N. 210 SENTENZA 23 settembre - 5 novembre 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Edilizia residenziale pubblica  -  Edilizia  convenzionata  -  Regime
  della rimozione del vincolo del prezzo massimo  di  cessione  degli
  immobili - Modifica retroattiva, introdotta in sede di  conversione
  di  decreto-legge  -  Denunciata   violazione   dei   principi   di
  uguaglianza  e  di  ragionevolezza,  della  tutela  del   legittimo
  affidamento e  della  certezza  delle  situazioni  giuridiche,  del
  diritto di difesa, delle prerogative del  potere  giudiziario,  del
  diritto  di  proprieta'  e  della  funzione  sociale  dell'edilizia
  residenziale pubblica - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto-legge  23   ottobre   2018,   n.   119,   convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge  17  dicembre  2018,  n.   136,   art.
  25-undecies; legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, commi 49-bis,
  49-ter e 49-quater. 
- Costituzione, artt. 3, 24,  42,  47,  secondo  comma,  77,  secondo
  comma, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma;  Convenzione  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  art. 6; Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia
  dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 1. 
(GU n.45 del 10-11-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 25-undecies
del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119  (Disposizioni  urgenti  in
materia fiscale e finanziaria),  convertito,  con  modificazioni,  in
legge 17 dicembre 2018, n. 136, e dell'art. 31, commi 49-bis,  49-ter
e 49-quater, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di  finanza
pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), come  modificato  dal
citato  art.  25-undecies  del  d.l.  n.  119  del   2018,   promosso
dall'Arbitro unico di Roma nel procedimento vertente tra A. L.  e  C.
V., con ordinanza dell'11 settembre 2020,  iscritta  al  n.  196  del
registro ordinanze del 2020 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione di A. L., di C.  V.,  nonche'  gli
atti di intervento del Comitato "Venditori 18135"  e  del  Presidente
del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  22  settembre  2021  il  Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio; 
    uditi gli avvocati Romano Vaccarella per il  Comitato  "Venditori
18135", Antonio Corvasce per A.  L.,  Marco  Casciana  per  C.  V.  e
l'avvocato dello Stato  Francesco  Sclafani  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 settembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 settembre 2020, iscritta al n. 196  del
registro ordinanze del 2020, l'Arbitro  unico  di  Roma  -  adito  in
virtu' di convenzione di arbitrato rituale - ha  sollevato  questioni
di   legittimita'   costituzionale    dell'art.    25-undecies    del
decreto-legge 23  ottobre  2018,  n.  119  (Disposizioni  urgenti  in
materia fiscale e finanziaria),  convertito,  con  modificazioni,  in
legge 17 dicembre 2018, n. 136, e dell'art. 31, commi 49-bis,  49-ter
e 49-quater, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di  finanza
pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), come  modificato  dal
citato art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018, in riferimento agli
artt. 3, 24, 42, 47, secondo comma, 77, secondo comma, 101, 102, 104,
111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione
all'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, nonche' all'art. 1  del  Protocollo  addizionale  alla  CEDU,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952. 
    1.1.- L'arbitro rimettente premette  di  essere  stato  investito
della decisione sulle domande, proposte da A. L. nei confronti di  C.
V.,  di  accertamento  della  nullita'  parziale  del  contratto   di
compravendita stipulato il 5 luglio 2013, con il quale  il  convenuto
ha trasferito all'attore la proprieta' superficiaria di  un  alloggio
di edilizia convenzionata, e  di  condanna  dell'alienante  -  previa
sostituzione automatica del  prezzo  pattuito  con  il  corrispettivo
massimo di cessione determinato ai sensi dell'art. 35 della legge  22
ottobre  1971,  n.  865  (Programmi  e  coordinamento   dell'edilizia
residenziale  pubblica;  norme  sulla  espropriazione  per   pubblica
utilita'; modifiche ed integrazioni alle leggi  17  agosto  1942,  n.
1150; 18  aprile  1962,  n.  167;  29  settembre  1964,  n.  847;  ed
autorizzazione di  spesa  per  interventi  straordinari  nel  settore
dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata),  e  dell'art.
14 della convenzione attuativa del piano di  zona  formato  ai  sensi
della legge  18  aprile  1962,  n.  167  (Disposizioni  per  favorire
l'acquisizione  di  aree  fabbricabili  per  l'edilizia  economica  e
popolare)  -  alla  restituzione  del  corrispettivo   percepito   in
eccedenza. 
    Il rimettente riferisce che, a sostegno di tali domande, l'attore
ha dedotto  che  l'immobile  in  questione  e'  alloggio  sociale  di
edilizia residenziale agevolata convenzionata, in quanto parte di  un
complesso edificato in regime di edilizia  residenziale  pubblica  su
area espropriata e concessa dal Comune di  Roma  all'Apriliana  Domus
societa'  cooperativa  edilizia  in   diritto   di   superficie   per
novantanove anni, in virtu' di convenzione urbanistica stipulata  per
atto pubblico del 21 gennaio 2004; che,  pur  avendone  il  venditore
garantito la liberta' da vincoli al  libero  trasferimento,  il  bene
risulta gravato dal prezzo massimo di cessione ai sensi del combinato
disposto dell'art. 35 della legge n. 865  del  1971  e  dell'art.  14
della convenzione urbanistica; che,  quindi,  come  confermato  dalla
sentenza  della  Corte  di  cassazione,  Sezioni  unite  civili,   16
settembre 2015, n. 18135, il contratto di compravendita inter partes,
in quanto concluso a prezzo libero, e' affetto da  nullita'  parziale
per la parte eccedente il corrispettivo vincolato. 
    A fronte delle pretese dell'attore  -  soggiunge  l'ordinanza  di
rimessione   -   il   convenuto    ha    eccepito,    tra    l'altro,
l'improcedibilita' delle domande,  avendo  in  data  30  giugno  2020
presentato presso il Comune di Roma istanza di rimozione del  vincolo
del prezzo massimo di cessione ai sensi dell'art. 31,  commi  49-bis,
49-ter e 49-quater, della legge  n.  448  del  1998,  come  novellati
dall'art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018, come convertito. Cio'
in quanto le disposizioni richiamate, che  si  applicano  anche  agli
immobili oggetto di contratti stipulati anteriormente all'entrata  in
vigore della legge n. 136  del  2018,  consentono  di  instaurare  la
procedura di affrancazione a chiunque vi abbia interesse e  prevedono
che, in pendenza di tale procedimento, il  contratto  e'  colpito  da
inefficacia parziale, con riferimento alla differenza tra  il  prezzo
di mercato e il prezzo imposto, e che, in seguito alla rimozione  del
vincolo, il giudizio  avente  ad  oggetto  il  rimborso  delle  somme
versate in eccedenza si estingue. 
    2.- In punto di rilevanza, il rimettente assume l'idoneita' delle
disposizioni censurate a incidere sull'esito del giudizio principale,
evidenziando  che,   alla   stregua   della   disciplina   ridefinita
retroattivamente dalla novella  del  2018,  l'avvenuto  deposito,  da
parte  del  venditore,  dell'istanza  di   rimozione   del   vincolo,
costituisce un ostacolo alla decisione della controversia nel merito,
tanto che la parte convenuta, in linea con l'interpretazione  accolta
dal Tribunale  di  Roma,  ha  chiesto  dichiararsi  «improcedibile  o
improseguibile [...] o, comunque, inammissibile» la  domanda  attorea
di ripetizione dell'indebito. 
    2.1.- In linea con le sollecitazioni dell'attore, l'Arbitro unico
di Roma prospetta, quindi, la violazione dell'art. 77, secondo comma,
Cost., sul rilievo che l'art. 25-undecies, aggiunto al testo del d.l.
n. 119 del 2018  in  sede  di  conversione,  riguardando  la  materia
edilizia, sarebbe privo di connessione rispetto al contenuto  e  alle
finalita' del ridetto  decreto-legge  recante,  invece,  disposizioni
urgenti in materia fiscale e finanziaria. 
    2.2.- Le disposizioni censurate sarebbero poi  costituzionalmente
illegittime   per   contrasto   con   il   principio   della   tutela
dell'affidamento e della certezza dei rapporti giuridici, in  quanto,
influendo sul consistente contenzioso sorto a seguito della  indicata
pronuncia  della  Corte  di  cassazione,  n.  18135  del   2015,   si
tradurrebbero in un'indebita ingerenza del legislatore nell'esercizio
della funzione giurisdizionale e  in  una  violazione  del  principio
della "parita' delle armi", stabilito dall'art. 6  CEDU.  La  portata
retroattiva  della  novella  in  scrutinio  non   sarebbe,   infatti,
giustificata  da  ragioni  imperative  di  interesse   generale,   ma
perseguirebbe  il  solo   fine   di   contrastare   l'interpretazione
giurisprudenziale consolidata per agevolare una delle parti in causa,
cosi' interferendo sull'esito dei giudizi in corso. 
    2.3.- L'Arbitro unico di Roma denuncia, altresi',  la  violazione
del principio di uguaglianza. 
    L'art.  31,  comma  49-quater,  della  legge  n.  448  del  1998,
stabilendo che, in pendenza della rimozione dei vincoli, il contratto
produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto
e  il  prezzo  vincolato  e  che  la  pretesa  di  rimborso  azionata
dall'acquirente dell'alloggio di edilizia convenzionata a  prezzo  di
mercato si estingue con l'eliminazione del  vincolo,  impedirebbe  al
solvens  di  agire  per  la  restituzione  della  differenza,   cosi'
derogando   irragionevolmente    a    un    principio    fondamentale
dell'ordinamento, quale e' quello della ripetizione dell'indebito,  e
ingenerando una disparita' di trattamento tra gli acquirenti  di  cui
si tratta  e  tutti  gli  altri  soggetti,  legittimati  ad  invocare
l'applicazione dell'art. 2033 del codice civile. 
    2.4.- Ancora, secondo l'ordinanza  di  rimessione,  l'ampliamento
della     legittimazione     all'affrancazione     si     tradurrebbe
nell'attribuzione del potere di modificare unilateralmente il  regime
giuridico di un bene immobile anche a chi non e' piu' titolare di  un
diritto  reale  sullo  stesso,  paralizzando  l'azione   restitutoria
dell'acquirente, in contrasto con il diritto di proprieta', garantito
dall'art. 42 Cost. e dall'art. 1, primo  comma,  primo  Prot.  addiz.
CEDU. 
    2.5.- Le disposizioni censurate, inoltre, contrasterebbero con il
favor  costituzionale,  espresso   dall'art.   47   Cost.,   per   la
destinazione degli immobili di edilizia convenzionata  alle  esigenze
abitative delle  categorie  sociali  meno  abbienti,  e  recherebbero
ancora vulnus al principio di uguaglianza. Il comma 49-bis  dell'art.
31 della legge n. 448 del 1998 non consentirebbe a tutti i  cittadini
aventi diritto  di  accedere  alla  proprieta'  dell'abitazione  alle
condizioni agevolate previste nelle convenzioni di  cui  all'art.  35
della legge n. 865 del 1971. 
    A giudizio del rimettente, inoltre,  la  mancanza  o  la  perdita
dell'abitazione renderebbe impossibile la pari dignita'  sociale  dei
cittadini davanti alla legge ed integrerebbe un  ostacolo  di  ordine
economico e sociale alla liberta', al pieno  sviluppo  della  persona
umana  e  all'effettiva  partecipazione   di   tutti   i   lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. 
    2.6.- Ancora, la novella legislativa osterebbe alla compensazione
del sacrificio derivante dall'esproprio  delle  aree  destinate  alla
realizzazione degli edifici di edilizia economica e popolare  con  il
soddisfacimento  del  bisogno  di  abitare  e  tale  vulnus   sarebbe
aggravato   dall'attitudine   dell'affrancazione,   intervenuta   per
iniziativa  del   terzo   alienante,   a   paralizzare   la   pretesa
dell'acquirente di recuperare le somme indebitamente corrisposte. 
    2.7.- A giudizio dell'arbitro rimettente, sarebbe violato  l'art.
42 Cost. anche sotto un ulteriore profilo, in  quanto  il  meccanismo
introdotto  dalla  novella  in  scrutinio,   attribuendo   al   primo
assegnatario dell'alloggio di edilizia  convenzionata  una  sorta  di
«patente  speculativa»,  vanificherebbe  la  funzione  sociale  della
proprieta'. 
    2.8.- Infine, le  disposizioni  in  scrutinio  si  porrebbero  in
contrasto con la normativa comunitaria  di  divieto  degli  aiuti  di
Stato e, in particolare, con le disposizioni in materia di Servizi di
interesse economico generale, come  reso  evidente  dal  decreto  del
Ministro delle infrastrutture e trasporti  22  aprile  2008,  recante
disposizioni in materia di «Definizione di alloggio sociale  ai  fini
dell'esenzione dall'obbligo di notifica  degli  aiuti  di  Stato,  ai
sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della  Comunita'
europea», e dalla decisione n. 2012/21/UE della  Commissione  europea
in materia di aiuti di Stato. 
    3.- Si e' costituito nel giudizio di legittimita'  costituzionale
A.  L.,  parte  attrice  nel  giudizio  a  quo,  concludendo  per  la
dichiarazione di fondatezza delle questioni sollevate. 
    In punto di rilevanza, la parte deduce che, avendo la controparte
presentato istanza di affrancazione  ai  sensi  dell'art.  31,  commi
49-bis, 49-ter e  49-quater,  della  legge  n.  448  del  1998,  come
modificati e integrati dalla legge n.  136  del  2018,  alla  stregua
della  nuova  normativa,  le  proprie  domande  di  nullita'   e   di
ripetizione di indebito sarebbero  destinate  a  una  statuizione  di
improseguibilita' o, comunque, di inammissibilita'. 
    Riguardo  alla  non  manifesta   infondatezza   delle   questioni
sollevate, A. L. ripropone argomentazioni analoghe a quelle spese nel
procedimento a quo, soffermandosi, in merito al prospettato contrasto
dell'art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018, come convertito,  con
l'art. 77, secondo comma,  Cost.,  sulle  indicazioni  interpretative
rese da questa Corte nella sentenza n. 247 del 2019  e  ribadendo,  a
sostegno della denunciata violazione dell'art. 42 Cost., che le norme
in scrutinio permetterebbero la soppressione del vincolo  del  prezzo
massimo di cessione e di locazione dopo soli cinque anni  dalla  data
di prima assegnazione dell'alloggio sociale e  per  un  corrispettivo
che, per la sua esiguita', non varrebbe a compensare le  agevolazioni
concesse dallo Stato, ne' includerebbe un ristoro per  i  proprietari
dei suoli espropriati per la realizzazione dei programmi di  edilizia
economica e popolare. 
    Ancora, l'attore nel procedimento a quo opina che le disposizioni
indubbiate  comporterebbero  una   discriminazione   tra   il   primo
assegnatario, che abbia acquistato l'alloggio a prezzo calmierato,  e
il successivo acquirente che, invece, per il medesimo immobile  abbia
versato il corrispettivo di mercato, e confliggerebbero anche con  la
normativa comunitaria che vieta gli aiuti di Stato. 
    La parte privata ripercorre, quindi, le ragioni  del  prospettato
contrasto tra l'art. 31, commi 49-bis e 49-quater, della legge n. 448
del 1998 e gli artt. 3, primo e secondo comma, 24, 101, 102, 104, 111
e 117, primo comma, Cost., oltre che con l'art. 6 CEDU e con il primo
Prot. addiz. CEDU, ricordando, altresi', come la novella  legislativa
in esame introduca un  meccanismo  di  sospensione  automatica  degli
effetti  della  clausola  contrattuale  del  prezzo  (condicio  iuris
sospensiva)  capace  di  paralizzare  il  diritto  alla   ripetizione
dell'indebito, essendo previsto che tale ultima pretesa  si  estingua
in conseguenza della rimozione dei  vincoli  unilateralmente  operata
dal venditore. 
    Infine, in merito alla dedotta violazione degli  artt.  42  e  47
Cost. e dell'art. 1 del primo Prot. addiz.  CEDU,  la  parte  lamenta
che, in forza  delle  norme  censurate,  e'  costretta  a  subire  la
rimozione del vincolo convenzionale del prezzo  massimo  di  cessione
gravante sul proprio  immobile,  con  conseguente  lesione  dei  suoi
diritti di difesa e di proprieta', oltre che del  diritto  di  godere
dei benefici pubblici di un alloggio sociale. 
    4.- Nel giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituito anche C.
V.,  parte  convenuta  nel  giudizio  a  quo,  svolgendo   analitiche
controdeduzioni alle argomentazioni spese dal rimettente  a  sostegno
delle censure di illegittimita' costituzionale. 
    La parte esclude un vulnus agli artt. 3,  24,  primo  comma,  42,
102, 104, 107,  111  e  117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 6 CEDU ed all'art. 1 del primo Prot. addiz.  CEDU,
sul rilievo che l'intervento del legislatore sarebbe,  nella  specie,
giustificato dall'esigenza di comporre il conflitto sociale  generato
dall'interpretazione nomofilattica della normativa in scrutinio e  di
scongiurare il rischio che gli  acquirenti  di  alloggi  di  edilizia
convenzionata  a  prezzi   di   mercato   speculino   sul   carattere
retrospettivo della pronuncia  della  Corte  di  cassazione,  Sezioni
unite  civili,  n.  18135  del  2015  e  sull'irretroattivita'  della
disciplina recata dalla legge n. 448 del 1998,  nel  testo  anteriore
alla riforma in esame. 
    Rileva, ancora, C. V. che le disposizioni censurate non  incidono
su una specifica  controversia,  essendo,  al  contrario,  dirette  a
dirimere un ampio contenzioso,  conseguito  alla  piu'  volte  citata
pronuncia delle  Sezioni  unite,  attraverso  un  contemperamento  di
interessi in forza del quale i venditori possono  presentare  istanza
di  affrancazione,   sostenendone   i   costi   e   controbilanciando
l'arricchimento conseguito con l'alienazione a prezzo di  mercato,  e
gli acquirenti, che abbiano cosi' ottenuto la liberazione  dall'onere
reale a spese della controparte, possono rivendere i  beni  a  prezzo
libero. 
    5.- Con atto pervenuto il  5  febbraio  2021  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le  questioni  di
legittimita' costituzionale siano dichiarate non fondate. 
    In merito  alla  prospettata  violazione  dell'art.  77,  secondo
comma, Cost., l'interveniente ritiene che l'art. 25-undecies, benche'
aggiunto in sede di conversione, non  sia  eterogeneo  rispetto  alla
materia finanziaria regolata dal d.l. n. 119 del 2018, in quanto, nel
ridelineare la disciplina sulla  rimozione  del  vincolo  del  prezzo
massimo di cessione, detta anche disposizioni  sul  corrispettivo  di
affrancazione, il cui versamento produce effetti benefici sui bilanci
degli enti territoriali. 
    La disposizione indubbiata riguarderebbe,  percio',  una  materia
coerente  con  quella  oggetto  del  decreto-legge   da   convertire,
considerato  che,  secondo  la  giurisprudenza   costituzionale,   la
violazione del parametro  evocato  si  configura  solo  nel  caso  di
inserimento  di  disposizioni  totalmente  estranee   o   addirittura
"intruse", tali, cioe', da  interrompere  ogni  correlazione  tra  il
decreto-legge e la legge di conversione. 
    Neppure le argomentazioni spese dal rimettente per configurare un
vulnus al principio di uguaglianza sarebbero, a parere  della  difesa
statale, meritevoli di condivisione, in quanto la novella  censurata,
nella parte in cui estende la legittimazione a presentare la  domanda
di affrancazione a coloro che non sono piu' titolari  di  un  diritto
reale sul bene - e, quindi, a chi  ha  gia'  alienato  l'immobile  -,
introdurrebbe  una  fattispecie  di  sanatoria  della   clausola   di
determinazione del prezzo, la quale, alla  stregua  della  disciplina
vigente  al  momento  della  conclusione  del  contratto  traslativo,
sarebbe stata  colpita  da  nullita'  per  contrasto  con  una  norma
imperativa. 
    In merito al prospettato vulnus al principio di  irretroattivita'
espresso  dall'art.  11  delle  disposizioni  preliminari  al  codice
civile, l'Avvocatura generale assume che,  nel  caso  di  specie,  il
legislatore si sarebbe attenuto ai limiti  all'efficacia  retroattiva
delle norme, identificati dalla giurisprudenza costituzionale e della
Corte  EDU  nella  ricorrenza  di  motivi  imperativi  di   interesse
generale, nel rispetto del principio di ragionevolezza e  di  parita'
di  trattamento,  nell'affidamento,   nella   coerenza   e   certezza
dell'ordinamento giuridico, nel rispetto delle funzioni riservate  al
potere  giudiziario.  L'intervento  legislativo   in   scrutinio   si
collocherebbe,  infatti,  in   un   contesto   interpretativo   della
disciplina previgente connotato da incertezza e chiarito soltanto nel
2015, attraverso la citata pronuncia nomofilattica, la quale, optando
per la soluzione dell'opponibilita' erga  omnes  della  nullita'  del
prezzo superiore a quello legale, avrebbe reso  necessario  un  nuovo
intervento del legislatore. 
    La  difesa  statale  reputa  l'estensione  della   legittimazione
all'affrancazione coerente con la ratio dell'istituto, la  quale,  in
entrambe le ipotesi di rimozione del vincolo - anteriore o successiva
alla cessione del bene - sarebbe da  identificarsi  nell'eliminazione
di un limite all'autonomia  negoziale  dietro  il  versamento  di  un
contributo all'ente concedente, diretto  a  compensare  il  vantaggio
derivante dalla vendita a prezzo di mercato di un immobile acquistato
ad un prezzo agevolato. 
    In merito alla sospettata violazione del  legittimo  affidamento,
l'interveniente ricorda che la tutela di tale valore non esclude  che
il legislatore possa adottare disposizioni che modifichino, in  senso
sfavorevole agli interessati, la disciplina  di  rapporti  giuridici,
purche' non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con
riguardo  a  situazioni  sostanziali  fondate  su  leggi  precedenti,
l'affidamento nella sicurezza giuridica. 
    Quanto al  denunciato  vulnus  all'art.  47  Cost.,  l'Avvocatura
generale  osserva  che  gli  acquirenti,  ai   quali,   per   effetto
dell'estensione della  facolta'  di  affrancazione  introdotta  dalla
novella  in  esame,  viene  preclusa  l'azione  di  nullita'   e   di
ripetizione, non rientrano tra i soggetti in possesso  dei  requisiti
per l'assegnazione di alloggi popolari. Di conseguenza, ove al  dante
causa non fosse concessa la possibilita' di rimuovere il vincolo  del
prezzo,  la  richiesta  restitutoria   dell'acquirente,   che   abbia
liberamente accettato di  pagare  il  corrispettivo  di  mercato,  si
tradurrebbe in un abuso del diritto. 
    6.- Con atto pervenuto a mezzo di posta  elettronica  certificata
(PEC) il 9 febbraio 2021, e' intervenuto ad  opponendum  il  Comitato
"Venditori  18135",  chiedendo  dichiararsi  ammissibile  il  proprio
intervento e non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
sollevate dal rimettente. 
    A  sostegno  dell'ammissibilita'  della  sua  partecipazione   al
giudizio di legittimita' costituzionale, l'interveniente  ha  dedotto
di essersi costituito a seguito della sentenza delle Sezioni unite n.
18135 del 2015, allo scopo, enunciato nell'art. 2  del  proprio  atto
costitutivo, di «tutelare i diritti dei venditori  ubicati  nei  c.d.
piani di zona i quali,  negli  anni,  con  totale  buona  fede  hanno
venduto a prezzi di mercato i loro immobili  giuste  indicazioni  dei
Notai, Banche, intermediari, Enti pubblici e  Giurisprudenza»,  e  di
promuovere «la difesa dei diritti e lo sviluppo giuridico e culturale
dei  suoi  membri  attraverso  iniziative  di  carattere   giuridico,
mediatico e politico». 
    Ad avviso dell'interveniente, le disposizioni censurate, alla cui
introduzione  avrebbe  contribuito  con   iniziative   mediatiche   e
sollecitazioni, rappresenterebbero la ragione  stessa  della  propria
esistenza e tanto varrebbe  a  fondare  un  interesse  qualificato  e
diretto all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale. 
    Nel merito, il predetto Comitato ha svolto, anche  attraverso  la
memoria illustrativa depositata  in  vista  dell'udienza,  analitiche
obiezioni   alle   argomentazioni   articolate   nell'ordinanza    di
rimessione. 
    7.- Il 5 febbraio 2021 l'Associazione "Comitato Acquirenti  Piani
di Zona" ha depositato un'opinione scritta,  in  qualita'  di  amicus
curiae. 
    Nel sollecitare l'accoglimento delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate dal rimettente, l'associazione  osserva  che
la novella legislativa in scrutinio esibirebbe  numerosi  profili  di
irrazionalita'  e  irragionevolezza,  in  quanto,  precludendo   agli
acquirenti di conseguire alloggi di edilizia convenzionata al  prezzo
imposto  da   norme   imperative,   introdurrebbe   un'ingiustificata
discriminazione    nell'esercizio    dell'azione    di    ripetizione
dell'indebito tra persone fisiche e giuridiche. 
    Ancora, la novella legislativa, inserendo ex  post  una  condicio
iuris nei  contratti  di  compravendita  degli  alloggi  di  edilizia
convenzionata, impedirebbe agli acquirenti  l'esercizio  del  diritto
alla tutela giurisdizionale e "occulterebbe" la  responsabilita'  dei
Comuni per mancata vigilanza sul rispetto delle convenzioni. 
    Infine, ad avviso dell'amicus curiae, le disposizioni indubbiate,
per  un  verso,  sottrarrebbero  alla  finalita'   sociale   immobili
realizzati  con  contributi  pubblici,   immettendoli   nel   mercato
speculativo e privando i  subacquirenti  dei  benefici  convenzionali
riconosciuti ai primi assegnatari; per altro verso,  paralizzerebbero
la ripetizione dell'indebito esperita dall'acquirente, ma non  quella
del locatario, con la conseguenza che il primo non potrebbe agire nei
confronti del suo  dante  causa,  ma  dovrebbe  subire  l'azione  del
conduttore se ha locato l'alloggio per un canone superiore  a  quello
imposto. 
    7.1.- Con atto depositato il 9 febbraio 2021 l'Associazione "Area
167" ha presentato  un'opinione  scritta  di  analogo  tenore,  nella
quale, sulla scorta  di  argomenti  sostanzialmente  coincidenti  con
quelli svolti dall'arbitro rimettente, da A. L.  e  dall'Associazione
"Comitato Acquirenti Piani di Zona",  ha  sollecitato  l'accoglimento
delle sollevate questioni di legittimita' costituzionale. 
    L'amicus curiae contesta, anzitutto, l'assunto dei fautori  della
novella legislativa del 2018, secondo il quale, prima della  sentenza
delle Corte di cassazione, Sezioni unite civili, n. 18135  del  2015,
un quadro normativo incerto aveva indotto in errore sia  i  venditori
che gli acquirenti in merito all'alienabilita' degli alloggi  secondo
le  regole  di  mercato,  evidenziando  come,  al   contrario,   gia'
anteriormente a quella sentenza fosse possibile cogliere  in  diverse
pronunce di legittimita' i prodromi dell'orientamento recepito  dalle
Sezioni unite. 
    Ancora, l'Associazione  "Area  167"  avversa  l'affermazione  dei
venditori secondo la quale la novella in scrutinio si  sarebbe  fatta
carico di risolvere la drammatica situazione  dei  venditori  esposti
alle domande di ripetizione dell'eccedenza di prezzo  avanzate  dagli
acquirenti, evidenziando che, come confermato dalla giurisprudenza di
legittimita', non sarebbe ravvisabile «alcun abuso  del  diritto  nel
fatto che gli acquirenti abbiano agito nei  confronti  dei  venditori
per ripetere l'eccedenza di prezzo e [...]  separatamente  pagato  il
corrispettivo per rimuovere  il  vincolo  e  rivendere  l'immobile  a
prezzo di mercato». 
    Infine, rammentata  la  destinazione  dell'edilizia  residenziale
pubblica al soddisfacimento dell'esigenza abitativa di  soggetti  con
limitate capacita' economiche o ritenuti per altre ragioni meritevoli
di tutela, l'amicus curiae opina che, al fine di risolvere l'anomalia
denunciata dai venditori, sarebbe stato  preferibile,  nell'interesse
pubblico, eliminare del tutto la rimozione  del  vincolo  ovvero,  in
alternativa, prevedere un aumento significativo del corrispettivo  di
affrancazione che attualmente e' fissato in misura irrisoria. 
    8.- Nell'imminenza della udienza, A.  L.  ha  depositato  memoria
illustrativa replicando alle difese svolte da C. V. e dall'Avvocatura
generale    dello    Stato.    Ha    formulato    rilievi     critici
sull'ammissibilita' dell'intervento del Comitato "Venditori 18135"  e
ha  insistito  per  l'accoglimento   delle   conclusioni   rassegnate
nell'atto di costituzione. 
    La parte privata ha  anche  segnalato  la  sopravvenuta  modifica
dell'art. 31, comma 49-bis della legge  n.  448  del  1998  ad  opera
dell'art. 22-bis del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77  (Governance
del Piano nazionale  di  ripresa  e  resilienza  e  prime  misure  di
rafforzamento delle strutture amministrative  e  di  accelerazione  e
snellimento delle procedure), convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 29 luglio 2021, n. 108, evidenziando che, poiche' le  modifiche
apportate dalla novella  alla  normativa  previgente  sarebbero  "non
satisfattive", la  Corte  potrebbe  valutare  la  praticabilita'  del
trasferimento  o  dell'estensione  dello  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale alle  nuove  disposizioni,  ovvero  del  ricorso  alla
declaratoria di illegittimita' conseguenziale ai sensi  dell'art.  27
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento della Corte costituzionale).  In  via  subordinata,  ha
prospettato l'illegittimita' costituzionale  dello  ius  superveniens
per contrasto con gli artt. 11, 77, 81 e 117 Cost. 
    8.1.-  Anche  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   ha
depositato una memoria illustrativa per ribadire le conclusioni  gia'
rassegnate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- L'Arbitro unico di Roma - adito in virtu' di  convenzione  di
arbitrato  rituale  -  dubita   della   legittimita'   costituzionale
dell'art. 25-undecies del  decreto-legge  23  ottobre  2018,  n.  119
(Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria),  convertito,
con modificazioni, in legge 17 dicembre 2018, n. 136, e dell'art. 31,
commi 49-bis, 49-ter e 49-quater, della legge 23  dicembre  1998,  n.
448  (Misure  di  finanza  pubblica  per  la  stabilizzazione  e   lo
sviluppo), come modificato dal citato art. 25-undecies  del  d.l.  n.
119 del 2018, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 47, secondo comma,
77, secondo comma, 101, 102, 104,  111  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848,  nonche'  all'art.  1
del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi  il  20  marzo
1952. 
    1.1.- Ad avviso  del  rimettente,  la  prima  delle  disposizioni
censurate contrasterebbe con l'art. 77, secondo comma, Cost., a causa
della sua estraneita' rispetto alla  materia  fiscale  e  finanziaria
disciplinata dalle altre disposizioni del decreto-legge in  cui  essa
e' stata inserita in sede di conversione. 
    1.2.-  Inoltre,  tutte  le  norme   in   scrutinio,   modificando
retroattivamente il regime della rimozione  del  vincolo  del  prezzo
massimo di cessione degli  immobili  di  edilizia  convenzionata,  in
contrasto con i principi di tutela dell'affidamento e di certezza dei
rapporti giuridici, regolerebbero diritti sorti da contratti soggetti
alla normativa previgente e interferirebbero su «singole cause  o  su
determinate tipologie di controversie gia' pendenti» a  vantaggio  di
una delle parti del giudizio e in assenza  di  motivi  imperativi  di
interesse  generale,  traducendosi  in  un'indebita   ingerenza   del
legislatore nell'esercizio della funzione giurisdizionale. 
    1.3.-  La  novella   frustrerebbe,   altresi',   la   consolidata
aspettativa degli acquirenti degli alloggi di edilizia  convenzionata
di conseguire la restituzione della differenza tra  il  corrispettivo
versato e il prezzo  vincolato  e  comporterebbe  una  disparita'  di
trattamento tra costoro e tutti gli altri  soggetti,  legittimati  ad
invocare l'applicazione dell'art. 2033 del codice civile. 
    1.4.-  Il  rimettente  ravvisa  anche  un  vulnus  ai  canoni  di
ragionevolezza e di «stabilita' e coerenza» della disciplina generale
del  contratto,  sul  rilievo  che  l'estensione  della  facolta'  di
affrancazione a tutte le persone fisiche che  vi  abbiano  interesse,
anche se non piu'  titolari  di  diritti  reali  sul  bene  immobile,
consentirebbe alla parte alienante di modificare  unilateralmente  il
regime giuridico di un bene in proprieta' altrui. 
    1.5.- Viene poi prospettata ancora la violazione del  diritto  di
proprieta', sul presupposto che la normativa  in  esame  concederebbe
all'assegnatario che abbia venduto l'alloggio a prezzo di mercato  la
possibilita' di paralizzare l'azione restitutoria  dell'acquirente  e
di trattenere le somme da quest'ultimo versate in eccedenza. 
    1.6.- Sarebbero, altresi', vulnerati gli  artt.  3  e  47  Cost.,
poiche' le disposizioni in scrutinio consentirebbero  di  distogliere
dalla destinazione  pubblicistica  al  soddisfacimento  dell'esigenza
abitativa immobili costruiti su aree espropriate e inserite nei piani
per l'edilizia economica e popolare,  decorsi  soltanto  cinque  anni
dalla prima assegnazione. In tal modo non sarebbe consentito a  tutti
i   cittadini   aventi   diritto   di   accedere   alla    proprieta'
dell'abitazione alle condizioni agevolate previste nelle  convenzioni
ai sensi dell'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865  (Programmi
e coordinamento  dell'edilizia  residenziale  pubblica;  norme  sulla
espropriazione per pubblica utilita'; modifiche ed integrazioni  alle
leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167;  29  settembre
1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi  straordinari
nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata  e  convenzionata),
in contrasto, altresi', con la funzione sociale della proprieta'. 
    1.7.- E', infine, denunciata la violazione del divieto  di  aiuti
di Stato. 
    2.- Quanto ai  profili  pregiudiziali,  deve  essere,  anzitutto,
confermata  la  dichiarazione  di  inammissibilita'   dell'intervento
spiegato dal Comitato  "Venditori  18135",  per  le  ragioni  esposte
nell'ordinanza letta nel corso dell'udienza pubblica e allegata  alla
presente sentenza. 
    3.- In via  ancora  preliminare,  non  possono  essere  presi  in
considerazione  i  nuovi  profili  di  illegittimita'  costituzionale
prospettati dalla parte attrice nel procedimento a quo con la memoria
illustrativa depositata nell'imminenza dell'udienza. 
    Essi investono l'art. 22-bis del decreto-legge 31 maggio 2021, n.
77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e  resilienza  e  prime
misure  di  rafforzamento  delle  strutture   amministrative   e   di
accelerazione  e  snellimento  delle  procedure),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 29 luglio 2021, n.  108,  il  quale,  allo
scopo, espressamente  enunciato  nella  rubrica,  di  «accelerare  le
procedure amministrative per la cessione di  aree  nelle  quali  sono
stati  edificati  alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica»,  ha
nuovamente modificato l'art. 31, comma 49-bis, della legge n. 448 del
1998,  introducendo,  tra  l'altro,  misure  di  semplificazione  del
procedimento di rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione,
come la fissazione di un  limite  massimo  nella  determinazione  del
corrispettivo di affrancazione e di  un  termine  di  novanta  giorni
entro il quale  l'amministrazione  deve  rispondere  all'istanza  del
richiedente. 
    Le  predette  censure,  comportando  un  ampliamento  del   thema
decidendum definito dall'ordinanza di rimessione, sono inammissibili. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'oggetto del
giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale  e',
infatti, limitato alle  disposizioni  e  ai  parametri  indicati  dal
giudice a quo  (tra  le  ultime,  sentenza  n.  109  del  2021),  con
esclusione della possibilita' di  estendere  l'oggetto  del  giudizio
incidentale cosi' definito (tra le molte, sentenze n. 172  e  n.  119
del 2021). 
    Deve, peraltro, rilevarsi che lo ius superveniens, limitandosi  a
integrare, in un'ottica  semplificatoria  e  acceleratoria,  il  solo
regime procedimentale  dell'affrancazione,  non  altera  la  sostanza
normativa delle disposizioni qui in esame e, quindi, non  incide  sul
contenuto  essenziale  delle  sollevate  questioni  di   legittimita'
costituzionale. 
    4.- Sempre  in  via  preliminare,  la  censura  incentrata  sulla
violazione del divieto di  aiuti  di  Stato  deve  essere  dichiarata
inammissibile. 
    L'ordinanza di rimessione si  limita  ad  asserire  il  contrasto
delle disposizioni denunciate con «la normativa comunitaria  relativa
al divieto di "aiuti  di  Stato"  ed  in  particolare  della  materia
relativa ai Servizi di Interesse Economico Generale  (SIEG)»,  senza,
tuttavia,  addurre  alcuna  comprensibile  ragione  in  merito   alla
consistenza del vulnus lamentato e, ancor prima, alla pertinenza  del
richiamo al - peraltro neanche specificamente individuato - parametro
costituzionale  in  relazione   al   contenuto   prescrittivo   delle
disposizioni censurate. 
    Non puo', infatti, ritenersi idonea a esplicitare i motivi  della
paventata illegittimita' costituzionale l'unica affermazione, spesa a
tal fine dal rimettente, secondo la quale  «[s]ignificativamente,  il
Decreto del Ministro delle Infrastrutture e Trasporti del  22  aprile
2008  si  intitola  "Definizione  di   alloggio   sociale   ai   fini
dell'esenzione dall'obbligo di notifica  degli  aiuti  di  Stato,  ai
sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della  Comunita'
europea" (oggi art. 106, par. 2 del Trattato di funzionamento U.E.) e
della correlata decisione n. 2012/21/UE della Commissione europea  in
materia di "aiuti di Stato"». 
    5.- Lo scrutinio delle residue questioni impone  una  preliminare
descrizione del contesto normativo all'interno del quale si collocano
le disposizioni denunciate. 
    5.1.- L'art. 25-undecies, inserito nel d.l. n. 119 del 2018 dalla
legge di conversione n. 136 del 2018, ha modificato l'art.  31  della
legge n. 448 del 1998, riscrivendone il comma 49-bis e  aggiungendovi
il comma 49-quater. 
    Conviene ricordare che il  comma  49-bis  era  stato  inserito  -
insieme al comma 49-ter, lasciato intatto dalla riforma  in  esame  -
nel corpo dell'art. 31 della legge n. 448 del 1998 dall'art. 5, comma
3-bis, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70  (Semestre  Europeo  -
Prime  disposizioni  urgenti   per   l'economia),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 12  luglio  2011,  n.  106,  e  che  nella
formulazione originaria prevedeva che il prezzo massimo  di  cessione
potesse essere rimosso a richiesta del solo  titolare  dell'alloggio,
trascorsi  cinque  anni  dalla  data  del  primo  trasferimento,  con
convenzione in  forma  pubblica  soggetta  a  trascrizione  e  dietro
versamento di un importo,  proporzionale  alla  corrispondente  quota
millesimale, determinato dal Comune. 
    L'art. 25-undecies del d.l. n. 119  del  2018  ha  modificato  il
regime dell'affrancazione cosi' definito dal d.l.  n.  70  del  2011,
estendendo la legittimazione all'affrancazione alle «persone  fisiche
che vi abbiano interesse, anche se non piu' titolari di diritti reali
sul bene immobile» (art. 31, comma 49-bis, della  legge  n.  448  del
1998); prevedendo che, in pendenza della procedura di  rimozione  del
vincolo, da definirsi mediante la stipula di una convenzione per atto
pubblico  o  scrittura   privata   autenticata,   il   contratto   di
trasferimento dell'alloggio non produce  effetti  limitatamente  alla
differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo  vincolato  (art.  31,
comma 49-quater,  della  legge  n.  448  del  1998);  stabilendo  che
l'eventuale pretesa di rimborso dell'eccedenza  si  estingue  con  la
rimozione  del  vincolo  secondo  le   modalita'   previste   e   che
l'affrancazione  determina,  altresi',  l'eliminazione  di  qualsiasi
vincolo di natura soggettiva (art. 31, comma 49-quater,  della  legge
n. 448 del 1998); demandando la determinazione del corrispettivo  per
l'affrancazione (art. 31, comma 49-bis, della legge n. 448 del  1998)
a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze,  da  emanare
entro il 18  gennaio  2019,  previa  conferenza  unificata  ai  sensi
dell'art. 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281,  recante
«Definizione  ed  ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano ed unificazione, per le materie ed  i
compiti di interesse comune  delle  regioni,  delle  province  e  dei
comuni, con  la  Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie  locali»  e,
dunque, non piu' ai Comuni, come precedentemente stabilito  dall'art.
29, comma 16-undecies, del decreto-legge 29 dicembre  2011,  n.  216,
recante «Proroga di termini previsti  da  disposizioni  legislative»,
convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2012, n. 14. 
    Infine, l'art. 25-undecies, comma 2, del citato d.l. n.  119  del
2018 prevede espressamente che le  nuove  disposizioni  si  applicano
anche agli immobili oggetto dei contratti stipulati in data anteriore
a quella di entrata in vigore della legge di conversione. 
    5.2.- La novella introdotta con il d.l. n. 119 del 2018,  qui  in
scrutinio, e'  intervenuta  dopo  che  la  sentenza  della  Corte  di
cassazione, Sezioni unite civili, 16 settembre 2015, n.  18135  aveva
affermato che, in difetto della convenzione di rimozione,  il  prezzo
massimo di cessione dell'immobile in regime di edilizia convenzionata
ai sensi dell'art. 35 della legge n. 865 del 1971 «segue il bene  nei
passaggi di proprieta',  a  titolo  di  onere  reale,  con  efficacia
indefinita, attesa la ratio  legis  di  garantire  la  casa  ai  meno
abbienti, senza consentire operazioni speculative di rivendita». 
    Con la predetta pronuncia  era  stato,  inoltre,  precisato  che,
poiche' la disciplina vincolistica promana da norme  imperative,  sia
pure per il tramite di  convenzioni  aventi  contenuto  inderogabile,
stipulate tra il  Comune  e  il  concessionario,  la  violazione  del
vincolo di prezzo massimo di cessione determina la nullita'  parziale
del  contratto  traslativo  -  e,  segnatamente,  della   pattuizione
relativa al corrispettivo, nei limiti  della  differenza  tra  prezzo
convenuto e prezzo calmierato - per contrarieta' a norma  imperativa,
ai sensi dell'art. 1419, secondo comma, cod. civ., e la  sostituzione
automatica della clausola viziata, ai sensi dell'art. 1339 cod. civ. 
    6.-  Tanto  premesso,  nel  merito,  la  questione  sollevata  in
riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost. non e' fondata. 
    6.1.- Secondo il costante orientamento di questa  Corte,  poiche'
la legge di conversione  rappresenta  una  legge  «funzionalizzata  e
specializzata», che non puo' aprirsi a oggetti eterogenei rispetto  a
quelli originariamente contenuti nel decreto-legge (sentenza  n.  181
del 2019), sono ammesse «soltanto disposizioni  coerenti  con  quelle
originarie,  essenzialmente  per  evitare  che   il   relativo   iter
procedimentale semplificato, previsto dai  regolamenti  parlamentari,
possa essere sfruttato per scopi estranei a quelli  che  giustificano
il decreto-legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto
parlamentare (sentenze n. 32 del 2014 e n. 22 del 2012)» (sentenza n.
226 del 2019). 
    La Corte ha, peraltro, precisato che un difetto  di  omogeneita',
in violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost., si  determina  solo
quando  le  disposizioni  aggiunte  in  sede  di  conversione   siano
totalmente  «estranee»  o  addirittura  «intruse»,  cioe'   tali   da
interrompere ogni correlazione tra il decreto-legge  e  la  legge  di
conversione (sentenza n. 251 del 2014). 
    Si e', ancora, affermato che solo la  palese  «estraneita'  delle
norme  impugnate  rispetto   all'oggetto   e   alle   finalita'   del
decreto-legge» (sentenza n.  22  del  2012)  oppure  la  «evidente  o
manifesta  mancanza  di  ogni  nesso   di   interrelazione   tra   le
disposizioni  incorporate  nella  legge  di  conversione   e   quelle
dell'originario decreto-legge» (sentenza n.  154  del  2015)  possono
inficiare di per  se'  la  legittimita'  costituzionale  della  norma
introdotta con la legge di conversione (sentenze n. 226 del 2019 e n.
181 del 2019). 
    6.2.-  Alla  luce  dei   criteri   richiamati,   la   prospettata
eterogeneita' contenutistica non e', nella specie, ravvisabile. 
    A differenza dell'art. 25-septies,  pure  aggiunto,  in  sede  di
conversione, al d.l. n. 119 del 2018 - le cui disposizioni in tema di
professionalita' del Commissario ad acta per la gestione del piano di
rientro dal disavanzo del  settore  sanitario  regionale  sono  state
ritenute  da  questa  Corte   eccentriche   rispetto   all'originario
contenuto  precettivo,  di  carattere  fiscale  e  finanziario,   del
decreto-legge (sentenza n. 247 del 2019) - l'art. 25-undecies, qui in
esame, mostra attinenza con la materia finanziaria, in quanto  detta,
tra le altre, disposizioni sulla determinazione del corrispettivo per
l'affrancazione, di cui e' incontestabile l'inclusione tra le entrate
finanziarie del Comune. 
    Un ulteriore indice della correlazione con  la  finanza  pubblica
puo' cogliersi nel rinvio  formale,  contenuto  nel  riformato  comma
49-bis dell'art. 31 della legge n. 448 del 1998, a  un  «decreto  del
Ministro dell'economia e delle finanze,  previa  intesa  in  sede  di
Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281» per l'individuazione  dei  parametri  per  la
determinazione dell'importo da versare ai fini  della  rimozione  del
prezzo massimo di cessione e dei criteri e delle  modalita'  «per  la
concessione, da parte del  comune,  di  dilazioni  di  pagamento  del
corrispettivo di affrancazione dal vincolo». 
    7.- Neanche meritano accoglimento  le  censure  incentrate  sulla
violazione degli artt. 3, 24, 42, 101, 102, 104,  111  e  117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU e all'art.  1
del primo Prot. addiz. CEDU. 
    7.1.- L'Arbitro unico di Roma prospetta anzitutto  un  vulnus  al
principio della tutela dell'affidamento, sul  rilievo  che  le  norme
censurate,  influendo  sugli  esiti   del   consistente   contenzioso
generatosi a seguito della citata pronuncia delle  Sezioni  unite  n.
18135 del 2015, realizzerebbero un'indebita ingerenza del legislatore
nell'esercizio della  funzione  giurisdizionale,  in  violazione  dei
principi di separazione dei poteri  e  di  uguaglianza,  nonche'  del
canone del giusto processo. 
    7.1.1.-  Secondo  la  costante   giurisprudenza   costituzionale,
ancorche' non sia vietato al  legislatore,  fatta  eccezione  per  la
tutela privilegiata  riservata  alla  materia  penale  dall'art.  25,
secondo  comma,  Cost.,  adottare  norme  retroattive,   siano   esse
innovative a carattere retrospettivo o di interpretazione  autentica,
non e' consentito «risolvere, con la forma  della  legge,  specifiche
controversie [...], violando i  principi  relativi  ai  rapporti  tra
potere legislativo e potere giurisdizionale e concernenti  la  tutela
dei diritti e degli interessi legittimi» (sentenze n. 46 del 2021, n.
12 del 2018 e n. 191 del 2014). 
    Ancora,  a  proposito  del  rapporto  tra  legge  retroattiva  ed
esercizio della funzione giurisdizionale, questa Corte  ha  precisato
che il principio costituzionale della parita' delle parti e'  violato
«quando  il  legislatore   statale   immette   nell'ordinamento   una
fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento  fra  le
due posizioni in gioco» (sentenze n. 46 del 2021, n. 12 del 2018 e n.
191 del 2014). 
    E' inoltre necessario, ai fini della conformita'  a  Costituzione
di norme retroattive, che la retroattivita' non contrasti  con  altri
valori e interessi costituzionalmente protetti (ex plurimis, sentenze
n. 170 del 2013, n. 93 e n. 41 del 2011). 
    Per tale ragione questa Corte ha individuato una serie di  limiti
generali  all'efficacia  retroattiva  delle  leggi   attinenti   alla
salvaguardia di principi costituzionali e di altri valori di civilta'
giuridica, tra i quali sono ricompresi  «il  rispetto  del  principio
generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre
ingiustificate disparita' di trattamento; la tutela  dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale  principio  connaturato  allo
Stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la  certezza   dell'ordinamento
giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al
potere giudiziario» (ex multis, sentenze n. 170 del 2013, n.  78  del
2012 e n. 209 del 2010). 
    7.1.2.-  Tali  enunciazioni   trovano   conferma   nella   stessa
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,  la  quale,
con indirizzo costante, ha affermato che i principi di preminenza del
diritto e del giusto processo sanciti dall'art. 6 CEDU ostano,  salvo
che per imperative ragioni di interesse generale,  all'ingerenza  del
potere legislativo nell'amministrazione della giustizia  al  fine  di
influenzare  l'esito  giudiziario  di  una  controversia,  precisando
altresi' che l'esigenza della parita' tra le parti implica  l'obbligo
di offrire a ciascuna una ragionevole possibilita' di  preservare  la
propria causa senza trovarsi in una situazione  di  netto  svantaggio
rispetto alla controparte (tra le tante, Corte  EDU,  sezione  prima,
sentenza 30 gennaio 2020,  Cicero  e  altri  contro  Italia;  sezione
seconda, sentenza 14 febbraio 2012,  Arras  e  altri  contro  Italia;
sezione seconda, sentenza  7  giugno  2011,  Agrati  e  altri  contro
Italia; sezione seconda, sentenza 31  maggio  2011,  Maggio  e  altri
contro Italia). 
    7.2.-  Con  specifico  riguardo   al   principio   della   tutela
dell'affidamento, la giurisprudenza costituzionale ritiene  che  esso
costituisca «ricaduta e declinazione "soggettiva"» della certezza del
diritto (sentenza n. 108  del  2019),  la  quale,  a  propria  volta,
integra un «elemento fondamentale e  indispensabile  dello  Stato  di
diritto» (sentenza n. 16 del 2017), connaturato tanto all'ordinamento
nazionale, quanto al sistema giuridico  sovranazionale  (sentenze  n.
267 e n. 154 del 2017). 
    Nondimeno,  questa  Corte  ha  ripetutamente  affermato  che   il
principio in parola non esclude che il legislatore  possa  introdurre
disposizioni  che  modifichino  in   senso   peggiorativo   per   gli
interessati la disciplina di rapporti giuridici, «"anche se l'oggetto
di questi sia costituito da diritti soggettivi  perfetti",  ma  esige
che  cio'  avvenga  alla  condizione  "che  tali   disposizioni   non
trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo  a
situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti,  l'affidamento
dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento
fondamentale dello Stato di diritto (sentenze n. 56 del 2015, n.  302
del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009)» (sentenza n. 216 del 2015). 
    7.2.1.-  In  definitiva,  la  legge  puo'  intervenire  in  senso
sfavorevole su assetti regolatori precedentemente  definiti  solo  in
presenza di posizioni giuridiche non  riconducibili  a  un  legittimo
affidamento. Assumono rilevanza, al riguardo, il tempo trascorso  tra
il momento della definizione del quadro normativo originario e quello
in cui esso viene mutato con efficacia retroattiva (sentenze  n.  108
del 2019, n. 89 del 2018, n. 250 del 2017, n. 108 del 2016, n. 216  e
n. 56 del 2015)  -  e,  dunque,  il  grado  di  consolidamento  della
situazione soggettiva originariamente  riconosciuta  e  poi  travolta
dall'intervento normativo retroattivo e  peggiorativo  -  nonche'  la
prevedibilita' della stessa modifica retroattiva (sentenza n. 16  del
2017). 
    Peraltro,  anche  in  presenza  di  tali  condizioni,   interessi
pubblici sopravvenuti possono comunque esigere  interventi  normativi
che incidano su  posizioni  consolidate,  purche'  nei  limiti  della
proporzionalita' dell'incisione rispetto  agli  obiettivi  perseguiti
(sentenza n. 216 del 2015). 
    7.3.- Alla stregua di quanto premesso, l'esame delle disposizioni
in contestazione conduce a escludere che il legislatore abbia operato
una scelta irragionevolmente lesiva dei principi evocati. 
    7.3.1.- Non e', anzitutto, ravvisabile  un  vulnus  al  principio
della tutela dell'affidamento. 
    Va,  al  riguardo,  considerato  che  la  modifica  normativa  in
questione e' stata introdotta nel 2018,  mentre  risale  al  2015  la
richiamata pronuncia delle Sezioni unite, intervenuta a  comporre  un
quadro normativo connotato da un elevato tasso di incertezza, nel cui
contesto si erano  perfezionate  le  fattispecie  negoziali  relative
all'acquisto di alloggi sociali. E da quella  pronuncia  hanno  avuto
origine anche  le  richieste  restitutorie  degli  acquirenti  (nella
specie intervenute dopo due anni dalla pronuncia stessa). 
    Siffatto ambito temporale rende evidente che non  poteva  essersi
consolidato un affidamento particolarmente radicato sul tenore  delle
disposizioni previgenti. 
    7.3.2.-  Neanche  ricorre  il  presupposto  dell'imprevedibilita'
dell'intervento legislativo. 
    La piu' volte citata sentenza delle Sezioni unite  n.  18135  del
2015, pur avendo fornito essenziali indicazioni in merito  al  regime
di commerciabilita' dei beni di edilizia convenzionata e  alla  sorte
dei contratti stipulati in violazione del vincolo del prezzo  massimo
di cessione, aveva comunque lasciato insoluto - perche' estraneo alla
controversia definita - il problema della posizione dei venditori che
avevano ceduto l'alloggio a prezzo di mercato sulla base  del  quadro
ermeneutico antecedente e che, tuttavia, non erano nella possibilita'
di regolarizzare il regime circolatorio del bene ceduto,  in  quanto,
in base alla disciplina allora vigente, l'affrancazione era riservata
ai soli proprietari. 
    7.3.3.-  Occorre,   inoltre,   considerare   che,   anteriormente
all'intervento delle  Sezioni  unite,  la  ricostruzione  del  regime
giuridico della vendita di alloggi di  edilizia  convenzionata  aveva
risentito della stratificazione degli interventi legislativi  che  ne
avevano modificato radicalmente l'assetto originario. 
    Ne era scaturito un quadro interpretativo eterogeneo,  nel  quale
l'esegesi   che   limitava   l'operativita'   del    vincolo    sulla
determinazione del  prezzo  alla  prima  assegnazione  dell'immobile,
escludendola per i successivi passaggi di proprieta', era accolta  da
parte  della  dottrina,  oltre  che,  evidentemente,  dai  notai  che
stipulavano gli atti. 
    In  giurisprudenza,  come  evidenziato  nella   citata   sentenza
nomofilattica  del  2015,  a  un  primo  indirizzo  che,   accordando
priorita' all'autonomia negoziale, sosteneva che  sia  i  divieti  di
alienazione, sia i criteri normativi di determinazione del  prezzo  o
del canone di locazione fossero  applicabili  solo  al  primo  avente
causa (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenze 4 aprile
2011, n. 7630, 2 ottobre 2000, n. 13006, relative  agli  immobili  di
edilizia convenzionata ai sensi della legge 28 gennaio 1977,  n.  10,
recante «Norme per la edificabilita' dei  suoli»),  si  contrapponeva
l'opzione ermeneutica che,  muovendo  dal  presupposto  della  natura
imperativa delle norme vincolistiche, assumeva che tutti i  contratti
conclusi in  violazione  dei  parametri  legali  sul  prezzo  fossero
affetti da nullita' parziale (Corte di  cassazione,  sezione  seconda
civile, sentenze 10 febbraio 2010, n. 3018, e 21  dicembre  1994,  n.
11032). 
    E',  dunque,  innegabile  che,  in  un  contesto   interpretativo
connotato da simile  complessita',  il  sopraggiungere  di  ulteriori
aggiustamenti del quadro normativo  non  poteva  reputarsi  evenienza
improbabile. 
    7.4.- In ogni  caso,  l'incidenza  delle  norme  censurate  sulle
pretese restitutorie sorte nel vigore della regolazione originaria  e
oggetto di giudizi ancora in corso risulta supportata da una «"causa"
normativa adeguata» (sentenze n. 203 del 2016 e n. 34 del 2015) e non
stravolge in modo del tutto sproporzionato l'assetto  definito  dalla
normativa previgente. 
    7.4.1.- Questa Corte  ha  piu'  volte  ricordato  che  la  stessa
giurisprudenza della Corte EDU, nel riconoscere la  possibilita'  che
il legislatore adotti  norme  retroattive,  sia  pure  potenzialmente
incidenti sui processi in corso, ove ricorrano motivi  imperativi  di
interesse  generale,  «non  puo'  non  lasciare  ai   singoli   Stati
contraenti  quantomeno  una  parte  del  compito  e   dell'onere   di
identificarli,  poiche'  nella  posizione  migliore  per  assolverlo,
trattandosi,  tra  l'altro,  degli  interessi  che  sono  alla   base
dell'esercizio del potere legislativo» (sentenze n. 46 del  2021,  n.
156 del 2014, n. 78 e n. 15 del 2012, n. 1 del  2011  e  n.  311  del
2009). 
    Pertanto, il legislatore, nel rispetto del limite  posto  per  la
materia penale dall'art. 25 Cost., «puo' emanare  norme  retroattive,
anche di interpretazione autentica, purche' la  retroattivita'  trovi
adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi,  diritti
e beni  di  rilievo  costituzionale,  che  costituiscono  altrettanti
"motivi imperativi di interesse generale", ai sensi della Convenzione
europea  dei  diritti  dell'uomo  e  delle   liberta'   fondamentali»
(sentenza n. 78 del 2012). 
    7.4.2.- La ragione che giustifica l'estensione retroattiva  della
facolta' di affrancazione degli alloggi di edilizia  convenzionata  a
tutte le persone fisiche che vi abbiano interesse -  ivi  compresi  i
soggetti che, avendo alienato l'immobile, non  vantino  piu'  diritti
sullo stesso - deve essere  individuata  nell'esigenza  di  rimediare
all'asimmetria, evidenziatasi soltanto alla luce  delle  enunciazioni
delle Sezioni unite, tra le prerogative delle parti dei contratti  di
compravendita stipulati a  prezzo  libero  anteriormente  all'arresto
nomofilattico del 2015. 
    Come emerge dai lavori  preparatori,  il  legislatore  ha  inteso
risolvere un problema di ampie dimensioni  sorto  nel  mutato  quadro
interpretativo   scaturito   dalle   indicazioni   del   giudice   di
legittimita'. 
    Diversamente da  quanto  ritenuto  dal  rimettente,  l'estensione
della legittimazione all'affrancazione in capo ai  venditori  non  si
traduce in un  ausilio  foriero  di  disparita'  di  trattamento,  ma
risponde,  invece,  a  una  finalita'  di  riequilibrio   che   trova
giustificazione  proprio   nei   principi   di   uguaglianza   e   di
ragionevolezza. 
    Non puo', infatti, disconoscersi che, alla  stregua  dell'assetto
regolatorio chiarito dal diritto vivente, l'acquirente  dell'alloggio
sociale a prezzo di  mercato  avrebbe  potuto  agire  in  ripetizione
dell'indebito e al contempo affrancare, in  quanto  proprietario,  il
bene per poi rivenderlo a prezzo libero. Per contro, la  formulazione
ratione temporis dell'art. 31, comma 49-bis, della legge n.  448  del
1998 non permetteva al venditore attinto dalla  pretesa  restitutoria
di adeguare, attraverso l'affrancazione, il valore del bene ceduto al
prezzo concordato con la controparte. 
    7.4.3.- Deve, pertanto, escludersi che rispetto  alla  disciplina
oggetto  di  scrutinio  ricorra  alcuno  degli  elementi  sintomatici
valorizzati dalla Corte EDU  ai  fini  dell'accertamento  di  un  uso
distorto della funzione legislativa, come la circostanza che  lo  ius
novum incida su un singolo processo di cui sia parte lo Stato o altro
ente pubblico (Corte EDU, sezione seconda, sentenza 24  giugno  2014,
Azienda  Agricola  Silverfunghi   sas   e   altri   contro   Italia),
l'imprevedibilita'  dell'intervento   normativo   (sezione   seconda,
sentenza 24 giugno 2014, Cataldo e altri contro Italia) e il  decorso
di molti anni prima che il legislatore decida di intervenire (sezione
seconda, sentenza 15 aprile 2014, Stefanetti e altri contro Italia). 
    Ne' la  soluzione  normativa  prescelta  dal  legislatore  appare
sproporzionata rispetto al fine  di  correggere  la  discrasia  sopra
evidenziata. 
    E', infatti, evidente che la nuova disciplina dell'affrancazione,
se, da un lato,  conduce  all'estinzione  del  credito  recuperatorio
azionato dagli acquirenti a prezzo di mercato,  dall'altro,  tende  a
soddisfare  l'interesse  fondamentale  che  e'  all'origine  di  tale
pretesa, ossia la corrispondenza tra il maggiore importo versato e la
liberta' del bene compravenduto da vincoli alla commerciabilita'. 
    La novella appare, quindi,  giustificata  anche  con  riferimento
alle conseguenze prodotte nella sfera patrimoniale  degli  acquirenti
di alloggi  di  edilizia  convenzionata  che  abbiano  agito  per  la
ripetizione   delle   somme   versate   in   eccedenza,    risultando
salvaguardato il ragionevole rapporto di proporzionalita' tra i mezzi
impiegati e lo scopo perseguito, reputato dalla Corte EDU  necessario
affinche' possa ritenersi rispettato il precetto enunciato  dall'art.
1 del primo Prot. addiz. CEDU  (tra  le  tante,  Corte  EDU,  sezione
seconda, sentenza 13 gennaio 2015, Vekony  contro  Ungheria;  sezione
seconda, 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia). 
    7.4.4.- Alla luce delle considerazioni svolte, le  finalita',  di
riequilibrio e di composizione di interessi in conflitto,  perseguite
dalla novella in scrutinio possono essere  qualificate  come  «motivi
imperativi  di  interesse  generale»  in  grado  di  giustificare  la
modifica retroattiva dell'originario assetto normativo. 
    7.5.-  Il  rimettente  prospetta,  altresi',  la  violazione  del
principio di ragionevolezza e dell'affidamento  sulla  «stabilita'  e
coerenza» della disciplina generale del  contratto,  sul  presupposto
che le norme censurate consentirebbero a chi non e' piu' titolare  di
diritti sul bene di modificarne unilateralmente il regime  giuridico,
in contrasto con il principio di intangibilita' della sfera giuridica
altrui e con il diritto di proprieta' riconosciuto dall'art. 42 Cost. 
    7.5.1.-   Deve,   anzitutto,   evidenziarsi   che,    avvalendosi
dell'affrancazione, il venditore non modifica ex  post  il  contenuto
dispositivo del contratto di compravendita, ma incide sul solo regime
eteronomo della circolazione del bene con esso trasferito. 
    Ne' l'estensione soggettiva  operata  dalla  legge  in  scrutinio
abilita il terzo a un'indebita  ingerenza  nella  sfera  patrimoniale
dell'acquirente, rinvenendo l'affrancazione  "allargata"  il  proprio
titolo in una fonte normativa che legittimamente consente alla  parte
alienante   di   rimuovere   un   ostacolo   alla   efficacia   della
contrattazione sul libero mercato. 
    La ratio dell'estensione soggettiva del potere  di  affrancazione
operata dall'art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018 deve,  dunque,
essere individuata  nella  tutela  dell'interesse  dell'alienante  ad
assolvere, sia pure ex post, l'impegno, contrattualmente assunto,  di
trasferire il bene libero da pesi. Ne' tale qualificata esigenza puo'
ritenersi   recessiva   rispetto   ad    un    eventuale    interesse
dell'acquirente alla conservazione del vincolo di prezzo,  posto  che
nelle  fattispecie  negoziali  come  quella  in  scrutinio  le  parti
acquirenti, addivenendo alla stipula del contratto  di  compravendita
secondo le regole di mercato, non hanno inteso avvalersi  del  regime
di favore proprio dell'edilizia convenzionata. 
    7.6.- Alla luce di tutte le  considerazioni  sopra  svolte  resta
esclusa anche la fondatezza della questione sollevata in  riferimento
agli artt. 42 e 117, primo comma, Cost.,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 1 del primo  Prot.  addiz.  CEDU,  sul  presupposto  che  le
disposizioni in scrutinio concederebbero all'assegnatario  che  abbia
alienato l'alloggio di edilizia convenzionata per un corrispettivo di
mercato  la  possibilita'  di   paralizzare   l'azione   restitutoria
dell'acquirente e  di  trattenere  le  somme  ricevute  in  eccedenza
rispetto al prezzo massimo di cessione. 
    8.-   Neanche   e'   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost. 
    Il riconoscimento della facolta' di affrancare l'alloggio sociale
dopo cinque anni dalla prima assegnazione non incide  sulla  funzione
pubblicistica  dell'edilizia  convenzionata,  ed  evidentemente   non
comporta ne' la soppressione ne' la limitazione di alcun diritto,  ma
consente al beneficiario del servizio di scegliere  se  continuare  a
fruire  dell'immobile  a  fini  abitativi   ovvero   se   utilizzare,
nell'esercizio dell'autonomia privata,  le  potenzialita'  reddituali
dell'immobile immettendolo - previo versamento  di  un  corrispettivo
pecuniario al Comune - nel libero mercato. 
    9.- Occorre, poi, considerare che il termine per  l'affrancazione
- peraltro presente nell'art. 31, comma 49-bis, della  legge  n.  448
del 1998, sin dalla sua introduzione  ad  opera  dell'art.  5,  comma
3-bis, del d.l. n. 70 del 2011 - si mostra coerente con l'opzione  di
fondo  per  la  non  perpetuita'  dei  vincoli,  che   emerge   dalla
legislazione in materia di edilizia convenzionata  e  di  cui  si  ha
significativa   conferma   non   solo    nella    previsione,    gia'
nell'originario impianto della legge n. 865 del 1971, di  un  termine
ventennale per l'eliminazione del vincolo  di  inalienabilita'  degli
alloggi   concessi   in   piena   proprieta'    (art.    35,    comma
diciassettesimo), ma anche nella successiva  introduzione  di  moduli
consensuali, come le convenzioni per la trasformazione del diritto di
superficie in piena proprieta' e  per  la  sostituzione  dei  vincoli
originari con quelli della convenzione  ai  sensi  dell'art.  18  del
d.P.R. n. 380 del 2001, disciplinate dall'art. 31,  commi  45  e  46,
della legge n. 448 del 1998, dalla  cui  adozione  deriva  anche  una
riduzione della durata del vincolo del prezzo massimo di cessione. 
    9.1.- Considerazioni non dissimili valgono con  riferimento  alla
pretesa inidoneita' dell'entita' del contributo  di  affrancazione  a
controbilanciare, per un verso, le  agevolazioni  economiche  offerte
dal servizio pubblico di edilizia convenzionata, e, per  l'altro,  il
sacrificio imposto ai proprietari dei suoli espropriati  al  fine  di
dare attuazione ai programmi di edilizia economica e popolare. 
    La  determinazione  dell'importo  dovuto  per  la  rimozione  del
vincolo del prezzo massimo di cessione scaturisce da una  valutazione
di politica economica che, se non  travalica  il  normale  ambito  di
discrezionalita'  che  la  Costituzione  riserva  alle   scelte   del
legislatore ordinario, non e' sindacabile da questa Corte. 
    Ne' la  normativa  in  scrutinio  puo'  ritenersi  manifestamente
irragionevole,  dal   momento   che,   pur   non   ragguagliando   il
corrispettivo di affranco all'intero surplus conseguibile mediante la
cessione dell'alloggio  sociale  a  prezzo  di  mercato,  ne  ancora,
comunque, la commisurazione percentuale al valore venale del  bene  -
come reso evidente dal rinvio dell'art. 31, comma 49-bis, della legge
n. 448 del 1998, qui in scrutinio, al comma 48 del medesimo  articolo
- nell'ottica del  contemperamento  tra  le  finalita'  di  cura  dei
bisogni abitativi  e  di  promozione  della  liberta'  di  iniziativa
economica nel mercato immobiliare. 
    10.- Alla stregua delle esposte considerazioni, la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 25-undecies del d.l. n. 119 del
2018, come  convertito,  e  dell'art.  31,  commi  49-bis,  49-ter  e
49-quater, della legge n. 448 del 1998, come  modificato  dal  citato
art. 25-undecies del d.l. n. 119  del  2018,  sollevata  dall'Arbitro
unico di Roma, in riferimento alla «normativa comunitaria relativa al
divieto di "aiuti di Stato"», deve essere  dichiarata  inammissibile,
mentre le altre questioni devono essere dichiarate non fondate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 25-undecies  del  decreto-legge  23  ottobre
2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria),
convertito, con modificazioni, in legge 17 dicembre 2018, n.  136,  e
dell'art. 31, commi  49-bis,  49-ter  e  49-quater,  della  legge  23
dicembre  1998,  n.  448  (Misure  di   finanza   pubblica   per   la
stabilizzazione e lo  sviluppo),  come  modificato  dal  citato  art.
25-undecies del d.l. n. 119 del 2018, sollevata, in riferimento  alla
«normativa comunitaria relativa al  divieto  di  "aiuti  di  Stato"»,
dall'Arbitro unico di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 25-undecies del d.l. n. 119 del  2018,  come
convertito, e dell'art. 31, commi 49-bis, 49-ter e  49-quater,  della
legge n. 448 del 1998, come modificato dal  citato  art.  25-undecies
del d.l. n. 119 del 2018, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24,
42, 47, secondo comma, 77, secondo comma, 101, 102, 104, 111  e  117,
primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848,  nonche'
all'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi  il
20 marzo 1952, dall'Arbitro unico di Roma con l'ordinanza indicata in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 settembre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 novembre 2021. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE 
 
 
                                                            Allegato: 
                    Ordinanza letta all'udienza del 22 settembre 2021 
 
                              ORDINANZA 
 
    Visti   gli   atti   relativi   al   giudizio   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 25-undecies  del  decreto-legge  23  ottobre
2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria),
convertito, con modificazioni, in legge 17 dicembre 2018, n.  136,  e
dell'art. 31, commi  49-bis,  49-ter  e  49-quater,  della  legge  23
dicembre  1998,  n.  448  (Misure  di   finanza   pubblica   per   la
stabilizzazione e lo  sviluppo),  come  modificato  dal  citato  art.
25-undecies del d.l. n. 119 del 2018, promosso dall'Arbitro unico  di
Roma con ordinanza dell'11 settembre 2020, iscritta  al  n.  196  del
registro ordinanze del 2020 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Rilevato  che  nel  giudizio  e'  intervenuto  ad  opponendum  il
Comitato "Venditori 18135"; 
    che l'interveniente espone di essersi costituito a seguito  della
sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, 16 settembre 2015,
n.  18135,  allo  scopo,  enunciato  nell'art.  2  del  proprio  atto
costitutivo, di «tutelare i diritti dei venditori  ubicati  nei  c.d.
piani di zona i quali, negli anni con totale buona fede hanno venduto
a prezzi di mercato i loro immobili  giuste  indicazioni  dei  Notai,
Banche,  Intermediari,  Enti  pubblici  e   Giurisprudenza»,   e   di
promuovere «la difesa dei diritti e lo sviluppo giuridico e culturale
dei  suoi  membri  attraverso  iniziative  di  carattere   giuridico,
mediatico e politico»; 
    che il comitato deduce, altresi', che le disposizioni  censurate,
la cui  introduzione  si  deve  anche  alle  proprie  sollecitazioni,
rappresentano la ragione  stessa  della  propria  esistenza  e  tanto
varrebbe a fondare un interesse qualificato e diretto  all'esito  del
giudizio di legittimita' costituzionale. 
    Considerato che l'art. 4, comma 7, delle Norme integrative per  i
giudizi davanti  alla  Corte  costituzionale  stabilisce  che  «[n]ei
giudizi in via incidentale  possono  intervenire  i  titolari  di  un
interesse qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al
rapporto dedotto in giudizio»; 
    che tale disposizione recepisce  la  costante  giurisprudenza  di
questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 98 del 2019 e n. 237 del 2013;
ordinanze allegate alle sentenze n. 206 del 2019, n. 16 del 2017,  n.
82 del 2013, n. 272 del 2012, n. 349 del 2007, n. 279 del 2006  e  n.
291 del 2001), secondo cui la partecipazione al giudizio  incidentale
di legittimita' costituzionale e' circoscritta, di norma, alle  parti
del giudizio a  quo,  oltre  che  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente  della  Giunta
regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative); 
    che in questo ambito e' ammesso  esclusivamente  l'intervento  di
soggetti terzi  che  siano  titolari  di  un  interesse  qualificato,
immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e
non semplicemente regolato,  al  pari  di  ogni  altro,  dalla  norma
oggetto di censura (tra le tante, sentenza n. 46 del 2021); 
    che,   pertanto,   l'incidenza   sulla    posizione    soggettiva
dell'interveniente deve derivare non gia', come per  tutte  le  altre
situazioni sostanziali disciplinate  dalla  disposizione  denunciata,
dalla pronuncia di questa  Corte  sulla  legittimita'  costituzionale
della legge censurata, ma dall'immediato effetto che detta  pronuncia
produce sul rapporto sostanziale  oggetto  del  giudizio  a  quo  (ex
multis, sentenze n. 46 del 2021, n. 98 del 2019 e n.  345  del  2005;
ordinanza allegata alla sentenza n. 180 del 2021); 
    che, alla luce di tali premesse, il Comitato interveniente, quale
organismo rappresentativo di soggetti titolari di rapporti  giuridici
assoggettati  alle  disposizioni  censurate,   non   puo'   ritenersi
portatore  di  un  interesse  specifico  direttamente   riconducibile
all'oggetto del giudizio principale, bensi' di un interesse  soltanto
riflesso, perche' connesso ai generici scopi statutari di tutela e di
promozione delle ragioni degli iscritti; 
    che, in difetto di un nesso qualificato con lo specifico rapporto
sostanziale dedotto nel giudizio a quo, non puo'  essere  valorizzato
neanche il generico interesse del Comitato alla  conservazione  delle
disposizioni censurate in quanto favorevoli alla posizione  giuridica
dei suoi membri; 
    che, come gia' da questa Corte evidenziato (ordinanze n. 202 e n.
37 del 2020), le considerazioni che precedono valgono a fortiori alla
luce dell'art. 4-ter delle Norme integrative, aggiunto dalla delibera
in sede non giurisdizionale di questa Corte dell'8 gennaio 2020,  che
consente alle formazioni sociali senza scopo di lucro e  ai  soggetti
istituzionali portatori di interessi collettivi o  diffusi  attinenti
alla questione di  legittimita'  costituzionale  di  presentare  alla
Corte un'opinione scritta in qualita' di amici curiae; 
    che, pertanto, l'intervento del Comitato "Venditori  18135"  deve
essere dichiarato inammissibile; 
    che le argomentazioni spese dall'interveniente non possono essere
considerate neanche  alla  stregua  di  opinione  riconducibile  alla
figura degli amici curiae, in quanto, in disparte ogni altra ragione,
l'interesse  a  ottenere,  sia  pure   in   via   subordinata,   tale
qualificazione  risulta  tardivamente  esplicitato   soltanto   nella
memoria depositata nell'imminenza dell'udienza pubblica. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  inammissibile  l'intervento  del  Comitato   "Venditori
18135". 
 
                F.to: Giancarlo Coraggio, Presidente