N. 123 SENTENZA 28 aprile - 14 giugno 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Espropriazione per pubblica utilita' - Norme della Regione  Siciliana
  -  Determinazione  dell'indennita'  di  espropriazione  -   Novella
  modificativa, a ribasso, del criterio del valore venale del bene  -
  Denunciata violazione delle regole  convenzionali  a  tutela  della
  proprieta' - Inammissibilita' delle questioni. 
- Legge della Regione Siciliana 1° settembre 1993, n. 25,  art.  124,
  comma 4, [lettera b),] come sostituita  dall'art.  29  della  legge
  della Regione Siciliana 5 novembre 2004, n. 15. 
- Costituzione, art. 117; Convenzione per la salvaguardia dei diritti
  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  art.  6;   Protocollo
  addizionale  alla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
  dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 1. 
(GU n.24 del 16-6-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 124,  comma
4, della legge della Regione  Siciliana  1°  settembre  1993,  n.  25
(Interventi straordinari per l'occupazione  produttiva  in  Sicilia),
come sostituito dall'art. 29 della legge della  Regione  Siciliana  5
novembre 2004, n. 15 (Misure finanziarie  urgenti.  Assestamento  del
bilancio della Regione e  del  bilancio  dell'Azienda  delle  foreste
demaniali della Regione Siciliana per l'anno finanziario 2004.  Nuova
decorrenza di termini per la richiesta di referendum), promosso dalla
Corte d'appello di Palermo, prima sezione  civile,  nel  procedimento
vertente tra M. M. e altri e il Comune di Palermo, con ordinanza  del
24 settembre 2020, iscritta al n. 169 del registro ordinanze  2020  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  49,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione di G. M., anche nella qualita'  di
procuratore generale di G. M., entrambi nella qualita'  di  eredi  di
F.P. M. e di G. M.  e  altri,  nonche'  l'atto  di  intervento  della
Regione Siciliana; 
    udita  nell'udienza  pubblica  del  23  marzo  2021  la   Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    uditi l'avvocato Luca Giardina Cannizzaro per G. M., anche  nella
qualita' di procuratore genitoriale di G. M., entrambi nella qualita'
di eredi di F.P. M. e  di  G.  M.  e  altri,  e  l'avvocata  Giuseppa
Mistretta per la Regione Siciliana, in  collegamento  da  remoto,  ai
sensi del punto 1) del decreto del  Presidente  della  Corte  del  16
marzo 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 28 aprile 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 24 settembre 2020, iscritta al n.  169  del
registro ordinanze 2020, la Corte d'appello di Palermo, prima sezione
civile,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 124, comma  4,  della  legge  della  Regione  Siciliana  1°
settembre 1993, n.  25  (Interventi  straordinari  per  l'occupazione
produttiva in Sicilia), come  sostituito  dall'art.  29  della  legge
della Regione Siciliana 5 novembre 2004, n.  15  (Misure  finanziarie
urgenti. Assestamento del  bilancio  della  Regione  e  del  bilancio
dell'Azienda delle foreste  demaniali  della  Regione  Siciliana  per
l'anno finanziario 2004. Nuova decorrenza di termini per la richiesta
di referendum), «per contrasto con l'art. 117 Cost., anche alla  luce
dell'art. 6 e dell'art. 1  del  primo  Protocollo  addizionale  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali» (recte: dell'art. 6 della Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta', CEDU, firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848, e dell'art. 1 del  Protocollo  addizionale  alla
medesima convenzione, firmato a Parigi il 20 marzo 1952). 
    2.-  In  punto  di  fatto,  il  rimettente   riferisce   che   il
procedimento  ha  avuto  origine   dall'opposizione,   promossa   dai
proprietari di una porzione del palazzo  Guli',  residenza  nobiliare
del Cinquecento,  sita  nel  centro  di  Palermo,  avverso  la  stima
effettuata  nel  giudizio  di  primo  grado   delle   indennita'   di
espropriazione e di occupazione temporanea, relative a detto immobile
e dovute dal Comune di Palermo. 
    2.1.- Nell'ordinanza si afferma  che  la  Corte  d'appello  aveva
accolto l'opposizione, determinando  l'indennita'  di  espropriazione
sulla base del criterio del  valore  venale,  previsto  dall'art.  39
della legge 25 giugno 1865, n.  2359  (Espropriazioni  per  causa  di
utilita' pubblica). 
    2.2.- Il giudice a quo espone, di seguito, che la sentenza  della
Corte d'appello veniva impugnata e che la Corte di cassazione  (prima
sezione civile, sentenza 5 marzo 2015, n. 4488) accoglieva il ricorso
del Comune di Palermo, fondato sulla emanazione, nelle  more  tra  la
dichiarazione di pubblica utilita' e  la  pronuncia  del  decreto  di
espropriazione, dell'art. 29, comma 1, della legge reg. Siciliana  n.
15 del 2004, che, modificando l'art. 124, comma 4, della  legge  reg.
Siciliana n. 25 del 1993,  sulla  determinazione  dell'indennita'  di
espropriazione di fabbricati, aveva stabilito l'applicabilita'  della
disciplina dell'art. 13, terzo comma, della legge 15 gennaio 1885, n.
2892 (Risanamento della citta' di Napoli). Secondo tale disposizione,
l'indennita'  per  l'espropriazione   di   fabbricati   deve   essere
determinata sulla base della «media del valore  venale  e  dei  fitti
coacervati dell'ultimo decennio purche' essi abbiano  la  data  certa
corrispondente al rispettivo anno di locazione». A tale  criterio  la
norma censurata aggiunge  l'ulteriore  previsione  secondo  cui,  «in
mancanza di coacervo dei fitti,  l'indennita'  e'  determinata  sulla
media tra il valore  venale  del  fabbricato  ed  il  coacervo  della
rendita catastale, rivalutata, dell'ultimo decennio». 
    2.3.-  L'ordinanza  precisa  ulteriormente  che,  all'esito   del
giudizio di cassazione con rinvio, gli originari attori  riassumevano
la controversia dinanzi alla Corte  di  appello,  eccependo,  in  via
preliminare, il dubbio di legittimita' costituzionale dell'art.  124,
comma 4, della legge reg. Siciliana n. 25 del 1993,  come  modificato
dall'art. 29, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2004, per
violazione degli artt.  3,  42,  117,  terzo  e  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione ai  parametri  interposti  di
cui all'art. 1 Prot. addiz. CEDU e all'art. 6 CEDU.  In  particolare,
nel rilevare che il criterio di calcolo introdotto «darebbe  luogo  a
una ingiustificata  disparita'  con  la  disciplina  delle  procedure
espropriative realizzate nel restante territorio nazionale  aventi  a
oggetto fabbricati legittimamente edificati, nelle  quali,  ai  sensi
dell'art. 38, comma 1, del 8 giugno 2001,  n.  327,  l'indennita'  e'
determinata nella misura pari al valore  venale»,  le  parti  private
chiedevano  che  le  indennita'  oggetto  di  opposizione   venissero
determinate  in  misura   corrispondente   al   valore   di   mercato
dell'immobile espropriato. 
    3.- Tanto premesso, la Corte d'appello  afferma  che,  in  virtu'
della decisione resa dalla Corte di cassazione (sentenza n. 4488  del
2015) nello stesso giudizio, si imporrebbe l'applicazione della norma
censurata alla fattispecie  oggetto  del  giudizio  in  riassunzione.
D'altro canto, precisato che a  tale  fattispecie,  in  mancanza  del
coacervo dei fitti,  si  dovrebbe  applicare,  in  base  alla  citata
disposizione regionale, il criterio della media tra il valore  venale
del fabbricato ed il coacervo  della  rendita  catastale,  motiva  la
rilevanza  delle  questioni  di   legittimita'   costituzionale.   In
particolare, deduce tale profilo dalla  comparazione  fra  la  stima,
pari ad euro 112.577,15, cui conduce il  richiamato  criterio,  e  il
valore dell'indennizzo cui si addiverrebbe, applicando, viceversa, il
parametro del valore di mercato del bene espropriato,  che,  in  base
alla consulenza tecnica d'ufficio espletata nel  corso  del  giudizio
rescissorio, era stato quantificato in euro 217.649,00. 
    4.- Sotto il profilo, poi, della non manifesta  infondatezza,  il
giudice a quo sostiene che la norma regionale censurata  si  porrebbe
in insanabile contrasto con  gli  obblighi  internazionali  derivanti
dall'art. 1 Prot. addiz. CEDU, come interpretato dalla Corte  europea
dei diritti dell'uomo. 
    4.1.- A tal fine, la Corte d'appello si riporta alla sentenza  di
questa Corte n. 348 del 2007, nella parte in cui dichiara che  l'art.
117,  primo  comma,  Cost.  condiziona  l'esercizio  della   potesta'
legislativa dello Stato e delle Regioni al  rispetto  degli  obblighi
internazionali e menziona la conseguente necessita' di verificare  la
compatibilita' delle norme da applicare  con  l'interpretazione  data
dalla Corte EDU alle regole convenzionali a tutela della proprieta'. 
    4.2.-  In  particolare,  dopo  aver  rapidamente  rammentato   la
giurisprudenza costituzionale antecedente al 2007 (le sentenze n. 283
del 1993 e n. 5 del 1980) nonche' la sentenza della Corte europea dei
diritti dell'uomo, Grande Camera,  29  marzo  2006,  Scordino  contro
Italia, il rimettente argomenta sulla base della gia' citata sentenza
n. 348 del 2007. 
    4.2.1.-  Rileva,  infatti,  che  la   norma   censurata   sarebbe
sostanzialmente sovrapponibile all'art.  5-bis,  commi  1  e  2,  del
decreto-legge  11  luglio  1992,  n.  333  (Misure  urgenti  per   il
risanamento della finanza pubblica), convertito,  con  modificazioni,
nella legge 8 agosto 1992, n. 359, gia' giudicato  costituzionalmente
illegittimo nel giudizio da ultimo richiamato, sicche'  la  questione
sollevata dinanzi a questa Corte risulterebbe «del  tutto  simile»  a
quella ivi decisa. 
    4.2.2.- Il giudice rimettente esclude, inoltre, la ricorrenza  di
una finalita' di riforma  economica  o  di  giustizia  sociale  nella
legislazione  regionale  siciliana,  che  potrebbe  giustificare   un
indennizzo  inferiore  al  valore  venale,   anche   in   base   alla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti  dell'uomo.  La  norma
censurata,  introdotta  a  posteriori  con  «evidenti  finalita'   di
contenimento della spesa», avrebbe integrato una legge caratterizzata
da «un insieme  molto  eterogeneo  di  interventi,  qualificati  come
"interventi straordinari per l'occupazione  produttiva  in  Sicilia",
che non sono unificati da un unico filo conduttore o da una specifica
e coerente finalita' di riforma economica o di giustizia sociale». 
    5.- Il giudice a quo rileva, infine, l'insussistenza di  elementi
che consentano di pervenire a una risoluzione della questione in  via
interpretativa,  partendo  dalla   constatazione   secondo   cui   il
riferimento  operato  dalla  normativa   regionale   censurata   alla
disciplina di cui al terzo comma dell'art. 13 della legge n. 2892 del
1885 non  potrebbe  ritenersi  un  rinvio  dinamico.  In  tal  senso,
deporrebbe l'espressa integrazione della disciplina  statale  oggetto
di rinvio con la previsione  dell'alternativa  tra  il  coacervo  dei
fitti e quello della rendita catastale. 
    6.- Con atti depositati il 10, il 15 e il 18  dicembre  2020,  si
sono costituite in giudizio G. M. e G. M., nella qualita' di eredi di
F.P. M. e di G. M.; A. C. e G. P.S., quest'ultimo nella  qualita'  di
erede di M. M. e di G. M.; B. C. e E. S., nella qualita' di eredi  di
G.  S.,  parti  ricorrenti  nel  giudizio  a  quo,   insistendo   per
l'accoglimento delle questioni sollevate. Le difese delle parti hanno
richiamato le censure del rimettente,  ribadendo  la  violazione  dei
parametri evocati, oltre che dell'art.  42,  terzo  comma,  Cost.  In
particolare, le parti hanno ribadito che  il  calcolo  imposto  dalla
legge  siciliana  condurrebbe,  nella  generalita'  dei  casi,  a  un
dimidiamento  del  valore  venale   del   bene   espropriato;   hanno
enfatizzato l'impossibilita' di considerare una tale indennita' quale
«serio ristoro»; hanno evidenziato la  sostanziale  sovrapponibilita'
fra la norma censurata e l'art. 5-bis  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo dalla precedente sentenza n. 348 del 2007; hanno, infine,
contestato  la  possibilita'  di  ravvisare  obiettivi   di   riforma
economica o di giustizia  sociale  negli  interventi  finalizzati  al
risanamento del centro storico cittadino. 
    7.- Con atto depositato il 22 dicembre  2020,  a  mezzo  PEC,  e`
intervenuto il Presidente della Regione Siciliana, chiedendo  che  le
questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, non fondate. 
    7.1.-   In   primo   luogo,   la   difesa   regionale   eccepisce
l'inammissibilita' delle questioni in relazione alle lettere a) e  c)
dell'art. 124, comma 4, della legge reg. Siciliana n.  25  del  1993,
evidenziandone la irrilevanza nel giudizio a  quo,  alla  luce  della
estraneita' delle stesse ai fatti di causa, oltre  che  l'assenza  di
argomentazioni e censure rispetto a  tali  disposizioni.  La  Regione
Siciliana  ritiene,  poi,  inammissibile  la  questione   anche   con
riferimento alla lettera b) dell'art. 124, comma 4, della legge  reg.
Siciliana n. 25 del 1993, per  difetto  di  rilevanza,  poiche'  «nel
giudizio di rinvio, che e' un procedimento "chiuso", tendente ad  una
nuova pronuncia in  sostituzione  di  quella  cassata,  non  solo  e'
inibito alle parti di ampliare il thema decidendum, formulando  nuove
domande e nuove eccezioni, ma operano le preclusioni che derivano dal
giudicato  implicito,  formatosi  con  la  sentenza  della  Corte  di
Cassazione. Di  conseguenza,  neppure  le  questioni  esaminabili  di
ufficio, non rilevate dalla Corte Suprema, possono in sede di  rinvio
essere dedotte o comunque esaminate, giacche' il loro esame  tende  a
porre nel nulla o a limitare gli effetti  della  stessa  sentenza  di
cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilita'». 
    7.2.-  La  difesa  regionale  deduce,  inoltre,  quale  ulteriore
ragione di inammissibilita', il difetto di motivazione  in  relazione
alla non manifesta infondatezza. Con riferimento all'art. 6 CEDU,  il
giudice si sarebbe limitato alla sua mera evocazione, senza  svolgere
alcuna argomentazione al fine di  giustificare  l'asserito  contrasto
della disposizione regionale con i principi dell'equo processo. 
    7.3.- Con riguardo, poi, all'art. 117, primo comma,  Cost.  e  al
parametro interposto di cui all'art. 1 Prot. addiz. CEDU,  la  difesa
regionale sostiene la non fondatezza  della  questione,  evidenziando
che la norma censurata  non  sarebbe  sovrapponibile  all'art.  5-bis
dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n.  348  del
2007,  poiche'  quest'ultimo  riguardava  l'espropriazione  di   aree
edificabili. Inoltre, si rileva che le due norme detterebbero criteri
di  determinazione  dell'indennita'  differenti:  nella  disposizione
regionale, infatti, la rendita e'  presa  a  riferimento  solo  quale
criterio sussidiario nella determinazione dell'indennita'  e  non  e'
prevista la decurtazione del quaranta per cento,  in  mancanza  della
cessione volontaria del bene. 
    7.4.- Infine, la difesa regionale argomenta la ricorrenza di  una
finalita' di riforma economica o di giustizia sociale che, secondo la
sentenza  n.  348  del  2007  e  le  statuizioni  della  Corte   EDU,
giustificherebbe  la  riduzione  dell'indennizzo,  in  ragione  della
finalita' degli interventi previsti dalla legge regionale  censurata,
volti al recupero  del  centro  storico  di  Palermo,  a  tutela  del
patrimonio storico-artistico della citta', in conformita' all'art. 9,
secondo comma, Cost. 
    8.- All'udienza del 23 marzo 2021, le parti e la difesa  erariale
hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate negli
scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 24 settembre 2020, iscritta al reg. ord. n.
169 del 2020, la Corte d'appello di Palermo, prima sezione civile, ha
sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  124,
comma 4, della legge della Regione Siciliana 1° settembre 1993, n. 25
(Interventi straordinari per l'occupazione  produttiva  in  Sicilia),
come sostituito dall'art. 29 della legge della  Regione  Siciliana  5
novembre 2004, n. 15 (Misure finanziarie  urgenti.  Assestamento  del
bilancio della Regione e  del  bilancio  dell'Azienda  delle  foreste
demaniali della Regione siciliana per l'anno finanziario 2004.  Nuova
decorrenza di termini per la richiesta di referendum), per  contrasto
con l'art. 117 della Costituzione,  in  relazione  all'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge  4  agosto  1955,  n.  848  (di
seguito, CEDU) e all'art. 1 del Protocollo addizionale alla  medesima
Convenzione, firmato a Parigi  il  20  marzo  1952.  La  disposizione
censurata prevede, in particolare, che:  «[l]e  opere  relative  agli
interventi che dovranno essere realizzati dal Comune per il  recupero
del centro storico di Palermo, sono dichiarate di pubblica  utilita',
indifferibili ed urgenti. Alle espropriazioni previste dalla presente
legge si applicano le norme del titolo II della legge 2 ottobre 1971,
n. 865 e riguardo alla determinazione delle  indennita':  a)  per  le
aree libere, quelle di cui ai commi 1, 2, 3 e 4  dell'articolo  5-bis
del  decreto-legge  11  luglio   1992,   n.   333,   convertito   con
modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359; b) per i fabbricati,
quelle di cui al comma 3 dell'articolo  13  della  legge  15  gennaio
1885, n. 2892. In mancanza di coacervo  dei  fitti,  l'indennita'  e'
determinata sulla media tra il valore venale  del  fabbricato  ed  il
coacervo della rendita catastale, rivalutata,  dell'ultimo  decennio;
c) per le aree sulle quali insistono ruderi, quelle di cui ai commi 1
e 2 dell'articolo 5-bis del decreto-legge 11  luglio  1992,  n.  333,
convertito con modificazioni dalla  legge  8  agosto  1992,  n.  359,
sostituendo  al  reddito  dominicale  rivalutato  il  coacervo  della
rendita catastale, rivalutata, dell'ultimo decennio». 
    2.- A parere del rimettente, in virtu' della decisione resa dalla
Corte di cassazione (prima sezione civile, sentenza 5 marzo 2015,  n.
4488)   nel   giudizio   rescindente,   si   renderebbe    necessaria
l'applicazione della norma censurata e, alla luce dei dati  di  fatto
acquisiti  nell'istruttoria,  emergerebbe  la  chiara  rilevanza  del
giudizio di legittimita' costituzionale, per  la  sua  incidenza  sul
criterio di determinazione dell'indennizzo  per  l'espropriazione  di
fabbricati e di occupazione temporanea. 
    3.- Secondo la Corte  d'appello,  la  disposizione  regionale  si
porrebbe in insanabile  contrasto  con  gli  obblighi  internazionali
derivanti dall'art. 1 Prot. addiz.  CEDU,  quale  interpretato  dalla
Corte europea per i diritti dell'uomo. 
    3.1.-  Il  giudice   a   quo   si   sofferma,   in   particolare,
sull'indirizzo accolto da questa Corte a partire  dalla  sentenza  n.
348 del 2007 che, per un  verso,  ha  riconosciuto  alle  norme  CEDU
l'idoneita' a fungere da parametro interposto, e,  per  altro  verso,
anche sulla scorta della giurisprudenza  convenzionale,  ha  reputato
costituzionalmente  illegittimo  l'art.  5-bis,  commi  1  e  2,  del
decreto-legge  11  luglio  1992,  n.  333  (Misure  urgenti  per   il
risanamento della finanza pubblica), convertito,  con  modificazioni,
nella legge 8 agosto 1992, n. 359, previsione che la Corte  d'appello
considera   sostanzialmente   sovrapponibile   a   quella   regionale
censurata. 
    3.2.- Il rimettente, inoltre, esclude che il  tipo  di  ablazione
cui si riferisce  la  legge  regionale  siciliana  sia  funzionale  a
obiettivi di riforma economica o di giustizia sociale. 
    4.-  Infine,  il  giudice  a  quo  da'  atto  di   ritenere   non
percorribile    l'interpretazione    costituzionalmente    orientata,
argomentando sulla base di alcuni elementi letterali, oltre che della
ratio della norma. 
    5.- Preliminarmente, risulta non  fondata  l'eccezione,  avanzata
dalla  difesa  regionale,  di  irrilevanza   delle   questioni,   che
discenderebbe  dal  carattere  vincolante   del   giudicato   interno
formatosi a seguito della pronuncia della Corte di cassazione n. 4488
del  2015.  Secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,
infatti, se e' vero che il giudice del procedimento  in  riassunzione
e' tenuto a conformarsi a quanto deciso dalla suprema Corte, e'  vero
anche che, nel fare applicazione della norma al giudizio  di  rinvio,
deve essere legittimato ad eccepirne l'illegittimita'  costituzionale
(sentenze n. 293 del 2013 e n. 204 del 2012;  ordinanza  n.  118  del
2016). 
    6.- Le questioni sollevate sono, in ogni caso, inammissibili,  in
ragione delle  ulteriori  eccezioni  avanzate  dal  Presidente  della
Regione Siciliana e dei vizi di seguito rilevati d'ufficio. 
    E',  innanzitutto,  fondata  l'eccezione  di   irrilevanza,   nel
giudizio a quo,  delle  questioni  relative  alle  lettere  a)  e  c)
dell'art. 124, comma 4, della legge della Regione Siciliana n. 25 del
1993, data la loro estraneita'  ai  fatti  di  causa,  che  hanno  ad
oggetto un fabbricato  e  non  aree  libere,  regolate  dalla  citata
lettera a), ne' aree sulle quali insistono ruderi, disciplinate dalla
richiamata lettera c). 
    7.-  Quanto  alla  lettera  b)   della   disposizione   censurata
(riferita,  viceversa,  ai  fabbricati),   deve   ritenersi   fondata
l'eccezione  di  difetto  di  motivazione  sollevata   dalla   difesa
regionale  in  riferimento  all'art.   117,   primo   comma,   Cost.,
relativamente al parametro interposto dell'art. 6 CEDU. 
    Il  giudice  rimettente  non  articola,  in   proposito,   alcuna
specifica contestazione, limitandosi  ad  affermare  l'illegittimita'
costituzionale della  disposizione  censurata.  In  conformita'  alla
giurisprudenza costante di questa Corte, ove manchi nell'ordinanza di
rimessione un'adeguata  e  autonoma  illustrazione  delle  ragioni  a
sostegno della violazione del parametro  costituzionale  evocato,  la
questione risulta viziata nel rito (ex plurimis, sentenze n. 240  del
2017, n. 219 del 2016 e n. 120 del 2015). 
    8.- Parimenti inammissibile, per inadeguatezza della motivazione,
per incompleta ricostruzione del quadro normativo  di  riferimento  e
per  indeterminatezza  del  petitum,  e'  l'ulteriore  questione   di
legittimita'  costituzionale  sollevata,  con  riguardo  sempre  alla
citata lettera b), in riferimento all'art. 117, primo  comma,  Cost.,
relativamente al parametro interposto dell'art. 1 Prot. addiz. CEDU. 
    8.1.- Secondo la giurisprudenza  di  questa  Corte,  il  giudizio
sulla conformita' ai principi costituzionali, nonche'  agli  obblighi
convenzionali, dell'indennizzo  per  l'espropriazione  dipende  dalle
caratteristiche essenziali del bene ablato; dal tipo di  procedimento
espropriativo previsto dalla normativa; dal carattere congruo,  serio
e adeguato dell'indennita' (si vedano, in particolare, le sentenze n.
181 del 2011 e n. 348 del 2007). 
    8.1.1.- Per converso,  l'ordinanza  di  rimessione  si  limita  a
motivare per relationem  l'illegittimita'  costituzionale,  adducendo
che l'art. 5-bis, commi 1 e 2, del d.l. n.  333  del  1992,  reputato
costituzionalmente illegittimo dalla citata sentenza n. 348 del 2007,
sarebbe «pressoche' sovrapponibil[e]» alla norma regionale censurata. 
    Sennonche' le due disposizioni non sono affatto sovrapponibili  e
divergono non solo per i criteri che evocano, ma  in  primis  per  il
profilo determinante costituito dalla natura del bene  oggetto  della
previsione relativa all'indennizzo:  l'art.  5-bis  si  riferisce  ai
terreni edificabili; l'art. 124, comma 4, lettera b),  censurato  nel
presente giudizio, riguarda i  fabbricati,  con  quanto  ne  consegue
anche in termini di possibile incidenza sul diritto all'abitazione. 
    8.1.2.- Altrettanto assertoria e inconferente e'  la  motivazione
sulla  insussistenza  nella  legislazione  regionale  censurata   del
presupposto della riforma economica o di giustizia sociale, che viene
ritenuta assente, adducendo, oltre  ad  una  constatazione  meramente
tautologica, il solo carattere eterogeneo delle finalita'  perseguite
dalla legge regionale. 
    Nulla, peraltro, si argomenta  sulla  congruita'  dell'indennizzo
individuato dalla norma  censurata,  anche  nell'ipotesi  in  cui  si
ravvisassero dette finalita'. 
    8.2.- Sotto il  profilo,  poi,  della  ricostruzione  del  quadro
normativo, l'ordinanza riferisce che  lo  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale, alla luce dei principi illustrati  da  questa  Corte,
«deve essere condotto in modo da verificare [...] se le  norme  della
Convenzione  E.D.U.  invocate  come   integrazione   del   parametro,
nell'interpretazione  ad  esse  data  dalla  medesima  Corte,   siano
compatibili con  l'ordinamento  costituzionale  italiano»  (in  senso
conforme, si vedano, ex plurimis, sentenze n. 193 del  2016,  n.  181
del 2011, n. 311 del 2009 e n. 348 del 2007). 
    Nondimeno, il giudice a quo, salvo rammentare  che,  prima  della
sentenza n. 348 del 2007, questa  Corte  si  era  occupata  in  altri
precedenti dell'indennita' di espropriazione, sulla base all'art.  42
Cost., omette qualsivoglia argomentazione volta a coordinare l'art. 1
Prot. addiz. CEDU con la citata norma costituzionale. 
    In particolare, non tiene conto degli  sviluppi  successivi  alla
sentenza n. 348 del 2007, a partire dal  confronto  con  l'importante
riforma del testo unico espropri (di cui al  decreto  del  Presidente
della Repubblica, 8 giugno 2001, n. 327, recante «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione
per pubblica utilita' - Testo A»), introdotta con l'art. 2, comma 89,
della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2008)», proprio  al  fine  di  adeguare  la  stima  degli
indennizzi ai principi formulati da questa  Corte,  in  coordinamento
con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    Piu' in generale, neppure un cenno viene riservato  al  raffronto
tra la norma regionale e i criteri di determinazione degli indennizzi
previsti  per  i  fabbricati  dalla  legislazione   nazionale,   onde
uniformare, nel rispetto dell'art. 42  Cost.,  la  stima  del  valore
della proprieta' (si vedano le sentenze n. 64 del 2021 e n.  153  del
1995). 
    8.3.- Da ultimo, deve rilevarsi l'indeterminatezza del petitum di
cui all'ordinanza di rimessione. 
    Questa Corte  ha  costantemente  affermato  che  «l'ordinanza  di
rimessione  delle  questioni  di  legittimita'   costituzionale   non
necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante  altresi'
un petitum, essendo sufficiente  che  dal  tenore  complessivo  della
motivazione emerga[no] con chiarezza il contenuto ed il  verso  delle
censure» (sentenza n. 176 del 2019; nello stesso senso,  sentenza  n.
175 del 2018). 
    Tuttavia,  dalla  lettura  del  dispositivo   dell'ordinanza   di
rimessione, anche alla luce della  motivazione,  si  profila,  a  ben
vedere, un  difetto  di  chiarezza  circa  il  verso  delle  censure,
risultando  incerto  lo  stesso  tipo  di  intervento  richiesto,  se
manipolativo o meramente ablativo della normativa censurata (sentenze
n. 21 del 2020 e n. 239 del 2019). 
    In  alcuni  passaggi  della  motivazione,  il  rimettente  sembra
richiedere una pronuncia di tipo manipolativo, che vada a  sostituire
il criterio  adottato  dalla  norma  impugnata,  rimuovendo  il  solo
riferimento alla rendita catastale, con l'esito di  preservare  nella
lettera b) della disposizione censurata l'alternativa  tra  la  media
del valore venale e del coacervo dei fitti e il  valore  venale  tout
court. L'ordinanza, infatti,  riconosce  che,  con  il  coacervo  dei
fitti, sin dai tempi della  legge  di  risanamento  della  citta'  di
Napoli, «si intendeva [...] indennizzare i proprietari per il  venire
meno di un reddito concreto  costituito  dai  fitti  che  gli  stessi
percepivano e l'indennizzo cosi' calcolato poteva essere  anche  piu'
alto del valore venale del bene in se' e per se'  considerato».  Tale
giudizio positivo sembrerebbe, dunque,  voler  preservare  la  norma,
purche' depurata dal criterio della rendita catastale, censurato  dal
rimettente in quanto abbatterebbe del cinquanta per cento  il  valore
venale del bene. 
    Per converso, nel dispositivo dell'ordinanza  pare  emergere  una
richiesta di intervenire  con  una  pronuncia  di  mero  accoglimento
sull'intero art. 124, comma 4, della legge reg. Siciliana n.  25  del
1993, che oltretutto - come si e' sopra rilevato - solo nella lettera
b) si riferisce ai fabbricati. 
    In definitiva, l'incertezza che scaturisce dall'alternativa sopra
richiamata conferma  l'indeterminatezza  del  petitum  (ex  plurimis,
sentenze n. 21 e n. 7 del 2020, e n. 239 del 2019). 
    9.- Da quanto sopra illustrato, consegue l'inammissibilita' delle
questioni di legittimita' costituzionale sollevate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 124, comma  4,  della  legge  della  Regione
Siciliana 1° settembre  1993,  n.  25  (Interventi  straordinari  per
l'occupazione produttiva in Sicilia), come  sostituito  dall'art.  29
della legge della Regione Siciliana 5 novembre 2004,  n.  15  (Misure
finanziarie urgenti. Assestamento del bilancio della  Regione  e  del
bilancio dell'Azienda delle foreste demaniali della Regione Siciliana
per l'anno finanziario 2004.  Nuova  decorrenza  di  termini  per  la
richiesta di referendum),  sollevate,  in  riferimento  all'art.  117
della Costituzione, in relazione all'art. 6 della Convenzione per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  e  all'art.  1  del
Protocollo addizionale alla medesima Convenzione, firmato a Parigi il
20 marzo 1952,  dalla  Corte  d'appello  di  Palermo,  prima  sezione
civile, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 aprile 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                   Emanuela NAVARRETTA, Redattrice 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2021. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE