N. 53 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio 2021
Ordinanza del 16 febbraio 2021 del Tribunale di Lecce nel procedimento civile promosso da Evangelio Valter Salvatore c/Dussmann Service S.r.l.. Lavoro e occupazione - Procedura selettiva finalizzata ad assumere alle dipendenze dello Stato, a decorrere dal 1° marzo 2020, il personale impegnato per almeno dieci anni, anche non continuativi, purche' includano il 2018 e il 2019, presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per lo svolgimento dei servizi di pulizia e ausiliari, in qualita' di dipendente a tempo indeterminato di imprese titolari di contratti per lo svolgimento dei predetti servizi - Mancata previsione dell'esclusione, per i lavoratori che abbiano partecipato alla selezione e siano stati assunti dal Ministero dell'istruzione, dell'applicazione della disciplina relativa ai licenziamenti collettivi e della risoluzione di diritto del rapporto di lavoro con le imprese titolari dei relativi appalti di servizi contestualmente all'assunzione alle dipendenze dello Stato. - Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, art. 58, commi 5-bis, 5-ter e 5-quater, in combinato disposto con gli articoli 5, comma 3, e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilita', trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunita' europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro) e con l'art. 18, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento).(GU n.18 del 5-5-2021 )
TRIBUNALE DI LECCE sezione lavoro Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale Nella controversia tra Evangelio Valter Salvatore, rappresentato e difeso dall'avv. S. Serafino e Dussmann Service S.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati M. F. Cavaliere, I. M. Signore, F. Moizo. A scioglimento della riserva assunta in data 26 gennaio 2021, questo giudice ha rilevato la presenza di una questione di legittimita' costituzionale dirimente rispetto all'esito del giudizio. Si premette che, data la complessita' della fattispecie e per una migliore lettura dell'ordinanza, si ritiene di suddividere la stessa in paragrafi riguardanti le domande di parte ricorrente, le difese ed eccezioni del resistente, la normativa applicabile al caso di specie, la rilevanza della questione, la non manifesta infondatezza della stessa e le conclusioni con l'intervento che questo giudice chiede a codesta Ecc.ma Corte. Si indica parimenti - essendo circostanze pacifiche e non contestate - che il datore di lavoro impiega piu' di quindici dipendenti, che il lavoratore e' stato assunto prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 23/2015, che i dipendenti da licenziare - in virtu' della nota del 1° ottobre 2019 - integrano il requisito per l'applicazione della legge n. 223/1991, che parte ricorrente ha indicato i dipendenti nella medesima situazione del ricorrente (circa 65; cfr. pg. 11 e 12 ricorso) e ha indicato in ricorso il numero di dipendenti dimessisi a seguito della riorganizzazione di Dussmann Service S.r.l. (d'ora in poi anche solo Dussmann) legata all'internalizzazione del servizio di pulizia nelle scuole ex legge n. 145/2018. Non e' contestato che il ricorrente avesse i requisiti per partecipare alla selezione riservata, che la abbia superata e sia stato assunto dal Ministero il 2 marzo 2020. Irrilevanti sono le vicende relative agli aumenti di orario di lavoro (l'assunzione originaria e' stata con contratto part-time) successivi alle vicende relative alla cessazione del rapporto con Dussmann (cfr. note di trattazione Dussmann). In ultimo, si premette che e' correttamente individuato il rito azionato (ex legge n. 92/2012) e che la causa non necessita' di attivita' istruttoria, essendo documentalmente decidibile. Si conclude precisando, altresi', che alcune delle controversie sottoposte all'attenzione di questa sezione sono state oggetto di conciliazione ma ovviamente non la presente (e molte altre, invero), nell'ambito della quale alcuna intesa conciliativa e' stata raggiunta (cfr. note di trattazione Dussmann). La domanda di parte ricorrente. Parte ricorrente, nel presupposto di essere stato assunto il 1° marzo 2015 dalla resistente quale operaio livello del CCNL «imprese di pulizie e servizi integrati/Multiservizi», ha svolto le mansioni di «addetto alle pulizie quotidiane» ed ha operato presso l'appalto «dei servizi di pulizia ed altri servizi tesi al mantenimento del decoro e della funzionalita' degli immobili per gli istituti scolastici di ogni ordine e grado della Regione Puglia» con destinazione presso il Comune di Vernole. A seguito dell'entrata in vigore della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio di previsione per l'anno 2019) il ricorrente ha successivamente partecipato alla selezione indetta ai sensi della citata legge n. 145 per l'assunzione alle dipendenze del Ministero presso il quale ha preso servizio a far tempo dal 1° marzo 2020. Contesta in fatto che il datore avrebbe dapprima iniziato e mai concluso la procedura per licenziamento collettivo; che con comunicazione del 29 febbraio 2020 il rapporto di lavoro e' stato sospeso unilateralmente dal datare di lavoro; che nel mese di aprile 2020, con la ricezione della busta paga di marzo 2020, il ricorrente ha scoperto che il proprio rapporto di lavoro con Dussrnann Service S.r.l. era stato cessato con decorrenza 25 marzo 2020 per asserite sue dimissioni, che pero' il lavoratore dichiara di non aver mai rassegnato. Dopodiche' - qualificato il provvedimento datoriale come licenziamento orale - lo ha nondimeno impugnato e ha rassegnato le conclusioni di seguito esposte (per completezza si fa presente che il ricorrente ha affrontato la questione sia sotto il profilo del licenziamento individuale sia sotto quello del licenziamento collettivo): [1] Per le ragioni e causali tutte esposte in narrativa, accertare e dichiarare - previa declaratoria di inefficacia delle dimissioni risultanti dal modello UNILAV di cessazione del rapporto inviato dalla convenuta agli organi competenti in quanto il ricorrente non le ha mai rese, ne' mai convalidate - nullo, invalido, illegittimo e, in ogni caso, inefficace il licenziamento intimato dalla societa' Dussmann Service S.r.l. al ricorrente con decorrenza dal 25 marzo 2020, per inosservanza della forma scritta. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, commi 1 e 2, legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge n. 300 del 1970 - la convenuta Dussmann Service S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento del danno dal medesimo subito a quantificarsi in misura pari ad un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegra, e comunque non inferiore alla misura delle cinque mensilita'. Sempre per l'effetto, condannare inoltre la societa' convenuta, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. [2] In via subordinata, accertare e dichiarare - previa declaratoria di inefficacia delle dimissioni risultanti dal modello UNILAV di cessazione del rapporto inviato dalla convenuta agli organi competenti in quanto il ricorrente non le ha mai rese, ne' mai convalidate - nullo, invalido, illegittimo e, in ogni caso, inefficace il licenziamento irrogato dalla societa' Dussmann Service S.r.l. al ricorrente con decorrenza dal 25 marzo 2020, stante l'insussistenza di un valido atto interruttivo del rapporto di lavoro. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, commi 1 e 2, legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge n. 300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento del danno dal medesimo subito a quantificarsi in misura pari ad un'indennita' commisurato all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra, e comunque non inferiore alla misura delle cinque mensilita'. Sempre per l'effetto, condannare inoltre la societa' convenuta, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. In subordine: quanto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. [3] Accertare e dichiarare - previa declaratoria di sussistenza dei presupposti per l'applicazione della procedura prevista per i licenziamenti collettivi dagli articoli 4 e 24, legge n. 223 del 1991 - nullo, invalido, illegittimo e, in ogni caso, inefficace, il licenziamento intimato da Dussmann Service S.r.l. al ricorrente a decorrere dal 25 marzo 2020, perche' diretto ad eludere l'applicazione della norma imperativa di legge sui licenziamenti collettivi. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, commi 1 e 2, legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge n. 300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento del danno dal medesimo subito a quantificarsi. in misura pari ad un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra e comunque non inferiore alla misura delle cinque mensilita'. Sempre per l'effetto, condannare inoltre la societa' convenuta, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. [4] In via subordinata, accertare e dichiarare nullo, invalido, illegittimo e, in ogni caso, inefficace, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato da Dussmann Service S.r.l. al ricorrente a decorrere dal 25 marzo 2020, stante la vigenza, ratione temporis applicabile, dell'art. 46, decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, commi 1 e 2, legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge n. 300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento del danno dal medesimo subito a quantificarsi in misura pari ad un'indennita' commiserata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra, e comunque non inferiore alla misura delle cinque mensilita'. Sempre per l'effetto, condannare inoltre la societa' convenuta, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. [5] In via piu' subordinata, accertare e dichiarare nullo, invalido, illegittimo e, in ogni caso, inefficace, il licenziamento intimato da Dussmann Service S.r.l. al ricorrente a decorrere dal 25 marzo 2020, per manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, commi 4 e 7, legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del ricorrente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge n. 300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro occupato al momento dell'impugnato licenziamento, ovvero in mansioni in ogni caso equivalenti, nonche' al pagamento, in favore dell'istante, di un'indennita' commisurata alla retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione, dal di' del licenziamento sino all'effettiva reintegrazione. Sempre per l'effetto, condannare inoltre la societa' convenuta, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. [6] In via piu' subordinata, nella denegata ipotesi in cui codesto On.le Tribunale non dovesse ravvisare gli estremi per l'immediata reintegrazione, comunque dichiarare illegittimo il licenziamento de quo e condannare Dussmann Service S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore del ricorrente, di un'indennita' risarcitoria pari a 24 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto percepita, ovvero nella misura che sara' ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal di' del licenziamento e sino all'effettivo soddisfo. [7] In via del tutto subordinata, nella denegata ipotesi in cui codesto On.le Tribunale non dovesse ravvisare gli estremi per l'immediata reintegrazione, accertata la violazione dell'art. 7, legge n. 604/1966, condannare la Dussmann Service S.r.l., n persona del suo legale rappresentante legale pro tempore, al pagamento in favore del ricorrente, di un'indennita' risarcitoria pari a 12 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto percepita, ovvero nella misura che sara' ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal di' del licenziamento e sino all'effettivo soddisfo. In subordine: quanto al licenziamento collettivo. [8] Accertare e dichiarare nullo, invalido, illegittimo e, in ogni caso, inefficace, l'intimato licenziamento collettivo del 25 marzo 2020 in quanto comminato al di fuori della procedura di cui alla legge n. 223/1991 e, dunque, al di fuori delle regole di tutela. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, commi 1 e 2, legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge n. 300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento del danno dal medesimo subito a quantificarsi in misura pari ad un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra, e comunque non inferiore alla misura delle cinque mensilita'. Sempre per l'effetto, condannare inoltre la societa' convenuta, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. [9] In via subordinata, accertare e dichiarare nullo, invalido, illegittimo e, in ogni caso, inefficace, i! licenziamento intimato da Dussmann Service S.r.l. al ricorrente a decorrere dal 25 marzo 2020, stante la totale omissione della comunicazione ai sensi dell'art. 4 comma 9, legge n. 223 del 1991 e, dunque, in violazione dei criteri di scelta. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, comma 4, legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge n. 300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l., in persona suo legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro assegnatogli oltre al risarcimento del danno dal medesimo subito a quantificarsi in misura pari ad un'indennita' commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegra, e comunque per un massimo di dodici mensilita'. Sempre per l'effetto, condannare inoltre la societa' convenuta, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. [10] In via piu' subordinata, nella denegata ipotesi in cui codesto On.le Tribunale non dovesse ravvisare gli estremi per l'immediata reintegrazione, comunque dichiarare illegittimo il licenziamento de quo e condannare Dussmann Service S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore del ricorrente, di un'indennita' risarcitoria pari a 24 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto percepita, ovvero nella misura che sara' ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal di' del licenziamento e sino all'effettivo soddisfo. In subordine: quanto al licenziamento per giusta causa. [11] Accertare e dichiarare nullo, invalido, illegittimo e, in ogni caso, inefficace, il licenziamento intimato da Dussmann Service S.r.l. al ricorrente a decorrere dal 25 marzo 2020, stante l'insussistenza del fatto contestato e, dunque, l'inesistenza della giusta causa e/o giustificato motivo. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, comma 4, legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge n. 300 del 1970 - Dussmann Service S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro occupato al momento dell'impugnato licenziamento, ovvero in mansioni in ogni caso equivalenti, nonche' al pagamento, in favore dell'istante, di un'indennita' commisurata alla retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione. Sempre per l'effetto, condannare inoltre la societa' convenuta, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. [12] In via subordinata, accertare e dichiarare nullo, invalido, illegittimo e, in ogni caso, inefficace, il licenziamento intimato da Dussmann Service S.r.l. al ricorrente a decorrere dal 25 marzo 2020, per mancato rispetto delle garanzie procedimentali previste dall'art 7 Stat. Lav. e, dunque, per assenza di giusta causa o giustificato motivo. Conseguentemente condannare, ai sensi dell'art. 18, comma 4, legge n. 300/1970 - riconoscendo ad un tempo il diritto del deducente ad esercitare in ogni caso la facolta' ex art. 18, comma 3, legge n. 300 del 1970 - Dusmann Service S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla immediata reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro occupato al momento dell'impugnato licenziamento, ovvero in mansioni in ogni caso equivalenti, nonche' al pagamento, in favore dell'istante, di un'indennita' commisurata alla retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione. Sempre per l'effetto, condannare inoltre la societa' convenuta, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. [13] In via piu' subordinata, nella denegata ipotesi in cui codesto On. le Tribunale non dovesse ravvisare gli estremi per l'immediata reintegrazione, comunque dichiarare illegittimo il licenziamento de qua e condannare Dussmann Service S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore del ricorrente, di un'indennita' risarcitoria pari a 24 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto percepita, ovvero nella misura che sara' ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal di' del licenziamento e sino all'effettivo soddisfo. [...]. Le difese di parte resistente. Parte resistente, nel costituirsi, ha preliminarmente eccepito l'incompetenza territoriale del Tribunale di Lecce, essendo la sede della societa' sita in Milano, dovendo ivi ritenersi concluso il contratto e non essendovi alcuna dipendenza della societa' nel circondario del Tribunale di Lecce. Nel merito della questione, dopo una sintesi degli eventi che hanno portato alla cessazione del rapporto di lavoro, ha fatto presente che - a seguito delle comunicazioni inviate a tutti i dipendenti che non avevano rassegnato le dimissioni - in conseguenza della loro mancata risposta aveva qualificato la stessa come manifestazione di dimissioni volontarie per fatto concludente (par. 61 memoria). Pertanto, eccepisce l'insussistenza di un licenziamento del ricorrente, la sussistenza di una risoluzione del rapporto di lavoro per comportamento concludente del lavoratore a causa della stipula del contratto con il MIUR; eccepisce altresi' - in caso di eventuale reintegra - l'incompatibilita' del rapporto tra Dussmann e il Ministero. Chiede la condanna per lite temeraria del ricorrente. Ritiene in via principale che la sottoscrizione del contratto con il Ministero a seguito delle procedure di selezione ex art. 1, comma 670 legge n. 145/2018 - abbia concretizzato una forma di dimissioni tacite da parte del ricorrente. La normativa applicabile. Come sara' argomentato di seguito, le norme rilevanti nel caso di specie sono l'art. 24, legge n. 223/1991 e l'art. 5, comma 3 della medesima legge che sanziona con le conseguenze dell'art. 18, comma 1, legge n. 300/1970 la mancata adozione della forma scritta in caso di licenziamento collettivo. Viene in rilievo ovviamente anche l'art. 58, commi da 5-bis a 5-quater, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, per come modificato dall'art. 1, comma 760, legge n. 145/2018 (che ha aggiunto i citati commi da 5-bis 5-quater) e dall'art. 2 comma 5 del decreto-legge n. 129/2019 convertito in legge n. 159/2019 (che ha differito dal 1° gennaio 2020 al 1° marzo 2020 l'efficacia della norma). Si riporta di seguito il testo di questi commi: «5-bis. A decorrere dal 1° marzo 2020, le istituzioni scolastiche ed educative statali svolgono i servizi di pulizia e ausiliari unicamente mediante ricorso a personale dipendente appartenente al profilo dei collaboratori scolastici e i corrispondenti posti accantonati ai sensi dell'art. 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 119, sono resi nuovamente disponibili, in misura corrispondente al limite di spesa di cui al comma 5. Il1 predetto limite di spesa e' integrato, per l'acquisto dei materiali di pulizia, di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020. 5-ter. Il Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e' autorizzato ad avviare un'apposita procedura selettiva, per titoli e colloquio, finalizzata ad assumere alle dipendenze dello Stato, a decorrere dal 1° gennaio 2020, il personale impegnato per almeno 10 anni, anche non continuativi, purche' includano il 2018 e il 2019, presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per lo svolgimento di servizi di pulizia e ausiliari, in qualita' di dipendente a tempo indeterminato di imprese titolari di contratti per lo svolgimento dei predetti servizi. Alla procedura selettiva non puo' partecipare il personale di cui all'art. 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2017, n. 205. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, per la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze, sono determinati i requisiti per la partecipazione alla procedura selettiva, nonche' le relative modalita' di svolgimento e i termini per la presentazione delle domande. 5-quater. Nel limite di spesa di cui al comma, 5-bis, primo periodo, sono autorizzate assunzioni per la copertura dei posti resi nuovamente disponibili ai sensi del medesimo comma. Le assunzioni, da effettuare secondo la procedura di cui al comma 5-ter, sono autorizzate anche a tempo parziale. I rapporti instaurati a tempo parziale non possono essere trasformati in rapporti a tempo pieno, ne' puo' esserne incrementato il numero di ore lavorative, se non in presenza di risorse certe e stabili.» Come si evince, la normativa in tema di «internalizzazione» non fornisce alcuna previsione rispetto alle sorti dei rapporti di lavoro con la societa' appaltante una volta verificatasi l'assunzione alle dipendenze del Ministero. Pertanto, si argomentera' circa il fatto che - all'esito dell'analisi sotto riportata - la normativa che viene in rilievo nel caso di specie e' quella che sanziona il licenziamento collettivo non effettuato per iscritto (in virtu' del richiamo all'art. 18, comma 1, legge n. 300/1970 effettuato dall'art. 5 comma 3, legge n. 221/1991). Proprio tale esito interpretativo (dato dal combinato disposto delle norme sopra indicate), si pone quale unica soluzione possibile in assenza di un intervento di codesta Ecc.ma Corte. Tuttavia, ad avviso di questo giudice, questa soluzione si presenta in contrasto con l'art., 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, e con l'art. 41 Cost. in combinato disposto con l'art. 3 Cost. nella parte in cui impone un onere irragionevolmente gravoso alla societa' datrice di lavoro privata rispetto agli esuberi (e solo rispetto ad essi) assorbiti dal Ministero tramite procedura di internalizzazione ex art. 58, commi da 5-bis a 5-quater, decreto-legge n. 69/2013, convertito in legge n. 98/2013 e successive modificazioni ed integrazioni. La rilevanza della questione. In quanto eccezione idonea a determinare l'esito in rito del giudizio, va premesso che non sussiste alcuna incompetenza del Tribunale di Lecce. Alle pagine 30 e 31 della memoria di parte, la societa' resistente afferma che le firme dei lavoratori sui contratti di assunzione sono state raccolte da un incaricato che - nell'ambito del circondario di Lecce - le ha poi trasmesse alla sede di Milano. Qualifica costui come mero nuncius e ritiene tale condotta irrilevante ai fini della competenza. Quanto sopra e' non corretto; infatti, Cassazione, n. 30536/2017 ha ritenuto che la firma raccolta da un incaricato dell'azienda costituisse prova della conoscenza dell'accettazione e quindi potesse intendersi radicata la competenza nel luogo ove la firma era apposta, da intendersi quale luogo di conclusione del contratto. In tal senso anche Cassazione n. 25923/2014 (pronuncia richiamata dalla sentenza sopra citata) ha affermato che: in tema di conclusione del contratto, qualora l'accettazione sia comunicata da un nuncius, non e' necessaria la materiale trasmissione della stessa al proponente, in quanto, ai sensi dell'art. 1326, primo comma del codice civile, che deroga all'art. 1335 del codice civile, il contratto si deve ritenere ugualmente concluso quando, pur non essendo stata l'accettazione indirizzata al proponente, questi ne abbia avuto comunque conoscenza. Nel caso di specie, e' la stessa societa' che ammette che la firma e' stata raccolta da un proprio incaricato e che lo stesso ha spedito l'accettazione alla societa' e tale modalita' di raccolta e' confermata nelle note di trattazione dal ricorrente. Deve quindi ritenersi che non puo' parlarsi di mero nuncius in quanto trattasi di soggetto incaricato della raccolta delle accettazioni dalla societa' stessa (fermo restando che Cassazione 25923/2014 - con giurisprudenza cui si aderisce - ritiene che anche qualora comunicata ad un mero nuncius l'accettazione sia validamente conosciuta dal prominente nel luogo e momento della comunicazione al nuncius). Inoltre, la societa' fa presente non poter essere considerata come dipendenza la scuola presso cui prestava servizio il lavoratore (sita in Vernole), omettendo di considerare che il luogo di stoccaggio dei materiali e degli strumenti di lavoro e' di per se' dipendenza. Ne' la societa' ha affermato e/o provato che i materiali di pulizia e i macchinari e gli strumenti venissero custoditi al di fuori del circondario del Tribunale di Lecce. Infatti, ai fini dell'accoglimento di un'eccezione di incompetenza, grava sul convenuto che la eccepisca l'onere di contestare specificamente l'applicabilita' di ciascuno dei criteri legali che radicano la competenza e di fornire la prova delle circostanze di fatto dedotte a sostegno di tale contestazione (arg. ex Cassazione 17311/2018). Inoltre, seguendo l'impostazione di Cassazione 298/2018, si e' affermato che, in tema di eccezione di incompetenza per territorio ex art. 428, codice di procedura civile, la giurisprudenza e' costante nell'affermazione del principio secondo cui l'eccezione di parte convenuta, idonea ad impedire che la causa rimanga radicata presso il giudice adito secondo il criterio del foro non contestato, deve essere valutata non solo nella sua tempestivita', ma anche sotto l'aspetto della completezza, dovendo la contestazione riguardare tutti i fori speciali, alternativamente previsti dall'art. 413, codice di procedura civile (cfr. anche Cassazione 11 giugno 1996, n. 5368; Cassazione 14 giugno 1996, n. 5452; Cassazione 28 agosto 1996, n. 7903). Pertanto, il principio di completezza dell'eccezione postula che - anche per l'eccezione di incompetenza territoriale nel rito del lavoro - il resistente dia prova delle circostanze dedotte a sostegno della contestazione. Il resistente non ha dato prova di dove venissero custoditi i materiali di pulizia e le attrezzature usate per il servizio, che - per far ritenere fondata l'eccezione - avrebbero dovuto essere custoditi in un luogo al di fuori del circondario di Lecce. Infatti, il luogo di conservazione e custodia degli stessi si deve considerare dipendenza dell'azienda. Pertanto, l'incompletezza dell'eccezione - sotto il profilo del mancato assolvimento dell'onere della prova - costituisce un ulteriore profilo di infondatezza della stessa. In sostanza, la controversia e' correttamente radicata presso il Tribunale di Lecce. Cio' detto, nel merito, vanno rigettate anche le eccezioni del resistente che vogliono qualificare la condotta del ricorrente quale dimissione tacita o risoluzione consensuale (o mutuo dissenso). In primo luogo, sia le dimissioni sia le risoluzioni consensuali (a prescindere dal nomen iuris attribuito) sono soggette alla disciplina ex art. 26, decreto legislativo n. 151/2015; quest'ultima risulta strutturata secondo un iter (convalida delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali) che nel caso di specie non risulta seguito. Questo gia' di per se' sarebbe dirimente nel senso del rigetto della argomentazione difensiva. Ne' va trascurato che alcun comportamento di sorta idoneo a configurare la cessazione del rapporto e' provato, non foss'altro che (come emerge dal documento 15 del fascicolo attoreo) l'organizzazione sindacale di appartenenza dello stesso ricorrente (punto 21 del ricorso) aveva diffidato dal procedere con la sospensione unilaterale dei rapporti e si ritiene che sia valida manifestazione delle ragioni dell'aderente quella espressa dall'O.S. di appartenenza. Ne' il passaggio ad altro datare di lavoro e' configurabile quale atto di risoluzione tacita del rapporto. In questo soccorre la giurisprudenza in tema di rapporto tra licenziamento a seguito di cambio appalto e clausola sociale (richiamabile anche nel caso di specie, data la sovrapponibilita' strutturale tra le due fattispecie). Tra le piu' recenti pronunce in tal senso qui si richiama Cassazione n. 2014/2020 secondo cui il passaggio ad altro soggetto non incide sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il riconoscimento della continuita' giuridica del rapporto originario. Ne' la scelta effettuata per la costituzione di un nuovo rapporto implica, di per se', rinuncia all'impugnazione dell'atto di recesso, «dovendosi escludere che si possa desumere la rinuncia del lavoratore ad impugnare il licenziamento o l'acquiescenza al medesimo dal reperimento di una nuova occupazione, temporanea o definitiva, non rivelandosi, in tale scelta, in maniera univoca, ancorche' implicita, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l'atto risolutivo» (Cassazione n. 12613 del 2007). Al suddetto principio e' stata data continuita' con recenti decisioni. E' stato, invero, sottolineato che «la scelta effettuata dal lavoratore per la costituzione di un nuovo rapporto con la societa' subentrante nell'appalto di servizi non implica, di per se', rinuncia all'impugnazione dell'atto di recesso, dovendosi escludere che si possa desumere la rinuncia del lavoratore ad impugnare il licenziamento o l'acquiescenza al medesimo dal reperimento di una nuova occupazione, temporanea o definitiva, non rivelandosi, in tale scelta, in maniera univoca, ancorche' implicita, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l'atto risolutivo. Tale principio conserva validita' nel caso in esame, neppure risultando circostanze fattuali ulteriori e significative nel senso voluto dalla societa'» (Cassazione n. 22121 del 2016). Inoltre, e' stata chiarita la distinzione tra le differenti situazioni di fatto riferite al recesso dell'originario datore di lavoro ed alla costituzione del nuovo rapporto di lavoro con l'impresa subentrante. «La garanzia del passaggio dal datore originario all'impresa subentrante, di natura contrattuale collettiva, mira ad assicurare la stabilita' e continuita' dell'occupazione, ma lascia distinti i rapporti lavorativi, (non a caso si definisce un rapporto ex novo con l'impresa subentrante), sicche' non solo una regola contrattuale non potrebbe mai escludere la tutela legale che sanziona il recesso illegittimo, ma neppure sarebbe invocabile trattandosi di distinti rapporti contrattuali rispetto ai quali differenti sono le obbligazioni e responsabilita' datoriali» (Cassazione n. 29922 del 2018)». I principi base espressi da tale orientamento giurisprudenziale - consolidato e da valutarsi quale diritto vivente - sono applicabili anche al caso di specie. Perde quindi qualsiasi rilevanza la giurisprudenza in materia di prova del licenziamento orale citata dal resistente in memoria, cio' in quanto in atti (e per come si dira' oltre) vi e' ampia prova della ricostruzione della fattispecie quale licenziamento orale (essendo proveniente dal datore di lavoro l'indicazione della cessazione del rapporto di lavoro, qualificata dallo stesso datore come dimissioni, oltre a non essere state rispettate le norme in materia di convalida delle dimissioni). Ed e' parimenti indubbio che la volonta' di recesso del datore di lavoro, espressa con propria comunicazione agli enti competenti senza darne mai diretta comunicazione al lavoratore, e' configurabile quale licenziamento. Per inciso, va anche detto che neppure sarebbe possibile una teorica ricostruzione alla stregua della fattispecie di cui al 2112 del codice civile. Milita in tal senso il fatto che le parti neppure abbiano compiutamente allegato i fatti costitutivi della fattispecie (tanto che il resistente, punto 24 della sua memoria, si duole che non si sia concretizzata tale fattispecie). Inoltre, difettano - in ogni caso - gli elementi presi a riferimento dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (Grande sezione) con la sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C - 108/10, Scattolon), quanto manca una procedura di riassunzione, da parte di una pubblica autorita' di uno Stato membro, del personale dipendente di un'altra pubblica autorita'. In questo caso il passaggio e' da privato a pubblico. E che non si verta in ipotesi di 2112 del codice civile e' confermato anche dall'analisi della giurisprudenza di codesta Corte costituzionale (n. 167/2013) secondo cui: La natura puramente privata del lavoro alle dipendenze delle societa' partecipate, del resto, rende inoperante, nella fattispecie del trasferimento di funzioni da una societa' partecipata ad un ente pubblico, la stessa garanzia del posto di lavoro, che l'art. 2112 del codice civile riconosce, in ambito privato, ai lavoratori subordinati in caso di trasferimento di azienda. L'art. 31 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che dispone esplicitamente l'applicazione di tale garanzia, nel settore del lavoro pubblico, al passaggio di funzioni e di pendenti da enti pubblici ad altri soggetti (pubblici o privati), non richiama la predetta garanzia per le ipotesi in cui il passaggio di funzioni avvenga - come nel caso previsto dalla legge regionale censurata - da soggetti privati ad enti pubblici: in tali ipotesi, infatti, l'automatico trasferimento dei lavoratori presuppone un passaggio di status - da dipendenti privati a dipendenti pubblici (ancorche' in regime di lavoro privatizzato) - che, si ripete, non puo' avvenire in assenza di una prova concorsuale aperta al pubblico (in tal senso, sentenza n. 226 del 2012). Pur nella diversita' di fattispecie, i principi generali espressi rendono inapplicabile l'art. 2112 del codice civile (nonche' l'art. 31 del decreto legislativo n. 165/2001). Inoltre, la dedotta fattispecie non appare inquadrabile quale licenziamento individuale. Infatti, riguardando la cronologia degli eventi rilevanti (non contestata) emerge che - il 1° ottobre 2019 - parte resistente abbia avviato una procedura di licenziamento collettivo a seguito dell'internalizzazione dei rapporti di lavoro disposta ex lege; questa procedura ha portato, in data 28 febbraio 2020, addirittura ad un esito negativo del tavolo negoziale (e questo elemento milita ancor di piu' per la valutazione di insussistenza di dimissioni tacite del ricorrente e degli altri lavoratori nella medesima situazione, i quali sono passati dall'avere contezza di un avvio di procedura di licenziamento collettivo al ricevere una lettera di sospensione del rapporto ed al ritrovarsi considerati dimissionari). Pertanto, sussiste il requisito dell'intenzione di licenziare piu' di cinque dipendenti in centoventi giorni (cfr. anche Corte di giustizia - sentenza 27 gennaio 2005, C - 188/03 - secondo cui l'evento qualificatile come licenziamento va inteso con riferimento alla volonta' del datore di lavoro di porre fine ai rapporti di lavoro e non con l'effettiva determinazione di cessazione del rapporto di lavoro). Oltretutto, la giurisprudenza piu' recente (Cassazione n. 15401 del 20 luglio 2020 che innova, e viene da questo giudice condivisa, la precedente interpretazione nomofilattica) ritiene si debba computare, nel numero minimo di cinque licenziamenti rilevante ex legge n. 223/1991, qualsiasi ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro determinata (in tutto o in parte) da una scelta del lavoratore (ossia anche le dimissioni, le risoluzioni per mutuo consenso e prepensionamenti, qualora traggano ragione dall'iniziativa del datore di lavoro). E' pacifica la riconducibilita' di tale ipotesi alla presente fattispecie perche' la societa' aveva avviato la procedura di licenziamento collettivo in relazione al medesimo fatto storico (internalizzazione del servizio a seguito della legge n. 145/2018 e per i medesimi soggetti, incluso l'odierno ricorrente, coinvolti nel presente ricorso e in analoghi ricorsi pendenti presso questa sezione). Anche a livello di giurisprudenza della Corte di giustizia europea (Corte di giustizia UE 11 novembre 2015 in causa C-422/14) si e' chiarito che rientra nella nozione di «licenziamento» il fatto che il datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta dal lavoratore medesimo. Nel caso di specie le dimissioni volontarie degli altri colleghi sono state effettuate anche alla luce delle indicazioni della datrice di effettuare trasferimenti a seguito dell'internalizzazione del servizio di pulizia nelle scuole e questo invero senza contare che nella medesima condizione del ricorrente si trovano decine di soggetti (cfr. pagina 11, punto 31 del ricorso) ed invero - dovendo considerare la cessazione di costoro alla stregua di licenziamenti - gia' solo questo dato integrerebbe il requisito per l'applicazione dell'art. 24, legge n. 221/1991. Deve quindi ritenersi applicabile la disciplina dei licenziamenti collettivi in quanto ogni altra qualificazione urterebbe coi dati di fatto in atto e comunque con la giurisprudenza sovranazionale sopra richiamata. Ne' al caso di specie risulta applicabile la disciplina sui licenziamenti collettivi relativi agli assunti successivamente al 7 marzo 2015 (il lavoratore e' stato assunto prima di tale data da Dussmann) mentre il dato numerico dei dipendenti interessati da dimissioni volontarie (effettive) e di quelli considerati dimissionari ma che ritengono di essere stati licenziati come il ricorrente integra i requisiti dimensionali per l'applicazione della legge n. 223/1991. Resta quindi irrilevante qualsiasi argomentazione in ricorso e nella memoria di costituzione relativa alla qualificazione di tali licenziamenti come licenziamenti individuali (e ancora piu' irrilevante il capo di domanda relativo alla qualificazione del licenziamento come per giusta causa/disciplinare). Non sussiste alcun elemento di fatto idoneo a qualificare il licenziamento de qua come disciplinare, invero neppure la prospettazione attorea include le allegazioni minime per tale qualificazione oltre ad esservi elementi di fatto di segno totalmente opposto. Il requisito numerico e temporale fa si che non si possa parlare neppure di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo. Ne' risulta applicabile alcuna deroga alla disciplina dei licenziamenti collettivi prevista dalla legislazione nazionale (art. 24, comma 4, legge n. 223/1991. Non si verte in nessuno dei casi contemplati trattandosi, nel presente caso, di lavoratore a tempo indeterminato addetto al settore pulizie scuole). Non risulta, invero, neppure applicabile l'art. 7, comma 4-bis del decreto-legge n. 248/2007, convertito in legge n. 31/2008 secondo cui: «4-bis. Nelle more della completa attuazione della normativa in materia di tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attivita' di servizi in appalto e al fine di favorire la piena occupazione e di garantire l'invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori, l'acquisizione del personale gia' impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, in materia di licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori riassunti dall'azienda subentrante a parita' di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative.». Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimita' (Cassazione 20772/18 ma anche Cassazione 22121/2016, trattasi di orientamento consolidato): «In caso di licenziamento per cessazione dell'appalto, l'esclusione dell'applicazione della procedura di cui all'art. 24 della legge n. 223 del 1991, espressamente prevista dall'art. 7, comma 4-bis, del decreto-legge n. 348 del 2007, introdotto dalla legge di conversione n. 31 del 2008, presuppone la necessaria riassunzione del lavoratore nell'azienda subentrante, a parita' di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative, o a seguito di accordi collettivi con le predette organizzazioni. (Nella specie, !a S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto applicabile la disciplina di cui alla legge n. 223 del 1991 in un caso in cui, verificatosi il subentro nell'appalto dei servizi di manutenzione degli immobili della Provincia di Foggia ed il licenziamento dei lavoratori addetti, la societa' subentrante aveva proposto ai dipendenti la stipulazione di un contratto a tempo parziale e non a tempo pieno come quello precedente. In concreto, parte ricorrente afferma proprio la riduzione stipendiale subita all'atto dell'assunzione (circostanza non contestata tanto piu' che nelle note di trattazione la stessa resistente menziona un sopravvenuto aumento di orario lavorativo del ricorrente) ed inoltre e' evidente il cambio di status normativo del lavoratore, che e' venuto ad assumere la qualifica di dipendente pubblico con diversita' di statuto economico e normativo. Difettano i presupposti normativi per l'applicazione di tale norma nonche', invero e prioritariamente, quelli fattuali, non essendo stati allegati dalle parti gli elementi costitutivi della fattispecie (ne sono stati allegati di contrari, in realta'). Inoltre, tale norma non puo' neppure assurgere ad oggetto di scrutinio della presente questione di legittimita' costituzionale. Infatti, nel qui presente caso il nodo da dipanare non attiene alla sola disciplina procedimentale da attuare (licenziamento collettivo o individuale. E si e' visto e si vedra' che per lo stato della normativa e della giurisprudenza e' la disciplina sui licenziamenti collettivi a venire in rilievo) bensi' anche a quale debba essere la sorte della contratto di lavoro alle dipendenze di Dussmann del dipendente internalizzato presso il Ministero. Prendere come oggetto di comparazione o di scrutinio tale norma lascerebbe irrisolto il secondo dei termini del problema sopra esposto (la sorte del contratto di lavoro). Irrilevante e' anche la questione relativa alla potenziale incompatibilita' tra lavoro presso il Ministero e reintegrazione presso Dussmann; questo non tanto perche' sarebbe possibile ottenere l'autorizzazione per lo svolgimento di altra attivita' da parte del lavoratore (come argomentato dal ricorrente) ma quanto perche' tale problema e' logicamente successivo al punto controverso qui affrontato e riguarderebbe in ogni caso il rapporto tra il Ministero e il lavoratore e non tra il lavoratore e la resistente Dussmann. E' pertanto questione irrilevante. Irrilevante e priva di fondamento e' anche la questione della natura disciplinare del recesso. Parte resistente non ha neppure allegato tale circostanza e tale qualificazione, evidentemente proposta ad abundantiam dal ricorrente, e' priva di qualsiasi addentellato con i fatti nello stesso ricorso allegati e con i documenti prodotti in causa. La questione sulla temerarieta' della lite non rileva in modo alcuno rispetto alla presente questione e la stessa complessita' dei fatti qui esposti la elide. In sintesi: non sussistono i presupposti per qualificare come dimissioni volontarie o risoluzione consensuale tacita la condotta del lavoratore; per dovere di completezza, si rappresenta che non e' applicabile neppure la giurisprudenza in materia di mutuo dissenso elaborata dalla Corte di tassazione in tema di contratto a tempo determinato sia in quanto manca prova degli elementi fattuali richiesti dalla giurisprudenza di legittimita' per il riscontro di tale fattispecie sia perche' - sin dall'inizio - vi e' stata espressa contestazione sulla sospensione del rapporto di lavoro nonche' immediata impugnazione dal recesso del rapporto. La stessa restituzione degli strumenti di lavoro chiesta dal datore e' stata effettuata solo per non incorrere in trattenute economiche e nessun significato ulteriore ad essa puo' attribuirsi; inoltre, la stessa giurisprudenza di legittimita' sul mutuo dissenso nei contratti a termine risulta inapplicabile al caso di specie in quanto superata dall'entrata in vigore dell'art. 24, decreto legislativo n. 151/2015 (oltre che dalla disciplina sulla decadenza ex legge n. 183/2010, art. 32) e in ogni caso in contrasto con la giurisprudenza in tema di licenziamento e clausola sociale di cui a Cassazione 2014/2020 e decisioni conformi, costituente il diritto vivente in materia e maggiormente attinente al caso di specie; non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 2112 del codice civile; non sussistono i presupposti per l'applicazione della disciplina dei licenziamenti individuali (ne' per gmo ne' per giusta causa/giustificato motivo soggettivo); non esistono i presupposti per l'applicazione di deroghe normative alla disciplina del licenziamento collettivo; non e' applicabile il c.d. blocco dei licenziamenti collettivi previsto dall'art. 46, decreto-legge n. 18/2020, convertito in legge n. 27/2020 (norma ratione temporis da prendere in considerazione) dato che la stessa prevede che: a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e' precluso per cinque mesi e nel medesimo periodo sono sospese le procedure` pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020...; ed invero, la procedura di licenziamento collettivo de quo era stata avviata il 1° ottobre 2019 (punto 9 del ricorso); l'atto di risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro va qualificato come licenziamento collettivo intimato sia senza la prevista forma scritta, sia senza rispetto della procedura e dei criteri di scelta (vizio assorbito dalla piu' grave mancanza della forma scritta) in quanto l'intenzione di licenziare piu' di cinque dipendenti in centoventi giorni e' stata manifestata gia' a partire dal 1° ottobre 2019, vi sono state dimissioni legate al riassetto organizzativo della resistente nonche' il licenziamento del ricorrente (e di altri, numerosi, soggetti nella medesima posizione). Ne' appare possibile qualificare come atto scritto di licenziamento la comunicazione al centro per l'impiego o la consegna della busta paga con indicata la data di fine rapporto in quanto lo stesso datare di lavoro nega di aver voluto attribuire un tale significato agli stessi citati documenti e ne' gli stessi contengono -anche implicitamente - una volonta' di recesso (che anche in memoria nega il datore di lavoro); e' irrilevante la questione sull'incompatibilita' ex art. 53, decreto legislativo n. 165/2001 perche' potenzialmente relativa a momento successivo a quello oggetto della presente controversia e non coinvolge in nessun caso la questione della legittimita' del recesso operata da Dussmann. Una volta appurata la disciplina applicabile e una volta argomentato circa il fatto che il lavoratore in questione vada considerato come licenziato e che sussistono i requisiti numerici per integrare la disciplina del licenziamento collettivo e che difetta la forma scritta del licenziamento stesso, si dovrebbe applicare - in virtu' del richiamo effettuato dall'art. 5, comma 3, legge n. 223/1991 - l'art. 18 comma 1, legge n. 300/1970. Tuttavia, questo giudice ritiene che l'applicazione della teste' esposta disciplina presenti profili di irragionevolezza e sia necessaria una pronuncia additiva di codesta Ecc.ma Corte. La questione appare quindi dirimente perche' in caso di accoglimento della questione qui sollevata il ricorso dovrebbe essere rigettato; di contro, il ricorso andrebbe accolto nei termini sopra esposti (applicazione dell'art. 18, comma 1, legge n. 300/1970 per come richiamato dall'art. 5, comma 3, legge n. 223/1991). Corde si vede la questione e' rilevante in quanto dalla definizione della stessa dipende l'esito del ricorso. Va anche rimarcato che - alla luce della giurisprudenza nazionale e sovranazionale riportata - non sussiste alcuna possibilita' di interpretazione conforme della normativa ne' risultano applicabili norme diverse da quelle individuate. Non manifesta infondatezza. Nel caso di specie, pur in presenza di tutti gli elementi fattuali integrativi della fattispecie, la disciplina di cui all'art. 58, comma 5-bis ss. cit. (che comporta di conseguenza l'applicazione del combinato disposto degli articoli 5, comma 3 e 24, legge n. 223/1991 e dell'art. 18, comma 1, legge n. 300/1970) appare sproporzionata negli effetti e - come tale - in violazione dell'art. 3 della Costituzione in relazione al principio di ragionevolezza e proporzionalita' nonche' in violazione dell'art. 41 della Costituzione sempre in relazione all'art. 3 Cost. ed evidenzia una omissione normativa che richiede l'intervento di codesta Corte costituzionale. Infatti, la ratio dell'internalizzazione e' quella di riportare all'interno dell'Amministrazione attivita' che erano state esternalizzate nonche' quei lavoratori che per un congruo periodo di tempo (10 anni) erano stati addetti a questi appalti. L'intento del legislatore e' stato quindi quello di porre termine ad una situazione che - nata per conseguire un risparmio di spesa per lo Stato - non aveva generato i risultati sperati anche sotto il profilo della gestione dei lavoratori impiegati. Per fare cio', correttamente, il legislatore si e' avvalso di una procedura selettiva (seguendo i dettami anche di Corte Cost. 167/2013) ed ha individuato criteri ragionevoli di selezione dei partecipanti (questione che in ogni caso non rileva nel caso di specie). A fronte di cio' si e' verificato il venir meno dei contratti di appalto in essere con ditte private e la necessita' di gestire la posizione dei dipendenti gia' impiegati in questo appalto. Nel caso di specie, occorre ribadire la precisazione, si fa unicamente questione di coloro che all'esito della selezione sono stati assunti alle dipendenze del Ministero, perche' tale e' la casistica giurisprudenziale sottoposta all'attenzione di questo giudice. Per costoro appare irragionevole che la risoluzione del rapporto del lavoro debba seguire le norme sui licenziamenti collettivi. Tra l'altro, tale circostanza - che scaturisce da una impossibilita' di trovare una diversa soluzione all'interno dell'ordinamento interno per come sopra argomentato - contrasta con quella che e' la ratio della disciplina in materia di licenziamenti collettivi stessi, ovverossia quella di tutelare la partecipazione e l'informazione dei lavoratori e la partecipazione dei corpi intermedi al fine di limitare le conseguenze del procedimento di licenziamento stesso (per le finalita' della normativa europea cfr. anche CGUE, settima sezione, ordinanza 4 giugno 2020). Si aggiunga inoltre che, obbligando la societa' datrice di lavoro a seguire le procedure per i licenziamenti collettivi, sarebbero stati coinvolti soggetti effettivamente a rischio di perdere il posto di lavoro con soggetti che nelle more erano stati assunti dal Ministero, con cio' determinando la trasformazione di una disciplina improntata ad una tutela del lavoratore in un mero adempimento vuoto e formale. Cio' precisato, prevedere la necessita' di avviare la procedura di licenziamento ex legge n. 223/1991 per lavoratori che siano stati parte di una procedura di internalizzazione ex lege e che siano stati assunti dall'Amministrazione a seguito di una selezione, superata, costituisce una costruzione normativa irragionevole in quanto gli stessi: hanno partecipato volontariamente alla selezione; sono transitati presso un datore di lavoro pubblico (il rapporto di lavoro alle cui dipendenze ha normativamente una stabilita' maggiore rispetto a quello alle dipendenze di un datore di lavoro privato; arg. ex Cassazione 11868/16 e Cassazione 23424/17). Pertanto, al fine di ricondurre a ragionevolezza il combinato disposto delle norme sopra richiamate si ritiene che codesta Ecc.ma Corte possa intervenire con una pronuncia additiva e dichiarare illegittimo il combinato disposto delle norme indicate in dispositivo nella parte in cui non prevede che - per coloro che abbiano partecipato alla selezione indetta ex legge n. 145/2018, art. 1, comma 760 e siano stati assunti dal Ministero dell'istruzione (gia' MIUR) - resta esclusa l'applicabilita' della disciplina sui licenziamenti collettivi e, parimenti, si realizza la risoluzione di diritto del contratto di lavoro alle dipendenze dell'impresa appaltatrice gia' datrice di lavoro al momento della stipula del contratto con il Ministero stesso. Come visto, l'ipotesi della risoluzione del contratto di lavoro non e' praticabile in via interpretativa alla luce delle coordinate giurisprudenziali precedentemente esposte. Ne', in assenza di intervento additivo della Corte costituzionale, sussiste una norma che possa ritenere altrimenti prodotto tale effetto. Ulteriormente si tratta di una soluzione che non mina la discrezionalita' del legislatore, ad avviso di questo giudice. L'ipotesi di una fattispecie risolutiva di diritto - da introdursi mediante intervento additivo di codesta Corte - e' infatti una soluzione a rime obbligate, non essendo possibile dare alcuna lettura costituzionalmente orientata e ragionevole del sistema. Del pari, quanto sopra puo' rappresentarsi rispetto all'esclusione della procedura di licenziamento collettivo. Come evidenziato da Corte costituzionale 1130/1988: ... il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti. Ne' la circostanza che con il richiesto intervento verrebbe meno la tutela contro il licenziamento appare contraria ai criteri posti da codesta Corte in tema di giudizio avente ad oggetto di uguaglianza/ragionevolezza. In tal senso, l'operativita' del principio di eguaglianza non e' unidirezionalmente e necessariamente diretta ad estendere la portata di una disciplina piu' favorevole evocata come tertium comparationis, ma puo' dispiegarsi anche nel senso di rimuovere l'ingiustificato privilegio di una disciplina piu' favorevole rispetto a quella indicata a comparazione (cosi', Corte costituzionale n. 421/1995). Quanto affermato dalla citata sentenza n. 421 si ritiene valga - con i dovuti aggiustamenti legati al caso concreto - anche nella valutazione di ragionevolezza della disciplina portata all'attenzione di codesta Corte. La stessa soluzione prospettata invero consente anche di effettuare un concreto bilanciamento tra gli articoli 3 e 41 della Costituzione. Quanto alla violazione dell'art. 41 Cost., in particolare, costringere il datare di lavoro ad attivare una procedura di licenziamento collettivo anche per coloro che sono stati internalizzati dall'Amministrazione costituisce un non bilanciato sacrificio rispetto alla tutela dell'attivita' di impresa. Infatti, limitando le procedure della legge n. 223/1991 ai soli dipendenti effettivamente ridondanti si sarebbe ottenuta anche una migliore gestione della procedura di esubero. La tutela dell'art. 41 Cost. infatti, ad avviso di questo giudice, impone al legislatore di non gravare di oneri irragionevoli la gestione degli esuberi soprattutto laddove gli stessi non siano effettivamente tali ma si tratti di lavoratori transitati nei ruoli del Ministero. Infatti, pur essendo acclarato che in molti ambiti la tutela del lavoratore abbia subito un arretramento anche sotto il profilo dell'effettivita' (cfr. Comitato europeo diritti sociali, CGIL contro Italia in procedura in istanza 91/2013), non e' questo il caso. I lavoratori hanno scelto deliberatamente di partecipare ad una selezione loro riservata e di essere assunti dal datore di lavoro pubblico. Lo stato attuale delle norme e del diritto vivente come sopra descritto consentirebbe loro di avere una ulteriore tutela (quella ex legge n. 223/1991) che pero' appare irragionevolmente onerosa alla luce di un corretto bilanciamento tra il diritto effettivo al mantenimento del lavoro e la tutela dell'iniziativa di impresa economica. Il datore di lavoro, secondo le norme censurate, si sarebbe dovuto trovare a gestire (e si e' trovato a gestire) una procedura di licenziamento collettivo - oltre che relativa agli esuberi effettivi (per i quali non sussiste alcun margine di dubbio che vada applicata la legge n. 223/1991) relativa anche ad esuberi in sostanza fittizi in quanto relativi a soggetti assunti dall'Amministrazione in virtu' del provvedimento legislativo che, con l'internalizzazione dei servizi, tale esubero ha creato. Pertanto, se da un lato il legislatore ha deciso di riportare all'interno dell'Amministrazione le attivita' dell'art. 58, decreto-legge n. 69/2013 (per le quali risultavano anche, dal decreto del Presidente della Repubblica n. 119/2009, accantonati i posti di lavoro e pertanto senza neppure creare incontrollati aumenti di organico), dall'altro non si e' fatto carico della gestione delle sorti del rapporto di lavoro dei soggetti internalizzati con la ditta precedentemente titolare dell'appalto (Dussmann, nel caso di specie). Tale vuoto normativo da' luogo all'applicazione della normativa in tema di licenziamenti collettivi (senza possibilita' di dare luogo ad una diversa interpretazione); tale applicazione e' tuttavia irragionevole e sproporzionata negli effetti in quanto addossa al datore di lavoro un onere gestionale eccessivo rispetto ad esuberi fittizi (e infatti solo relativamente ai soggetti effettivamente assunti dal Ministero si fa riferimento in questa ordinanza) che non vedono presente alcuna effettiva esigenza di tutela del lavoratore. Infatti, principio della tutela effettiva del lavoratore (cfr. Corte costituzionale 194/2018 anche per le fonti sovranazionali ivi riportate) e' fondante nel nostro ordinamento ma deve trovare applicazione nelle ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia stato ingiustamente risolto (con la possibilita' di graduare il ristoro, purche' sia effettivo) o sia in pericolo (come per esempio nei licenziamenti collettivi dove alle garanzie sostanziali, p. es. criteri di scelta, si affiancano tutele procedimentali e di informazione). Nel caso di specie, il rapporto di lavoro del ricorrente non era soggetto ad alcun effettivo pericolo in quanto lo stesso lavoratore aveva scelto di transitare nei ruoli del Ministero a fronte di una facolta', seppur veicolata da una procedura di selezione, concessa dal legislatore. Inoltre, considerare alla stregua di un licenziamento il passaggio di un lavoratore alle pendenze del Ministero in conseguenza della internalizzazione di un servizio e del superamento della selezione appare irragionevole e sproporzionato rispetto ai fini della normativa. Infatti, la societa' datrice di lavoro e' stata privata di una parte di attivita' per legge e parimenti il legislatore ha deciso di reclutare una quota parte degli addetti a tale servizio per lo svolgimento delle attivita' internalizzate. Ritenere che per costoro sia necessario lo svolgimento di una procedura di licenziamento collettivo e l'emanazione di un provvedimento di licenziamento appare una ridondanza normativa che aggrava di oneri non necessari la societa' datrice di lavoro a fronte di una decisione normativa di internalizzazione del servizio e di una scelta di assumere il personale tra parte di coloro che gia' svolgevano le medesime mansioni per le ditte appaltatrici. Inoltre, si disciplina alla stregua di un licenziamento (manifestazione di recesso propria del datore di lavoro) quella che altro non e' che la logica conseguenza della procedura di internalizzazione rispetto alla quale massimamente rileva la transizione del lavoratore unitamente ai servizi internalizzati e al fine dello svolgimento degli stessi. La circostanza che l'assunzione presso il Ministero sia stata mediata da una selezione e' circostanza irrilevante ai presenti fini in quanto il contenzioso in essere riguarda proprio coloro che la selezione la hanno superata (i menzionati 65 soggetti) e in quanto unica modalita' di accesso al pubblico impiego costituzionalmente necessaria. Alla luce di quanto sopra, si ritiene necessario sottoporre questione di legittimita' costituzionale - per violazione degli articoli 3 e 41 della Costituzione - del combinato disposto dell'art. 58 commi 5-bis, 5-ter e 5-quater, decreto-legge n. 69/2013 con gli articoli 24, legge n. 223/1991, 5, comma 3, legge n. 221/1991 e 18 comma 1, legge n. 300/1970, nella parte in cui non prevede - per i lavoratori assunti dal Ministero dell'istruzione (gia' MIUR) a seguito di partecipazione alla selezione di cui all'art. 58, comma 5-ter, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, per come modificato dall'art. 1, comma 760, legge n. 145/2018 e dall'art. dall'art. 2, comma 5 del decreto-legge n. 129/2019, convertito in legge n. 159/2019 - che costoro siano esclusi dalla disciplina sui licenziamenti collettivi e che il contratto di lavoro di costoro alle dipendenze della societa' datrice di lavoro (gia' titolare di contratto per lo svolgimento dei servizi di cui all'art. 58, comma 5-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 e successive modificazioni ed integrazioni), si intenda risolto di diritto all'atto della stipula del contratto di assunzione del lavoratore stesso con il Ministero dell'istruzione (gia' MIUR). Tale soluzione consentirebbe di bilanciare il diritto di iniziativa economica datoriale che si esplica anche nella possibilita' di correttamente affrontare una procedura di licenziamento collettivo, focalizzandosi sugli effettivi esuberi, con la tutela del diritto del lavoro che deve essere centrata su coloro che effettivamente corrono un rischio di perdita del posto di lavoro. Non appare infatti sufficiente solamente escludere in questa sede la disciplina del licenziamento collettivo ma anche disciplinare le sorti dei contratti di lavoro. Questa disciplina «additiva» appare necessaria proprio nell'ottica di un bilanciamento dei valori costituzionali in gioco, maggiormente pregnante ove si focalizzi l'attenzione sulla circostanza che indice nella presente fattispecie non solo la circostanza della procedura da seguire ma anche il fatto che vada regolato quale licenziamento il passaggio del lavoratore alle dipendenze del Ministero a seguito di internalizzazione ex lege.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale - in relazione agli articoli 3 e 41 della Costituzione - del combinato disposto dell' art. 58, commi 5-bis, 5-ter e 5-quater, decreto-legge n. 69/2013, con gli articoli 24, legge n. 223/1991, 5, comma 3, legge n. 223/1991 e 18, comma 1, legge n. 300/1970, nella parte in cui non prevede - per i lavoratori assunti dal Ministero dell'istruzione (gia' MIUR) a seguito di partecipazione alla selezione di cui all'art. 58, comma 5-ter, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 per come modificato dall'art. 1, comma 760, legge n. 145/2018 e dall'art. dall'art. 2, comma 5 del decreto-legge n. 129/2019, convertito in legge n. 159/2019 - che costoro siano esclusi dall'applicazione della disciplina sui licenziamenti collettivi e che il contratto di lavoro di costoro alle dipendenze della societa' datrice di lavoro (gia' titolare di contratto per lo svolgimento dei servizi di cui all'art. 58, comma 5-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 e successive modificazioni ed integrazioni), si intenda risolto di diritto all'atto della stipula del contratto di assunzione del lavoratore stesso con il Ministero dell'istruzione (gia' MIUR); Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito disponendo che gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che l'ordinanza sia notificata alle parti nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; Dispone che la presente ordinanza sia comunicata anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; Sospende il giudizio in corso; Si comunichi. Lecce, 16 febbraio 2021 Il giudice del lavoro: Carbone