N. 195 SENTENZA 22 settembre - 15 ottobre 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Sanita' pubblica - Norme della Regione Puglia -  Strutture  sanitarie
  autorizzate  all'esercizio  dell'attivita'   di   diagnostica   per
  immagini  -  Requisiti  per  l'accreditamento  -   Previsione   che
  l'autorizzazione all'esercizio produce effetti vincolanti  ai  fini
  della procedura di accreditamento istituzionale  -  Violazione  dei
  principi  fondamentali  in  materia  di  tutela  della   salute   -
  Illegittimita' costituzionale. 
Sanita' pubblica -  Norme  della  Regione  Puglia  -  Personale  gia'
  titolare di contratto, ovvero di incarico  a  tempo  indeterminato,
  presso aziende o enti del servizio sanitario nazionale (SSN)  e  in
  servizio a tempo determinato alla data del 31 dicembre 2019  presso
  una azienda o ente del  servizio  sanitario  della  Regione  Puglia
  (SSR) - Inquadramento a tempo indeterminato,  previa  presentazione
  di apposita domanda di mobilita' -  Violazione  del  principio  del
  pubblico concorso e della competenza esclusiva statale  in  materia
  di ordinamento civile - Illegittimita' costituzionale. 
Sanita'  pubblica  -  Norme  della  Regione  Puglia  -   Responsabile
  sanitario di strutture private  abilitate  ad  erogare  prestazioni
  sanitarie - Assenza di un limite di eta' massimo  previsto  per  lo
  svolgimento  della  relativa  funzione,  a  differenza  di   quanto
  previsto per la permanenza in servizio nelle strutture pubbliche ed
  equiparate  -  Ricorso  del  Governo  -  Lamentata  violazione  del
  principio di parita' di  trattamento,  di  proporzionalita'  e  dei
  principi fondamentali in materia  di  tutela  della  salute  -  Non
  fondatezza delle questioni. 
Sanita' pubblica - Norme della Regione Puglia -  Strutture  sanitarie
  pubbliche e private,  istituti  di  ricovero  e  cura  a  carattere
  scientifico (IRCCS) privati ed enti ecclesiastici -  Autorizzazione
  e  accreditamento  istituzionale  -  Facolta'  di  richiederli  con
  un'unica istanza - Ricorso del Governo - Lamentata  violazione  dei
  principi fondamentali in materia  di  tutela  della  salute  -  Non
  fondatezza della questione. 
- Legge della Regione Puglia 17 marzo 2020, n. 18, artt. 1, commi  11
  e 13, 9 e 10, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 97, 117, commi secondo, lettera l), e terzo. 
(GU n.42 del 20-10-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Francesco  VIGANO',  Luca  ANTONINI,   Angelo   BUSCEMA,   Emanuela
  NAVARRETTA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1,  commi
11 e 13, 9 e 10, comma 1, della legge della Regione Puglia  7  luglio
2020, n. 18 (Misure  di  semplificazione  amministrativa  in  materia
sanitaria), promosso dal Presidente del Consiglio  dei  ministri  con
ricorso notificato il 4-11 settembre 2020, depositato in  cancelleria
il 14 settembre 2020, iscritto al n. 81 del registro ricorsi  2020  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  44,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Puglia; 
    udito nell'udienza pubblica del  21  settembre  2021  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato dello Stato Andrea Rippa per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Isabella Fornelli per la  Regione
Puglia, entrambi in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del
decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 settembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 4-11 settembre 2020, depositato  il
14 settembre 2020 e iscritto al n. 81 del registro ricorsi del  2020,
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  ha  promosso,  in  riferimento
agli artt. 3, 97 e 117, commi secondo, lettera  l),  e  terzo,  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1,
commi 11 e 13, 9 e 10, comma 1, della legge della  Regione  Puglia  7
luglio 2020, n.  18  (Misure  di  semplificazione  amministrativa  in
materia sanitaria). 
    2.- Con il primo motivo di ricorso il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri impugna, in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost.
e al principio di  parita'  di  trattamento  e  di  proporzionalita',
l'art. 1, comma 11, della legge reg. Puglia n. 18 del 2020. 
    2.1.- La disposizione, che sostituisce l'art. 12, comma 8,  della
legge della Regione Puglia 2 maggio 2017, n. 9 (Nuova  disciplina  in
materia  di  autorizzazione  alla  realizzazione   e   all'esercizio,
all'accreditamento  istituzionale  e   accordi   contrattuali   delle
strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e  private),  prevede
che «[i]l limite di eta' massimo previsto per  lo  svolgimento  della
funzione di responsabile sanitario e' quello previsto dalla normativa
nazionale in materia di permanenza in servizio dei dirigenti medici e
del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale, fatta eccezione
per gli ambulatori specialistici non accreditati». 
    2.2.- Il  ricorrente  ravvisa  la  violazione  del  principio  di
parita' di trattamento e di proporzionalita'  nella  differenziazione
non giustificata tra gli ambulatori specialistici non  accreditati  e
tutti gli altri tipi di strutture sanitarie. Non  sarebbe  chiara  la
ratio  di  tale  disposizione,  ne'  sarebbe  illustrato  il   regime
applicabile alle strutture esonerate dal rispetto del limite di eta'. 
    Il  trattamento  differenziato  cosi'  disposto  non   troverebbe
fondamento  nella  disciplina  statale  di  riferimento,  individuata
nell'art.  4,  comma  2,  della  legge  30  dicembre  1991,  n.   412
(Disposizioni in materia di finanza pubblica), il quale si  limita  a
prevedere l'obbligatorieta' della nomina di un «direttore sanitario o
tecnico, che risponde  personalmente  dell'organizzazione  tecnica  e
funzionale dei servizi» in tutte le strutture sanitarie sottoposte al
regime di autorizzazione e vigilanza sanitaria  di  cui  all'art.  43
della legge 23  dicembre  1978,  n.  833  (Istituzione  del  servizio
sanitario nazionale). 
    La norma censurata  si  discosterebbe  dalla  disciplina  statale
concernente  l'eta'  dei  dirigenti  sanitari  di  cui   al   decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino  della  disciplina  in
materia sanitaria, a norma dell'articolo 1  della  legge  23  ottobre
1992,  n.  421),  cosi'  ponendosi  in  contrasto  con   i   principi
fondamentali in materia  di  «tutela  della  salute»,  in  violazione
dell'art. 117, terzo comma,  Cost.  (sulla  riconducibilita'  a  tale
materia della disciplina in tema di rapporto di  lavoro  e  attivita'
professionale del dirigente sanitario, e' richiamata la  sentenza  di
questa Corte n. 181 del 2006). 
    2.3.- La Regione Puglia si e' costituita in giudizio per chiedere
di dichiarare inammissibili o comunque non fondate  le  questioni  in
esame,  alla  luce  di  argomenti  ribaditi   anche   nella   memoria
illustrativa depositata in prossimita' dell'udienza. 
    2.3.1.-  In  via  preliminare,  la  parte  resistente   eccepisce
l'inammissibilita' delle questioni  per  difetto  di  interesse,  non
essendo chiaro quale  sarebbe  il  vulnus  arrecato  alle  competenze
statali in materia di tutela della salute, e, comunque,  per  difetto
di motivazione, posto che il ricorrente non  avrebbe  individuato  il
principio fondamentale che imporrebbe il limite di eta'  massimo  del
responsabile sanitario delle strutture ambulatoriali non accreditate. 
    Peraltro,  la  censura  riferita  alla  asserita  disparita'   di
trattamento  tra  le  tipologie  di   strutture   sanitarie   sarebbe
inammissibile  in  quanto  ne'  il  ricorso  ne'   la   delibera   di
impugnazione  contengono  l'indicazione  dell'art.  3   Cost.   quale
parametro di riferimento (sono richiamate le sentenze di questa Corte
n. 128 del 2018 e n. 239 del 2016). 
    2.3.2.- Nel merito, le questioni sarebbero non fondate. 
    Premessa la ricostruzione del sistema sanitario come  configurato
dal d.lgs. n. 502 del 1992, che  distingue  tra  strutture  sanitarie
autorizzate  e  strutture  accreditate  che  operano  in  regime   di
convenzione, e richiamata la giurisprudenza amministrativa  sul  tema
(ex multis, Consiglio di Stato, sezione terza,  sentenza  18  gennaio
2018, n. 321), la  parte  resistente  osserva  che  il  principio  di
liberta' di iniziativa  economica  sancito  dall'art.  41  Cost.  non
consentirebbe  di  imporre  alle  strutture  che  operano  in  regime
privatistico i vincoli previsti a carico degli enti che  fanno  parte
del servizio sanitario regionale, e che il  requisito  dell'eta'  del
responsabile  sanitario  «non  [sarebbe]  ravvisabile   nelle   norme
fondamentali dettate dal d.lgs. n. 502 del 1992». 
    E' poi richiamata la segnalazione  dell'Autorita'  garante  della
concorrenza e del mercato del 24 giugno 2020,  avente  a  oggetto  la
disposizione regionale previgente (art. 12, comma 8, della legge reg.
Puglia n. 9 del 2017), che fissava il limite massimo di eta'  per  lo
svolgimento della funzione di  responsabile  sanitario  di  struttura
sanitaria   e   socio-sanitaria   privata,   anche    di    carattere
ambulatoriale, attraverso il richiamo all'art.  15-nonies,  comma  1,
del d.lgs. n. 502 del 1992. Secondo l'Autorita',  l'applicazione  del
limite di eta' indicato nella citata norma  statale  ai  responsabili
sanitari  delle  strutture  sanitarie   e   socio-sanitarie   private
determinerebbe una ingiustificata limitazione  alla  prestazione  dei
servizi professionali da parte dei medici, restringendone  l'offerta,
oltre  che  una  compressione  ingiustificata   della   liberta'   di
iniziativa economica  e  dell'autonomia  gestionale  delle  strutture
sanitarie e socio-sanitarie private, precludendo di avvalersi  di  un
medico che ha superato il limite di eta' previsto  per  rivestire  il
ruolo di direttore sanitario. 
    3.- Con il secondo motivo di ricorso il Presidente del  Consiglio
dei ministri impugna, in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost.
l'art. 1, comma 13, della legge reg. Puglia n. 18 del 2020. 
    3.1.- La disposizione regionale, che  ha  sostituito  l'art.  24,
comma 2, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017, prevedendo che  «[l]e
strutture pubbliche e private, gli Istituti  di  ricovero  e  cura  a
carattere scientifico  (IRCCS)  privati,  e  gli  enti  ecclesiastici
possono richiedere con unica istanza il rilascio  dell'autorizzazione
all'esercizio   e   dell'accreditamento    istituzionale»,    avrebbe
realizzato un  accorpamento,  a  fini  di  semplificazione,  che  non
rispetta  la  diversita'  di  struttura  e  funzione  degli  istituti
dell'autorizzazione   all'esercizio   di   attivita'   sanitaria    e
dell'accreditamento istituzionale. Quest'ultimo provvedimento, con il
quale si riconosce alla struttura pubblica o privata gia' autorizzata
lo status di soggetto erogatore di prestazioni sanitarie  nell'ambito
e per conto del servizio sanitario nazionale, e' concesso,  ai  sensi
dell'art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, subordinatamente  alla
sussistenza di requisiti ulteriori rispetto  a  quelli  richiesti  ai
fini dell'autorizzazione e di coerenza delle funzioni svolte con  gli
indirizzi della programmazione regionale. 
    Sarebbe violato, pertanto, l'art. 117, terzo comma, Cost. per  il
tramite del principio  fondamentale  richiamato,  e  non  si  sarebbe
tenuto conto di quanto previsto dalle intese  raggiunte  in  sede  di
Conferenza Stato-Regioni il 20 dicembre 2012 e il  19  febbraio  2015
con riferimento alle attivita' di  verifica  spettanti  all'organismo
tecnicamente accreditante. 
    3.2.- La Regione Puglia ha chiesto, in  entrambe  le  memorie  di
costituzione  e  illustrativa,  che  la  questione   sia   dichiarata
inammissibile o, comunque, non fondata. 
    3.2.1.- In via preliminare, la parte resistente osserva,  per  un
verso, che  la  disposizione  impugnata  sarebbe  identica  a  quella
contenuta nella versione originale dell'art. 24, comma 2, della legge
reg. n. 9 del 2017, non impugnata dallo Stato, e,  per  altro  verso,
che il  ricorrente  non  avrebbe  chiarito  il  vulnus  asseritamente
arrecato alle competenze statali, ne'  i  termini  della  prospettata
violazione delle intese raggiunte in sede di Conferenza Stato-Regioni
in data 20 dicembre 2012 e 19 febbraio  2015,  sicche'  la  questione
sarebbe  inammissibile  per  tardivita'  del   ricorso   ovvero   per
genericita' della motivazione. 
    3.2.2.- Nel merito, la questione non sarebbe fondata. 
    3.2.3.- La disposizione regionale si limiterebbe a consentire  ai
soggetti   interessati   di   richiedere,   con   un'unica   istanza,
l'autorizzazione  all'esercizio  dell'attivita'  e   l'accreditamento
istituzionale,  ferma  restando  la  necessita'  della  verifica  del
possesso dei  requisiti  come  prescritti  dalla  normativa  vigente.
Sarebbe percio' preservata  l'autonomia  dei  due  procedimenti,  nel
rispetto dei  principi  fondamentali  dettati  dagli  artt.  8-ter  e
8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992. 
    3.2.4.- Allo stesso modo,  la  disciplina  regionale  sarebbe  in
linea con quanto sancito dalle richiamate intese, avendo demandato la
verifica dei requisiti ulteriori per  l'accreditamento  istituzionale
all'organismo tecnicamente accreditante. 
    4.- Con il terzo motivo di ricorso il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri impugna,  ancora  in  riferimento  all'art.  117,  terzo
comma, Cost., l'art. 9 della legge reg. Puglia n. 18 del 2020. 
    4.1.- La disposizione censurata, che sostituisce l'ultimo periodo
del comma 3 dell'art. 19 della legge  reg.  Puglia  n.  9  del  2017,
prevede  che,  «[f]erma  restando  la  necessita'  di  verificare  la
sussistenza dei requisiti  di  accreditamento,  nelle  soprariportate
ipotesi l'autorizzazione all'esercizio produce effetti vincolanti  ai
fini della procedura di accreditamento istituzionale». 
    4.2.- Il ricorrente riferisce che l'art. 19, comma 3, della legge
reg. Puglia n. 9 del 2017 e'  gia'  stato  modificato  dall'art.  49,
comma 1, della legge della Regione Puglia 30  novembre  2019,  n.  52
(Assestamento e variazione al bilancio di previsione per  l'esercizio
finanziario 2019 e pluriennale 2019-2021), a  sua  volta  oggetto  di
impugnativa  statale   nella   parte   in   cui   ha   previsto   che
l'autorizzazione   all'esercizio   dell'attivita'   produce   effetti
vincolanti ai fini della procedura di accreditamento con  riferimento
a  tre  fattispecie  concernenti  l'attivita'  di   diagnostica   per
immagini. 
    4.2.1.- L'ulteriore intervento del legislatore regionale, oggetto
dell'odierna questione, pur facendo salva la verifica  dei  requisiti
dell'accreditamento istituzionale,  prevede  effetti  vincolanti  che
scaturirebbero  dall'autorizzazione,  e  pertanto  si   porrebbe   in
contrasto con il principio fondamentale espresso  dall'art.  8-quater
del  d.lgs.  n.  502   del   1992,   secondo   cui   l'accreditamento
istituzionale puo' essere concesso solo previa verifica del  possesso
effettivo dei  requisiti  prescritti  in  capo  alla  struttura  gia'
autorizzata all'esercizio dell'attivita'. 
    4.3.-  La  Regione  Puglia  ha  chiesto  che  la  questione   sia
dichiarata inammissibile, o che venga accertata la  cessazione  della
materia del contendere. 
    4.3.1.- In particolare, con  la  memoria  illustrativa  la  parte
resistente ha preso atto della sopravvenuta sentenza di questa  Corte
n. 36 del 2021, che  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 49, comma 1, della legge reg. Puglia n. 52  del  2019,  con
l'effetto di espungere dal testo dell'art. 19, comma 3,  della  legge
reg. Puglia n. 9 del 2017 le fattispecie per le  quali  era  previsto
che l'autorizzazione all'esercizio dell'attivita' producesse  effetti
vincolanti ai fini della procedura di accreditamento istituzionale. 
    Tale sopravvenienza avrebbe reso priva di significato,  e  quindi
di lesivita', la disposizione oggetto della questione in  esame,  con
conseguente relativa inammissibilita', o, in alternativa,  cessazione
della materia del contendere. 
    4.3.2.- La difesa  regionale  segnala,  infine,  che  l'eventuale
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  della  disposizione
impugnata farebbe rivivere la versione originaria dell'art. 19  della
legge reg. Puglia n.  9  del  2017,  che  prevedeva  una  fattispecie
generica di  estensione  dell'accreditamento,  in  contrasto  con  il
principio fondamentale espresso dall'art. 8-quater del d.lgs. n.  502
del 1992. 
    5.- Con il quarto motivo di ricorso il Presidente  del  Consiglio
dei ministri impugna, in riferimento agli artt.  97  e  117,  secondo
comma, lettera l), Cost., l'art. 10, comma 1, della legge reg. Puglia
n. 18 del 2020. 
    5.1.- La disposizione  oggetto  di  censura  prevede  che  «[n]el
limite dei posti vacanti nella  dotazione  organica  e  nel  rispetto
della spesa sanitaria derivante dalle  norme  vigenti,  il  personale
gia' titolare di contratto, ovvero di incarico a tempo indeterminato,
presso aziende o enti del servizio sanitario nazionale e in  servizio
a tempo determinato alla  data  del  31  dicembre  2019,  presso  una
azienda o  ente  del  servizio  sanitario  della  Regione  Puglia  e'
confermato nei ruoli di quest'ultima a  tempo  indeterminato,  previa
presentazione, entro sessanta  giorni  dalla  data  in  vigore  della
presente legge, di apposita domanda di mobilita'». 
    5.2.- Ad avviso del ricorrente, la disposizione regionale  -  che
porrebbe dubbi gia' sul  piano  interpretativo,  con  ricadute  sulla
individuazione del personale che dovrebbe essere confermato nei ruoli
dell'amministrazione sanitaria  regionale  -  avrebbe  introdotto  un
meccanismo di «stabilizzazione» del personale precario in  violazione
del principio costituzionale del pubblico concorso,  che  costituisce
la regola generale di accesso al pubblico impiego ai sensi  dell'art.
97, terzo comma, Cost., non sussistendo nella  specie  le  condizioni
che,   secondo   la   giurisprudenza   costituzionale,    legittimano
eccezionalmente la deroga a tale regola. 
    5.2.1.- In tema di  superamento  del  precariato,  il  ricorrente
richiama la normativa statale contenuta nei commi 1, 2, 11  e  11-bis
dell'art. 20 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n.  75,  recante
«Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.
165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a),  e  2,  lettere
b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f),  g),  h),  l)
m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015,  n.  124,  in
materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». 
    In  particolare,  i  citati  commi  11  e  11-bis  dell'art.   20
prevedono,  con  riferimento  al  personale  del  servizio  sanitario
nazionale, l'applicazione del disposto dei commi 1 e 2  del  medesimo
art. 20, i quali, oltre a fissare i requisiti che il lavoratore  deve
possedere cumulativamente ai fini  della  stabilizzazione,  impongono
alle amministrazioni l'espletamento di procedure concorsuali. 
    In termini non dissimili, il decreto-legge 17 marzo 2020,  n.  18
(Misure di  potenziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale  e  di
sostegno  economico  per  famiglie,  lavoratori  e  imprese  connesse
all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 24 aprile 2020,  n.  27,  ha  riconosciuto
alle aziende  ed  agli  enti  del  Servizio  sanitario  nazionale  la
possibilita' di attivare  procedure  di  reclutamento  del  personale
previo avviso pubblico e selezione per titoli, colloquio e  procedura
comparativa. 
    5.3.- La disposizione regionale, in quanto non  coerente  con  la
normativa statale richiamata, violerebbe non solo  l'art.  97  Cost.,
che impone la regola del pubblico concorso, ma anche  il  riparto  di
competenze,  intervenendo   nella   materia   «ordinamento   civile»,
riservata  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato  dall'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost. 
    5.4.- La Regione, con le memorie di costituzione ed illustrativa,
ha  chiesto  che  le  questioni  siano  dichiarate  inammissibili  o,
comunque, prive di fondamento. 
    5.4.1.- La parte  resistente  osserva  che  con  la  disposizione
impugnata il legislatore  regionale  avrebbe  inteso  disciplinare  e
organizzare  la  struttura  degli  uffici  sanitari   regionali,   in
particolare   limitando   l'attribuzione   di   incarichi   a   tempo
determinato, e  che,  pertanto,  l'ambito  materiale  di  riferimento
sarebbe quello dell'organizzazione degli uffici regionali, attribuito
alla   competenza   residuale   delle   Regioni,   con    conseguente
inammissibilita' della questione promossa  per  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost., per erroneita'  del  parametro
evocato (sono citate le sentenze n. 75 del 2011 e n. 235 del 2010). 
    La difesa regionale richiama  diffusamente  l'orientamento  della
giurisprudenza  costituzionale  secondo  cui  sono  ascrivibili  alla
competenza esclusiva statale gli interventi legislativi  che  dettano
misure  relative  a  rapporti  lavorativi  gia'  in  essere,   mentre
rientrano  nella  competenza  residuale  delle  Regioni   i   profili
pubblicistico-organizzativi dell'impiego pubblico regionale, compresa
la regolamentazione  delle  modalita'  di  accesso  al  lavoro  (sono
richiamate le sentenze di questa Corte n. 194 del 2020 e n.  141  del
2012). 
    La disciplina dettata dal legislatore regionale, collocata in  un
momento antecedente a quello del  sorgere  del  rapporto  di  lavoro,
riguarderebbe  i  profili  pubblicistico-organizzativi   dell'impiego
pubblico regionale e non quelli privatizzati del relativo rapporto di
lavoro (e' richiamata la sentenza di questa Corte n. 25 del 2021). 
    5.4.2.- La censura sarebbe comunque inconferente. 
    La  disposizione  impugnata  avrebbe   previsto,   infatti,   una
procedura semplificata di mobilita' del personale dipendente verso le
aziende  del  Servizio  sanitario  regionale,  alle   quali   sarebbe
consentito di confermare nei ruoli dell'amministrazione, su  domanda,
il personale gia' operativo e in servizio alla data del  31  dicembre
2019. 
    5.4.3.-  Secondo  la  difesa  regionale  risulterebbe  priva   di
fondamento anche la questione promossa per violazione  del  principio
del pubblico concorso. 
    L'accesso alla procedura semplificata di mobilita'  riguarderebbe
personale che ha gia' superato un concorso pubblico per  accedere  al
Servizio sanitario nazionale, e che, alla data del 31 dicembre  2019,
risulti incaricato, con  contratto  di  lavoro  subordinato  a  tempo
determinato,  presso  un'azienda  o  ente  del   Servizio   sanitario
regionale. 
    Si tratterebbe, in definitiva,  di  una  procedura  di  mobilita'
volontaria di  personale  dipendente  gia'  inserito  nei  ruoli  del
Servizio sanitario nazionale  e  non,  come  sostenuto  dalla  difesa
statale, della stabilizzazione di personale precario. 
    6.- All'udienza del 21 settembre 2021, le parti  hanno  insistito
per l'accoglimento delle conclusioni formulate nei rispettivi scritti
difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso iscritto al n. 81  del  registro  ricorsi  del
2020, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha   promosso,   in
riferimento agli artt. 3, 97 e 117,  commi  secondo,  lettera  l),  e
terzo, della Costituzione, questioni di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 1, commi 11 e 13, 9 e 10,  comma  1,  della  legge  della
Regione Puglia 7  luglio  2020,  n.  18  (Misure  di  semplificazione
amministrativa in materia sanitaria). 
    2.- Con il primo motivo di ricorso e' impugnato,  in  riferimento
all'art. 117, terzo  comma,  Cost.  e  al  principio  di  parita'  di
trattamento e di proporzionalita', l'art. 1, comma  11,  della  legge
reg. Puglia n. 18 del 2020. 
    2.1.- Con riferimento alla figura del responsabile sanitario,  la
disposizione regionale impugnata ha previsto che «[i]l limite di eta'
massimo previsto per lo svolgimento della funzione  [...]  e'  quello
previsto dalla normativa nazionale vigente in materia  di  permanenza
in servizio dei dirigenti medici e del ruolo sanitario  del  servizio
sanitario nazionale, fatta eccezione per gli ambulatori specialistici
non accreditati». 
    2.2.- Il ricorrente prospetta il contrasto con  il  principio  di
parita' di trattamento e di proporzionalita', perche' la disposizione
regionale non chiarirebbe le ragioni della differenziazione in  parte
qua tra ambulatori specialistici non accreditati  e  tutte  le  altre
strutture sanitarie, ne'  indicherebbe  il  regime  applicabile  alle
strutture esonerate dal  rispetto  del  limite  di  eta'  massimo  di
permanenza in servizio dei dirigenti medici del  ruolo  del  Servizio
sanitario nazionale. 
    L'eccezione cosi' disposta, del resto, non troverebbe  fondamento
nella disciplina statale di  riferimento,  individuata  nell'art.  4,
comma 2, della legge  30  dicembre  1991,  n.  412  (Disposizioni  in
materia  di  finanza   pubblica),   che   si   limita   a   prevedere
l'obbligatorieta'  della  figura  del   responsabile   sanitario   in
qualsiasi struttura - pubblica o  privata  -  autorizzata  a  erogare
prestazioni sanitarie. 
    Il ricorrente lamenta, quindi, la violazione dell'art. 117, terzo
comma, Cost., perche' la previsione regionale  contrasterebbe  con  i
principi fondamentali in materia di «tutela della  salute»  contenuti
nel decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della  legge
23 ottobre 1992, n. 421). 
    2.3.-   La   Regione   Puglia   ha   eccepito,   preliminarmente,
l'inammissibilita' delle questioni sotto un duplice profilo. 
    2.3.1.- Per un verso, sarebbe inammissibile la  censura  riferita
alla   disparita'   di   trattamento   in   quanto   non    corredata
dall'indicazione dell'art. 3  Cost.,  quale  parametro  asseritamente
violato, che risulta assente sia nel ricorso sia  nella  delibera  di
impugnazione; per altro verso, il ricorrente non avrebbe indicato  il
vulnus arrecato alle competenze statali in materia  di  tutela  della
salute e, comunque, non avrebbe individuato il principio fondamentale
che  imporrebbe  il  limite  di  eta'  massimo  del  responsabile  di
struttura ambulatoriale non accreditata. 
    2.3.2.- Le eccezioni non sono fondate. 
    Pur nella maggiore pregnanza che l'onere  di  motivazione  assume
nei giudizi in via principale (tra le  molte,  sentenza  n.  170  del
2021), l'indicazione del parametro costituzionale violato puo' essere
ricavata  dalla  motivazione  se,  come  nel  ricorso  in  esame,  le
espressioni utilizzate  dal  ricorrente  sono  univoche.  La  mancata
indicazione dell'art. 3 Cost. e' dunque superata dal contenuto  della
censura,  che,  in  aderenza  alla  delibera  di   impugnazione,   fa
riferimento   esplicito   al   principio   di   eguaglianza   e    di
proporzionalita'. 
    La motivazione addotta a supporto della violazione dell'art. 117,
terzo comma, Cost., per quanto sintetica,  raggiunge  quella  «soglia
minima  di   chiarezza   e   completezza»   che   rende   ammissibile
l'impugnativa proposta (tra le molte, sentenze n. 25 del 2020 e n. 32
del 2017), giacche' individua il principio  fondamentale  in  assunto
violato nella disciplina del limite di eta' massimo di permanenza  in
servizio dei  dirigenti  medici  del  Servizio  sanitario  nazionale,
contenuta nel d.lgs. n. 502 del 1992. 
    Le questioni, pertanto, sono ammissibili. 
    2.4.-  Nel  merito,  la  questione  prospettata  con  riferimento
all'art. 117, terzo comma, Cost., non e' fondata. 
    2.4.1.- Occorre preliminarmente ricostruire il contesto normativo
in cui la disposizione  regionale  si  colloca,  partendo  dall'esame
della disciplina statale che fissa il limite massimo di eta'  per  la
dirigenza medica, per poi valutare  l'articolazione  dell'offerta  di
prestazioni sanitarie, secondo il sistema configurato dal legislatore
con il d.lgs. n. 502 del 1992, e  l'inquadramento  della  figura  del
responsabile sanitario. 
    2.4.2.- L'art. 15-nonies del d.lgs. n.  502  del  1992  (inserito
dall'art. 13, comma 1, del decreto legislativo  19  giugno  1999,  n.
229, recante «Norme per la razionalizzazione del  Servizio  sanitario
nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre  1998,  n.
419») fissa  il  limite  massimo  di  eta'  per  il  personale  della
dirigenza medica e per la cessazione dei rapporti convenzionali. 
    La legge statale  prevede,  per  quanto  qui  rileva,  il  limite
massimo di eta' per il collocamento a riposo dei dirigenti  medici  e
del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi  i
responsabili   di   struttura   complessa,    al    compimento    del
sessantacinquesimo anno di eta', ovvero, su istanza dell'interessato,
al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo. In ogni caso
il limite massimo di permanenza non  puo'  superare  il  settantesimo
anno di eta' e la permanenza in servizio non  puo'  dar  luogo  a  un
aumento del numero dei dirigenti. 
    Come chiarito dalla giurisprudenza di  legittimita',  con  l'art.
15-nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del  1992,  il  legislatore  ha
ribadito che il personale medico dirigenziale cessa dal  servizio  al
compimento del sessantacinquesimo anno di eta'; regola, quest'ultima,
gia' prevista dall'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato
giuridico del personale delle unita' sanitarie locali), in linea  con
la previsione generale che riguarda  il  pubblico  impiego  contenuta
nell'art. 4 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n.  1092  (Approvazione  del
testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei  dipendenti
civili e militari dello Stato). Si tratta di disposizioni ispirate  a
esigenze occupazionali, cui fanno eccezione  le  sole  categorie  dei
magistrati e dei docenti universitari (Corte di  cassazione,  sezione
lavoro, sentenza 9 giugno 2020, n. 11008). 
    2.4.3.- Il sistema sanitario, come riformato dal  d.lgs.  n.  502
del 1992 e poi significativamente rimodulato con il d.lgs. n. 229 del
1999, configura il rapporto pubblico-privato  dell'offerta  sanitaria
secondo un sistema progressivo, in  base  al  quale  i  soggetti  che
intendono erogare prestazioni sanitarie devono essere  autorizzati  e
solo se autorizzati possono chiedere l'accreditamento  istituzionale,
che li rende potenziali erogatori di prestazioni sanitarie per  conto
del Servizio sanitario nazionale. Cio' si  realizza  solo  a  seguito
della conclusione di contratti con l'amministrazione, e nei limiti di
spesa ivi previsti. 
    L'autorizzazione, disciplinata dall'art. 8-ter del d.lgs. n.  502
del 1992, si articola sul duplice versante della realizzazione  della
struttura  e  dell'esercizio  dell'attivita'   sanitaria.   Essa   e'
subordinata alla verifica, da parte della Regione interessata,  della
realizzabilita' della  struttura  in  relazione  alla  localizzazione
territoriale, tenuto conto del fabbisogno complessivo  di  assistenza
che considera  anche  le  prestazioni  extra  livelli  essenziali  di
assistenza (sentenza n. 7 del 2021),  e  al  possesso  dei  requisiti
minimi di tipo strutturale, tecnologico e organizzativo. 
    All'obbligo di autorizzazione sono  sottoposti  anche  gli  studi
odontoiatrici,  medici  e  di  altre   professioni   sanitarie,   ove
attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale  ovvero
procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare  complessita'  o
che comportino un rischio per la sicurezza del paziente,  nonche'  le
strutture dedicate esclusivamente ad attivita' diagnostiche. 
    2.4.4.-    Per    ottenere     l'autorizzazione     all'esercizio
dell'attivita', la struttura deve possedere requisiti  minimi,  anche
organizzativi,  ed  e'  questo  il  profilo  che   rileva   ai   fini
dell'odierno scrutinio. 
    L'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 502  del  1992  stabilisce  che,
«[f]erma  restando  la  competenza  delle  regioni  in   materia   di
autorizzazione e vigilanza  sulle  istituzioni  sanitarie  private  a
norma dell'art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, con atto  di
indirizzo  e  coordinamento,  emanato  d'intesa  con  la   Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome, sentito il Consiglio superiore di sanita', sono definiti  i
requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi  minimi  richiesti
per l'esercizio delle attivita' sanitarie da  parte  delle  strutture
pubbliche e private e la periodicita' dei controlli sulla  permanenza
dei requisiti stessi». 
    L'attuazione dell'art. 8, comma 4, e' avvenuta con il  d.P.R.  14
gennaio 1997 (Approvazione dell'atto  di  indirizzo  e  coordinamento
alle regioni e alle province autonome di  Trento  e  di  Bolzano,  in
materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi
per l'esercizio delle attivita' sanitarie da  parte  delle  strutture
pubbliche e private), che ha previsto i requisiti minimi  generali  e
specifici, riservando alle Regioni la fissazione  degli  standard  di
qualita' che costituiscono requisiti ulteriori per l'accreditamento. 
    Con  riferimento  alle  strutture  che  erogano  prestazioni   di
assistenza  specialistica  in  regime  ambulatoriale  (definite  come
luoghi intra  o  extraospedalieri  preposti  ad  erogare  prestazioni
sanitarie di prevenzione, diagnosi, terapia e  riabilitazione,  nelle
situazioni che non richiedono ricovero neanche a  ciclo  diurno),  e'
richiesta la presenza,  durante  lo  svolgimento  dell'attivita',  di
almeno  un  medico,  indicato  quale  responsabile  delle   attivita'
cliniche svolte nell'ambulatorio. 
    2.5.- Questa Corte  e'  costante  nel  ricondurre  la  competenza
regionale in materia di autorizzazione e vigilanza sulle  istituzioni
sanitarie nella piu' generale  potesta'  legislativa  concorrente  in
materia di tutela della salute. Le Regioni sono vincolate al rispetto
dei principi fondamentali stabiliti dalle  leggi  statali,  dovendosi
peraltro distinguere, «dopo il riordino del  sistema  sanitario,  gli
aspetti che attengono all'"autorizzazione" prevista  per  l'esercizio
di  tutte  le  attivita'  sanitarie,   da   quelli   che   riguardano
l'"accreditamento" delle strutture autorizzate» (sentenza n. 292  del
2012, punto  4  del  Considerato  in  diritto;  nello  stesso  senso,
sentenze n. 106 del 2020 e n. 7 del 2021). 
    In   particolare,   con   riferimento   all'autorizzazione,    le
disposizioni contenute negli artt. 8, comma 4, e 8-ter, comma 4,  del
d.lgs. n. 502 del 1992, che prevedono i requisiti minimi di sicurezza
e qualita' per poter effettuare prestazioni sanitarie,  rappresentano
principi fondamentali della materia che le  Regioni  sono  tenute  ad
osservare «indipendentemente dal fatto che  la  struttura  intenda  o
meno chiedere  l'accreditamento»  (sentenza  n.  292  del  2012,  che
richiama le sentenze n. 245 e n. 150 del 2010). 
    2.6.- Quanto alla figura  del  responsabile  sanitario,  presente
gia' nella legislazione piu' risalente  (l'art.  83  del  Regolamento
generale  sanitario  del  1901  richiedeva,  per  l'apertura   e   il
mantenimento in esercizio di ambulatori o case  o  istituti  di  cura
medico-chirurgica o  di  assistenza  ostetrica,  la  presenza  di  un
dottore in medicina e chirurgia che assumesse  la  direzione  tecnica
dell'istituto), essa e' prevista dall'art. 4 della legge n.  412  del
1991. 
    Tale norma, dettata prima della riforma  del  sistema  sanitario,
stabilisce che le Regioni possono  stipulare  convenzioni  anche  con
istituzioni sanitarie private, sottoposte al regime di autorizzazione
e vigilanza sanitaria di cui all'art.  43  della  legge  23  dicembre
1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) «e devono
avere un direttore sanitario o tecnico,  che  risponde  personalmente
dell'organizzazione tecnica e funzionale dei servizi e  del  possesso
dei prescritti titoli professionali da parte del  personale  che  ivi
opera». 
    Ulteriori riferimenti al  responsabile  sanitario  si  rinvengono
nella legislazione piu' recente. 
    La legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per  il  mercato  e
per la concorrenza), all'art. 1, commi  da  153  a  155,  prevede  la
presenza obbligatoria di un  direttore  sanitario  iscritto  all'albo
degli odontoiatri per le societa' operanti  nel  settore,  e  per  le
strutture  sanitarie  polispecialistiche  in  cui  sia  presente   un
ambulatorio odontoiatrico. 
    Il Codice di deontologia medica del 2018, all'art. 69  impone  al
responsabile  sanitario  di  struttura   privata   la   comunicazione
tempestiva dell'assunzione  dell'incarico  (nonche'  della  rinuncia)
all'ordine di appartenenza, e pone il divieto di  incarichi  plurimi,
incompatibili con le funzioni di vigilanza attiva e continuativa. 
    La legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di  previsione  dello
Stato per l'anno finanziario  2019  e  bilancio  pluriennale  per  il
triennio 2019-2021), all'art. 1, comma 536, prevede che  «[t]utte  le
strutture sanitarie private di cura  sono  tenute  a  dotarsi  di  un
direttore  sanitario  iscritto  all'albo   dell'ordine   territoriale
competente per il luogo nel quale hanno la loro sede operativa  entro
centoventi giorni dalla data di  entrata  in  vigore  della  presente
legge». 
    2.7.- La ricognizione normativa fin qui svolta conferma l'assenza
di un principio fondamentale espressamente ricavabile  da  una  norma
statale, o che si possa evincere in via  sistematica,  in  forza  del
quale  il  responsabile  sanitario  di  struttura  privata  oltre   a
possedere i requisiti di professionalita', debba avere eta' inferiore
ai settanta anni. 
    Inoltre, la differenziazione,  sempre  piu'  nettamente  definita
dalla giurisprudenza amministrativa (per tutte, Consiglio  di  Stato,
sezione terza, sentenza 10 febbraio 2021,  n.  1249),  tra  strutture
autorizzate, che operano in regime  privatistico,  e  strutture  che,
invece, attraverso  l'accreditamento  istituzionale,  entrano  a  far
parte del sistema sanitario pubblico, erogando prestazioni per  conto
del servizio sanitario, converge nella direzione  della  legittimita'
di una disciplina regionale che riconosca alle prime la  possibilita'
di avvalersi, per  lo  svolgimento  delle  funzioni  di  responsabile
sanitario, di un professionista che abbia superato il limite  massimo
di eta' previsto  per  la  permanenza  in  servizio  nelle  strutture
pubbliche ed equiparate. 
    Diverse, in quest'ambito, sono le esigenze che si apprezzano  nei
due settori - privato e pubblico - dell'offerta sanitaria.  Se,  come
si e' visto, il limite di eta' fissato dall'art. 15-nonies del d.lgs.
n. 502 del 1992 si inserisce nel quadro  normativo  della  disciplina
del  lavoro   pubblico,   rispondendo   a   esigenze   di   carattere
organizzativo/occupazionale, quel limite non puo' essere esteso  alle
strutture  che  operano  nel  settore  privato,   cui   deve   essere
riconosciuta una spiccata autonomia gestionale. 
    In questo senso si e' espressa anche  l'Autorita'  garante  della
concorrenza e del mercato, nella segnalazione  del  24  giugno  2020,
avente a oggetto  la  disposizione  contenuta  nel  previgente  testo
dell'art. 12, comma 8, della legge reg. Puglia n. 9 del 2017. 
    Essa ha ritenuto, infatti, che l'applicazione del limite previsto
dall'art. 15-nonies, comma  1,  del  d.lgs.  n.  502  del  1992  alle
strutture sanitarie e socio-sanitarie private, «precludendo  loro  di
avvalersi di un medico che ha superato il limite di eta' previsto per
rivestire   il   ruolo    di    direttore    sanitario»,    determini
«un'ingiustificata   limitazione   alla   prestazione   dei   servizi
professionali da parte dei medici, restringendo  cosi'  l'offerta  di
tali servizi», oltre alla compressione ingiustificata della  liberta'
di iniziativa economica e dell'autonomia gestionale  delle  strutture
anzidette. 
    2.7.1.- Per altro verso, si deve evidenziare che,  quando  questa
Corte  ha  ritenuto  sussistente  un  collegamento   tra   efficienza
dell'organizzazione e gestione dei servizi sanitari, da  un  lato,  e
limite di eta' dei soggetti  che  ricoprono  incarichi  in  posizione
apicale, dall'altro (sentenze n. 295 del 2009 e n. 422 del 2006),  lo
ha affermato a fronte di norme statali che specificamente prevedevano
(e prevedono) il limite del sessantacinquesimo anno di  eta'  per  lo
svolgimento di incarichi di vertice nelle  strutture  ospedaliere  ed
equiparate. 
    Nelle decisioni prima citate si e' ritenuto, infatti, che  l'art.
11 del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n.  288  (Riordino  della
disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico,
a norma dell'articolo 42, comma 1, della legge 16  gennaio  2003,  n.
3), e l'art. 3, comma 7, del d.lgs. n.  502  del  1992  esprimano  un
principio fondamentale in materia di tutela della salute. Proprio  il
carattere apicale della posizione ricoperta (nell'un caso -  sentenza
n. 422 del 2006 - di direttore amministrativo e  direttore  sanitario
di IRCCS; nell'altro caso - sentenza n. 295 del 2009 -  di  direttore
amministrativo e sanitario delle aziende  sanitarie  locali  e  delle
aziende ospedaliere e di IRCCS) rivela «l'incidenza che la disciplina
relativa  alle  modalita'  di  cessazione  di  tali  incarichi,   per
sopraggiunti  limiti  di  eta',  esercita  sull'organizzazione  e  la
gestione dei servizi sanitari e, di riflesso,  anche  sull'efficienza
degli stessi» (cosi' la sentenza n. 422 del 2006, al punto  5.1.  del
Considerato in diritto). 
    Dalle citate pronunce non  si  traggono  elementi  per  affermare
l'esistenza  di  un  principio  fondamentale  che  impone,  in   modo
generalizzato, il limite massimo di eta'  per  lo  svolgimento  delle
funzioni di responsabile sanitario. 
    Non  e',  dunque,  fondata  la  questione  di   costituzionalita'
dell'art. 1, comma 11, della  legge  reg.  Puglia  n.  18  del  2020,
sollevata in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    2.8.- Ugualmente non fondata, con riferimento all'art.  3  Cost.,
e' la censura che riguarda  la  deroga,  introdotta  dal  legislatore
pugliese, all'eta'  massima  per  il  conferimento  dell'incarico  di
responsabile   sanitario   degli   ambulatori    specialistici    non
accreditati. 
    La censura, per come prospettata, si risolve nell'addebitare alla
disposizione regionale una  mancata  giustificazione  del  differente
trattamento  previsto  per  i  dirigenti  medici   degli   ambulatori
specialistici non accreditati rispetto a quelli delle altre strutture
sanitarie, in assenza di una norma statale che possa dare  fondamento
a tale differenziazione. 
    Il ricorrente richiama l'art. 4, comma 2, della legge n. 412  del
1991,  evidenziando  che   tale   norma   si   limita   a   prevedere
l'obbligatorieta'  della  nomina  del  responsabile  sanitario  nelle
strutture private e non  contiene  alcun  riferimento  alla  «diversa
regola» introdotta dal legislatore regionale. 
    Questa  prospettazione  non  puo'  essere  condivisa.   Essa   si
sostanzia nel ritenere che il sistema imponga un trattamento identico
della figura del responsabile sanitario  con  riferimento  al  limite
massimo di eta'. Un tale argomento, come gia' evidenziato, non appare
esaustivo. 
    Il legislatore regionale, nei limiti della propria  competenza  e
ispirandosi al canone della  ragionevolezza,  puo'  differenziare  il
trattamento delle strutture private da quelle pubbliche ed equiparate
senza incorrere nella violazione dell'art. 3 Cost. 
    Non sono, infatti, comparabili i  criteri  organizzativi  cui  si
ispirano le strutture pubbliche e private. 
    La disciplina regionale della figura del  responsabile  sanitario
(art. 12 della legge reg. Puglia  n.  9  del  2017),  che  indica  il
contenuto   effettivo   dell'attivita'   da   svolgere   nella   cura
dell'organizzazione tecnico-sanitaria sotto  il  profilo  igienico  e
organizzativo e nella garanzia delle funzioni  previste  dalle  norme
vigenti, prevedendo l'obbligo di presenza, e  il  correlato  divieto,
salvo eccezioni, di svolgere le funzioni  indicate  in  piu'  di  una
struttura,  vale  a  definire  il   regime   applicabile   anche   al
responsabile sanitario degli ambulatori non accreditati. 
    Le strutture sanitarie private sono, tuttavia, caratterizzate  da
una maggiore apertura al mercato e alle regole  della  concorrenza  e
possono, nella  scelta  del  direttore  sanitario,  adottare  criteri
riferiti alla professionalita' e  alle  competenze  acquisite,  senza
necessariamente attenersi ai limiti di eta' previsti per le strutture
pubbliche. Per le  finalita'  indicate,  l'eta'  non  costituisce  un
requisito essenziale nell'esercizio della funzione  disciplinata  dal
legislatore regionale e non appare, pertanto,  irragionevole  che  al
vertice di tali strutture si  collochi  un  direttore  sanitario  che
abbia superato il settantesimo anno di eta'. 
    3.- Con il secondo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio
dei ministri impugna,  in  riferimento  all'art.  117,  terzo  comma,
Cost., l'art. 1, comma 13, della legge reg. Puglia n. 18 del 2020. 
    3.1.- La disposizione in esame consente alle strutture  pubbliche
e private, agli istituti di ricovero e cura a  carattere  scientifico
(IRCCS) privati e agli enti ecclesiastici  di  richiedere  con  unica
istanza il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio di attivita'  e
dell'accreditamento istituzionale. 
    3.2.- Il ricorrente argomenta che tale disposizione contrasta con
l'art. 117, terzo comma, Cost.  e  con  i  principi  fondamentali  in
materia di tutela della salute espressi dagli artt. 8-ter e  8-quater
del d.lgs. n. 502 del 1992, che differenziano, rendendoli autonomi, i
procedimenti di autorizzazione e  di  accreditamento,  e  subordinano
l'accreditamento al possesso di requisiti ulteriori  da  parte  della
struttura gia' autorizzata, oltre che  alla  coerenza  dell'attivita'
della struttura con la programmazione regionale. 
    Inoltre, la disposizione  impugnata  non  sarebbe  in  linea  con
quanto  previsto  dalle  intese  raggiunte  in  sede  di   Conferenza
unificata in data 20 dicembre 2012 e 19  febbraio  2015,  «in  merito
alle  attivita'  di  verifica  spettanti  all'organismo  tecnicamente
accreditante». 
    3.3.- La Regione ha eccepito  preliminarmente  l'inammissibilita'
della questione per tardivita' e per genericita'  della  motivazione.
Nel merito ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata. 
    3.3.1.- Entrambe le eccezioni preliminari non sono fondate. 
    3.3.2.- La  asserita  tardivita'  della  questione  si  basa  sul
rilievo che la disposizione  impugnata  sarebbe  stata  preceduta  da
altra identica, che non  e'  stata  a  suo  tempo  fatta  oggetto  di
gravame. 
    E' evidente che  la  circostanza  non  vale  a  far  venire  meno
l'interesse attuale  del  ricorrente  a  sottoporre  a  scrutinio  la
disposizione in esame. 
    Come costantemente affermato da questa Corte, infatti, l'istituto
dell'acquiescenza non opera nei giudizi in via principale, atteso che
la norma censurata, anche se preceduta da altra di identico contenuto
e non impugnata, reitera comunque la lesione alla ripartizione  delle
competenze,  da  cui  deriva  l'interesse  a  ricorrere  (ex  multis,
sentenze n. 124 e n. 107 del 2021). 
    3.3.3.-  Neppure  si  riscontra  la  eccepita  genericita'  della
censura, che risulta,  invece,  sufficientemente  articolata  con  la
chiara indicazione dei  principi  fondamentali  che  differenziano  i
procedimenti  di  autorizzazione  e  di   accreditamento,   imponendo
verifiche e valutazioni autonome. Se sussista  effettiva  lesione  e'
profilo che attiene al merito della questione. 
    3.4.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    3.4.1.- La disciplina dettata dalla Regione Puglia in materia  di
autorizzazione e accreditamento istituzionale non  contrasta  con  il
principio  di  differenziazione  dei  due  procedimenti.   La   legge
regionale n. 9 del 2017, che regola entrambi i procedimenti, all'art.
19, comma 3, ribadisce il principio secondo cui l'autorizzazione  non
produce effetti vincolanti ai fini della procedura di  accreditamento
istituzionale,  e,  all'art.  23,  comma  1,   affida   all'organismo
tecnicamente  accreditante  la  verifica  e   l'effettuazione   della
valutazione tecnica necessaria ai fini del rilascio del provvedimento
di accreditamento, in linea con quanto previsto nelle intese  del  20
dicembre 2012 e 19 febbraio 2015. 
    In questo contesto normativo, la prevista facolta' di  presentare
con   un'unica   istanza    la    richiesta    di    rilascio,    sia
dell'autorizzazione,    sia    dell'accreditamento     istituzionale,
rappresenta  una   mera   semplificazione,   senza   incidere   sulla
progressione delle verifiche e degli accertamenti che connotano i due
procedimenti. 
    Occorre considerare, infatti, che l'art. 8-quater, comma  1,  del
d.lgs. 502 del 1992 esige, ai fini dell'accreditamento, la  «verifica
positiva dell'attivita'  svolta  e  dei  risultati  raggiunti»  dalle
strutture autorizzate che intendano accreditarsi. 
    La  norma  statale,  espressione  di  principio  fondamentale  in
materia di tutela della salute (per tutte, sentenze n. 106 del 2020 e
n. 132 del 2013), chiaramente delinea uno iato temporale tra la  fase
dell'attivita' svolta  in  regime  di  autorizzazione  -  oggetto  di
valutazione da parte dell'amministrazione ai fini dell'accreditamento
- e l'inizio del procedimento di accreditamento. 
    L'unicita' dell'istanza non comporta alcuna  sovrapposizione  dei
due procedimenti, ne' contestualita' delle  valutazioni  e  verifiche
proprie di ciascuno di  essi.  Pertanto,  la  disposizione  regionale
impugnata risulta priva di lesivita' del parametro evocato. 
    4.- Con il terzo motivo e' impugnato l'art. 9  della  legge  reg.
Puglia n. 18 del 2020 per  violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost. 
    4.1.- La disposizione censurata, che sostituisce l'ultimo periodo
del comma 3 dell'art. 19 della legge  reg.  Puglia  n.  9  del  2017,
prevede  che,  «[f]erma  restando  la  necessita'  di  verificare  la
sussistenza dei requisiti  di  accreditamento,  nelle  soprariportate
ipotesi l'autorizzazione all'esercizio produce effetti vincolanti  ai
fini della procedura di accreditamento istituzionale». 
    4.2.-  Il   ricorrente   argomenta   il   prospettato   contrasto
sull'assunto che la disposizione  regionale,  pur  facendo  salva  la
verifica dei requisiti ulteriori per l'accreditamento  istituzionale,
prevede  «effetti  vincolanti»  scaturenti  dall'autorizzazione,   in
contrasto con l'art. 8-quater del d.lgs. n. 502  del  1992,  che,  in
quanto espressione di un principio fondamentale in materia di  tutela
della salute, esige il possesso di «requisiti ulteriori» in capo alla
struttura che intenda ottenere l'accreditamento. 
    4.3.- La resistente ha chiesto che la questione venga  dichiarata
inammissibile,  per  carenza  di  lesivita'  o,  comunque,  che   sia
dichiarata la cessazione della materia del contendere, in conseguenza
della sopravvenuta sentenza n. 36 del 2021 di questa Corte. 
    4.4.-  Prima  di  esaminare  le  eccezioni  preliminari   occorre
illustrare la successione temporale degli interventi del  legislatore
regionale. 
    4.4.1.- Con il ricorso iscritto al n.  13  del  registro  ricorsi
dell'anno  2020,  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   ha
impugnato, per violazione dell'art. 117, terzo comma,  Cost.,  l'art.
49, comma 1,  della  legge  reg.  Puglia  n.  52  del  2019,  che  ha
sostituito l'art. 19, comma 3, della legge reg. Puglia n. 9 del  2017
prevedendo tre fattispecie, concernenti  l'attivita'  di  diagnostica
per  immagini,  in  riferimento   alle   quali   si   stabiliva   che
l'autorizzazione all'esercizio producesse effetti vincolanti ai  fini
della procedura di accreditamento istituzionale. 
    Nella pendenza del giudizio di  legittimita'  costituzionale,  il
legislatore regionale e' intervenuto nuovamente con  l'art.  9  della
legge reg. Puglia n. 18 del 2020 per sostituire l'ultimo periodo  del
comma 3 dell'art. 19 della legge reg. Puglia n. 9 del 2017. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso oggi  in
esame, ha impugnato anche tale ultima disposizione. 
    Successivamente al promovimento del  ricorso  odierno,  e'  stata
pubblicata la sentenza di questa Corte n. 36 del 2021, che ha  deciso
il  ricorso  n.  13  del  2020  con  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 49, comma 1, della legge reg. Puglia  n.  52
del 2019, nella parte in cui sostituiva il comma 3 dell'art. 19 della
legge reg. Puglia n. 9  del  2017,  nel  testo  vigente  prima  della
modifica introdotta dall'art. 9 della legge reg.  Puglia  n.  18  del
2020. 
    La sentenza n. 36 del 2021 e' intervenuta sul testo dell'art. 19,
comma 3, della legge  reg.  Puglia  n.  9  del  2017,  espungendo  le
fattispecie   in   riferimento   alle   quali   era   previsto    che
l'autorizzazione all'esercizio  dell'attivita'  sanitaria  producesse
effetti vincolanti ai fini dell'accreditamento. 
    Questa Corte ha ritenuto integrata la violazione  dell'art.  117,
terzo comma, Cost. e, specificamente, del principio di autonomia  dei
procedimenti di autorizzazione e di accreditamento. 
    La disposizione oggi impugnata non e' stata oggetto di  scrutinio
in quella sede, in quanto successiva  e  fatta  oggetto  di  autonomo
ricorso statale. 
    4.5.- A seguito della sentenza n. 36 del 2021, non e' venuta meno
la lesivita' della disposizione oggetto dell'odierno  scrutinio,  che
prevede  effetti  vincolanti  dell'autorizzazione.   Permane   dunque
l'interesse del ricorrente all'impugnazione. 
    Non si puo' dichiarare cessata la materia del contendere  perche'
non ricorrono i presupposti cui questa Corte costantemente  subordina
tale accertamento (ex multis, sentenze n. 36 del 2021, punto 6.1. del
Considerato in diritto, e n. 16 del 2020). 
    4.6.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    4.6.1.- Come affermato nella sentenza n. 36 del 2021 (punto  6.3.
del   Considerato   in   diritto),    secondo    la    giurisprudenza
costituzionale,   «il   regime   delle   autorizzazioni    e    degli
accreditamenti  costituisce  principio  fondamentale  in  materia  di
tutela della salute. Il legislatore statale (artt. 8-ter, 8-quater  e
8-quinquies del d.lgs. n.  502  del  1992)  ha  inteso  vincolare  le
strutture  socio-sanitarie  private   all'osservanza   di   requisiti
essenziali da cui far dipendere l'erogazione di prestazioni  riferite
alla garanzia di un diritto fondamentale (sentenza n. 106  del  2020,
punto 5.1. del Considerato in diritto; in  precedenza,  nello  stesso
senso, sentenze n. 238 del 2018, n. 161 del 2016 e n. 132 del 2013)». 
    In tale cornice si e' evidenziato che occorre «distinguere  [...]
gli  aspetti  che  attengono   all'"autorizzazione",   prevista   per
l'esercizio di tutte le attivita' sanitarie, da quelli che riguardano
l'"accreditamento"  delle  strutture  autorizzate»,  precisando  che,
quanto all'autorizzazione, «gli artt. 8, comma 4, e 8-ter,  comma  4,
del d.lgs.  n.  502  del  1992  stabiliscono  "requisiti  minimi"  di
sicurezza e qualita' per poter effettuare prestazioni  sanitarie»,  e
che,  quanto  all'accreditamento,  «occorrono,   invece,   "requisiti
ulteriori"  (rispetto  a  quelli  necessari   all'autorizzazione)   e
l'accettazione del sistema  di  pagamento  a  prestazione,  ai  sensi
dell'art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992» (sentenza n.  292  del
2012, punto 4 del Considerato in diritto). Nell'impianto fondamentale
dei gia' ricordati articoli del d.lgs. n. 502 del 1992, che anche  in
questa sede il ricorrente invoca come norme interposte,  «le  vicende
del processo di accreditamento restano tendenzialmente estranee  alla
determinazione  del  fabbisogno  che  rileva  per  la   verifica   di
compatibilita' delineata dall'indicato art. 8-ter, comma 3» (sentenza
n. 7 del 2021, punto  4.4.1.  del  Considerato  in  diritto).  I  due
procedimenti - di autorizzazione e di accreditamento - sono, in  base
ai richiamati principi fondamentali della legge statale, tra di  loro
autonomi, essendo, fra l'altro, ciascuno finalizzato alla valutazione
di indici di fabbisogno diversi e non sovrapponibili. 
    4.6.2.-  Deve  ritenersi  preclusa,  pertanto,   al   legislatore
regionale  la  previsione  di  effetti   vincolanti   da   attribuire
all'autorizzazione, ai  fini  dell'accreditamento  istituzionale.  Ne
deriva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9 della  legge  reg.
Puglia n.  18  del  2020,  perche'  in  contrasto  con  il  principio
fondamentale di  autonomia  dei  due  procedimenti,  che  integra  la
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    5.- Con il quarto motivo di ricorso il Presidente  del  Consiglio
dei ministri impugna l'art. 10, comma 1, della legge reg.  Puglia  n.
18 del 2020, per violazione degli artt.  97  e  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost. 
    5.1.- La disposizione regionale impugnata prevede: «1.Nel  limite
dei posti vacanti nella dotazione organica e nel rispetto della spesa
sanitaria derivante dalle norme vigenti, il personale  gia'  titolare
di contratto,  ovvero  di  incarico  a  tempo  indeterminato,  presso
aziende o enti del servizio sanitario nazionale e in servizio a tempo
determinato alla data del 31 dicembre 2019, presso una azienda o ente
del servizio sanitario della Regione Puglia e' confermato  nei  ruoli
di quest'ultima a tempo indeterminato,  previa  presentazione,  entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge,
di apposita domanda di mobilita'». 
    5.1.1.- Il ricorrente assume che con la disposizione impugnata il
legislatore regionale  avrebbe  stabilizzato  personale  precario  in
violazione del principio sancito dall'art. 97 Cost., e specificamente
della regola che impone il  concorso  pubblico  per  l'assunzione  di
personale a tempo indeterminato nei ruoli dell'amministrazione.  Tale
regola, secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  e'
derogabile solo in casi eccezionali (sentenza n. 363 del  2006),  che
rispondano  a  «peculiari  e  straordinarie  esigenze  di   interesse
pubblico» (sentenza n. 81 del 2006), al fine di evitare  privilegi  a
favore di categorie piu' o meno ampie di soggetti  (sentenza  n.  205
del 2006). 
    Nella specie, sarebbero assenti le condizioni che legittimano  la
deroga alla regola  del  pubblico  concorso.  Infatti,  la  normativa
statale in tema di superamento del precariato dettata  dall'art.  20,
commi 1, 2, 11 e 11-bis del decreto legislativo 25  maggio  2017,  n.
75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a),  e  2,
lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e),  f),  g),
h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge  7  agosto  2015,  n.
124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»,
oltre  a  fissare  i  requisiti  che  il  lavoratore  deve  possedere
cumulativamente  ai   fini   della   stabilizzazione,   impone   alle
amministrazioni l'espletamento di procedure concorsuali. 
    5.1.2.- La disposizione regionale  violerebbe  anche  il  riparto
delle competenze, intervenendo nella  materia  «ordinamento  civile»,
riservata alla competenza esclusiva statale. 
    5.2.- La resistente eccepisce preliminarmente  l'inammissibilita'
della questione riferita alla violazione del riparto  di  competenza,
per erroneita' del parametro evocato. 
    Con  la  disposizione  impugnata  la   Regione   avrebbe   inteso
disciplinare  e  organizzare  la  struttura  degli  uffici   sanitari
regionali, in particolare limitando  l'attribuzione  di  incarichi  a
tempo determinato, e dunque l'ambito materiale di riferimento sarebbe
riconducibile alla competenza  residuale  attribuita  dall'art.  117,
quarto comma, Cost. alle Regioni (sono richiamate le sentenze n.  165
del 2007 e n. 368 del 2008). 
    5.3.- L'eccezione e' priva di fondamento. 
    Il ricorrente ha prospettato la censura sulla  base  del  rilievo
che   la   previsione   regionale   introduce   un   meccanismo    di
stabilizzazione del  personale  precario,  e  in  coerenza  con  tale
prospettazione ha evocato il parametro di cui all'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost., che attribuisce alla  competenza  esclusiva
statale la materia «ordinamento civile». 
    La verifica della correttezza di  tale  impostazione  attiene  al
merito della questione, non alla sua ammissibilita'. 
    5.4.- Nel merito entrambe le questioni sono fondate. 
    5.4.1.- Occorre muovere dallo scrutinio di legittimita'  riferito
al riparto di competenza, per  la  priorita'  logica  che  lo  stesso
riveste nei giudizi in via principale, e  quindi  stabilire  l'ambito
materiale cui deve essere ricondotta la disposizione impugnata. 
    La giurisprudenza costante di questa Corte individua  il  confine
fra cio' che e' ascrivibile alla materia  dell'ordinamento  civile  e
cio' che, invece, e' riferibile alla competenza legislativa residuale
regionale,  affermando  che  sono  da  ricondurre  alla   prima   gli
interventi  legislativi  che  dettano  misure  relative  a   rapporti
lavorativi gia' in  essere,  e  rientrano  nella  seconda  i  profili
pubblicistico-organizzativi  dell'impiego  pubblico   regionale   (ex
multis, sentenze n. 194 e n. 126 del 2020, n. 191 del 2017). 
    La disposizione regionale interviene  su  rapporti  di  lavoro  a
tempo determinato gia' in essere e incide sul profilo  della  durata,
trasformandoli in nuovi rapporti a tempo indeterminato,  che  sorgono
proprio per effetto  della  norma  censurata.  Essa  deve,  pertanto,
essere ricondotta nell'ambito materiale dell'ordinamento civile,  con
conseguente violazione del riparto di competenza. 
    5.4.2.- E' fondata anche la  censura  formulata  con  riferimento
all'art. 97 Cost. 
    L'imparzialita'   e   il   buon    andamento    della    pubblica
amministrazione sono assicurate dal principio del pubblico  concorso,
che costituisce la modalita' generale e ordinaria di reclutamento del
personale delle amministrazioni pubbliche (ex multis, sentenze n.  36
del 2020 e n. 40 del 2018). 
    Questa Corte si e' gia' espressa su questioni analoghe  a  quelle
ora in esame nella sentenza n. 68 del 2011, che ha scrutinato  l'art.
13 della legge della Regione Puglia 25 febbraio  2010,  n.  4  (Norme
urgenti in materia  di  sanita'  e  servizi  sociali),  di  contenuto
sovrapponibile alla disposizione regionale impugnata. 
    In  quel  caso,  questa  Corte  ha  dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale della disposizione regionale. 
    Nella pronuncia citata si legge che «[l]a disposizione impugnata,
facendo   ricorso   all'istituto   della   mobilita',   prevede    la
"ruolizzazione" - ossia l'inquadramento  a  tempo  indeterminato  nei
ruoli del servizio sanitario regionale - di personale "gia'  titolare
di contratto ovvero di incarico a tempo  indeterminato"  presso  enti
del servizio sanitario nazionale. La norma  consente  l'inquadramento
di personale e trasforma  rapporti  di  lavoro  a  tempo  determinato
oppure rapporti di lavoro non  di  ruolo  a  tempo  indeterminato  in
rapporti di lavoro di ruolo a tempo  indeterminato.  Ne  discende  la
violazione dell'art. 97 Cost., perche' la disposizione censurata  non
prevede il pubblico concorso per l'inquadramento». 
    Non  si  puo'  che  ribadire  questo  percorso  argomentativo   e
dichiarare costituzionalmente illegittimo l'art. 10, comma  1,  della
legge reg. Puglia n. 18 del 2020, perche' in contrasto con entrambi i
parametri evocati. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  9  della
legge  della  Regione  Puglia  7  luglio  2020,  n.  18  (Misure   di
semplificazione amministrativa in materia sanitaria); 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  10,  comma
1, della legge reg. Puglia n. 18 del 2020; 
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 11, della legge reg. Puglia  n.  18
del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 117,  terzo  comma,
della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con  il
ricorso indicato in epigrafe; 
    4)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 13, della legge reg. Puglia  n.  18
del 2020, promossa, in riferimento all'art. 117, terzo comma,  Cost.,
dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 settembre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 15 ottobre 2021. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE