N. 207 SENTENZA 7 - 29 ottobre 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Imposte e tasse -  Erogazioni  in  denaro  effettuate  in  favore  di
  partiti  politici  -  Possibilita'  per  i  candidati   eletti   in
  Parlamento, a  partire  dall'anno  di  imposta  2007,  di  detrarre
  dall'imposta lorda sui redditi delle  persone  fisiche  (IRPEF)  un
  importo pari al 19 per cento  per  le  erogazioni  in  denaro,  per
  importi  determinati,  effettuate  in  conformita'   a   previsioni
  regolamentari o statutarie del partito  beneficiario  -  Denunciata
  violazione del principio del divieto di mandato  imperativo  -  Non
  fondatezza della questione. 
- Decreto-legge  28  dicembre   2013,   n.   149,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014, n. 13, art. 11,  comma
  4-bis, come modificato dall'art.  1,  comma  141,  della  legge  23
  dicembre 2014, n. 190. 
- Costituzione, art. 67. 
(GU n.44 del 3-11-2021 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,   Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  11,  comma
4-bis, del decreto-legge 28 dicembre 2013,  n.  149  (Abolizione  del
finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e  la
democraticita'  dei  partiti   e   disciplina   della   contribuzione
volontaria  e  della  contribuzione  indiretta   in   loro   favore),
convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2014,  n.  13,  e
successivamente modificato dall'art. 1, comma  141,  della  legge  23
dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2015)», promosso dalla  Commissione  tributaria  di  primo  grado  di
Trento, nel procedimento vertente tra S. D. e l'Agenzia delle entrate
- Direzione provinciale di Trento, con  ordinanza  dell'11  settembre
2020, iscritta al n. 21 del  registro  ordinanze  2021  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale,
dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 6  ottobre  2021  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 ottobre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Commissione tributaria  di  primo  grado  di  Trento,  con
ordinanza dell'11 settembre 2020 (r.o. n. 21 del 2021),  solleva,  in
riferimento all'art. 67 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  11,  comma  4-bis,  del  decreto-legge  28
dicembre 2013, n. 149 (Abolizione del finanziamento pubblico diretto,
disposizioni per la trasparenza e la  democraticita'  dei  partiti  e
disciplina  della  contribuzione  volontaria  e  della  contribuzione
indiretta in loro favore), convertito, con modificazioni, in legge 21
febbraio 2014, n. 13, e successivamente modificato dall'art. 1, comma
141, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di stabilita' 2015)». 
    2.- Innanzi  alla  Commissione  tributaria  rimettente  pende  un
giudizio introdotto da  S.  D.  avverso  un  avviso  di  accertamento
dell'Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Trento. 
    Il rimettente espone, in fatto, che l'atto impugnato concerne una
maggiore imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) per l'anno
di imposta 2008, accertata  per  effetto  del  disconoscimento  della
natura  di  "erogazioni  liberali"  «e  quindi  della   detraibilita'
dall'imposta nella misura del 19% ai  sensi  dell'art.  15  co.  1bis
d.P.R. 22.12.1986, n. 917 [...] delle  somme  di  denaro  versate  in
quell'anno di  imposta  dal  ricorrente»  in  favore  di  un  partito
politico, per un importo complessivo di euro 45.379,00. 
    Ancora  in  punto  di  fatto,  il  rimettente  osserva   che   il
contribuente, nel ricorso introduttivo, ha sollevato varie  questioni
pregiudiziali, eccependo la nullita' dell'avviso impugnato, stante la
mancata  allegazione  della  segnalazione  della  Direzione  centrale
dell'Agenzia delle entrate e dell'accertamento compiuto dalla Procura
della  Repubblica  presso  il  Tribunale  ordinario  di  Forli'  (con
conseguente difetto di  motivazione)  nonche'  per  violazione  delle
norme  sulle  modalita'  di  compimento  delle  attivita'   (accesso,
ispezione e verifica) che hanno condotto al suddetto  accertamento  e
che avrebbero richiesto  la  redazione  di  un  processo  verbale  di
chiusura delle indagini, nella specie omesso. 
    Il   ricorrente   nel   giudizio   principale   nega    l'assunto
dell'Ufficio,  secondo  cui  si  sarebbe  costituito   un   «rapporto
sinallagmatico» tra il partito politico ed il  ricorrente,  in  forza
del quale, «a fronte della disponibilita' del partito di  offrire  al
ricorrente  la  possibilita'  di  essere  candidato   alle   elezioni
politiche  del  13-14  aprile  2008»,  quest'ultimo  avrebbe  assunto
l'obbligo - con contratto di donazione  stipulato  in  data  7  marzo
2008, presso la sede del partito politico  -  di  corrispondere  allo
stesso partito, in caso di elezione, la  somma  complessiva  di  euro
145.000,00, da versare in rate mensili consecutive costanti,  con  la
pattuizione che i versamenti sarebbero cessati solo in caso di  morte
del donante. 
    In subordine, riferisce  sempre  il  rimettente,  S.  D.  avrebbe
comunque sostenuto che la detraibilita'  dall'imposta,  nella  misura
del 19 per cento delle somme, per complessivi euro 45.379,00, versate
dal ricorrente in favore del partito politico  nel  2008,  «prescinde
dalla natura di atto di liberalita' delle erogazioni» per effetto del
comma 4-bis dell'art. 11 del d.l. n. 149 del 2013, come convertito. 
    Dall'ordinanza  di   rimessione,   ancora,   si   apprende   che,
costituendosi in giudizio, l'Agenzia delle entrate avrebbe chiesto il
rigetto delle  eccezioni  di  nullita'  dell'avviso  e,  nel  merito,
avrebbe dedotto, in particolare quanto alla detraibilita'  dall'IRPEF
dell'erogazione effettuata  dal  contribuente:  a)  che  solitamente,
oltre all'atto di donazione, il candidato ed il  partito  stipulavano
un accordo in cui si affermava espressamente che il versamento  delle
somme del candidato  al  partito  avveniva  in  correlazione  con  le
obbligazioni assunte da quest'ultimo; b) che cio' avrebbe escluso «in
radice lo spirito  di  liberalita'  (inteso  come  mera  e  spontanea
elargizione fine a se stessa) e la detraibilita' ai  sensi  dell'art.
15 co. 1bis d.lgs. 917/1986»; c) che  in  difetto  del  carattere  di
liberalita' dell'erogazione non avrebbe potuto  trovare  applicazione
l'art. 11, comma 4-bis, del d.l. n. 149 del  2013,  come  convertito,
sia  in  ragione  della  rubrica  dell'articolo  «Detrazioni  per  le
erogazioni liberali in denaro in favore  di  partiti  politici»,  sia
perche', accedendo a diversa interpretazione,  si  ammetterebbe  «una
sorta di sanatoria rispetto alle erogazioni non connotate da  spirito
di  liberalita'»  (con  conseguente  violazione   dei   principi   di
eguaglianza, capacita' contributiva e certezza del diritto). 
    3.- Cio' premesso, la Commissione tributaria  rimettente  solleva
d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  11,
comma  4-bis,  del  d.l.  n.  149  del  2013,   come   convertito   e
successivamente modificato, a norma del quale «[a] partire  dall'anno
di imposta 2007 le  erogazioni  in  denaro  effettuate  a  favore  di
partiti politici, esclusivamente tramite bonifico bancario o  postale
e tracciabili secondo la vigente  normativa  antiriciclaggio,  devono
comunque considerarsi detraibili ai  sensi  dell'articolo  15,  comma
1-bis, del testo  unico  di  cui  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917  [Approvazione  del  testo  unico
delle imposte sui  redditi].  Le  medesime  erogazioni  continuano  a
considerarsi detraibili ai sensi del citato articolo 15, comma 1-bis,
ovvero ai sensi  del  presente  articolo,  anche  quando  i  relativi
versamenti  sono  effettuati,  anche  in  forma  di  donazione,   dai
candidati e dagli eletti alle  cariche  pubbliche  in  conformita'  a
previsioni  regolamentari  o  statutarie  deliberate  dai  partiti  o
movimenti politici beneficiari delle erogazioni medesime». 
    Secondo il rimettente, nella parte in cui consente ai membri  del
Parlamento di detrarre dall'imposta lorda sui redditi un importo pari
al 19 per cento delle erogazioni in denaro effettuate  in  favore  di
partiti e  movimenti  politici  per  importi  compresi  tra  51,65  e
103.291,38  euro,  anche  quando  tali  erogazioni  siano  prive   di
carattere realmente e pienamente liberale, la disposizione violerebbe
l'art. 67 Cost. 
    3.1.- In punto di rilevanza, una  volta  rigettate  le  eccezioni
preliminari di nullita' sollevate dal contribuente - in  accoglimento
delle difese spiegate dall'amministrazione finanziaria -  il  giudice
rimettente evidenzia come il giudizio a quo non possa essere definito
indipendentemente  dalla  soluzione  della  questione  sollevata,  in
quanto, proprio applicando  la  disposizione  censurata,  il  ricorso
proposto da S. D. dovrebbe essere accolto. 
    Il rimettente condivide la tesi dell'amministrazione finanziaria,
che disconosce la natura di "erogazioni liberali" dei  versamenti  in
denaro effettuati dal ricorrente, nel 2008,  in  favore  del  partito
politico e durante  lo  svolgimento  del  suo  mandato  parlamentare.
Rileva, infatti, come sia incontestata la stipula di «un contratto di
donazione mediante  il  quale  [il  contribuente]  ha  assunto  [...]
l'obbligo di donare al partito politico [...] una somma di denaro per
complessivi € 145.000,00, da versarsi in  rate  mensili  consecutive»
nel periodo corrispondente alla durata del mandato  parlamentare,  in
caso di avvenuta elezione. 
    Richiamando la disciplina sulla donazione (artt. 769, 771  e  772
del codice civile), il rimettente esclude la natura liberale di  tale
atto e, dunque,  l'applicabilita'  dell'art.  15,  comma  1-bis,  del
decreto del Presidente della Repubblica 22  dicembre  1986,  n.  917,
recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi»  (di
seguito:  TUIR),  il  quale,  nella  versione   applicabile   ratione
temporis, ammetteva la detrazione di erogazioni liberali per  importi
compresi tra centomila lire e duecento milioni di lire. 
    In primo luogo, osserva il  giudice  a  quo,  l'art.  771,  primo
comma, cod. civ.  prevede  la  nullita'  della  donazione  avente  ad
oggetto beni futuri,  quali  appunto  dovrebbero  considerarsi,  «con
verosimile plausibilita'»,  le  somme  da  versare  in  rate  mensili
costanti  nell'arco  di  cinque  anni  (e  quindi  non  presenti  nel
patrimonio del donante all'epoca della stipulazione del contratto). 
    Inoltre, a parere del rimettente, sebbene l'art.  772  cod.  civ.
consenta la donazione di "prestazioni periodiche", tale  disposizione
potrebbe  riguardare  «solamente  le  prestazioni  alimentari  e   di
soccorso». 
    Infine,  e  decisivamente,  per  il  rimettente  -  che  cita,  a
supporto, giurisprudenza di legittimita' - lo spirito di liberalita',
che «costituisce un elemento essenziale della causa del contratto  di
donazione»,  ai  sensi  dell'art.  769  cod.  civ.,  «consiste  nella
coscienza  (da  parte  del  donante)  di  compiere  (in  favore   del
donatario) un'attribuzione patrimoniale nullo iure  cogente,  vale  a
dire  nella  consapevolezza  di  attribuire  ad  altri  un  vantaggio
patrimoniale senza esservi  in  alcun  modo  costrett[o]»:  cio'  che
mancherebbe nel caso di specie. 
    L'elargizione  verso  il   partito   politico   avrebbe   trovato
fondamento, piuttosto, «nelle relazioni scaturenti dall'adesione  del
D. ai  programmi  ed  agli  obiettivi»  del  partito,  nonche'  nella
condizione del primo di candidato designato per le imminenti elezioni
politiche del 13-14 aprile 2008  e,  quindi,  di  (possibile)  futuro
parlamentare in rappresentanza del  partito  medesimo.  Da  cio',  il
giudice a quo desume  che  il  contratto  stipulato  «era  diretto  a
realizzare uno scopo diametralmente opposto a quello, essenziale alla
causa della donazione, dell'attribuzione di un vantaggio patrimoniale
per spirito di liberalita'». 
    A parere  del  giudice  a  quo,  pur  dovendosi  ritenere  che  i
versamenti di cui si tratta non siano stati effettuati per spirito di
liberalita', la disposizione  oggetto  di  scrutinio,  «ponendosi  in
evidente rapporto di specialita'» con l'art.  15,  comma  1-bis,  del
TUIR, lungi dal richiedere l'accertamento della natura liberale delle
erogazioni, consentirebbe  in  ogni  caso,  a  partire  dall'anno  di
imposta 2007, la detraibilita' dei versamenti in denaro eseguiti  dai
candidati e dagli eletti alle  cariche  pubbliche  in  conformita'  a
previsioni  regolamentari  o  statutarie  deliberate  dai  partiti  o
movimenti politici beneficiari delle erogazioni medesime. 
    Il rimettente non condivide, dunque, quanto rilevato dall'Agenzia
delle  entrate,  secondo  cui   anche   la   disposizione   censurata
richiederebbe «il carattere di liberalita' dell'erogazione (in favore
del partito politico)». Se cosi' fosse, argomenta il giudice  a  quo,
«la  norma  si  presenterebbe  del  tutto  superflua,  limitandosi  a
ribadire il contenuto precettivo» del citato art. 15, comma 1-bis, in
evidente contrasto con la volonta' del legislatore, il quale invece -
come si evincerebbe «chiaramente sia dalla manca[ta]  apposizione  al
sostantivo  "erogazioni"   dell'aggettivo   "liberali",   sia   dalla
locuzione  "devono  comunque  considerarsi  detraibili"»   e   «dalla
precisazione "anche in forma  di  donazione"  contenuta  nel  secondo
periodo della stessa norma» - avrebbe inteso estendere  la  sfera  di
applicazione  (in  origine  limitata  alle   "erogazioni   liberali")
dell'art. 15, comma 1-bis, del TUIR. 
    3.2.- In punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
ricorda che  l'art.  67  Cost.  -  secondo  cui  «[o]gni  membro  del
Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue  funzioni  senza
vincolo  di  mandato»   -   persegue,   secondo   la   giurisprudenza
costituzionale (sono citate le sentenze n. 125 del 1977 e n.  14  del
1964) - la finalita' di «garantire l'assoluta indipendenza dei membri
del Parlamento»  da  qualsiasi  influenza,  pur  se  proveniente  dai
partiti politici  di  appartenenza,  suscettibile  «di  compromettere
l'esercizio della funzione equilibratrice, di composizione e  sintesi
degli interessi sezionali nel modo che meglio si adegui all'interesse
generale». 
    La   disposizione   censurata,   consentendo   la   detraibilita'
dall'imposta sui redditi delle erogazioni eseguite anche  in  assenza
dello spirito di liberalita', presupporrebbe, o comunque favorirebbe,
«mediante   l'attribuzione   di   vantaggi   di    natura    fiscale,
l'instaurazione di  rapporti  giuridici  di  credito  tra  i  partiti
politici e i  membri  del  Parlamento»,  come,  in  effetti,  sarebbe
accaduto nella vicenda oggetto del giudizio a quo. 
    Tale  conseguenza,  tuttavia,   sarebbe   «fonte   di   possibili
condizionamenti dell'indipendenza del parlamentare  nell'espletamento
delle sue funzioni», in violazione proprio  del  divieto  di  mandato
imperativo di cui al parametro costituzionale evocato: la creazione a
carico del parlamentare «di debiti di natura giuridica nei  confronti
di un  partito  politico»,  con  i  corollari  della  responsabilita'
patrimoniale di natura personale e dell'assoggettabilita' a possibili
azioni esecutive, introdurrebbe nelle relazioni  tra  parlamentare  e
partito  politico  «fattori  potenzialmente  distorsivi   in   quanto
estranei al rapporto rappresentativo». 
    Inoltre,  il  vincolo  al  pagamento   mensile   di   una   somma
predeterminata, protratto  per  l'intera  durata  della  legislatura,
indurrebbe il parlamentare «ad una fedelta' forzata verso il  partito
politico creditore, dissuadendolo dal  compiere  scelte  diverse  nel
corso dell'espletamento del suo mandato»: in caso contrario, infatti,
il  parlamentare  si   troverebbe   nella   situazione   -   definita
«paradossale»  -  di  dover  sostenere  finanziariamente  un  partito
politico dal quale si e' dissociato. 
    4.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione  sia  dichiarata  inammissibile  o,
comunque, non fondata. 
    4.1.- L'interveniente eccepisce, in primo luogo,  il  difetto  di
rilevanza della questione sollevata. 
    Le  argomentazioni  sviluppate   dall'ordinanza   di   rimessione
sarebbero volte a mettere in discussione  non  tanto  il  trattamento
fiscale delle elargizioni di cui si discute (e di cui  si  occupa  la
disposizione censurata), quanto  «la  stessa  prassi,  utilizzata  in
passato  da  alcuni  partiti  politici,  di  finanziarsi   stipulando
contratti (di "donazione")», analoghi a quello oggetto del giudizio a
quo. 
    Sarebbe questa pratica - a parere dell'interveniente -  il  reale
oggetto della critica avanzata  dal  rimettente,  che  la  riterrebbe
pericolosa per la «"forzata fedelta'" ingenerata tra il  parlamentare
e il partito politico per effetto di tali  "donazioni"»,  appunto  in
contrasto con il divieto di mandato  imperativo  di  cui  all'evocato
parametro costituzionale. 
    La norma  oggetto  del  dubbio  di  legittimita'  costituzionale,
invece, si limiterebbe a disciplinare «solo  il  trattamento  fiscale
del fenomeno che il  rimettente  e'  andato  censurando,  concernendo
effetti  che  costituiscono,  sul  piano  logico  e   giuridico,   un
"posterius" rispetto alla contestata "donazione"». 
    Il lamentato vulnus all'invocato art. 67 Cost., in altre  parole,
non sarebbe provocato dal trattamento fiscale della  elargizione,  ma
dalla "donazione" in se' stessa considerata, unica  (e  reale)  fonte
del "vincolo" ritenuto vietato dall'art. 67 Cost., sicche' - se  pure
fosse espunta dall'ordinamento la norma ora in esame che  prevede  il
beneficio fiscale della detrazione - non potrebbe essere raggiunto il
risultato, auspicato dal giudice rimettente, di assicurare  un  pieno
rispetto  dell'art.  67  Cost.:  a  parere   dell'interveniente,   «a
prescindere dal  trattamento  fiscale  di  tali  elargizioni,  queste
continuerebbero ad essere praticate in assenza  di  una  disposizione
normativa  volta  a  vietare  tout  court  simili   "donazioni"   dei
parlamentari  o  candidati  al  Parlamento  in  favore  dei   partiti
politici». 
    4.2.- Nel  merito,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
ritiene non fondata la questione sollevata. 
    Ricorda, a tal fine,  che  la  disposizione  censurata  e'  stata
inserita nell'ambito di un provvedimento (il d.l. n.  149  del  2013,
come  convertito)  finalizzato  alla  abolizione  del   finanziamento
pubblico diretto ai partiti politici  e  alla  sua  sostituzione  con
agevolazioni fiscali per la contribuzione volontaria dei cittadini. 
    La disposizione troverebbe «il suo non  irragionevole  fondamento
all'interno  di  un  sistema  normativo  volto  a  disciplinare,   in
un'ottica di trasparenza,  le  contribuzioni  volontarie  ai  partiti
politici». 
    Con specifico riferimento  al  periodo  temporale  immediatamente
antecedente  alla  riforma  (2007-2013),   il   legislatore   avrebbe
ritenuto, non irragionevolmente, di  intervenire  con  una  norma  di
carattere transitorio e di natura derogatoria rispetto  all'art.  15,
comma  1-bis,  del  TUIR,  peraltro  limitatamente  alle  elargizioni
eseguite negli anni dal 2007 al 2013. Cio' che non  sarebbe  «di  per
se' violativo dell'art. 67 Cost., tenuto conto altresi' che l'art. 15
co. 1 bis era stato gia' comunque abrogato e superato  da  una  nuova
disciplina (posta dall'art. 11 D.L. 149/2013)». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Commissione tributaria di primo  grado  di  Trento  dubita
della legittimita' costituzionale  dell'art.  11,  comma  4-bis,  del
decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149 (Abolizione del  finanziamento
pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticita'
dei partiti e  disciplina  della  contribuzione  volontaria  e  della
contribuzione   indiretta   in   loro   favore),   convertito,    con
modificazioni, in legge 21 febbraio 2014, n.  13,  e  successivamente
modificato dall'art. 1, comma 141, della legge 23 dicembre  2014,  n.
190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)»,  ritenendo  tale
disposizione lesiva dell'art. 67 della Costituzione. 
    Il giudizio a quo ha per oggetto l'impugnazione di un  avviso  di
accertamento con  il  quale  l'Agenzia  delle  entrate  contesta  una
maggiore imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) per l'anno
2008, disconoscendo la natura di "erogazioni  liberali"  delle  somme
versate dal ricorrente, eletto al Parlamento nazionale, in favore del
partito   politico   di   appartenenza.   Secondo   l'amministrazione
finanziaria,  infatti,   a   sostegno   delle   suddette   erogazioni
mancherebbe  un  reale  spirito  di  liberalita',   con   conseguente
inapplicabilita'  dell'art.  15,  comma  1-bis,   del   decreto   del
Presidente  della  Repubblica  22  dicembre  1986,  n.  917,  recante
«Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (di seguito:
TUIR),  all'epoca  vigente,  che  riconosceva  il   beneficio   della
detraibilita' dall'imposta, nella misura del 19 per cento,  solo  per
le donazioni e per importi compresi tra  centomila  lire  e  duecento
milioni di lire. 
    Il rimettente condivide la tesi dell'amministrazione finanziaria. 
    Nel caso di specie, si sarebbe in realta' costituito «un rapporto
sinallagmatico», in forza del quale, «a fronte  della  disponibilita'
del partito di  offrire  al  ricorrente  la  possibilita'  di  essere
candidato  alle  elezioni   politiche   del   13-14   aprile   2008»,
quest'ultimo  avrebbe  assunto   l'obbligo,   con   contratto   (solo
apparentemente) di donazione stipulato in data 7 marzo  2008,  presso
la sede del partito politico, di  corrispondere  a  quest'ultimo,  in
caso di elezione, una determinata somma complessiva,  da  versare  in
rate  mensili  consecutive  costanti,  con  la  pattuizione   che   i
versamenti sarebbero cessati solo in caso di morte del donante. 
    La  natura  liberale  delle  erogazioni  in  parola  non  sarebbe
sostenibile sotto alcun profilo. 
    In primo luogo - osserva il giudice a quo  -  l'art.  771,  primo
comma, del codice civile prevede la nullita' della  donazione  avente
ad oggetto beni futuri, quali appunto dovrebbero  considerarsi,  «con
verosimile plausibilita'»,  le  somme  da  versare  in  rate  mensili
costanti  nell'arco  di  cinque  anni  (e  quindi  non  presenti  nel
patrimonio del donante all'epoca della stipulazione del contratto). 
    Inoltre, sebbene l'art. 772 cod. civ. consenta  la  donazione  di
prestazioni  periodiche,  tale   disposizione   potrebbe   riguardare
«solamente le prestazioni alimentari e di soccorso». 
    Infine,  e  decisivamente,  in  virtu'   del   sinallagma   prima
ricordato, mancherebbe lo spirito di liberalita', che «costituisce un
elemento essenziale della causa del contratto di donazione», ai sensi
dell'art. 769 cod. civ. 
    Tuttavia, il tenore della disposizione censurata  non  lascerebbe
dubbi sulla voluntas legis. 
    Ponendosi «in evidente rapporto di specialita'»  con  l'art.  15,
comma 1-bis, del TUIR,  la  disposizione  non  richiederebbe  affatto
l'accertamento della natura liberale  delle  erogazioni,  consentendo
piuttosto, a partire dall'anno di  imposta  2007,  la  detrazione  di
qualunque versamento in denaro eseguito dai candidati e dagli  eletti
alle cariche pubbliche in conformita' a  previsioni  regolamentari  o
statutarie deliberate dai partiti o  movimenti  politici  beneficiari
delle erogazioni medesime. 
    In conclusione, poiche'  la  disposizione  censurata  si  applica
proprio ad elargizioni non  aventi  carattere  liberale,  il  ricorso
dovrebbe essere accolto, salvo che risulti fondata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale:  cio'  che   renderebbe   evidente   la
rilevanza di quest'ultima. 
    In punto di non manifesta infondatezza, il  rimettente  argomenta
il contrasto della disposizione in esame con l'art. 67 Cost., secondo
cui «[o]gni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed  esercita
le  sue  funzioni  senza  vincolo   di   mandato».   Consentendo   la
detraibilita' dall'imposta sui redditi delle erogazioni  eseguite  da
candidati e da eletti alle cariche pubbliche, anche in assenza  dello
spirito di liberalita', essa  sarebbe  infatti  «fonte  di  possibili
condizionamenti dell'indipendenza del parlamentare  nell'espletamento
delle sue funzioni». 
    Ad introdurre nelle relazioni tra parlamentare e partito politico
«fattori potenzialmente distorsivi in  quanto  estranei  al  rapporto
rappresentativo», in violazione appunto dell'art. 67 Cost.,  sarebbe,
in particolare, la creazione a carico del parlamentare «di debiti  di
natura giuridica  nei  confronti  di  un  partito  politico»,  con  i
corollari della responsabilita' patrimoniale di  natura  personale  e
dell'assoggettabilita' a possibili azioni esecutive. 
    2.- Il d.l. n. 149 del 2013, come  convertito,  che  contiene  la
disposizione censurata, costituisce una tappa di rilievo nel percorso
normativo   che   ha   gradualmente   condotto   all'abolizione   del
finanziamento pubblico diretto dei partiti. 
    Il decreto-legge in parola  segna  infatti  il  passaggio  ad  un
sistema di  finanziamento  esclusivamente  privato,  di  cui  vengono
ridisegnati  i  contorni,  con  la  previsione  di  una   transizione
progressiva dal precedente al nuovo ordinamento, basato  soltanto  su
due meccanismi, peraltro gia' sperimentati in passato. 
    Viene ribadita,  infatti,  la  possibilita'  di  destinare  a  un
partito politico una quota (oggi pari al due  per  mille)  dell'IRPEF
(art. 12), secondo quanto gia' originariamente previsto dalla legge 2
gennaio 1997, n. 2 (Norme per la regolamentazione della contribuzione
volontaria ai movimenti o partiti politici). 
    Inoltre, ed e' quel che piu' rileva in questa  sede,  l'art.  14,
comma 5, del d.l. n. 149 del 2013, come convertito, abroga l'art. 15,
comma 1-bis, del TUIR, «[a] decorrere dal 1° gennaio 2014», ma, dalla
stessa data, l'art.  11  del  medesimo  decreto  conferma  il  regime
fiscale  agevolato  di  cui  puo'  beneficiare  il  contribuente  che
effettui erogazioni liberali in denaro a  partiti  politici,  purche'
questi ultimi rispettino alcuni requisiti, tra  cui  l'iscrizione  in
apposito registro (a sua volta subordinata a determinate condizioni). 
    E' riconosciuta, infatti, la possibilita' di  detrarre,  ai  fini
dell'imposta sul reddito, una somma pari al 26 per cento per  importi
compresi fra trenta e trentamila euro annui (art. 11, commi 1  e  2),
purche' l'elargizione sia effettuata  con  modalita'  di  versamento,
specificamente indicate (art. 11, comma 7), che  ne  garantiscano  la
tracciabilita'. 
    In  tale  contesto  trova  dunque  collocazione  la  disposizione
censurata, ossia il comma 4-bis dell'art. 11, aggiunto al d.l. n. 149
del 2013 dalla legge di conversione. 
    Nella sua  versione  iniziale,  il  comma  constava  di  un'unica
proposizione, a tenore della quale «[a] partire dall'anno di  imposta
2007 le erogazioni in denaro effettuate a favore di partiti politici,
esclusivamente tramite bonifico  bancario  o  postale  e  tracciabili
secondo  la  vigente  normativa  antiriciclaggio,   devono   comunque
considerarsi detraibili ai sensi dell'articolo 15, comma  1-bis,  del
testo unico di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22
dicembre 1986, n. 917». 
    Come si ricava da alcuni indici testuali  -  quali  la  scomparsa
dell'aggettivo «liberali» a qualificare le erogazioni  in  denaro  di
cui si tratta e l'impiego dell'avverbio «comunque» a  specificare  la
detraibilita'  di  esse   -   la   disposizione   intende   ammettere
all'agevolazione  fiscale  anche  le   erogazioni   in   denaro   non
caratterizzate dallo spirito di liberalita', da chiunque  effettuate,
purche' nei modi previsti  dalla  disposizione  del  TUIR  richiamata
(ossia tramite i sistemi tracciabili da essa contemplati). 
    Indizio rivelatore della suddetta intentio legis, del  resto,  e'
la dichiarata portata retroattiva (in tal senso, gia' l'ordinanza  di
questa Corte n.  182  del  2019)  dell'intervento  legislativo  («[a]
partire dall'anno di imposta  2007»),  il  quale  non  avrebbe  avuto
alcuna utilita' ove riferito  a  forme  di  contribuzione  -  appunto
quelle sostenute dallo  spirito  di  liberalita'  -  gia'  ammesse  a
detrazione sin dalla ricordata legge n. 2 del  1997,  con  previsione
"rinnovata", a partire dal 1° gennaio 2014, dal comma 1 del  medesimo
art. 11 del d.l. n. 149 del 2013, come convertito. 
    Tale interpretazione costituisce  il  presupposto  interpretativo
dal quale correttamente muove il giudice a quo ed e' confermata dalla
modifica operata dall'art. 1, comma 141, della legge n. 190 del 2014. 
    Quest'ultimo intervento legislativo  (la  cui  sopravvenienza  ha
indotto questa Corte a una pronuncia di  restituzione  degli  atti  a
fronte di una questione di legittimita' costituzionale simile, ma non
identica, a quella ora in esame: ordinanza n. 182 del 2019)  aggiunge
alla disposizione in esame un secondo  periodo,  a  norma  del  quale
«[l]e medesime erogazioni continuano  a  considerarsi  detraibili  ai
sensi del citato articolo  15,  comma  1-bis,  ovvero  ai  sensi  del
presente  articolo,  anche  quando   i   relativi   versamenti   sono
effettuati, anche in forma di donazione, dai candidati e dagli eletti
alle cariche pubbliche in conformita' a  previsioni  regolamentari  o
statutarie deliberate dai partiti o  movimenti  politici  beneficiari
delle erogazioni medesime». 
    L'oggetto della modifica e' costituito dalle erogazioni in denaro
- come detto, non  liberali  -  effettuate  a  partire  dall'anno  di
imposta 2007 («[l]e medesime erogazioni» di cui al primo periodo), ma
da parte di candidati ed eletti alle cariche pubbliche: questi ultimi
possono  detrarre  «anche»  i  versamenti  effettuati  «in  forma  di
donazione», purche'  in  conformita'  a  previsioni  regolamentari  o
statutarie del partito beneficiario. 
    In sostanza, la disposizione prende in considerazione elargizioni
in denaro che,  se  pure  effettuate  «in  forma  di  donazione»  dal
candidato o eletto, non corrispondono al  modello  legale  tipico  di
tale contratto, perche' carenti dello spirito di liberalita' che deve
caratterizzarlo.  L'obbiettivo  e'  quello  di   estendere   a   tali
erogazioni il beneficio della detraibilita', in quanto siano eseguite
in conformita' a previsioni regolamentari o  statutarie  del  partito
beneficiario. 
    Del resto, se si considera che, rispettivamente  per  il  periodo
dal 2007 al 2013 e per quello  successivo  al  1°  gennaio  2014,  le
donazioni da chiunque effettuate erano gia' ammesse a  detrazione  in
forza degli artt. 15, comma 1-bis, del TUIR e 11, commi 1  e  2,  del
d.l.  n.  149  del  2013,  come  convertito,  ne  risulta  confermata
l'interpretazione accolta dal  giudice  rimettente,  secondo  cui  la
disposizione  censurata  si  riferisce  a  versamenti  operati  senza
spirito di liberalita', anche se,  eventualmente,  in  esecuzione  di
negozi che della donazione presentano la sola forma esteriore. 
    In definitiva, il comma 4-bis dell'art. 11 del d.l.  n.  149  del
2013, come convertito, introduce una disciplina retroattiva, dal 2007
e fino al 2013, a beneficio di chiunque abbia  effettuato  versamenti
non liberali ai partiti e movimenti politici; al ricorrere di  alcune
condizioni la disciplina si estende,  sempre  retroattivamente,  alle
elargizioni operate da candidati o eletti, e continua a  valere,  per
questi ultimi, anche per il periodo successivo  (cioe'  dal  2014  in
poi); per chiunque, invece,  a  partire  dal  2014  la  detraibilita'
riguarda, nuovamente, le sole erogazioni (realmente) liberali. 
    3.- Cio'  posto,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  eccepisce
l'inammissibilita' della questione, poiche' l'intervento richiesto  a
questa Corte sarebbe inidoneo a raggiungere  il  risultato  auspicato
dal giudice rimettente. 
    Secondo l'interveniente, in particolare, le censure del giudice a
quo avrebbero ad oggetto  non  gia',  o  non  tanto,  il  trattamento
fiscale delle elargizioni  di  cui  si  discute,  bensi'  «la  stessa
prassi,  utilizzata  in  passato  da  alcuni  partiti  politici,   di
finanziarsi stipulando contratti (di "donazione")», analoghi a quello
oggetto del giudizio principale. 
    Sarebbe  questa  «prassi»  -  a  parere   dell'Avvocatura   -   a
determinare l'asserita tensione con la  garanzia  costituzionale  del
libero mandato parlamentare, per la  «"forzata  fedelta'"»  che  essa
potrebbe ingenerare tra il parlamentare e il partito politico. 
    La   disposizione   oggetto   del    dubbio    di    legittimita'
costituzionale,  invece,  si  limiterebbe  a  disciplinare  «solo  il
trattamento  fiscale»  del  negozio,   sicche',   quand'anche   fosse
eliminato il regime  di  detraibilita'  dei  versamenti  conseguenti,
nulla impedirebbe di continuare ad operare le elargizioni di  cui  si
tratta, reale causa della lesione dell'art. 67 Cost. prospettata  dal
rimettente. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Non e'  di  certo  la  detraibilita'  fiscale  del  versamento  a
orientare decisivamente  un  aspirante  membro  del  Parlamento  alla
stipula di un contratto con cui si obbliga a  effettuare  elargizioni
in favore del partito che  si  accinge  a  candidarlo  alle  elezioni
politiche, e il giudice rimettente si mostra ben consapevole di cio'.
Nondimeno, sottolinea non irragionevolmente come  il  regime  fiscale
agevolato delle elargizioni possa favorire la stipula del negozio  ad
effetti   obbligatori,   ponendosi,   quantomeno,   come   "concausa"
dell'asserito condizionamento lesivo dell'art. 67 Cost. 
    Non e', del resto, manifesta l'esistenza di altre disposizioni di
legge sulle quali avrebbero potuto indirizzarsi le specifiche censure
del  rimettente,  mentre  sicuramente  la  disposizione  oggetto  del
presente giudizio conduce ad emersione, nell'ordinamento, le "prassi"
cui allude l'Avvocatura generale. 
    Infine, risulta decisivo  il  carattere  non  implausibile  della
motivazione  offerta,  tanto  sulla  rilevanza,  quanto   sulla   non
manifesta infondatezza (con riferimento all'unico parametro  evocato,
l'art. 67 Cost.): tale motivazione supera il controllo  "esterno"  di
ammissibilita' demandato a questa Corte  (ex  plurimis,  sentenze  n.
183, n. 181, n. 59, n. 32, n. 22 e n. 15 del 2021). 
    4.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    4.1.- Come e' noto, l'art. 67 Cost. spiega i propri  effetti  non
solo sul rapporto fra elettori ed eletti, ma  anche  sulla  relazione
tra il singolo parlamentare e il partito e il gruppo parlamentare  di
appartenenza. 
    Come in tutti quelli di derivazione liberale,  anche  nel  nostro
ordinamento costituzionale - che pure, all'art. 49 Cost.,  sottolinea
il ruolo essenziale dei partiti per la determinazione della  politica
nazionale  -  la   garanzia   del   libero   mandato   non   consente
l'instaurazione, in capo ai singoli parlamentari,  di  vincoli  -  da
qualunque fonte derivino: legislativa, statutaria, negoziale - idonei
a incidere giuridicamente  sullo  status  del  parlamentare  e  sulle
modalita' di svolgimento del mandato elettivo. 
    Puo' certamente accadere (e di regola accade) che, in riferimento
all'esercizio  del  mandato,  vengano  di  fatto  stipulati  accordi,
impartite istruzioni o fatti valere vincoli di fedelta', generalmente
disciplinati  da  regole  di  matrice  privatistica,  attinenti  alla
normazione interna agli  stessi  partiti  o  gruppi  parlamentari  di
riferimento. 
    Tuttavia, proprio in forza di quanto disposto dall'art. 67 Cost.,
tali accordi, istruzioni e  vincoli  non  sono  assistiti  da  alcuna
garanzia giuridica,  poiche'  la  loro  osservanza  e'  rimessa  alla
coscienza del singolo parlamentare. 
    Con la sentenza n. 14 del 1964 questa Corte ha gia' affermato che
«[i]l divieto del mandato imperativo importa che il  parlamentare  e'
libero di votare secondo gli indirizzi del suo partito  ma  e'  anche
libero di sottrarsene; nessuna norma potrebbe legittimamente disporre
che derivino conseguenze a carico del parlamentare per il  fatto  che
egli abbia votato contro le direttive del partito». 
    Il significato della  disposizione  costituzionale  non  risiede,
percio', nel vietare,  o  nel  rendere  giuridicamente  sanzionabile,
l'adesione spontanea del parlamentare alle direttive del suo  partito
o del suo gruppo. La funzione  di  garanzia  dell'art.  67  Cost.  si
rivela, invece, nei casi  in  cui  gli  accordi  tra  parlamentare  e
partito pretendano di tradursi in vincoli con effetto  diretto  sullo
status del parlamentare o sulla liberta' di esercizio del mandato. 
    4.2.-  Non  ricorrono   simili   evenienze   nel   caso   portato
all'attenzione di questa Corte. 
    In disparte ogni valutazione - rimessa al  giudice  eventualmente
investito  dello  scrutinio  sulla  pretesa  creditoria  -  circa  la
validita' dei contratti in concreto conclusi tra candidati e  partiti
all'ombra della detraibilita' fiscale  delle  elargizioni  effettuate
dai primi ai secondi, il tenore dell'art. 11, comma 4-bis,  del  d.l.
n. 149 del 2013, come convertito, non  consente  di  evincere  alcuna
indebita  incidenza  sullo  status  del   parlamentare,   ne'   alcun
condizionamento sulle modalita' di esercizio del mandato, in  lesione
del parametro costituzionale invocato. 
    Del resto, stando almeno  alla  descrizione  che  l'ordinanza  di
rimessione opera del negozio stipulato,  l'obbligazione  assunta  dal
parlamentare eletto prescinde dal comportamento (fedele  o  infedele)
da questi tenuto rispetto alle istruzioni del partito di riferimento. 
    Frutto di una  (in  questa  sede  non  esplicitamente  censurata)
discrezionalita'  legislativa  in  materia  di  agevolazioni  fiscali
(sentenze n. 177 e n. 153 del 2017, n. 111 del 2016, n. 279 del  2014
e n. 275 del  2005;  con  particolare  riferimento  al  regime  della
deducibilita' o detraibilita' degli oneri, sentenze n. 285 del  2004,
n. 143 e n. 134 del 1982; ordinanze n. 370  del  1999  e  n.  52  del
1988), il contenuto direttamente  ascrivibile  alla  disposizione  in
esame consiste unicamente in una scelta  per  la  parificazione  alle
donazioni, ai fini della detraibilita', di erogazioni  effettuate  da
candidati e da eletti in favore  del  partito  di  riferimento,  allo
scopo  di  incentivare  le  forme  dirette  di  finanziamento   della
politica,  in  un  contesto  segnato  dalla  eliminazione   di   ogni
contribuzione pubblica ad essa. 
    A stare a  quanto  effettivamente  stabilito  nella  disposizione
censurata, non si determinano percio' effetti  di  sorta,  ne'  sullo
status  del  parlamentare,  ne'  sulle  modalita'  di  esercizio  del
mandato, che puo' e deve continuare ad essere svolto liberamente,  in
conformita'  o  meno  agli  indirizzi  del  partito   o   gruppo   di
riferimento. 
    In definitiva, non convince la conclusione del rimettente, per il
quale  a  violare  il  parametro  evocato   sarebbe   la   previsione
legislativa  della  detraibilita'  delle   elargizioni   operate   in
esecuzione del contratto. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 11, comma 4-bis, del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149
(Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni  per  la
trasparenza e  la  democraticita'  dei  partiti  e  disciplina  della
contribuzione volontaria e  della  contribuzione  indiretta  in  loro
favore), convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2014, n.
13, e successivamente modificato dall'art. 1, comma 141, della  legge
23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2015)», sollevata, in riferimento  all'art.  67  della  Costituzione,
dalla  Commissione  tributaria  di  primo  grado   di   Trento,   con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 29 ottobre 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA