contratto  part-time)
successivi alle vicende relative alla  cessazione  del  rapporto  con
Dussmann (cfr. note di trattazione Dussmann). 
    In ultimo, si premette che e' correttamente individuato  il  rito
azionato (ex legge n. 92/2012) e  che  la  causa  non  necessita'  di
attivita'  istruttoria,  essendo   documentalmente   decidibile.   Si
conclude  precisando,  altresi',  che   alcune   delle   controversie
sottoposte all'attenzione di questa sezione  sono  state  oggetto  di
conciliazione ma ovviamente non la presente (e molte altre,  invero),
nell'ambito della quale alcuna intesa conciliativa e' stata raggiunta
(cfr. note di trattazione Dussmann). 
La domanda di parte ricorrente. 
    Parte ricorrente, nel presupposto di essere stato assunto  il  1°
marzo 2015 dalla resistente quale operaio livello del  CCNL  «imprese
di pulizie e servizi integrati/Multiservizi», ha svolto  le  mansioni
di «addetto alle pulizie quotidiane» ed ha operato  presso  l'appalto
«dei servizi di pulizia ed altri servizi  tesi  al  mantenimento  del
decoro  e  della  funzionalita'  degli  immobili  per  gli   istituti
scolastici  di  ogni  ordine  e  grado  della  Regione  Puglia»   con
destinazione presso il Comune di Vernole. 
    A seguito dell'entrata in vigore della legge 30 dicembre 2018, n.
145 (legge di bilancio di previsione per l'anno 2019)  il  ricorrente
ha successivamente partecipato alla selezione indetta ai sensi  della
citata legge n. 145 per l'assunzione alle  dipendenze  del  Ministero
presso il quale ha preso servizio a far  tempo  dal  1°  marzo  2020.
Contesta in fatto che il  datore  avrebbe  dapprima  iniziato  e  mai
concluso  la  procedura  per  licenziamento   collettivo;   che   con
comunicazione del 29 febbraio 2020 il rapporto  di  lavoro  e'  stato
sospeso unilateralmente dal datare di lavoro; che nel mese di  aprile
2020, con la ricezione della busta paga di marzo 2020, il  ricorrente
ha scoperto che il proprio rapporto di lavoro con  Dussrnann  Service
S.r.l. era stato cessato con decorrenza 25 marzo  2020  per  asserite
sue dimissioni, che pero' il lavoratore  dichiara  di  non  aver  mai
rassegnato. Dopodiche' - qualificato il provvedimento datoriale  come
licenziamento orale - lo ha nondimeno impugnato e  ha  rassegnato  le
conclusioni di seguito esposte (per completezza si fa presente che il
ricorrente ha affrontato  la  questione  sia  sotto  il  profilo  del
licenziamento  individuale  sia  sotto   quello   del   licenziamento
collettivo): 
    [1]  Per  le  ragioni  e  causali  tutte  esposte  in  narrativa,
accertare e dichiarare - previa  declaratoria  di  inefficacia  delle
dimissioni risultanti dal modello UNILAV di cessazione  del  rapporto
inviato  dalla  convenuta  agli  organi  competenti  in   quanto   il
ricorrente non le ha mai rese, ne' mai convalidate - nullo, invalido,
illegittimo e, in ogni caso,  inefficace  il  licenziamento  intimato
dalla societa' Dussmann Service S.r.l. al ricorrente  con  decorrenza
dal  25  marzo  2020,   per   inosservanza   della   forma   scritta.
Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art.  18,  commi  1  e  2,
legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente
ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge  n.
300 del 1970 - la convenuta Dussmann Service S.r.l., in  persona  del
suo legale rappresentante pro tempore, alla immediata  reintegrazione
del ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento
del danno dal medesimo subito  a  quantificarsi  in  misura  pari  ad
un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione  globale  di  fatto
maturata dal giorno del licenziamento  sino  a  quello  di  effettiva
reintegra,  e  comunque  non  inferiore  alla  misura  delle   cinque
mensilita'. Sempre per  l'effetto,  condannare  inoltre  la  societa'
convenuta, per il medesimo  periodo,  al  versamento  dei  contributi
previdenziali e assistenziali. 
    [2]  In  via  subordinata,  accertare  e  dichiarare   -   previa
declaratoria di inefficacia delle dimissioni risultanti  dal  modello
UNILAV di cessazione del rapporto inviato dalla convenuta agli organi
competenti in quanto il ricorrente  non  le  ha  mai  rese,  ne'  mai
convalidate  -  nullo,  invalido,  illegittimo  e,  in   ogni   caso,
inefficace il licenziamento irrogato dalla societa' Dussmann  Service
S.r.l. al  ricorrente  con  decorrenza  dal  25  marzo  2020,  stante
l'insussistenza di  un  valido  atto  interruttivo  del  rapporto  di
lavoro. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, commi 1 e
2, legge n. 300/1970 -  riconoscendo  ad  un  tempo  il  diritto  del
deducente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3,
legge n. 300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l., in persona  del  suo
legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione  del
ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento del
danno  dal  medesimo  subito  a  quantificarsi  in  misura  pari   ad
un'indennita' commisurato all'ultima retribuzione  globale  di  fatto
maturata dal giorno del licenziamento sino  a  quello  dell'effettiva
reintegra,  e  comunque  non  inferiore  alla  misura  delle   cinque
mensilita'. Sempre per  l'effetto,  condannare  inoltre  la  societa'
convenuta, per il medesimo  periodo,  al  versamento  dei  contributi
previdenziali e assistenziali. 
In  subordine:  quanto  al  licenziamento  per  giustificato   motivo
oggettivo. 
    [3] Accertare e dichiarare - previa declaratoria  di  sussistenza
dei presupposti per l'applicazione della  procedura  prevista  per  i
licenziamenti collettivi dagli articoli 4 e 24, legge n. 223 del 1991
- nullo, invalido,  illegittimo  e,  in  ogni  caso,  inefficace,  il
licenziamento intimato da Dussmann Service  S.r.l.  al  ricorrente  a
decorrere  dal  25   marzo   2020,   perche'   diretto   ad   eludere
l'applicazione della norma  imperativa  di  legge  sui  licenziamenti
collettivi. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, commi
1 e 2, legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo  il  diritto  del
deducente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3,
legge n. 300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l., in persona  del  suo
legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione  del
ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento del
danno  dal  medesimo  subito  a  quantificarsi.  in  misura  pari  ad
un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione  globale  di  fatto
maturata dal giorno del licenziamento sino  a  quello  dell'effettiva
reintegra  e  comunque  non  inferiore  alla  misura   delle   cinque
mensilita'. Sempre per  l'effetto,  condannare  inoltre  la  societa'
convenuta, per il medesimo  periodo,  al  versamento  dei  contributi
previdenziali e assistenziali. 
    [4] In via subordinata, accertare e dichiarare  nullo,  invalido,
illegittimo  e,  in  ogni  caso,  inefficace,  il  licenziamento  per
giustificato motivo oggettivo intimato da Dussmann Service S.r.l.  al
ricorrente a decorrere dal 25 marzo 2020, stante la vigenza,  ratione
temporis applicabile, dell'art. 46, decreto-legge 17 marzo  2020,  n.
18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.
Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art.  18,  commi  1  e  2,
legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente
ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge  n.
300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l., in  persona  del  suo  legale
rappresentante  pro  tempore,  alla  immediata   reintegrazione   del
ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento del
danno  dal  medesimo  subito  a  quantificarsi  in  misura  pari   ad
un'indennita' commiserata all'ultima retribuzione  globale  di  fatto
maturata dal giorno del licenziamento sino  a  quello  dell'effettiva
reintegra,  e  comunque  non  inferiore  alla  misura  delle   cinque
mensilita'. Sempre per  l'effetto,  condannare  inoltre  la  societa'
convenuta, per il medesimo  periodo,  al  versamento  dei  contributi
previdenziali e assistenziali. 
    [5] In  via  piu'  subordinata,  accertare  e  dichiarare  nullo,
invalido, illegittimo e, in ogni caso, inefficace,  il  licenziamento
intimato da Dussmann Service S.r.l. al ricorrente a decorrere dal  25
marzo 2020,  per  manifesta  insussistenza  del  giustificato  motivo
oggettivo. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18,  commi
4 e 7, legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo  il  diritto  del
ricorrente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art.  18,  comma
3, legge n. 300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l.,  in  persona  del
suo legale rappresentante pro tempore, alla immediata  reintegrazione
del ricorrente nel posto di lavoro occupato al momento dell'impugnato
licenziamento, ovvero in mansioni in ogni caso  equivalenti,  nonche'
al pagamento, in favore dell'istante,  di  un'indennita'  commisurata
alla retribuzione globale di fatto, oltre interessi e  rivalutazione,
dal di' del licenziamento sino all'effettiva  reintegrazione.  Sempre
per l'effetto, condannare  inoltre  la  societa'  convenuta,  per  il
medesimo  periodo,  al  versamento  dei  contributi  previdenziali  e
assistenziali. 
    [6] In via  piu'  subordinata,  nella  denegata  ipotesi  in  cui
codesto  On.le  Tribunale  non  dovesse  ravvisare  gli  estremi  per
l'immediata  reintegrazione,  comunque  dichiarare   illegittimo   il
licenziamento de quo e condannare Dussmann Service S.r.l., in persona
del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore del
ricorrente,  di  un'indennita'  risarcitoria  pari  a  24  mensilita'
dell'ultima retribuzione globale di  fatto  percepita,  ovvero  nella
misura  che  sara'  ritenuta  di   giustizia,   oltre   interessi   e
rivalutazione  dal  di'  del  licenziamento  e   sino   all'effettivo
soddisfo. 
    [7] In via del tutto subordinata, nella denegata ipotesi  in  cui
codesto  On.le  Tribunale  non  dovesse  ravvisare  gli  estremi  per
l'immediata reintegrazione,  accertata  la  violazione  dell'art.  7,
legge n. 604/1966, condannare la Dussmann Service S.r.l.,  n  persona
del suo legale rappresentante legale pro  tempore,  al  pagamento  in
favore del  ricorrente,  di  un'indennita'  risarcitoria  pari  a  12
mensilita'  dell'ultima  retribuzione  globale  di  fatto  percepita,
ovvero nella misura che sara' ritenuta di giustizia, oltre  interessi
e rivalutazione  dal  di'  del  licenziamento  e  sino  all'effettivo
soddisfo. 
In subordine: quanto al licenziamento collettivo. 
    [8] Accertare e dichiarare nullo,  invalido,  illegittimo  e,  in
ogni caso, inefficace, l'intimato  licenziamento  collettivo  del  25
marzo 2020 in quanto comminato al di fuori  della  procedura  di  cui
alla legge n. 223/1991 e, dunque, al di fuori delle regole di tutela.
Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art.  18,  commi  1  e  2,
legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente
ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge  n.
300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l., in  persona  del  suo  legale
rappresentante  pro  tempore,  alla  immediata   reintegrazione   del
ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento del
danno  dal  medesimo  subito  a  quantificarsi  in  misura  pari   ad
un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione  globale  di  fatto
maturata dal giorno del licenziamento sino  a  quello  dell'effettiva
reintegra,  e  comunque  non  inferiore  alla  misura  delle   cinque
mensilita'. Sempre per  l'effetto,  condannare  inoltre  la  societa'
convenuta, per il medesimo  periodo,  al  versamento  dei  contributi
previdenziali e assistenziali. 
    [9] In via subordinata, accertare e dichiarare  nullo,  invalido,
illegittimo e, in ogni caso, inefficace, i! licenziamento intimato da
Dussmann Service S.r.l. al ricorrente a decorrere dal 25 marzo  2020,
stante la totale omissione della comunicazione ai sensi  dell'art.  4
comma 9, legge n. 223 del 1991 e, dunque, in violazione  dei  criteri
di scelta. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18,  comma
4, legge n. 300/1970 -  riconoscendo  ad  un  tempo  il  diritto  del
deducente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3,
legge n. 300 del 1970 -  Dussmann  Service  S.r.l.,  in  persona  suo
legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione  del
ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento del
danno  dal  medesimo  subito  a  quantificarsi  in  misura  pari   ad
un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione  globale  di  fatto
maturata dal giorno del licenziamento sino  a  quello  dell'effettiva
reintegra, e comunque per un massimo di dodici mensilita'. Sempre per
l'effetto, condannare inoltre la societa' convenuta, per il  medesimo
periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. 
    [10] In via piu'  subordinata,  nella  denegata  ipotesi  in  cui
codesto  On.le  Tribunale  non  dovesse  ravvisare  gli  estremi  per
l'immediata  reintegrazione,  comunque  dichiarare   illegittimo   il
licenziamento de quo e condannare Dussmann Service S.r.l., in persona
del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore del
ricorrente,  di  un'indennita'  risarcitoria  pari  a  24  mensilita'
dell'ultima retribuzione globale di  fatto  percepita,  ovvero  nella
misura  che  sara'  ritenuta  di   giustizia,   oltre   interessi   e
rivalutazione  dal  di'  del  licenziamento  e   sino   all'effettivo
soddisfo. 
In subordine: quanto al licenziamento per giusta causa. 
    [11] Accertare e dichiarare nullo, invalido,  illegittimo  e,  in
ogni caso, inefficace, il licenziamento intimato da Dussmann  Service
S.r.l.  al  ricorrente  a  decorrere  dal  25  marzo   2020,   stante
l'insussistenza del fatto contestato e, dunque,  l'inesistenza  della
giusta causa e/o giustificato motivo. Conseguentemente condannare, ai
sensi dell'art. 18, comma 4, legge n. 300/1970 - riconoscendo  ad  un
tempo il diritto del deducente ad esercitare in ogni caso la facolta'
ex art. 18, comma 3, legge n. 300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l.,
in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla  immediata
reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro occupato al momento
dell'impugnato  licenziamento,  ovvero  in  mansioni  in  ogni   caso
equivalenti,  nonche'  al  pagamento,  in  favore  dell'istante,   di
un'indennita' commisurata alla retribuzione globale di  fatto,  oltre
interessi e rivalutazione. Sempre per l'effetto,  condannare  inoltre
la societa' convenuta, per il medesimo  periodo,  al  versamento  dei
contributi previdenziali e assistenziali. 
    [12] In via subordinata, accertare e dichiarare nullo,  invalido,
illegittimo e, in ogni caso, inefficace, il licenziamento intimato da
Dussmann Service S.r.l. al ricorrente a decorrere dal 25 marzo  2020,
per mancato rispetto delle garanzie procedimentali previste  dall'art
7 Stat. Lav. e, dunque, per assenza di giusta  causa  o  giustificato
motivo. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, comma  4,
legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente
ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge  n.
300 del 1970 - Dusmann Service S.r.l.,  in  persona  del  suo  legale
rappresentante  pro  tempore,  alla  immediata   reintegrazione   del
ricorrente nel posto di lavoro  occupato  al  momento  dell'impugnato
licenziamento, ovvero in mansioni in ogni caso  equivalenti,  nonche'
al pagamento, in favore dell'istante,  di  un'indennita'  commisurata
alla retribuzione globale di fatto, oltre interessi e  rivalutazione.
Sempre per l'effetto, condannare inoltre la societa'  convenuta,  per
il medesimo periodo, al versamento  dei  contributi  previdenziali  e
assistenziali. 
    [13] In via piu'  subordinata,  nella  denegata  ipotesi  in  cui
codesto On. le  Tribunale  non  dovesse  ravvisare  gli  estremi  per
l'immediata  reintegrazione,  comunque  dichiarare   illegittimo   il
licenziamento de qua e condannare Dussmann Service S.r.l., in persona
del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore del
ricorrente,  di  un'indennita'  risarcitoria  pari  a  24  mensilita'
dell'ultima retribuzione globale di  fatto  percepita,  ovvero  nella
misura  che  sara'  ritenuta  di   giustizia,   oltre   interessi   e
rivalutazione  dal  di'  del  licenziamento  e   sino   all'effettivo
soddisfo. [...]. 
Le difese di parte resistente. 
    Parte resistente, nel costituirsi,  ha  preliminarmente  eccepito
l'incompetenza territoriale del Tribunale di Lecce, essendo  la  sede
della societa' sita in Milano,  dovendo  ivi  ritenersi  concluso  il
contratto e  non  essendovi  alcuna  dipendenza  della  societa'  nel
circondario del Tribunale di Lecce. Nel merito della questione,  dopo
una sintesi degli  eventi  che  hanno  portato  alla  cessazione  del
rapporto  di  lavoro,  ha  fatto  presente  che  -  a  seguito  delle
comunicazioni inviate a tutti i dipendenti che non avevano rassegnato
le dimissioni - in conseguenza  della  loro  mancata  risposta  aveva
qualificato la stessa come manifestazione  di  dimissioni  volontarie
per fatto concludente (par. 61 memoria). 
    Pertanto,  eccepisce  l'insussistenza  di  un  licenziamento  del
ricorrente, la sussistenza di una risoluzione del rapporto di  lavoro
per comportamento concludente del lavoratore a  causa  della  stipula
del contratto con il MIUR; eccepisce altresi' - in caso di  eventuale
reintegra  -  l'incompatibilita'  del  rapporto  tra  Dussmann  e  il
Ministero. Chiede la condanna  per  lite  temeraria  del  ricorrente.
Ritiene in via principale che la sottoscrizione del contratto con  il
Ministero a seguito delle procedure di selezione ex art. 1, comma 670
legge n. 145/2018 -  abbia  concretizzato  una  forma  di  dimissioni
tacite da parte del ricorrente. 
La normativa applicabile. 
    Come sara' argomentato di seguito, le norme rilevanti nel caso di
specie sono l'art. 24, legge n. 223/1991 e l'art. 5,  comma  3  della
medesima legge che sanziona con le conseguenze dell'art. 18, comma 1,
legge n. 300/1970 la mancata adozione della forma scritta in caso  di
licenziamento collettivo. Viene in rilievo  ovviamente  anche  l'art.
58, commi da 5-bis a 5-quater, del decreto-legge 21 giugno  2013,  n.
69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n.  98,
per come modificato dall'art. 1, comma 760, legge n. 145/2018 (che ha
aggiunto i citati commi da 5-bis 5-quater) e dall'art. 2 comma 5  del
decreto-legge n. 129/2019 convertito in legge  n.  159/2019  (che  ha
differito dal 1° gennaio 2020 al  1°  marzo  2020  l'efficacia  della
norma). Si riporta di seguito il testo di questi commi: 
        «5-bis.  A  decorrere  dal  1°  marzo  2020,  le  istituzioni
scolastiche ed educative statali svolgono  i  servizi  di  pulizia  e
ausiliari  unicamente  mediante  ricorso   a   personale   dipendente
appartenente  al   profilo   dei   collaboratori   scolastici   e   i
corrispondenti posti accantonati ai sensi dell'art. 4 del regolamento
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009,  n.
119, sono resi nuovamente disponibili, in  misura  corrispondente  al
limite di spesa di cui al comma 5. Il1 predetto limite  di  spesa  e'
integrato, per l'acquisto dei materiali di pulizia, di 10 milioni  di
euro annui a decorrere dall'anno 2020. 
        5-ter. Il Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della
ricerca e' autorizzato ad avviare  un'apposita  procedura  selettiva,
per titoli e colloquio, finalizzata ad assumere alle dipendenze dello
Stato, a decorrere dal 1° gennaio 2020, il  personale  impegnato  per
almeno 10 anni, anche non continuativi, purche' includano il  2018  e
il 2019, presso le istituzioni scolastiche ed educative statali,  per
lo svolgimento di servizi di pulizia  e  ausiliari,  in  qualita'  di
dipendente a tempo indeterminato di imprese titolari di contratti per
lo svolgimento dei predetti servizi.  Alla  procedura  selettiva  non
puo' partecipare il personale di cui all'art.  1,  comma  622,  della
legge  27  dicembre  2017,  n.  205.   Con   decreto   del   Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con  i
Ministri del lavoro  e  delle  politiche  sociali,  per  la  pubblica
amministrazione e dell'economia e delle finanze, sono  determinati  i
requisiti per la partecipazione alla procedura selettiva, nonche'  le
relative modalita' di svolgimento e i termini  per  la  presentazione
delle domande. 
        5-quater. Nel limite di spesa di cui al comma,  5-bis,  primo
periodo, sono autorizzate assunzioni per la copertura dei posti  resi
nuovamente disponibili ai sensi del medesimo comma. Le assunzioni, da
effettuare  secondo  la  procedura  di  cui  al  comma  5-ter,   sono
autorizzate anche a tempo parziale. I  rapporti  instaurati  a  tempo
parziale non possono essere trasformati in rapporti  a  tempo  pieno,
ne' puo' esserne incrementato il numero di ore lavorative, se non  in
presenza di risorse certe e stabili.» 
    Come si evince, la normativa in tema di  «internalizzazione»  non
fornisce alcuna previsione rispetto alle sorti dei rapporti di lavoro
con la societa' appaltante una volta verificatasi  l'assunzione  alle
dipendenze del Ministero. Pertanto, si argomentera'  circa  il  fatto
che - all'esito dell'analisi sotto riportata - la normativa che viene
in rilievo nel caso di specie e' quella che sanziona il licenziamento
collettivo non  effettuato  per  iscritto  (in  virtu'  del  richiamo
all'art. 18, comma 1, legge n. 300/1970 effettuato dall'art. 5  comma
3, legge n. 221/1991). 
    Proprio tale esito interpretativo (dato  dal  combinato  disposto
delle norme sopra indicate), si pone quale unica soluzione  possibile
in assenza di un intervento di codesta Ecc.ma Corte. 
    Tuttavia, ad  avviso  di  questo  giudice,  questa  soluzione  si
presenta in contrasto con l'art., 3 Cost.,  sotto  il  profilo  della
violazione del principio di ragionevolezza, e con l'art. 41 Cost.  in
combinato disposto con l'art. 3 Cost. nella parte in  cui  impone  un
onere irragionevolmente  gravoso  alla  societa'  datrice  di  lavoro
privata rispetto agli esuberi (e solo rispetto ad essi) assorbiti dal
Ministero tramite procedura di internalizzazione ex art. 58, commi da
5-bis a 5-quater, decreto-legge n. 69/2013, convertito  in  legge  n.
98/2013 e successive modificazioni ed integrazioni. 
La rilevanza della questione. 
    In quanto eccezione idonea a  determinare  l'esito  in  rito  del
giudizio, va  premesso  che  non  sussiste  alcuna  incompetenza  del
Tribunale di Lecce. 
    Alle  pagine  30  e  31  della  memoria  di  parte,  la  societa'
resistente afferma che le  firme  dei  lavoratori  sui  contratti  di
assunzione sono state raccolte da un incaricato che - nell'ambito del
circondario di Lecce - le ha  poi  trasmesse  alla  sede  di  Milano.
Qualifica  costui  come  mero  nuncius  e   ritiene   tale   condotta
irrilevante ai fini della competenza. 
    Quanto sopra e' non corretto; infatti, Cassazione, n.  30536/2017
ha ritenuto che la  firma  raccolta  da  un  incaricato  dell'azienda
costituisse prova della conoscenza dell'accettazione e quindi potesse
intendersi radicata la competenza nel luogo ove la firma era apposta,
da intendersi quale luogo di conclusione del contratto. In tal  senso
anche Cassazione n. 25923/2014 (pronuncia richiamata  dalla  sentenza
sopra citata) ha affermato che: in tema di conclusione del contratto,
qualora  l'accettazione  sia  comunicata  da  un  nuncius,   non   e'
necessaria la materiale trasmissione della stessa al  proponente,  in
quanto, ai sensi dell'art. 1326, primo comma del codice  civile,  che
deroga all'art. 1335 del codice civile, il contratto si deve ritenere
ugualmente concluso quando,  pur  non  essendo  stata  l'accettazione
indirizzata al proponente, questi ne abbia avuto comunque conoscenza. 
    Nel caso di specie, e' la stessa  societa'  che  ammette  che  la
firma e' stata raccolta da un proprio incaricato e che lo  stesso  ha
spedito l'accettazione alla societa' e tale modalita' di raccolta  e'
confermata nelle note di  trattazione  dal  ricorrente.  Deve  quindi
ritenersi che non puo' parlarsi di mero nuncius in quanto trattasi di
soggetto incaricato della raccolta delle accettazioni dalla  societa'
stessa (fermo restando che Cassazione 25923/2014 - con giurisprudenza
cui si aderisce - ritiene che anche qualora  comunicata  ad  un  mero
nuncius l'accettazione sia validamente conosciuta dal prominente  nel
luogo e momento della comunicazione al nuncius). 
    Inoltre, la societa' fa presente  non  poter  essere  considerata
come dipendenza la scuola presso cui prestava servizio il  lavoratore
(sita  in  Vernole),  omettendo  di  considerare  che  il  luogo   di
stoccaggio dei materiali e degli strumenti di lavoro e'  di  per  se'
dipendenza. Ne' la societa' ha affermato e/o provato che i  materiali
di pulizia e i macchinari e gli strumenti venissero custoditi  al  di
fuori del circondario  del  Tribunale  di  Lecce.  Infatti,  ai  fini
dell'accoglimento  di  un'eccezione  di   incompetenza,   grava   sul
convenuto che  la  eccepisca  l'onere  di  contestare  specificamente
l'applicabilita' di ciascuno  dei  criteri  legali  che  radicano  la
competenza e di fornire la prova delle circostanze di fatto dedotte a
sostegno di tale contestazione (arg. ex Cassazione 17311/2018). 
    Inoltre, seguendo l'impostazione di Cassazione  298/2018,  si  e'
affermato che, in tema di eccezione di incompetenza per territorio ex
art. 428, codice di procedura civile, la giurisprudenza  e'  costante
nell'affermazione del principio  secondo  cui  l'eccezione  di  parte
convenuta, idonea ad impedire che la causa rimanga radicata presso il
giudice adito secondo il  criterio  del  foro  non  contestato,  deve
essere valutata non solo nella  sua  tempestivita',  ma  anche  sotto
l'aspetto della  completezza,  dovendo  la  contestazione  riguardare
tutti i  fori  speciali,  alternativamente  previsti  dall'art.  413,
codice di procedura civile (cfr. anche Cassazione 11 giugno 1996,  n.
5368; Cassazione 14 giugno 1996, n. 5452; Cassazione 28 agosto  1996,
n. 7903). 
    Pertanto, il principio di completezza dell'eccezione postula  che
- anche per l'eccezione di incompetenza  territoriale  nel  rito  del
lavoro - il resistente dia prova delle circostanze dedotte a sostegno
della contestazione. 
    Il resistente non ha dato prova di  dove  venissero  custoditi  i
materiali di pulizia e le attrezzature usate per il servizio,  che  -
per far  ritenere  fondata  l'eccezione  -  avrebbero  dovuto  essere
custoditi in un luogo al di fuori del circondario di Lecce.  Infatti,
il luogo di conservazione e custodia degli stessi si deve considerare
dipendenza dell'azienda. 
    Pertanto, l'incompletezza dell'eccezione - sotto il  profilo  del
mancato  assolvimento  dell'onere  della  prova  -   costituisce   un
ulteriore profilo di infondatezza della stessa. 
    In sostanza, la controversia e' correttamente radicata presso  il
Tribunale di Lecce. 
    Cio' detto, nel merito, vanno rigettate anche  le  eccezioni  del
resistente che vogliono qualificare la condotta del ricorrente  quale
dimissione tacita o risoluzione consensuale (o mutuo dissenso). 
    In primo luogo, sia le dimissioni sia le risoluzioni  consensuali
(a  prescindere  dal  nomen  iuris  attribuito)  sono  soggette  alla
disciplina ex art. 26, decreto legislativo n. 151/2015;  quest'ultima
risulta strutturata secondo un iter  (convalida  delle  dimissioni  e
delle risoluzioni consensuali) che nel caso  di  specie  non  risulta
seguito. Questo gia' di per  se'  sarebbe  dirimente  nel  senso  del
rigetto della argomentazione difensiva. Ne' va trascurato  che  alcun
comportamento  di  sorta  idoneo  a  configurare  la  cessazione  del
rapporto e' provato, non foss'altro che (come emerge dal documento 15
del fascicolo attoreo)  l'organizzazione  sindacale  di  appartenenza
dello stesso ricorrente (punto 21 del ricorso)  aveva  diffidato  dal
procedere con la sospensione unilaterale dei rapporti  e  si  ritiene
che sia valida  manifestazione  delle  ragioni  dell'aderente  quella
espressa dall'O.S. di appartenenza. 
    Ne' il passaggio ad altro datare di lavoro e' configurabile quale
atto di risoluzione tacita del rapporto. 
    In questo soccorre la giurisprudenza  in  tema  di  rapporto  tra
licenziamento  a  seguito  di  cambio  appalto  e  clausola   sociale
(richiamabile anche nel caso di  specie,  data  la  sovrapponibilita'
strutturale tra le due fattispecie). 
    Tra le piu'  recenti  pronunce  in  tal  senso  qui  si  richiama
Cassazione n. 2014/2020 secondo cui il passaggio  ad  altro  soggetto
non incide sul diritto del lavoratore di impugnare  il  licenziamento
intimatogli  per  ottenere  il   riconoscimento   della   continuita'
giuridica del rapporto originario. Ne' la scelta  effettuata  per  la
costituzione di un nuovo  rapporto  implica,  di  per  se',  rinuncia
all'impugnazione dell'atto di recesso, «dovendosi  escludere  che  si
possa  desumere  la  rinuncia  del   lavoratore   ad   impugnare   il
licenziamento o l'acquiescenza al medesimo  dal  reperimento  di  una
nuova occupazione, temporanea o definitiva, non rivelandosi, in  tale
scelta, in maniera univoca, ancorche' implicita, la sicura intenzione
del lavoratore di accettare l'atto risolutivo» (Cassazione  n.  12613
del 2007). Al  suddetto  principio  e'  stata  data  continuita'  con
recenti decisioni. E' stato,  invero,  sottolineato  che  «la  scelta
effettuata dal lavoratore per la costituzione di  un  nuovo  rapporto
con la societa' subentrante nell'appalto di servizi non  implica,  di
per se', rinuncia all'impugnazione dell'atto  di  recesso,  dovendosi
escludere che  si  possa  desumere  la  rinuncia  del  lavoratore  ad
impugnare  il  licenziamento  o  l'acquiescenza   al   medesimo   dal
reperimento di una nuova occupazione, temporanea  o  definitiva,  non
rivelandosi, in tale scelta, in maniera univoca, ancorche' implicita,
la sicura intenzione del lavoratore di accettare  l'atto  risolutivo.
Tale  principio  conserva  validita'  nel  caso  in  esame,   neppure
risultando circostanze fattuali ulteriori e significative  nel  senso
voluto dalla societa'» (Cassazione n. 22121 del  2016).  Inoltre,  e'
stata chiarita la distinzione tra le differenti situazioni  di  fatto
riferite  al  recesso  dell'originario  datore  di  lavoro  ed   alla
costituzione del nuovo rapporto di lavoro con l'impresa  subentrante.
«La  garanzia  del  passaggio  dal  datore   originario   all'impresa
subentrante, di natura contrattuale collettiva, mira ad assicurare la
stabilita' e  continuita'  dell'occupazione,  ma  lascia  distinti  i
rapporti lavorativi, (non a caso si definisce un rapporto ex novo con
l'impresa subentrante), sicche' non solo una regola contrattuale  non
potrebbe mai escludere la  tutela  legale  che  sanziona  il  recesso
illegittimo, ma neppure sarebbe invocabile  trattandosi  di  distinti
rapporti  contrattuali  rispetto  ai   quali   differenti   sono   le
obbligazioni e responsabilita' datoriali» (Cassazione  n.  29922  del
2018)». 
    I principi base espressi da tale orientamento giurisprudenziale -
consolidato e da valutarsi quale diritto vivente -  sono  applicabili
anche  al  caso  di  specie.  Perde  quindi  qualsiasi  rilevanza  la
giurisprudenza in materia di prova del licenziamento orale citata dal
resistente in memoria, cio' in quanto in atti (e per  come  si  dira'
oltre) vi e' ampia prova della ricostruzione della fattispecie  quale
licenziamento  orale  (essendo  proveniente  dal  datore  di   lavoro
l'indicazione della cessazione del rapporto  di  lavoro,  qualificata
dallo stesso  datore  come  dimissioni,  oltre  a  non  essere  state
rispettate le norme in materia di convalida delle dimissioni). 
    Ed e' parimenti indubbio che la volonta' di recesso del datore di
lavoro, espressa con propria comunicazione agli enti competenti senza
darne mai diretta comunicazione al lavoratore, e' configurabile quale
licenziamento. 
    Per inciso, va anche detto  che  neppure  sarebbe  possibile  una
teorica ricostruzione alla stregua della fattispecie di cui  al  2112
del codice civile. Milita in tal senso il fatto che le parti  neppure
abbiano compiutamente allegato i fatti costitutivi della  fattispecie
(tanto che il resistente, punto 24 della sua memoria,  si  duole  che
non si sia concretizzata tale fattispecie). Inoltre, difettano  -  in
ogni caso - gli elementi presi a riferimento dalla Corte di giustizia
dell'Unione europea (Grande sezione) con la sentenza 6 settembre 2011
(procedimento C - 108/10, Scattolon), quanto manca una  procedura  di
riassunzione, da parte di una pubblica autorita' di uno Stato membro,
del personale dipendente di un'altra pubblica  autorita'.  In  questo
caso il passaggio e' da privato a pubblico. 
    E che non si verta in  ipotesi  di  2112  del  codice  civile  e'
confermato anche dall'analisi della giurisprudenza di  codesta  Corte
costituzionale (n. 167/2013) secondo cui: La natura puramente privata
del lavoro alle dipendenze delle  societa'  partecipate,  del  resto,
rende inoperante, nella fattispecie del trasferimento di funzioni  da
una societa' partecipata ad un ente pubblico, la stessa garanzia  del
posto di lavoro, che l'art. 2112  del  codice  civile  riconosce,  in
ambito privato, ai lavoratori subordinati in caso di trasferimento di
azienda. L'art. 31 del decreto  legislativo  n.  165  del  2001,  che
dispone esplicitamente l'applicazione di tale garanzia,  nel  settore
del lavoro pubblico, al passaggio di funzioni e di pendenti  da  enti
pubblici ad altri soggetti (pubblici  o  privati),  non  richiama  la
predetta garanzia per le ipotesi in  cui  il  passaggio  di  funzioni
avvenga - come nel caso previsto dalla legge regionale censurata - da
soggetti  privati  ad  enti  pubblici:  in  tali  ipotesi,   infatti,
l'automatico trasferimento dei lavoratori presuppone un passaggio  di
status - da dipendenti privati a dipendenti  pubblici  (ancorche'  in
regime di lavoro privatizzato) - che, si ripete, non puo' avvenire in
assenza di una prova concorsuale aperta al pubblico  (in  tal  senso,
sentenza n. 226 del 2012). 
    Pur nella diversita' di fattispecie, i principi generali espressi
rendono inapplicabile l'art. 2112 del codice civile  (nonche'  l'art.
31 del decreto legislativo n. 165/2001). 
    Inoltre, la dedotta fattispecie  non  appare  inquadrabile  quale
licenziamento individuale. 
    Infatti, riguardando la cronologia degli  eventi  rilevanti  (non
contestata) emerge che - il 1° ottobre 2019 - parte resistente  abbia
avviato  una  procedura  di  licenziamento   collettivo   a   seguito
dell'internalizzazione dei  rapporti  di  lavoro  disposta  ex  lege;
questa procedura ha portato, in data 28 febbraio 2020, addirittura ad
un esito negativo del tavolo  negoziale  (e  questo  elemento  milita
ancor di piu' per  la  valutazione  di  insussistenza  di  dimissioni
tacite  del  ricorrente  e  degli  altri  lavoratori  nella  medesima
situazione, i quali sono passati dall'avere contezza di un  avvio  di
procedura di licenziamento collettivo  al  ricevere  una  lettera  di
sospensione del rapporto ed al ritrovarsi considerati dimissionari). 
    Pertanto, sussiste il  requisito  dell'intenzione  di  licenziare
piu' di cinque dipendenti in centoventi giorni (cfr. anche  Corte  di
giustizia - sentenza 27 gennaio  2005,  C  -  188/03  -  secondo  cui
l'evento qualificatile come licenziamento va inteso  con  riferimento
alla volonta' del datore di lavoro  di  porre  fine  ai  rapporti  di
lavoro  e  non  con  l'effettiva  determinazione  di  cessazione  del
rapporto di lavoro). 
    Oltretutto, la giurisprudenza piu' recente (Cassazione  n.  15401
del 20 luglio 2020 che innova, e viene da questo  giudice  condivisa,
la  precedente  interpretazione  nomofilattica)  ritiene   si   debba
computare, nel numero minimo di  cinque  licenziamenti  rilevante  ex
legge n. 223/1991, qualsiasi ipotesi di cessazione  del  rapporto  di
lavoro determinata (in tutto o in parte) da una scelta del lavoratore
(ossia anche le dimissioni,  le  risoluzioni  per  mutuo  consenso  e
prepensionamenti, qualora traggano ragione dall'iniziativa del datore
di lavoro). 
    E' pacifica la riconducibilita' di  tale  ipotesi  alla  presente
fattispecie  perche'  la  societa'  aveva  avviato  la  procedura  di
licenziamento collettivo  in  relazione  al  medesimo  fatto  storico
(internalizzazione del servizio a seguito della legge n.  145/2018  e
per i medesimi soggetti, incluso l'odierno ricorrente, coinvolti  nel
presente  ricorso  e  in  analoghi  ricorsi  pendenti  presso  questa
sezione). 
    Anche a  livello  di  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia
europea (Corte di giustizia UE 11 novembre 2015 in causa C-422/14) si
e' chiarito che rientra nella nozione di «licenziamento» il fatto che
il datore di lavoro  proceda,  unilateralmente  e  a  svantaggio  del
lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del
contratto di  lavoro  per  ragioni  non  inerenti  alla  persona  del
lavoratore stesso, da cui consegua la  cessazione  del  contratto  di
lavoro, anche su richiesta dal lavoratore medesimo. 
    Nel caso di specie le dimissioni volontarie degli altri  colleghi
sono state effettuate anche alla luce delle indicazioni della datrice
di effettuare  trasferimenti  a  seguito  dell'internalizzazione  del
servizio di pulizia nelle scuole e questo invero  senza  contare  che
nella  medesima  condizione  del  ricorrente  si  trovano  decine  di
soggetti (cfr. pagina 11, punto 31 del ricorso) ed invero  -  dovendo
considerare la cessazione di costoro alla stregua di licenziamenti  -
gia' solo questo dato integrerebbe il  requisito  per  l'applicazione
dell'art. 24, legge n. 221/1991. 
    Deve quindi ritenersi applicabile la disciplina dei licenziamenti
collettivi in quanto ogni altra qualificazione urterebbe coi dati  di
fatto in atto e comunque con la giurisprudenza  sovranazionale  sopra
richiamata. 
    Ne' al caso di  specie  risulta  applicabile  la  disciplina  sui
licenziamenti collettivi relativi agli assunti successivamente  al  7
marzo 2015 (il lavoratore e' stato assunto  prima  di  tale  data  da
Dussmann) mentre il  dato  numerico  dei  dipendenti  interessati  da
dimissioni   volontarie   (effettive)   e   di   quelli   considerati
dimissionari ma che ritengono di  essere  stati  licenziati  come  il
ricorrente integra i requisiti dimensionali per l'applicazione  della
legge n. 223/1991. 
    Resta quindi irrilevante qualsiasi argomentazione  in  ricorso  e
nella memoria di costituzione relativa alla  qualificazione  di  tali
licenziamenti  come  licenziamenti   individuali   (e   ancora   piu'
irrilevante il capo  di  domanda  relativo  alla  qualificazione  del
licenziamento come per giusta causa/disciplinare). Non sussiste alcun
elemento di fatto idoneo a qualificare il licenziamento de  qua  come
disciplinare, invero neppure la  prospettazione  attorea  include  le
allegazioni minime per tale qualificazione oltre ad esservi  elementi
di fatto  di  segno  totalmente  opposto.  Il  requisito  numerico  e
temporale fa si che non si possa  parlare  neppure  di  licenziamento
individuale per giustificato motivo oggettivo. 
    Ne'  risulta  applicabile  alcuna  deroga  alla  disciplina   dei
licenziamenti collettivi prevista dalla legislazione nazionale  (art.
24, comma 4, legge n. 223/1991. Non si  verte  in  nessuno  dei  casi
contemplati trattandosi, nel presente caso,  di  lavoratore  a  tempo
indeterminato  addetto  al  settore  pulizie  scuole).  Non  risulta,
invero, neppure applicabile l'art. 7, comma 4-bis  del  decreto-legge
n. 248/2007, convertito in legge  n.  31/2008  secondo  cui:  «4-bis.
Nelle more della completa attuazione della normativa  in  materia  di
tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attivita'  di
servizi in appalto e al fine di favorire la piena  occupazione  e  di
garantire l'invarianza  del  trattamento  economico  complessivo  dei
lavoratori, l'acquisizione del personale gia' impiegato nel  medesimo
appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta
l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 24 della  legge  23
luglio 1991, n.  223,  e  successive  modificazioni,  in  materia  di
licenziamenti collettivi,  nei  confronti  dei  lavoratori  riassunti
dall'azienda  subentrante  a  parita'  di  condizioni  economiche   e
normative previste dai  contratti  collettivi  nazionali  di  settore
stipulati  dalle  organizzazioni  sindacali   comparativamente   piu'
rappresentative o a seguito di accordi collettivi  stipulati  con  le
organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative.». 
    Infatti, secondo la giurisprudenza  di  legittimita'  (Cassazione
20772/18 ma anche Cassazione  22121/2016,  trattasi  di  orientamento
consolidato): «In caso di licenziamento per cessazione  dell'appalto,
l'esclusione dell'applicazione della procedura  di  cui  all'art.  24
della legge n. 223 del  1991,  espressamente  prevista  dall'art.  7,
comma 4-bis, del decreto-legge n.  348  del  2007,  introdotto  dalla
legge di  conversione  n.  31  del  2008,  presuppone  la  necessaria
riassunzione del lavoratore nell'azienda subentrante,  a  parita'  di
condizioni economiche e normative previste dai  contratti  collettivi
nazionali  di  settore  stipulati  dalle   organizzazioni   sindacali
comparativamente  piu'  rappresentative,  o  a  seguito  di   accordi
collettivi con le predette organizzazioni. (Nella specie, !a S.C.  ha
confermato la sentenza di merito che aveva  ritenuto  applicabile  la
disciplina di cui alla legge n. 223 del  1991  in  un  caso  in  cui,
verificatosi il subentro nell'appalto  dei  servizi  di  manutenzione
degli immobili della Provincia di  Foggia  ed  il  licenziamento  dei
lavoratori  addetti,  la  societa'  subentrante  aveva  proposto   ai
dipendenti la stipulazione di un contratto a tempo parziale e  non  a
tempo pieno come quello precedente. 
    In  concreto,  parte  ricorrente  afferma  proprio  la  riduzione
stipendiale  subita   all'atto   dell'assunzione   (circostanza   non
contestata tanto  piu'  che  nelle  note  di  trattazione  la  stessa
resistente menziona un sopravvenuto aumento di orario lavorativo  del
ricorrente) ed inoltre e' evidente il cambio di status normativo  del
lavoratore, che e' venuto ad  assumere  la  qualifica  di  dipendente
pubblico con diversita' di statuto economico e normativo. 
    Difettano i presupposti  normativi  per  l'applicazione  di  tale
norma  nonche',  invero  e  prioritariamente,  quelli  fattuali,  non
essendo stati allegati dalle parti  gli  elementi  costitutivi  della
fattispecie (ne sono stati allegati di contrari, in realta'). 
    Inoltre, tale norma non puo'  neppure  assurgere  ad  oggetto  di
scrutinio della presente questione  di  legittimita'  costituzionale.
Infatti, nel qui presente caso il nodo da dipanare non  attiene  alla
sola disciplina procedimentale da attuare (licenziamento collettivo o
individuale. E si e' visto  e  si  vedra'  che  per  lo  stato  della
normativa e della giurisprudenza e' la disciplina  sui  licenziamenti
collettivi a venire in rilievo) bensi' anche a quale debba essere  la
sorte della contratto di  lavoro  alle  dipendenze  di  Dussmann  del
dipendente internalizzato presso il Ministero. Prendere come  oggetto
di comparazione o di scrutinio tale  norma  lascerebbe  irrisolto  il
secondo  dei  termini  del  problema  sopra  esposto  (la  sorte  del
contratto di lavoro). 
    Irrilevante  e'  anche  la  questione  relativa  alla  potenziale
incompatibilita' tra lavoro  presso  il  Ministero  e  reintegrazione
presso Dussmann; questo non tanto perche' sarebbe possibile  ottenere
l'autorizzazione per lo svolgimento di altra attivita' da  parte  del
lavoratore (come argomentato dal ricorrente) ma quanto  perche'  tale
problema  e'  logicamente  successivo  al   punto   controverso   qui
affrontato e riguarderebbe in ogni caso il rapporto tra il  Ministero
e il lavoratore e non tra il lavoratore e la resistente Dussmann.  E'
pertanto questione irrilevante. 
    Irrilevante e priva di fondamento e'  anche  la  questione  della
natura disciplinare del recesso.  Parte  resistente  non  ha  neppure
allegato  tale  circostanza  e  tale  qualificazione,   evidentemente
proposta  ad  abundantiam  dal  ricorrente,  e'  priva  di  qualsiasi
addentellato con i fatti  nello  stesso  ricorso  allegati  e  con  i
documenti prodotti in causa. 
    La questione sulla temerarieta' della lite  non  rileva  in  modo
alcuno rispetto alla presente questione e la stessa complessita'  dei
fatti qui esposti la elide. 
    In sintesi: 
        non sussistono i presupposti per qualificare come  dimissioni
volontarie  o  risoluzione  consensuale  tacita   la   condotta   del
lavoratore; 
        per  dovere  di  completezza,  si  rappresenta  che  non   e'
applicabile neppure la giurisprudenza in materia  di  mutuo  dissenso
elaborata dalla Corte di tassazione in  tema  di  contratto  a  tempo
determinato  sia  in  quanto  manca  prova  degli  elementi  fattuali
richiesti dalla giurisprudenza di legittimita' per  il  riscontro  di
tale fattispecie sia perche' - sin dall'inizio - vi e' stata espressa
contestazione  sulla  sospensione  del  rapporto  di  lavoro  nonche'
immediata  impugnazione  dal  recesso   del   rapporto.   La   stessa
restituzione degli strumenti di lavoro chiesta dal  datore  e'  stata
effettuata solo per non incorrere in trattenute economiche  e  nessun
significato ulteriore ad essa puo' attribuirsi; 
        inoltre, la stessa giurisprudenza di legittimita'  sul  mutuo
dissenso nei contratti a termine risulta  inapplicabile  al  caso  di
specie in  quanto  superata  dall'entrata  in  vigore  dell'art.  24,
decreto legislativo n. 151/2015 (oltre  che  dalla  disciplina  sulla
decadenza ex legge n. 183/2010, art. 32) e in ogni caso in  contrasto
con la giurisprudenza in tema di licenziamento e clausola sociale  di
cui a Cassazione  2014/2020  e  decisioni  conformi,  costituente  il
diritto vivente in  materia  e  maggiormente  attinente  al  caso  di
specie; 
        non sussistono i  presupposti  per  l'applicazione  dell'art.
2112 del codice civile; 
        non  sussistono  i  presupposti  per   l'applicazione   della
disciplina dei licenziamenti individuali (ne' per gmo ne' per  giusta
causa/giustificato motivo soggettivo); 
        non esistono i  presupposti  per  l'applicazione  di  deroghe
normative alla disciplina del licenziamento collettivo; 
        non  e'  applicabile  il  c.d.   blocco   dei   licenziamenti
collettivi  previsto  dall'art.   46,   decreto-legge   n.   18/2020,
convertito in legge n. 27/2020 (norma ratione temporis da prendere in
considerazione) dato che la stessa prevede  che:  a  decorrere  dalla
data  di  entrata  in  vigore  del  presente  decreto  l'avvio  delle
procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991,
n. 223 e' precluso per  cinque  mesi  e  nel  medesimo  periodo  sono
sospese le procedure` pendenti avviate successivamente alla data  del
23  febbraio  2020...;  ed  invero,  la  procedura  di  licenziamento
collettivo de quo era stata avviata il 1° ottobre 2019 (punto  9  del
ricorso); 
        l'atto di risoluzione del rapporto da  parte  del  datore  di
lavoro va qualificato  come  licenziamento  collettivo  intimato  sia
senza la prevista forma scritta, sia senza rispetto della procedura e
dei criteri di scelta (vizio  assorbito  dalla  piu'  grave  mancanza
della forma scritta) in quanto l'intenzione  di  licenziare  piu'  di
cinque dipendenti in centoventi giorni e' stata  manifestata  gia'  a
partire dal 1° ottobre 2019,  vi  sono  state  dimissioni  legate  al
riassetto organizzativo della resistente nonche' il licenziamento del
ricorrente (e di altri, numerosi, soggetti nella medesima posizione).
Ne' appare possibile qualificare come atto scritto  di  licenziamento
la comunicazione al centro per l'impiego o la  consegna  della  busta
paga con indicata la data di fine rapporto in quanto lo stesso datare
di lavoro nega di aver voluto attribuire  un  tale  significato  agli
stessi  citati  documenti  e  ne'  gli   stessi   contengono   -anche
implicitamente - una volonta' di recesso (che anche in  memoria  nega
il datore di lavoro); 
        e' irrilevante la questione sull'incompatibilita' ex art. 53,
decreto legislativo n. 165/2001  perche'  potenzialmente  relativa  a
momento successivo a quello oggetto della presente controversia e non
coinvolge in nessun caso la questione della legittimita' del  recesso
operata da Dussmann. 
    Una  volta  appurata  la  disciplina  applicabile  e  una   volta
argomentato circa il  fatto  che  il  lavoratore  in  questione  vada
considerato come licenziato e che sussistono i requisiti numerici per
integrare la disciplina del licenziamento collettivo e che difetta la
forma scritta del licenziamento stesso, si dovrebbe  applicare  -  in
virtu' del  richiamo  effettuato  dall'art.  5,  comma  3,  legge  n.
223/1991 - l'art. 18 comma 1, legge n. 300/1970. 
    Tuttavia, questo giudice ritiene che l'applicazione della  teste'
esposta  disciplina  presenti  profili  di  irragionevolezza  e   sia
necessaria una pronuncia additiva di codesta Ecc.ma Corte. 
    La  questione  appare  quindi  dirimente  perche'  in   caso   di
accoglimento della questione qui sollevata il ricorso dovrebbe essere
rigettato; di contro, il ricorso andrebbe accolto nei  termini  sopra
esposti (applicazione dell'art. 18, comma 1, legge  n.  300/1970  per
come richiamato dall'art. 5, comma 3, legge n. 223/1991). 
    Corde  si  vede  la  questione  e'  rilevante  in  quanto   dalla
definizione della  stessa  dipende  l'esito  del  ricorso.  Va  anche
rimarcato  che  -  alla  luce  della   giurisprudenza   nazionale   e
sovranazionale  riportata  -  non  sussiste  alcuna  possibilita'  di
interpretazione conforme della normativa  ne'  risultano  applicabili
norme diverse da quelle individuate. 
Non manifesta infondatezza. 
    Nel caso di  specie,  pur  in  presenza  di  tutti  gli  elementi
fattuali integrativi della fattispecie, la disciplina di cui all'art.
58, comma 5-bis ss. cit. (che comporta di conseguenza  l'applicazione
del combinato disposto degli articoli 5,  comma  3  e  24,  legge  n.
223/1991  e  dell'art.  18,  comma  1,  legge  n.  300/1970)   appare
sproporzionata negli effetti e - come tale - in violazione  dell'art.
3 della Costituzione in relazione al principio  di  ragionevolezza  e
proporzionalita'   nonche'   in   violazione   dell'art.   41   della
Costituzione sempre in relazione all'art. 3 Cost.  ed  evidenzia  una
omissione  normativa  che  richiede  l'intervento  di  codesta  Corte
costituzionale. 
    Infatti, la ratio dell'internalizzazione e' quella  di  riportare
all'interno   dell'Amministrazione   attivita'   che   erano    state
esternalizzate nonche' quei lavoratori che per un congruo periodo  di
tempo (10 anni) erano stati addetti a questi appalti.  L'intento  del
legislatore e' stato quindi quello di porre termine ad una situazione
che - nata per conseguire un risparmio di spesa per lo  Stato  -  non
aveva generato i risultati  sperati  anche  sotto  il  profilo  della
gestione dei lavoratori impiegati. Per fare cio',  correttamente,  il
legislatore si e' avvalso di  una  procedura  selettiva  (seguendo  i
dettami anche di Corte Cost.  167/2013)  ed  ha  individuato  criteri
ragionevoli di selezione dei partecipanti (questione che in ogni caso
non rileva nel caso di specie). A fronte di cio' si e' verificato  il
venir meno dei contratti di appalto in essere con ditte private e  la
necessita' di gestire la posizione dei dipendenti gia'  impiegati  in
questo appalto. Nel caso di specie, occorre ribadire la precisazione,
si fa unicamente questione di coloro che  all'esito  della  selezione
sono stati assunti alle dipendenze del Ministero, perche' tale e'  la
casistica  giurisprudenziale  sottoposta  all'attenzione  di   questo
giudice. 
    Per costoro appare irragionevole che la risoluzione del  rapporto
del lavoro debba seguire le norme sui licenziamenti  collettivi.  Tra
l'altro, tale circostanza - che scaturisce da una  impossibilita'  di
trovare una diversa soluzione  all'interno  dell'ordinamento  interno
per come sopra argomentato - contrasta con quella  che  e'  la  ratio
della disciplina  in  materia  di  licenziamenti  collettivi  stessi,
ovverossia quella di tutelare la partecipazione e l'informazione  dei
lavoratori e  la  partecipazione  dei  corpi  intermedi  al  fine  di
limitare le conseguenze del procedimento di licenziamento stesso (per
le  finalita'  della  normativa  europea  cfr.  anche  CGUE,  settima
sezione,  ordinanza  4  giugno  2020).  Si  aggiunga   inoltre   che,
obbligando la societa' datrice di lavoro a seguire le procedure per i
licenziamenti  collettivi,   sarebbero   stati   coinvolti   soggetti
effettivamente a rischio di perdere il posto di lavoro  con  soggetti
che  nelle  more  erano  stati  assunti  dal  Ministero,   con   cio'
determinando la trasformazione di una disciplina  improntata  ad  una
tutela del lavoratore in un mero adempimento vuoto e formale. 
    Cio' precisato, prevedere la necessita' di avviare  la  procedura
di licenziamento ex legge n. 223/1991 per lavoratori che siano  stati
parte di una procedura di internalizzazione ex lege e che siano stati
assunti dall'Amministrazione a seguito di  una  selezione,  superata,
costituisce una costruzione normativa  irragionevole  in  quanto  gli
stessi: 
        hanno partecipato volontariamente alla selezione; 
        sono transitati presso  un  datore  di  lavoro  pubblico  (il
rapporto  di  lavoro  alle  cui  dipendenze  ha  normativamente   una
stabilita' maggiore rispetto a quello alle dipendenze di un datore di
lavoro privato; arg. ex Cassazione 11868/16 e Cassazione 23424/17). 
    Pertanto, al fine di ricondurre  a  ragionevolezza  il  combinato
disposto delle norme sopra richiamate si ritiene che  codesta  Ecc.ma
Corte possa intervenire  con  una  pronuncia  additiva  e  dichiarare
illegittimo il combinato disposto delle norme indicate in dispositivo
nella parte  in  cui  non  prevede  che  -  per  coloro  che  abbiano
partecipato alla selezione indetta ex  legge  n.  145/2018,  art.  1,
comma 760 e siano stati assunti dal Ministero  dell'istruzione  (gia'
MIUR)  -  resta  esclusa  l'applicabilita'   della   disciplina   sui
licenziamenti collettivi e, parimenti, si realizza la risoluzione  di
diritto  del  contratto  di  lavoro  alle   dipendenze   dell'impresa
appaltatrice gia' datrice di lavoro  al  momento  della  stipula  del
contratto con il Ministero stesso. 
    Come visto, l'ipotesi della risoluzione del contratto  di  lavoro
non e' praticabile in via interpretativa alla luce  delle  coordinate
giurisprudenziali  precedentemente  esposte.  Ne',  in   assenza   di
intervento additivo della Corte costituzionale,  sussiste  una  norma
che possa ritenere altrimenti prodotto tale effetto. 
    Ulteriormente  si  tratta  di  una  soluzione  che  non  mina  la
discrezionalita'  del  legislatore,  ad  avviso  di  questo  giudice.
L'ipotesi di una fattispecie risolutiva di diritto  -  da  introdursi
mediante intervento additivo  di  codesta  Corte  -  e'  infatti  una
soluzione a rime obbligate, non essendo possibile dare alcuna lettura
costituzionalmente orientata e ragionevole  del  sistema.  Del  pari,
quanto  sopra  puo'  rappresentarsi  rispetto  all'esclusione   della
procedura di licenziamento collettivo. 
    Come  evidenziato  da  Corte  costituzionale  1130/1988:  ...  il
giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri
di  valutazione  assoluti  e  astrattamente  prefissati,  si   svolge
attraverso ponderazioni  relative  alla  proporzionalita'  dei  mezzi
prescelti dal legislatore nella  sua  insindacabile  discrezionalita'
rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle  finalita'  che
intende  perseguire,  tenuto  conto   delle   circostanze   e   delle
limitazioni concretamente sussistenti. 
    Ne' la circostanza che con il richiesto intervento verrebbe  meno
la tutela contro il licenziamento appare contraria ai  criteri  posti
da  codesta  Corte  in  tema  di  giudizio  avente  ad   oggetto   di
uguaglianza/ragionevolezza.  In   tal   senso,   l'operativita'   del
principio di eguaglianza non e' unidirezionalmente e  necessariamente
diretta ad estendere la portata di  una  disciplina  piu'  favorevole
evocata come tertium comparationis, ma  puo'  dispiegarsi  anche  nel
senso di rimuovere l'ingiustificato privilegio di una disciplina piu'
favorevole rispetto a quella indicata a  comparazione  (cosi',  Corte
costituzionale n. 421/1995). Quanto affermato dalla  citata  sentenza
n. 421 si ritiene valga - con i dovuti aggiustamenti legati  al  caso
concreto - anche nella valutazione di ragionevolezza della disciplina
portata all'attenzione di codesta Corte. 
    La  stessa  soluzione  prospettata  invero  consente   anche   di
effettuare un concreto bilanciamento tra gli articoli 3  e  41  della
Costituzione. 
    Quanto  alla  violazione  dell'art.  41  Cost.,  in  particolare,
costringere  il  datare  di  lavoro  ad  attivare  una  procedura  di
licenziamento  collettivo   anche   per   coloro   che   sono   stati
internalizzati dall'Amministrazione  costituisce  un  non  bilanciato
sacrificio rispetto alla tutela dell'attivita' di  impresa.  Infatti,
limitando le procedure della legge n.  223/1991  ai  soli  dipendenti
effettivamente ridondanti si  sarebbe  ottenuta  anche  una  migliore
gestione della procedura di esubero. La  tutela  dell'art.  41  Cost.
infatti, ad avviso di questo giudice, impone al  legislatore  di  non
gravare di oneri irragionevoli la gestione degli esuberi  soprattutto
laddove gli stessi non siano effettivamente  tali  ma  si  tratti  di
lavoratori transitati nei ruoli del Ministero. 
    Infatti, pur essendo acclarato che in molti ambiti la tutela  del
lavoratore abbia  subito  un  arretramento  anche  sotto  il  profilo
dell'effettivita' (cfr. Comitato europeo diritti sociali, CGIL contro
Italia in procedura in istanza 91/2013), non e'  questo  il  caso.  I
lavoratori  hanno  scelto  deliberatamente  di  partecipare  ad   una
selezione loro riservata e di essere assunti  dal  datore  di  lavoro
pubblico. 
    Lo stato attuale delle norme e del  diritto  vivente  come  sopra
descritto consentirebbe loro di avere una ulteriore tutela (quella ex
legge n. 223/1991) che pero' appare  irragionevolmente  onerosa  alla
luce di  un  corretto  bilanciamento  tra  il  diritto  effettivo  al
mantenimento del  lavoro  e  la  tutela  dell'iniziativa  di  impresa
economica. Il datore  di  lavoro,  secondo  le  norme  censurate,  si
sarebbe dovuto trovare a gestire (e si  e'  trovato  a  gestire)  una
procedura di licenziamento  collettivo  -  oltre  che  relativa  agli
esuberi effettivi (per i quali non sussiste alcun margine  di  dubbio
che vada applicata la legge n. 223/1991) relativa anche ad esuberi in
sostanza   fittizi   in   quanto   relativi   a   soggetti    assunti
dall'Amministrazione in virtu' del provvedimento legislativo che, con
l'internalizzazione dei servizi, tale esubero ha creato. 
    Pertanto, se da un lato il legislatore  ha  deciso  di  riportare
all'interno   dell'Amministrazione   le   attivita'   dell'art.   58,
decreto-legge n. 69/2013 (per le quali risultavano anche, dal decreto
del Presidente della Repubblica n. 119/2009, accantonati i  posti  di
lavoro e pertanto  senza  neppure  creare  incontrollati  aumenti  di
organico), dall'altro non si e' fatto  carico  della  gestione  delle
sorti del rapporto di lavoro dei soggetti internalizzati con la ditta
precedentemente titolare dell'appalto (Dussmann, nel caso di specie).
Tale vuoto normativo da' luogo all'applicazione  della  normativa  in
tema di licenziamenti collettivi (senza possibilita' di dare luogo ad
una  diversa  interpretazione);   tale   applicazione   e'   tuttavia
irragionevole e sproporzionata negli effetti  in  quanto  addossa  al
datore di lavoro un onere gestionale eccessivo  rispetto  ad  esuberi
fittizi (e infatti  solo  relativamente  ai  soggetti  effettivamente
assunti dal Ministero si fa riferimento in questa ordinanza) che  non
vedono presente alcuna effettiva esigenza di tutela del lavoratore. 
    Infatti, principio della tutela effettiva  del  lavoratore  (cfr.
Corte costituzionale 194/2018 anche per le fonti  sovranazionali  ivi
riportate)  e'  fondante  nel  nostro  ordinamento  ma  deve  trovare
applicazione nelle ipotesi in cui il rapporto  di  lavoro  sia  stato
ingiustamente risolto (con la possibilita' di  graduare  il  ristoro,
purche' sia effettivo) o  sia  in  pericolo  (come  per  esempio  nei
licenziamenti collettivi  dove  alle  garanzie  sostanziali,  p.  es.
criteri  di  scelta,  si  affiancano  tutele  procedimentali   e   di
informazione).  Nel  caso  di  specie,  il  rapporto  di  lavoro  del
ricorrente non era soggetto ad alcun effettivo pericolo in quanto  lo
stesso lavoratore aveva scelto di transitare nei ruoli del  Ministero
a fronte di una  facolta',  seppur  veicolata  da  una  procedura  di
selezione, concessa dal legislatore. 
    Inoltre,  considerare  alla  stregua  di  un   licenziamento   il
passaggio di un lavoratore alle pendenze del Ministero in conseguenza
della internalizzazione  di  un  servizio  e  del  superamento  della
selezione appare irragionevole  e  sproporzionato  rispetto  ai  fini
della normativa. Infatti, la societa'  datrice  di  lavoro  e'  stata
privata  di  una  parte  di  attivita'  per  legge  e  parimenti   il
legislatore ha deciso di reclutare una quota parte  degli  addetti  a
tale servizio per lo svolgimento delle attivita' internalizzate. 
    Ritenere che per costoro sia necessario  lo  svolgimento  di  una
procedura  di  licenziamento  collettivo   e   l'emanazione   di   un
provvedimento di licenziamento appare una  ridondanza  normativa  che
aggrava di oneri non necessari la societa' datrice di lavoro a fronte
di una decisione normativa di internalizzazione del servizio e di una
scelta di  assumere  il  personale  tra  parte  di  coloro  che  gia'
svolgevano le medesime mansioni per le ditte  appaltatrici.  Inoltre,
si disciplina alla stregua di  un  licenziamento  (manifestazione  di
recesso propria del datore di lavoro) quella che altro non e' che  la
logica conseguenza della procedura di internalizzazione rispetto alla
quale massimamente rileva la transizione del lavoratore unitamente ai
servizi internalizzati e al fine dello svolgimento degli stessi. 
    La circostanza che l'assunzione presso  il  Ministero  sia  stata
mediata da una selezione e' circostanza irrilevante ai presenti  fini
in quanto il contenzioso in essere riguarda  proprio  coloro  che  la
selezione la hanno superata (i menzionati 65 soggetti)  e  in  quanto
unica modalita' di accesso  al  pubblico  impiego  costituzionalmente
necessaria. 
    Alla luce di  quanto  sopra,  si  ritiene  necessario  sottoporre
questione di  legittimita'  costituzionale  -  per  violazione  degli
articoli 3 e 41 della Costituzione - del combinato disposto dell'art.
58 commi 5-bis, 5-ter e 5-quater, decreto-legge n.  69/2013  con  gli
articoli 24, legge n. 223/1991, 5, comma 3, legge n.  221/1991  e  18
comma 1, legge n. 300/1970, nella parte in cui non prevede  -  per  i
lavoratori  assunti  dal  Ministero  dell'istruzione  (gia'  MIUR)  a
seguito di partecipazione alla selezione di cui  all'art.  58,  comma
5-ter, del decreto-legge 21  giugno  2013,  n.  69,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, per come  modificato
dall'art. 1, comma 760, legge n. 145/2018 e  dall'art.  dall'art.  2,
comma 5  del  decreto-legge  n.  129/2019,  convertito  in  legge  n.
159/2019  -  che  costoro  siano   esclusi   dalla   disciplina   sui
licenziamenti collettivi e che il contratto di lavoro di costoro alle
dipendenze  della  societa'  datrice  di  lavoro  (gia'  titolare  di
contratto per lo svolgimento dei servizi di cui  all'art.  58,  comma
5-bis, del decreto-legge 21  giugno  2013,  n.  69,  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  9  agosto  2013,  n.  98  e  successive
modificazioni  ed  integrazioni),  si  intenda  risolto  di   diritto
all'atto della stipula del contratto  di  assunzione  del  lavoratore
stesso con il Ministero dell'istruzione (gia' MIUR). 
    Tale  soluzione  consentirebbe  di  bilanciare  il   diritto   di
iniziativa  economica  datoriale   che   si   esplica   anche   nella
possibilita'   di   correttamente   affrontare   una   procedura   di
licenziamento collettivo, focalizzandosi sugli effettivi esuberi, con
la tutela del diritto del lavoro che deve essere centrata  su  coloro
che effettivamente corrono un rischio di perdita del posto di lavoro.
Non appare infatti sufficiente solamente escludere in questa sede  la
disciplina del licenziamento  collettivo  ma  anche  disciplinare  le
sorti dei contratti di lavoro. Questa  disciplina  «additiva»  appare
necessaria  proprio  nell'ottica  di  un  bilanciamento  dei   valori
costituzionali in gioco,  maggiormente  pregnante  ove  si  focalizzi
l'attenzione sulla circostanza che indice nella presente  fattispecie
non solo la circostanza della procedura da seguire ma anche il  fatto
che vada regolato quale licenziamento  il  passaggio  del  lavoratore
alle dipendenze del Ministero a seguito di internalizzazione ex lege. 
 
                               P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale - in relazione agli articoli 3 e 41 della Costituzione
- del  combinato  disposto  dell'  art.  58,  commi  5-bis,  5-ter  e
5-quater, decreto-legge n. 69/2013, con gli  articoli  24,  legge  n.
223/1991, 5, comma 3, legge n. 223/1991  e  18,  comma  1,  legge  n.
300/1970, nella parte in cui non prevede - per i  lavoratori  assunti
dal Ministero dell'istruzione (gia' MIUR) a seguito di partecipazione
alla selezione di cui all'art. 58, comma 5-ter, del decreto-legge  21
giugno 2013, n. 69, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  9
agosto 2013, n. 98 per come modificato dall'art. 1, comma 760,  legge
n. 145/2018 e dall'art. dall'art. 2, comma  5  del  decreto-legge  n.
129/2019, convertito in legge n. 159/2019 - che costoro siano esclusi
dall'applicazione della disciplina sui licenziamenti collettivi e che
il contratto di lavoro di  costoro  alle  dipendenze  della  societa'
datrice di lavoro (gia' titolare di contratto per lo svolgimento  dei
servizi di cui all'art. 58, comma 5-bis, del decreto-legge 21  giugno
2013, n. 69, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  9  agosto
2013, n. 98 e successive modificazioni ed integrazioni),  si  intenda
risolto di diritto all'atto della stipula del contratto di assunzione
del lavoratore stesso con il Ministero dell'istruzione (gia' MIUR); 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito disponendo che
gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte  costituzionale  e
che l'ordinanza sia notificata alle parti nonche' al  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    Dispone  che  la  presente  ordinanza  sia  comunicata  anche  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
    Sospende il giudizio in corso; 
    Si comunichi. 
        Lecce, 16 febbraio 2021 
 
                   Il giudice del lavoro: Carbone