N. 218 SENTENZA 5 ottobre - 23 novembre 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Contratti pubblici - Concessioni -  Concessioni  di  importo  pari  o
  superiore a 150.000  euro,  non  assegnate  con  la  formula  della
  finanza di progetto o con procedure a evidenza pubblica - Obbligo a
  carico dei titolari di esternalizzare  i  contratti  inerenti  alla
  concessione stessa, mediante appalto a terzi dell'80  per  cento  -
  Assegnazione della parte restante a societa' in house o controllate
  o collegate ovvero ad operatori individuati mediante  procedura  ad
  evidenza pubblica, anche di  tipo  semplificato  -  Violazione  dei
  principi di ragionevolezza e di libera iniziativa economica privata
  - Illegittimita' costituzionale. 
Contratti  pubblici  -  Concessioni   -   Obblighi   a   carico   dei
  concessionari  -  Disposizioni  integrative  di  altre   dichiarate
  costituzionalmente illegittime - Illegittimita'  costituzionale  in
  via consequenziale. 
- Legge 28 gennaio 2016, n.  11,  art.  1,  comma  1,  lettera  iii);
  decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, art. 177, commi 1,  2  e
  3. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, 41, primo comma, e 97,  secondo
  comma. 
(GU n.47 del 24-11-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
lettera iii), della legge 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al  Governo
per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e  2014/25/UE
del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  del  26  febbraio  2014,
sull'aggiudicazione  dei  contratti  di  concessione,  sugli  appalti
pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori
dell'acqua,  dell'energia,  dei  trasporti  e  dei  servizi  postali,
nonche' per il  riordino  della  disciplina  vigente  in  materia  di
contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e  forniture),  e
dell'art. 177, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50
(Codice dei contratti pubblici), promosso  dal  Consiglio  di  Stato,
sezione quinta, nel procedimento vertente tra  la  A2A  illuminazione
pubblica srl e l'Autorita' nazionale anticorruzione (ANAC)  e  altri,
con ordinanza del 19 agosto 2020, iscritta al  n.  166  del  registro
ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 49, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti l'atto di costituzione  della  A2A  illuminazione  pubblica
srl, nonche'  gli  atti  di  intervento  della  e-distribuzione  spa,
dell'Associazione  italiana  societa'  concessionarie  autostrade   e
trafori (AISCAT) e del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udita  nell'udienza  pubblica  del  5  ottobre  2021  la  Giudice
relatrice Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati Fabio Cintioli  per  la  e-distribuzione  spa,
Alfonso Celotto per l'AISCAT, Bernardo Giorgio Mattarella e Francesco
Sciaudone per la A2A illuminazione pubblica srl  e  l'avvocato  dello
Stato Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 ottobre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con sentenza non definitiva del 19 agosto 2020,  iscritta  al
n. 166 del registro ordinanze 2020, il Consiglio  di  Stato,  sezione
quinta,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 1, lettera iii), della legge 28 gennaio  2016,  n.
11 (Deleghe al Governo per l'attuazione delle  direttive  2014/23/UE,
2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del  Consiglio,  del
26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti  di  concessione,
sugli  appalti  pubblici  e  sulle  procedure  d'appalto  degli  enti
erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti  e  dei
servizi postali, nonche' per il riordino della disciplina vigente  in
materia  di  contratti  pubblici  relativi  a   lavori,   servizi   e
forniture), e dell'art. 177, comma  1,  del  decreto  legislativo  18
aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti  pubblici),  per  violazione
degli artt. 3, secondo (recte: primo) comma, 41, primo comma,  e  97,
secondo comma, della Costituzione. 
    Le norme censurate obbligano i titolari delle concessioni gia' in
essere, non assegnate con la formula della finanza di progetto o  con
procedure a evidenza pubblica, a esternalizzare, mediante affidamenti
a terzi con procedura  di  evidenza  pubblica,  l'80  per  cento  dei
contratti di lavori, servizi e forniture, relativi  alle  concessioni
di importo pari o superiore a 150.000 euro, nonche' di realizzare  la
restante parte di tali attivita' tramite societa' in house o societa'
controllate  o  collegate  ovvero  operatori   individuati   mediante
procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato. 
    1.1.- Il rimettente premette di essere investito del  ricorso  in
appello proposto da A2A illuminazione pubblica srl (d'ora in  avanti:
A2A), contro l'Autorita' nazionale anticorruzione (d'ora  in  avanti:
ANAC) e nei confronti del Comune di Cassano d'Adda e  di  Utilitalia,
non costituiti  in  giudizio,  per  la  riforma  della  sentenza  del
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio,  sezione  prima,  15
luglio 2019, n. 9309, resa tra le parti. 
    1.1.1.- Nel giudizio di prime cure la A2A, societa' facente parte
del  Gruppo  A2A,  gestore  di  impianti  d'illuminazione   pubblica,
artistica, semaforica e lampade votive,  operante  nei  territori  di
alcuni  Comuni  della  Lombardia,  aveva   chiesto   al   TAR   Lazio
l'annullamento della delibera dell'ANAC 4 luglio 2018, n. 614  (Linee
guida n. 11, recanti: «Indicazioni per la verifica del  rispetto  del
limite di cui all'articolo 177, comma 1, del  codice,  da  parte  dei
soggetti pubblici  o  privati  titolari  di  concessioni  di  lavori,
servizi pubblici o forniture gia' in essere alla data di  entrata  in
vigore del codice non  affidate  con  la  formula  della  finanza  di
progetto ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il
diritto dell'Unione europea»).  Con  successivi  motivi  aggiunti  al
ricorso originario era stato  impugnato  l'Atto  di  segnalazione  al
Governo  e  al  Parlamento  dell'ANAC  17   ottobre   2018,   n.   4,
«[c]oncernente la verifica degli  affidamenti  dei  concessionari  ai
sensi  dell'art.  177  del  D.lgs.  n.  50/2016  e  adempimenti   dei
concessionari  autostradali  ai  sensi  dell'art.  178  del  medesimo
codice». 
    Nel  ricorso  e  nei  motivi  aggiunti  la  ricorrente  lamentava
l'illegittimita' delle linee guida n. 11 sotto plurimi profili e,  in
via subordinata, prospettava  l'illegittimita'  costituzionale  delle
medesime linee guida e  dell'art.  177  cod.  contratti  pubblici  in
riferimento agli artt. 3, 11, 41, 76, 97 e 117 Cost. 
    1.1.2.-  Il  TAR  Lazio  aveva  accolto  l'eccezione  preliminare
sollevata dalla difesa erariale e dichiarato inammissibile il ricorso
ed i motivi aggiunti per carenza di immediata  e  concreta  lesivita'
degli atti impugnati, in quanto la lesione della posizione  giuridica
dei concessionari sarebbe derivata non  gia'  dalle  prescrizioni  in
essi contenute, ma  dall'eventuale  successivo  atto  applicativo  di
contestazione  dell'esistenza  di  una  «situazione  di  squilibrio»,
all'esito della prima verifica annuale successiva alla  scadenza  del
termine per l'adeguamento alle previsioni  dell'art.  177,  comma  3,
cod. contratti pubblici. 
    1.1.3.- Con appello al Consiglio di Stato, la A2A ha  chiesto  la
riforma   di   tale   sentenza,   deducendo   l'illogicita'   e    la
contraddittorieta' della motivazione,  l'illegittimita'  delle  linee
guida n. 11 e l'illegittimita' costituzionale  delle  medesime  linee
guida e dell'indicato art. 177. 
    Nel  giudizio  ha  resistito  l'ANAC,   che   ha   concluso   per
l'inammissibilita' ovvero per il rigetto del gravame  nel  merito,  e
all'udienza pubblica del 25 giugno 2020, la causa e' stata trattenuta
in decisione. 
    1.2.- Prima di esaminare i motivi di  appello,  il  Consiglio  di
Stato ricostruisce la genesi della norma impugnata,  ricordando  che,
tra i principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 11
del 2016, vi era un obbligo analogo a quello poi riprodotto nell'art.
177 cod. contratti pubblici (art. 1, comma 1, lettera iii). 
    Al riguardo, il Collegio  rimettente  richiama  il  parere  della
Commissione speciale del Consiglio di Stato, 20 giugno 2018, n. 1582,
secondo cui  il  censurato  art.  177  costituisce  una  disposizione
«estranea al perimetro delle direttive UE 23, 24 e  25/2014,  diretta
ai concessionari in quanto tali,  a  prescindere  dalla  loro  natura
pubblica o privata, la cui ratio evidentemente risiede nella volonta'
del legislatore di restituire, a valle, parte della concorrenza  "per
il mercato" mancata a monte, secondo uno schema che ovviamente ha  ad
oggetto, in quota parte, le prestazioni relative alle  concessioni  a
suo tempo affidate direttamente». 
    Il giudice a quo aggiunge che, come pure messo  in  evidenza  nel
citato parere, una norma analoga era contenuta anche  nel  precedente
codice dei contratti (decreto legislativo 12  aprile  2006,  n.  163,
recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori,  servizi  e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE») per
i  concessionari  stradali  (art.  253,  comma  25),   anch'essa   da
considerarsi «espressiva della  preoccupazione  del  legislatore  che
nelle  concessioni,  tanto  piu'  se  affidate  senza   gara,   possa
determinarsi una sostanziale situazione di monopolio della domanda in
grado di alterare  la  concorrenza  con  aumento  dei  costi  per  la
gestione della concessione stess[a] e traslazione dei relativi  oneri
sugli utenti e contribuenti». Inoltre, identica ratio ispirava  anche
l'art. 146 del medesimo codice, quanto  ai  concessionari  di  lavori
pubblici. 
    Dunque - rileva il rimettente  -  «[a]  base  delle  disposizioni
[...] richiamate si pone  la  considerazione  che  negli  affidamenti
senza gara il concessionario possa  [...]  sterilizzare  il  "rischio
operativo" su di  esso  gravante  per  norme  di  legge  tipizzatrici
dell'istituto» (art. 3, comma 1, lettere uu e vv, rispettivamente per
le concessioni di lavori e per le concessioni di servizi). 
    A fronte di questo quadro normativo, l'ANAC ha dato  applicazione
alla previsione del comma 3 dell'art. 177  cod.  contratti  pubblici,
come  successivamente  modificato  e   integrato,   approvando,   con
deliberazione n. 614 del 2018, le linee guida n. 11. Queste ultime  -
continua il rimettente - sono articolate in due parti.  La  parte  I,
«di natura dichiaratamente interpretativa», resa ai  sensi  dell'art.
213, comma 2, cod. contratti pubblici, persegue il  dichiarato  «fine
di favorire la corretta ed omogenea  applicazione  della  normativa»;
pertanto, le indicazioni  ivi  contenute  sono  da  considerarsi  «di
carattere non vincolante». La parte II contiene, invece, «indicazioni
operative», rese ai sensi dell'art. 177 cod. contratti pubblici,  che
hanno «carattere dichiaratamente vincolante». 
    1.3.- Nel merito, il Collegio rimettente ritiene fondato il primo
motivo d'appello con il quale la ricorrente contesta la pronuncia  di
inammissibilita'  per  carenza  di  lesivita'   delle   linee   guida
impugnate. Infatti, sebbene formalmente articolate in due parti, esse
costituirebbero, «dal punto di vista logico e sistematico  un  corpus
regolatorio unico, in cui  la  parte  I  (di  natura  dichiaratamente
interpretativa) e' finalizzata ad individuare il corretto  ambito  di
applicazione dell'art. 177, su cui  sono  destinate  ad  incidere  le
indicazioni  contenute  nella  seconda  parte».  In  questo  contesto
l'unicita'  dell'atto  regolatorio  impugnato  farebbe  si'  che  «la
distinzione fra la natura interpretativa e non vincolante della parte
I  e  quella  prescrittiva  e  vincolante  della  parte   II   receda
nell'apprezzamento della portata immediata e direttamente lesiva -  e
quindi impugnabile in sede  giurisdizionale  amministrativa  -  delle
Linee Guida nel loro complesso». 
    Nel caso di specie, il Consiglio di Stato  ritiene  che  gia'  la
censura proposta dall'appellante, secondo cui «con le Linee Guida  in
questione  l'A.NA.C.  avrebbe  regolato  in  concreto   aspetti   non
rientranti nei limiti indicati dal comma 3 dell'art.  177»,  «sarebbe
di per se' sufficiente a rendere lesive le predette  Linee  Guida  ed
ammissibile  il  relativo  ricorso   (indipendentemente   dalla   sua
fondatezza)». 
    In ogni caso, anche a voler prescindere da questa considerazione,
il giudice a quo  ritiene  che  alcune  indicazioni  contenute  nelle
suddette linee guida  costituiscano  «vincoli  conformativi  puntuali
alla successiva attivita' degli enti concedenti e dei  concessionari,
in capo ai quali non residuano  facolta'  di  modulazione  quanto  al
contenuto  e  all'estensione,  neppure  sotto  il  profilo  temporale
(quest'ultimo in realta' gia' fissato direttamente dalla legge)».  In
particolare,  tra  queste  il  rimettente  individua:  le   modalita'
operative; il  rinnovo  con  procedure  di  evidenza  pubblica  delle
esternalizzazioni gia'  avvenute;  la  cessazione  degli  affidamenti
diretti a societa' in house o  collegate;  le  modalita'  di  calcolo
della  sanzione;  gli  obblighi  di  pubblicazione  dei  dati   sulle
concessioni a carico degli enti concedenti  e  dei  concessionari;  e
l'indicazione delle modalita' di verifica delle quote di  affidamento
da parte degli enti concedenti. 
    Sulla  base  di  queste  argomentazioni  il  Consiglio  di  Stato
considera il ricorso ammissibile, riforma di conseguenza la  sentenza
impugnata e procede quindi all'esame delle censure sollevate in primo
grado  col  ricorso  introduttivo  e  con  i  motivi   aggiunti,   ed
espressamente riproposte con l'appello. 
    1.4.- Il giudice a quo - dopo aver ricordato che le censure della
A2A sono «articolate in due autonome serie»,  la  prima  delle  quali
relativa alla dedotta illegittimita' delle linee guida  n.  11  e  la
seconda concernente i dubbi di legittimita' costituzionale  dell'art.
177 cod. contratti pubblici e dell'art. 1,  comma  1,  lettera  iii),
della legge n. 11  del  2016  -  sottolinea  come  sia  «pacifico  ed
incontestato» che le  linee  guida  n.  11  sono  state  adottate  in
applicazione dell'art. 177,  comma  3,  cod.  contratti  pubblici,  e
ritiene  che  le  censure   relative   ai   dubbi   di   legittimita'
costituzionale della previsione stessa e della norma di delega  (art.
1, comma 1, lettera iii, della legge n. 11 del 2016) debbano  essere,
per ragioni di «priorita' logico-giuridica», esaminate per prime. 
    In primo luogo, il rimettente  esclude  che  le  disposizioni  in
esame violino la normativa e  i  principi  dell'Unione  europea,  non
costituendo recepimento  di  specifiche  direttive  e  rappresentando
«(meri) strumenti attuativi dei principi comunitari di concorrenza  e
di  massima  apertura  al  mercato».  Il  Collegio  non  ravvisa  una
violazione ne' del divieto del  cosiddetto  gold  plating  (ai  sensi
dell'art. 32 della legge 24 dicembre 2012,  n.  234,  recante  «Norme
generali  sulla  partecipazione   dell'Italia   alla   formazione   e
all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea»
e dell'art. 14, commi 24-bis, 24-ter  e  24-quater,  della  legge  28
novembre 2005, n. 246, recante «Semplificazione e riassetto normativo
per l'anno 2005»), in quanto nel caso di specie non vi sarebbe alcuna
riduzione della concorrenza in danno delle imprese  e  dei  cittadini
(e' richiamata la sentenza di questa Corte  n.  100  del  2020),  ne'
dell'art. 43 della direttiva (UE) 2014/23 del  Parlamento  europeo  e
del Consiglio, del 26 febbraio 2014, relativa all'aggiudicazione  dei
contratti   di   concessione,   poiche'   quest'ultima   disposizione
presuppone che la concessione sia stata affidata a mezzo di procedura
ad evidenza pubblica, «il  che  pacificamente  non  e'  avvenuto  per
quella di cui allo stato risulta titolare l'appellante». 
    Il giudice a quo rileva, inoltre, che ne' dall'art. 1,  comma  1,
lettera iii), della legge n. 11 del  2016,  ne'  dall'art.  177  cod.
contratti pubblici si evincono elementi  nel  senso  di  «un  qualche
effetto retroattivo» dell'obbligo dei concessionari di esternalizzare
l'attivita' complessivamente svolta,  con  il  che  devono  ritenersi
infondate le eccezioni sollevate sul  punto  dall'appellante.  Resta,
pertanto, da verificare la conformita' dell'obbligo in esame a quanto
previsto dagli artt. 3, 41 e 97 Cost. 
    1.4.1.- Preliminarmente, il Consiglio di  Stato  ritiene  di  non
poter    «percorrere    la     pur     suggestiva     interpretazione
costituzionalmente  orientata  delle  disposizioni   di   legge   ora
richiamate proposta  da  A2A  Illuminazione  Pubblica».  La  societa'
appellante sostiene, infatti, che, per  escludere  l'effetto  di  una
intera  dismissione  della  concessione   affidatale,   si   dovrebbe
computare la «quota pari  all'ottanta  per  cento  dei  contratti  di
lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari
o superiore a 150.000 euro e relativi alle  concessioni»  sulla  sola
parte della concessione che il suo  titolare  intenda  effettivamente
esternalizzare. 
    Una  tale  interpretazione,  secondo  il   rimettente,   non   e'
persuasiva, sia per il tenore letterale delle disposizioni censurate,
sia perche', a volerla seguire, si rimetterebbe  alla  sola  volonta'
del concessionario  la  scelta  sull'esternalizzazione  senza  alcuna
indicazione dei «criteri, oggettivi e inequivoci» cui tale  decisione
dovrebbe essere improntata. 
    D'altra parte, aggiunge  il  giudice  a  quo,  la  tesi  proposta
dall'appellante e' stata gia'  respinta  dallo  stesso  Consiglio  di
Stato in sede consultiva, in  occasione,  sia  del  parere  reso  sul
decreto correttivo al codice dei contratti pubblici (parere 30  marzo
2017, n, 782), sia di quello sulle linee guida n. 11 (parere n.  1582
del  2018).  In   quelle   occasioni   e'   stato   evidenziato   che
l'interpretazione avversata dall'appellante  e'  l'unica  plausibile,
oltre che conforme al criterio direttivo della legge delega.  Ne'  vi
sarebbe ragione di mettere in discussione queste conclusioni. 
    1.4.2.-   Esclusa   la   possibilita'    di    un'interpretazione
costituzionalmente conforme, il Consiglio di  Stato  ritiene  che  le
questioni di legittimita'  costituzionale  prospettate  da  A2A,  con
riferimento all'art. 177 cod. contratti pubblici e all'art. 1,  comma
1, lettera iii), della legge n. 11  del  2016,  siano  rilevanti  nel
giudizio a quo, giacche' le linee guida in esso  impugnate  -  quanto
alle  indicazioni  contenute  nella  loro  Parte  I  -  costituiscono
coerente interpretazione e diretta applicazione dell'art. 177,  comma
1, cod. contratti pubblici, a sua volta  emanato  in  attuazione  del
criterio direttivo enunciato nel citato  art.  1,  comma  1,  lettera
iii), della legge delega  n.  11  del  2016,  mentre  -  quanto  alle
indicazioni contenute nella loro Parte II -  si  presentano  come  il
«presupposto per l'esercizio dei poteri di controllo  e  sanzionatori
dell'Autorita' di vigilanza di settore». 
    1.4.3.- Le  medesime  questioni  di  legittimita'  costituzionale
risulterebbero, inoltre, non manifestamente  infondate,  innanzitutto
sotto il profilo della liberta' di impresa sancito dall'art. 41 Cost. 
    In  particolare,  l'obbligo  imposto  ai  concessionari,  essendo
riferito all'intera concessione, sarebbe «suscettibile di  comportare
uno stravolgimento degli equilibri economico-finanziari sottesi  allo
stesso rapporto concessorio in questione, su cui si fondano le scelte
di  pianificazione  ed  operative  del  concessionario/imprenditore».
L'attivita' di quest'ultimo sarebbe «ridotta a  quella  di  una  mera
stazione appaltante, con l'unico compito di disciplinare ed  attuare,
secondo le direttive delle  Linee  Guida  e  degli  enti  concedenti,
l'affidamento a terzi, estranei o a se' riconducibili, di quella  che
originariamente  costituiva  il  proprium  dell'unitaria  concessione
affidata dall'amministrazione». 
    La concessione sarebbe svuotata e cio' determinerebbe una vera  e
propria  disgregazione  del  sottostante  compendio  aziendale,   con
depauperamento  anche  del  patrimonio  di  conoscenze   tecniche   e
tecnologiche e di professionalita' maturate dal concessionario  nello
svolgimento di un rapporto diretto a perseguire non solo il  profitto
privato, ma anche l'interesse pubblico attuato dalla concessione. 
    L'obbligo di dismissione totalitaria previsto dalle  disposizioni
censurate, ancorche' diretto a sanare l'originario  contrasto  con  i
principi  comunitari  di  libera  concorrenza,  impedirebbe  in  modo
assoluto e definitivo di proseguire un'attivita' economica intrapresa
ed esercitata in base ad un titolo legittimo e snaturerebbe il  ruolo
del privato concessionario, ridotto ad  articolazione  operativa  dei
concedenti, anziche' ad operatore preposto all'esercizio di attivita'
di interesse pubblico. 
    1.4.4.- In base  a  considerazioni  analoghe  il  giudice  a  quo
ritiene che le questioni di legittimita' costituzionale  degli  artt.
1, comma 1, lettera iii), della legge delega n. 11 del  2016  e  177,
comma 1, cod. contratti pubblici non siano  manifestamente  infondate
nemmeno con riguardo  all'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  «sotto  il
profilo della ragionevolezza». 
    Infatti, il  legislatore,  prevedendo  l'obbligo  di  dismissione
totalitaria  dei  lavori,  servizi  e  forniture   relativi   a   una
concessione affidata senza gara, avrebbe ecceduto «i pur ampi limiti»
della  sua  discrezionalita'.  Il  privato   concessionario   avrebbe
maturato  un  «apprezzabile»  affidamento  sull'integrale  esecuzione
della concessione, in ragione della «validita' del titolo costitutivo
all'epoca della sua formazione e dunque dell'inesistenza di  cause  -
anche occulte -  di  contrarieta'  dell[o]  stess[o]  all'ordinamento
interno  (cause  che  diversamente   avrebbero   potuto   legittimare
l'annullamento, la risoluzione o  la  riduzione  della  durata  della
concessione)». Sicche', «[l]a scelta legislativa, pur  legittimamente
orientata  a  rimuovere  rendite  di  posizione,  non  [risulterebbe]
equilibrata  rispetto  alle  contrapposte  e  altrettanto   legittime
aspettative dei concessionari di proseguire l'attivita' economica  in
corso di svolgimento». 
    Il rimettente sottolinea, inoltre, come l'obbligo di  dismissione
riguardi indistintamente  i  concessionari  titolari  di  affidamento
senza gara, indipendentemente dalla effettiva dimensione  della  loro
struttura imprenditoriale, dall'oggetto e dall'importanza del settore
strategico, dal suo valore economico e dal fatto che il contratto  di
concessione fosse ancora in vigore al momento dell'entrata in  vigore
del censurato art. 177,  ovvero  fosse  scaduto  e  versasse  in  una
situazione di proroga. 
    1.4.5.- Sarebbe ancora violato l'art. 97,  secondo  comma,  Cost.
per  il  fatto  che  ne'  la  norma  delegante  ne'  quella  delegata
considerano gli effetti  della  imposta  dismissione  sull'efficiente
svolgimento di servizi pubblici essenziali. 
    1.5.- In conclusione, il Consiglio di Stato - dopo aver ricordato
che la questione di legittimita' costituzionale puo' essere sollevata
anche con sentenza non definitiva -  ritiene  rilevanti,  in  ragione
dell'accertata ammissibilita' del ricorso e dei  motivi  aggiunti,  e
non   manifestamente   infondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera iii), della legge n.  11
del 2016 e dell'art. 177,  comma  1,  cod.  contratti  pubblici,  con
riferimento agli artt. 3, primo comma, 41, primo comma, e 97, secondo
comma, Cost. 
    2.- Con atto depositato il 21 dicembre 2020  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate manifestamente infondate, o  comunque  non
fondate. 
    2.1.-  Per  la  difesa  erariale  la  questione  prospettata   in
riferimento  all'art.  41,  primo  comma,  Cost.  e'   manifestamente
infondata, poiche' le disposizioni censurate mirerebbero a realizzare
proprio   i   valori   tutelati   dalla    richiamata    disposizione
costituzionale. Infatti, il  legislatore,  «anche  in  considerazione
della lunga durata delle concessioni affidate senza  gara,  [avrebbe]
inteso introdurre una misura volta a riequilibrare  il  considerevole
vantaggio  riconosciuto  e  mantenuto  in  favore  dei  concessionari
(scelti senza gara), attraverso l'imposizione del ricorso al  mercato
per lo svolgimento di parte delle attivita' necessarie all'esecuzione
della concessione». 
    Sull'asserita violazione dei principi di certezza del diritto, di
affidamento e di irretroattivita'  delle  norme,  la  difesa  statale
sottolinea   come,   con   la   direttiva   2014/23/UE,   sia   stato
cristallizzato l'orientamento della Corte di  giustizia  in  tema  di
«rischio operativo», «elevandolo ad elemento  idoneo  a  chiarire  lo
stesso concetto di concessione e a distinguerlo  dall'appalto».  Tale
rischio - aggiunge l'Avvocatura generale - e' connesso all'incertezza
del ritorno economico dell'attivita'  di  gestione  e  deve  pertanto
gravare sul  concessionario.  Nello  specifico  ambito  del  rapporto
concessorio, accanto ai rischi generali di costruzione, di domanda  e
di disponibilita', vi sarebbe  un'altra  serie  di  rischi,  tra  cui
quello  «normativo-politico-regolamentare,  derivante  da   modifiche
dell'assetto regolatorio e da decisioni politiche programmatiche, non
prevedibili contrattualmente». 
    Inoltre, la difesa erariale, richiamando il punto 1.2 delle linee
guida n. 11 del 2018, sottolinea come l'art.  177  si  applichi  alle
«concessioni di lavori e di servizi di importo  pari  o  superiore  a
150.000 euro [...],  affidate  in  data  antecedente  all'entrata  in
vigore del decreto legislativo 50/2016 in difformita'  rispetto  alle
procedure di affidamento consentite».  Sarebbero  quindi  escluse  le
concessioni affidate senza gara in conformita' alla normativa vigente
al  momento  dell'affidamento.   Parimenti   escluse   sarebbero   le
fattispecie individuate nel punto 1.4 delle medesime linee guida, tra
le quali ricadono, fra le altre, le concessioni previste nell'art.  7
cod.  contratti  pubblici,  i  servizi  non  economici  di  interesse
generale  riferiti  ad   attivita'   connesse   all'esercizio   delle
prerogative dei pubblici poteri, le concessioni affidate a  organismi
in house e quelle aggiudicate ad una  joint  venture  o  ad  un  ente
aggiudicatore facente parte di una joint venture. 
    In  sostanza,  al  netto  delle  richiamate  fattispecie  escluse
dall'applicazione  dell'art.  177   cod.   contratti   pubblici,   il
legislatore - piuttosto che prevedere la decadenza della  concessione
affidata  in  difformita'   alla   normativa   vigente   al   momento
dell'affidamento - avrebbe «optato per il mantenimento in vita  della
stessa, introducendo specifici accorgimenti volti [...] a  recuperare
la concorrenza mancata a monte e  a  riequilibrare  la  posizione  di
vantaggio goduta dai concessionari nel tempo». 
    In definitiva, il Presidente del Consiglio dei  ministri  ritiene
«pienamente condivisibile» la ratio della norma, «in quanto diretta a
garantire una maggiore concorrenza nel mercato delle concessioni». 
    Si tratterebbe di «una norma  eccezionale»,  applicabile  «ad  un
ambito ristretto di situazioni individuate nelle concessioni affidate
senza  gara,  in  assenza  di  una  specifica  disposizione  (vigente
all'epoca  dell'affidamento)  che   giustificasse   l'omissione   del
confronto competitivo», recante inoltre idonee misure di tutela degli
operatori economici interessati. e' previsto, infatti, un termine  di
adeguamento che consentirebbe ai concessionari  di  riorganizzare  la
struttura della propria attivita', modificando l'assetto aziendale  e
scongiurando cosi' il paventato danno economico; inoltre, la sanzione
per il mancato adeguamento troverebbe applicazione solo  in  caso  di
superamento dei limiti previsti per due anni consecutivi. 
    Sotto altro profilo, la prevista possibilita' di  gestire  il  20
per cento del valore della concessione attraverso societa'  in  house
da parte dello stesso concessionario,  se  soggetto  pubblico,  o  da
societa' direttamente o indirettamente controllate o collegate, per i
soggetti privati, escluderebbe che si sia in presenza di  un  obbligo
di totale dismissione. 
    Infine, la disposizione censurata  troverebbe  applicazione  alle
sole concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e  dunque
«a soggetti aventi una discreta capacita' economico-finanziaria [...]
in grado quindi, nell'arco  temporale  previsto,  di  dare  un  nuovo
assetto alla propria attivita' economica». 
    2.2.-  Non  fondata  sarebbe  anche  la  censura   sollevata   in
riferimento   all'art.   3   Cost.,   «sotto   il    profilo    della
ragionevolezza». 
    Il  legislatore  non  avrebbe  agito   «in   modo   assolutamente
arbitrario»,  avendo   mirato   invece   a   realizzare   l'interesse
costituzionalmente  tutelato  alla  concorrenza  del  mercato,  senza
trascurare  l'interesse  dei  concessionari,  per  i  quali   avrebbe
previsto  un  congruo  termine  di   adeguamento   e   l'applicazione
dell'obbligo  ai  soli  contratti  di  lavori,  servizi  e  forniture
relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro. 
    Inoltre, l'art.  177  non  opererebbe  retroattivamente,  essendo
destinato a incidere per il futuro  sulle  concessioni  in  corso  di
svolgimento. Esso, come gia' detto, non  imporrebbe  una  dismissione
totalitaria  della  concessione  ne'  costituirebbe  un   impedimento
assoluto e definitivo di proseguire  l'attivita'  economica  privata.
L'affidatario della concessione ne resterebbe infatti titolare,  come
soggetto preposto all'esercizio di attivita' di  interesse  pubblico,
da svolgere  in  piena  autonomia,  sulla  base  di  convenzioni  con
l'amministrazione concedente. 
    2.3.- Manifestamente  infondata  sarebbe,  infine,  la  questione
sollevata in riferimento all'art. 97, secondo comma, Cost. 
    L'offerta dei servizi oggetto di concessione non risulterebbe  di
per se' pregiudicata dalla nuova modalita' di scelta del  contraente,
giacche',  anzi,  la  concorrenzialita'   realizzerebbe   al   meglio
l'obiettivo di assicurare le migliori  prestazioni  agli  utenti  del
servizio. 
    3.- Con atto depositato il 22 dicembre 2020 si e'  costituita  in
giudizio la A2A, chiedendo che le questioni sollevate siano accolte. 
    3.1.- Dopo aver ricostruito il quadro normativo del  servizio  di
illuminazione pubblica e la genesi delle norme censurate,  la  parte,
si   sofferma    sulla    «necessita'    di    una    interpretazione
costituzionalmente orientata» e ritiene possibile leggere l'art.  177
nel senso che «l'obbligo di affidare mediante procedura di gara [...]
si applichi solo all'80% delle attivita' oggetto della concessione (e
non delle prestazioni a esse funzionali/strumentali) che  per  scelta
il concessionario dovesse affidare a terzi». 
    In  tal  senso  deporrebbero  sia   il   dato   letterale   della
disposizione (che fa riferimento ai «contratti  [...]  relativi  alle
concessioni»), sia la salvezza accordata, nel suo incipit, all'art. 7
cod. contratti pubblici, che consente l'affidamento diretto a imprese
collegate. Cio' confermerebbe l'intenzione  del  legislatore  di  non
riferire le percentuali dell'80 e del 20 per cento al complesso delle
attivita' oggetto della concessione, ma solo a quelle che  lo  stesso
concessionario intenda esternalizzare. D'altro canto,  se  cosi'  non
fosse, la norma - facendo salvo l'art. 7 - finirebbe con il  tutelare
un'organizzazione di imprese strutturata in  gruppo  societario  e  -
imponendo  l'obbligo  censurato  -   sanzionerebbe   l'organizzazione
propria dell'impresa concessionaria. 
    3.2.- Quanto alla questione prospettata in  riferimento  all'art.
41 Cost., la parte costituita riprende le  argomentazioni  sviluppate
dal rimettente e sottolinea come le  norme  censurate  costringano  i
concessionari «a svolgere un'attivita' del tutto diversa da quella in
vista della quale l'attivita' imprenditoriale  e'  stata  intrapresa,
ossia:   un'attivita'   sostanzialmente    amministrativa    e    non
imprenditoriale».   Cio'   che   determinerebbe   «un   intollerabile
snaturamento  dell'impresa,  che   costitui[rebbe]   una   violazione
ingiustificata della liberta'  di  iniziativa  economica».  In  altre
parole, il concessionario si trasformerebbe in «un ufficio gare». 
    Le disposizioni censurate avrebbero, inoltre,  «effetti  negativi
sulla stessa competitivita' delle imprese interessate»,  costrette  a
privarsi dell'80 per cento delle proprie risorse,  con  «un  aggravio
dei  costi  di  gestione  e   uno   sviamento   delle   risorse   del
concessionario     dalla     missione     principale     [consistente
nell']assicurare la migliore gestione del servizio». Ne conseguirebbe
un indebolimento  degli  operatori  economici  anche  in  prospettiva
futura, visto che non potrebbero partecipare con successo  alle  gare
indette alla cessazione dell'affidamento diretto. 
    Tale limitazione della liberta' di iniziativa economica  sarebbe,
poi, ancora piu' evidente nei cosiddetti settori speciali, in  quanto
l'applicazione  estensiva  dell'art.  177  cod.  contratti   pubblici
determinerebbe  «l'introduzione  di  obblighi  ulteriori  rispetto  a
quelli gia' previsti», in evidente contrasto con il divieto  di  gold
plating. 
    3.3.-  Quanto  all'asserita  violazione  dell'art.  3  Cost.,  la
societa' sottolinea come  le  norme  censurate  ledano  il  legittimo
affidamento dei concessionari, specie in ragione  del  fatto  che  il
legislatore non avrebbe distinto tra affidamenti diretti legittimi  e
illegittimi, ne' avrebbe introdotto «temperamenti che possano rendere
meno  "penalizzante"  la  previsione,  quali  ad  esempio  forme   di
indennizzo». In particolare, ricorda come molte delle concessioni cui
fa riferimento l'art. 177  si  siano  perfezionate  «in  un  contesto
normativo e giurisprudenziale totalmente differente  da  quello  oggi
vigente», nel quale  «gli  obblighi  di  una  procedura  di  gara  ad
evidenza  pubblica  non  solo  non  erano  disciplinati   a   livello
normativo, ma nemmeno erano conosciuti dalla giurisprudenza». 
    L'irragionevolezza delle norme  censurate  emergerebbe  anche  in
relazione  ad  altri  due  profili:   la   soglia   di   applicazione
dell'obbligo (150.000 euro) sarebbe «estremamente ridotta,  priva  di
analisi  economica  di  mercato  e   quindi   viziata   per   carenza
istruttoria»; la previsione di un  eguale  trattamento  di  tutte  le
concessioni al di sopra di 150.000 euro sarebbe irragionevole per  la
mancata previsione di «meccanismi graduali, al fine di salvaguardare,
in  rapporto  agli   investimenti   fatti,   l'equilibrio   economico
finanziario dell'impresa». 
    La societa' costituita richiama la giurisprudenza di questa Corte
sul giudizio di proporzionalita' per  mettere  in  evidenza  come  le
previsioni  censurate  pongano  «oneri  sproporzionati»  rispetto  al
perseguimento dell'obiettivo pro-concorrenziale. Richiama,  altresi',
la segnalazione 89/2019/I/com del 12  marzo  2019  dell'Autorita'  di
regolazione per energia  reti  e  ambiente  (ARERA)  a  Parlamento  e
Governo in merito  ai  possibili  effetti  derivanti  dall'attuazione
dell'art. 177 cod. contratti pubblici, dalla quale si desumerebbe  il
rischio di una duplicazione di costi sia per  il  concessionario  sia
per il consumatore finale, anche in ragione  del  numero  elevato  di
esuberi che potrebbero conseguirne rispetto al totale dei  dipendenti
impiegati nel comparto. 
    3.4.- Infine, quanto  alla  denunciata  violazione  dell'art.  97
Cost.,  la  A2A  sostiene  che   dalle   norme   censurate   derivino
«inevitabili effetti negativi sulla gestione di  rilevanti  interessi
pubblici,  in  evidente  contrasto  con   il   principio   di   buona
amministrazione». 
    4.- Con atti depositati, rispettivamente, il 21 e il 22  dicembre
2020 sono altresi' intervenuti nel  giudizio  e-distribuzione  spa  e
l'Associazione italiana societa' concessionarie autostrade e  trafori
(AISCAT), sostenendo  ciascuna  le  ragioni  dell'ammissibilita'  del
proprio intervento e  chiedendo  che  le  questioni  sollevate  siano
accolte. 
    5.- Infine, in data 21 e 22 dicembre 2020, AIPARK -  Associazione
italiana operatori sosta e  mobilita',  Utilitalia  e  l'Associazione
elettricita' futura hanno depositato opinioni, in qualita'  di  amici
curiae,  chiedendo  l'accoglimento  delle   questioni   sollevate   e
svolgendo  ulteriori  argomentazioni  a  suo  sostegno.   AIPARK   ha
rilevato, altresi', la violazione del divieto di  gold  plating,  pur
nella consapevolezza che la censura  non  e'  stata  prospettata  dal
giudice rimettente, lamentando cosi' la violazione degli artt.  76  e
117, primo comma, Cost. 
    6.- Con decreto del Presidente di  questa  Corte  del  23  giugno
2021, le suddette opinioni sono state ammesse nel giudizio. 
    7.- In prossimita' della data  fissata  per  l'udienza  pubblica,
A2A,  e-distribuzione  spa  e   AISCAT   hanno   depositato   memorie
integrative  nelle  quali  hanno  insistito  nelle  conclusioni  gia'
rassegnate nei rispettivi atti di costituzione e di  intervento.  A2A
ha chiesto, inoltre, l'autorimessione della questione di legittimita'
costituzionale delle  norme  censurate  in  riferimento  all'art.  10
Cost., «nonche', se necessario, [...] rinvio pregiudiziale alla Corte
di Giustizia dell'Unione europea ex art. 267 TFUE». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con sentenza non definitiva del 19 agosto 2020,  iscritta  al
n. 166 del registro ordinanze 2020, il Consiglio  di  Stato,  sezione
quinta,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 1, lettera iii), della legge 28 gennaio  2016,  n.
11 (Deleghe al Governo per l'attuazione delle  direttive  2014/23/UE,
2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del  Consiglio,  del
26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti  di  concessione,
sugli  appalti  pubblici  e  sulle  procedure  d'appalto  degli  enti
erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti  e  dei
servizi postali, nonche' per il riordino della disciplina vigente  in
materia  di  contratti  pubblici  relativi  a   lavori,   servizi   e
forniture), e dell'art. 177, comma  1,  del  decreto  legislativo  18
aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti  pubblici),  per  violazione
degli artt. 3, secondo (recte: primo) comma, 41, primo comma,  e  97,
secondo comma, della Costituzione. 
    Le norme censurate obbligano i titolari delle concessioni gia' in
essere, non assegnate con la formula della finanza di progetto o  con
procedure a evidenza pubblica, a esternalizzare, mediante affidamenti
a terzi con procedura  di  evidenza  pubblica,  l'80  per  cento  dei
contratti di lavori, servizi e forniture, relativi  alle  concessioni
di importo pari o superiore a 150.000 euro, nonche' di realizzare  la
restante parte di tali attivita' tramite societa' in house o societa'
controllate  o  collegate  ovvero  operatori   individuati   mediante
procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato. 
    1.1.- Il rimettente e' investito del ricorso in appello  proposto
da A2A illuminazione pubblica srl, societa' facente parte del  Gruppo
A2A,  gestore  di  impianti  d'illuminazione   pubblica,   artistica,
semaforica e lampade votive, operante nei territori di alcuni  comuni
della Lombardia (d'ora in avanti: A2A), contro l'Autorita'  nazionale
anticorruzione (d'ora in avanti: ANAC) e nei confronti del Comune  di
Cassano d'Adda e di Utilitalia, non costituiti in  giudizio,  per  la
riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per  il
Lazio, sezione prima, 15 luglio 2019, n. 9309. 
    Con questa decisione il TAR Lazio, adito dalla A2A, aveva accolto
l'eccezione preliminare sollevata dalla difesa erariale e  dichiarato
inammissibile il ricorso e i motivi aggiunti per carenza di immediata
e concreta lesivita' degli atti impugnati. 
    Oggetto del ricorso principale era la delibera dell'ANAC 4 luglio
2018, n. 614  (Linee  guida  n.  11,  recanti:  «Indicazioni  per  la
verifica del rispetto del limite di cui all'articolo  177,  comma  1,
del codice, da parte dei soggetti  pubblici  o  privati  titolari  di
concessioni di lavori, servizi pubblici o forniture  gia'  in  essere
alla data di entrata in vigore del codice non affidate con la formula
della finanza di progetto ovvero con procedure di  gara  ad  evidenza
pubblica  secondo  il  diritto  dell'Unione  europea»),  mentre   con
successivi motivi aggiunti era stato impugnato l'Atto di segnalazione
al  Governo  e  al  Parlamento  dell'ANAC  17  ottobre  2018,  n.  4,
«[c]oncernente la verifica degli  affidamenti  dei  concessionari  ai
sensi  dell'art.  177  del  D.lgs.  n.  50/2016  e  adempimenti   dei
concessionari  autostradali  ai  sensi  dell'art.  178  del  medesimo
codice». 
    Nel   giudizio   di   prime   cure   la   ricorrente    lamentava
l'illegittimita' delle linee guida ANAC n. 11 sotto  plurimi  profili
e, in via subordinata,  prospettava  l'illegittimita'  costituzionale
delle stesse e dell'art. 177 cod. contratti pubblici  in  riferimento
agli artt. 3, 11, 41, 76, 97 e 117 Cost. 
    La A2A ha ribadito queste censure nell'atto di appello dinanzi al
Consiglio di Stato,  odierno  rimettente.  Quest'ultimo  ha  ritenuto
fondato il primo motivo d'appello affermando che, sebbene formalmente
le  linee  guida  in  esame  siano  articolate  in  due  parti,  esse
costituiscono «dal punto di vista  logico  e  sistematico  un  corpus
regolatorio unico, in cui  la  Parte  I  (di  natura  dichiaratamente
interpretativa) e' finalizzata ad individuare il corretto  ambito  di
applicazione dell'art. 177, su cui  sono  destinate  ad  incidere  le
indicazioni contenute  nella  seconda  parte».  L'unicita'  dell'atto
regolatorio impugnato farebbe si', pertanto, che «la distinzione  fra
la natura interpretativa e non vincolante  della  parte  I  e  quella
prescrittiva e vincolante della parte  II  receda  nell'apprezzamento
della portata immediata e direttamente lesiva - e quindi  impugnabile
in sede giurisdizionale amministrativa - delle Linee Guida  nel  loro
complesso». 
    Ritenuto ammissibile il ricorso della A2A, il Consiglio di  Stato
ha  preliminarmente  esaminato  le  censure  relative  ai  dubbi   di
legittimita' costituzionale e - dopo aver escluso che le disposizioni
oggetto  dell'odierno  giudizio  di  costituzionalita'   violino   la
normativa e i principi dell'Unione europea e che sia  rinvenibile  un
contrasto tra le previsioni del decreto legislativo  e  quelle  della
legge  di  delega  -   ha   sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera iii), della legge n.  11
del 2016 e dell'art.  177,  comma  1,  cod.  contratti  pubblici  per
violazione degli artt. 3, primo comma, 41, primo comma, e 97, secondo
comma, Cost. 
    2.- Nell'odierno giudizio sono  intervenuti  ad  adiuvandum,  con
distinti atti, e-distribuzione spa e l'Associazione italiana societa'
concessionarie autostrade e trafori (AISCAT),  sostenendo,  entrambe,
di  essere  legittimate  a  intervenire  in  quanto  si  tratterebbe,
rispettivamente: di  una  concessionaria  del  servizio  pubblico  di
distribuzione di energia  elettrica  (e-distribuzione  spa)  su  gran
parte del territorio nazionale, che ha partecipato alla consultazione
indetta dall'ANAC per l'adozione delle linee guida di attuazione  del
censurato art. 177 e ha impugnato queste ultime dinanzi al TAR  Lazio
con ricorso dichiarato inammissibile,  senza  tuttavia  appellare  la
relativa sentenza; e di un'associazione delle societa' concessionarie
nell'ambito delle autostrade e dei trafori (AISCAT), che ha impugnato
le anzidette linee guida dinanzi al TAR Lazio con ricorso  dichiarato
inammissibile e ha indi appellato la relativa  decisione  dinanzi  al
Consiglio di  Stato,  che  ha  sospeso  il  giudizio  in  attesa  del
pronunciamento  di  questa   Corte   sulle   odierne   questioni   di
legittimita' costituzionale. 
    Con ordinanza dibattimentale letta all'udienza del 5 ottobre 2021
-  le  cui  conclusioni  vengono  qui  ribadite  -  questa  Corte  ha
dichiarato inammissibili entrambi gli interventi in ragione del fatto
che  l'interesse  con  essi  fatto   valere   non   e'   direttamente
riconducibile all'oggetto del giudizio principale, trattandosi bensi'
di un semplice interesse riflesso all'accoglimento  delle  questioni,
che, in base alla sua  costante  giurisprudenza,  non  da'  titolo  a
intervenire nel giudizio di legittimita' costituzionale. 
    La vicenda in esame,  in  particolare  per  quanto  attiene  alla
posizione della richiedente AISCAT, induce nondimeno questa  Corte  a
ribadire come debba «escludersi la sussistenza di  una  discrezionale
facolta' del  giudice  di  sospendere  il  processo  fuori  dei  casi
tassativi  di  sospensione  necessaria,  e  "per  mere   ragioni   di
opportunita'" (sentenza n. 207 del 2004)» (ordinanza n. 202 del 2020)
e,  al  contempo,  a  stigmatizzare  la   prassi   della   cosiddetta
"sospensione impropria", vale a dire di quella sospensione  disposta,
senza l'adozione di un'ordinanza di rimessione  a  questa  Corte,  in
attesa   della   decisione   sulla    questione    di    legittimita'
costituzionale, avente ad oggetto le stesse norme, sollevata da altro
giudice. 
    Questa prassi, che si esprime nell'adozione di  un  provvedimento
di  sospensione  «difforme   da   univoche   indicazioni   normative»
(ordinanza n.  202  del  2020),  priva  le  parti  interessate  della
possibilita' di accedere al giudizio di legittimita' costituzionale e
riduce, nel giudizio stesso, il quadro,  offerto  alla  Corte,  delle
varie  posizioni  soggettive  in  gioco.  Cio',  tuttavia,   non   e'
sufficiente a legittimare la parte a intervenire, perche'  altrimenti
risulterebbe  alterata  la  struttura  incidentale  del  giudizio  di
legittimita' costituzionale. 
    3.- Devono, ancora preliminarmente, essere escluse  dal  presente
giudizio, in quanto inammissibili, le questioni ulteriori rispetto  a
quelle sollevate dal  rimettente,  e,  in  primo  luogo,  la  pretesa
violazione  dell'art.  10  Cost.,  dedotta  da  A2A   nella   memoria
depositata in prossimita' dell'udienza. In tale memoria, la  societa'
appellante nel giudizio a quo lamenta la violazione del  divieto  del
cosiddetto gold plating e, su questo assunto, chiede l'autorimessione
della relativa questione da parte  di  questa  Corte,  oltre  che  il
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'oggetto del
giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale   e'
limitato  alle  norme  e  ai  parametri  indicati  nell'ordinanza  di
rimessione,  mentre  non  possono  essere  presi  in   considerazione
ulteriori questioni o profili di legittimita' costituzionale  dedotti
dalle parti, diretti ad ampliare  o  modificare  il  contenuto  della
stessa ordinanza,  quand'anche  eccepiti  ma  non  fatti  propri  dal
giudice a quo (ex plurimis, sentenze n. 203, n. 172, n. 149, n.  147,
n. 119, n. 109, n. 49 e n. 35 del 2021, n. 35 del 2017 e n.  203  del
2016). 
    Da  queste  considerazioni  discende  l'estraneita'  rispetto  al
presente giudizio  di  legittimita'  costituzionale  delle  ulteriori
censure   sollevate   dalla   parte   privata   e   della   questione
interpretativa che essa chiede di sottoporre alla Corte di  giustizia
con istanza di rinvio pregiudiziale (sentenza n. 49 del 2021). 
    Quanto  alla  richiesta  di  autorimessione,  questa   Corte   ha
precisato che «[l]a possibilita'  che  [la  stessa]  sollevi  in  via
incidentale una questione davanti a se' si da' solo allorche'  dubiti
della legittimita' costituzionale di una  norma,  diversa  da  quella
impugnata, che sia chiamata necessariamente  ad  applicare  nell'iter
logico per arrivare alla decisione sulla questione che  le  e'  stata
sottoposta: in altri termini, si deve trattare di una  questione  che
si presenti pregiudiziale alla definizione della questione principale
e strumentale rispetto alla decisione da emanare (sentenze n. 122 del
1976, n. 195 del 1972 e n. 68 del 1961)» (sentenza n. 24 del 2018). 
    Nella specie, la questione avrebbe invece per oggetto  la  stessa
norma  denunciata  dal  rimettente,  in  quanto  ritenuta  lesiva  di
parametri diversi da quelli indicati  nell'ordinanza  di  rimessione,
sicche' deve escludersi la sussistenza del nesso di  pregiudizialita'
che consente a questa Corte di sollevare davanti a se' una  questione
in via incidentale (sentenza n. 203 del 2021). 
    4.- Ancora in via preliminare, deve essere precisato che la forma
della sentenza non definitiva, in luogo dell'ordinanza, quale atto di
promovimento del giudizio di legittimita' costituzionale, non inficia
di per se' l'ammissibilita' delle questioni con essa proposte. 
    Alla sentenza non definitiva puo' essere, infatti,  riconosciuto,
sul piano sostanziale, il  carattere  dell'ordinanza  di  rimessione,
sempre che il giudice a  quo  -  come  nel  caso  in  esame  -  abbia
disposto, in conformita' a quanto previsto dall'art. 23  della  legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione  e  sul  funzionamento
della  Corte  costituzionale),  la   sospensione   del   procedimento
principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria di questa
Corte,  dopo  aver  valutato  la  rilevanza  e   la   non   manifesta
infondatezza della  questione  (in  questi  termini,  tra  le  altre,
sentenze n. 112 del 2021 e n. 153 del 2020). 
    5.-  Prima  di  esaminare  il  merito  delle  questioni,  occorre
ricostruire la genesi della normativa censurata, che  va  letta  alla
luce dell'evoluzione della disciplina comunitaria  in  materia  e  di
quella interna di recepimento, con la precisazione che, sin  dal  suo
primo intervento nella materia in esame, il  legislatore  comunitario
ha  ritenuto  necessario  predisporre  un  quadro  normativo   comune
attraverso uno strumento normativo, la  direttiva,  che  consente  di
perseguire i suoi obiettivi valorizzando le specificita' dei  singoli
Stati  membri,  che  possono  diversamente  modulare  le   forme   di
realizzazione dello scopo indicato. 
    5.1.- Il  punto  di  partenza  di  questo  percorso  puo'  essere
individuato nella direttiva 89/440/CEE del Consiglio, del  18  luglio
1989, che modifica la direttiva 71/305/CEE che coordina le  procedure
di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici.  In  particolare,
l'art. 1, numero 2), della direttiva 89/440/CEE  aveva  aggiunto  una
serie di articoli nel corpo della direttiva 71/305/CEE del Consiglio,
del 26 luglio 1971 e, tra questi, l'art. 1-ter, paragrafo 2,  secondo
cui  «[l]'amministrazione   aggiudicatrice   puo':   -   imporre   al
concessionario di affidare  a  terzi  appalti  corrispondenti  a  una
percentuale minima del 30% del  valore  globale  dei  lavori  oggetto
della concessione, pur prevedendo la  facolta'  per  i  candidati  di
aumentare detta percentuale; questa percentuale minima deve  figurare
nel contratto di concessione di lavori; - oppure invitare i candidati
concessionari a dichiarare nelle loro  offerte  la  percentuale,  ove
sussista, del valore globale dei lavori oggetto della concessione che
essi intendono affidare a terzi». 
    Questa previsione si inseriva in  un  contesto  di  significative
innovazioni della disciplina de qua, nella quale  si  prevedeva,  tra
l'altro,  che  «[l]e  amministrazioni  aggiudicatrici  che  intendono
ricorrere alla concessione  di  lavori  pubblici  rendono  nota  tale
intenzione con un bando di gara», e che «[i] concessionari di  lavori
che non  sono  le  amministrazioni  aggiudicatrici  e  che  intendono
stipulare un appalto di lavori con un terzo, ai  sensi  dell'articolo
1-ter, paragrafo 4, fanno conoscere tale intenzione con un  bando  di
gara» (cosi', rispettivamente, paragrafi 3 e  4  dell'art.  12  della
direttiva 71/305/CEE, come novellato dall'art. 1,  numero  12,  della
direttiva 89/440/CEE). 
    Le due direttive citate  (71/305/CEE  e  89/440/CEE)  sono  state
abrogate dall'art. 36 della direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14
giugno 1993,  che  coordina  le  procedure  di  aggiudicazione  degli
appalti pubblici di lavori, a sua volta abrogata dall'art.  82  della
direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  31
marzo  2004,   relativa   al   coordinamento   delle   procedure   di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di  forniture  e  di
servizi. 
    L'art. 3, paragrafo 2, della  direttiva  93/37/CEE,  riproducendo
sostanzialmente quanto  gia'  disposto  dalla  direttiva  89/440/CEE,
stabiliva che «[l]'amministrazione aggiudicatrice puo': - imporre  al
concessionario  di  lavori  pubblici  di  affidare  a  terzi  appalti
corrispondenti a una percentuale minima del 30%  del  valore  globale
dei lavori oggetto della concessione, pur prevedendo la facolta'  per
i candidati di aumentare tale percentuale. Detta  percentuale  minima
deve figurare nel  contratto  di  concessione  di  lavori;  -  oppure
invitare i candidati concessionari a dichiarare nelle loro offerte la
percentuale, ove sussista, del  valore  globale  dei  lavori  oggetto
della concessione che essi intendono affidare a terzi». 
    Analogamente a quanto previsto  nella  direttiva  89/440/CEE,  si
prevedeva altresi' che la  concessione  di  lavori  pubblici  dovesse
avvenire previa pubblicazione di bando di gara  (art.  11,  paragrafo
3). 
    Nella  direzione  tracciata  dal   legislatore   comunitario   si
collocava anche l'art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109  (Legge
quadro in materia di  lavori  pubblici),  che,  gia'  nel  suo  testo
originario, trasformava in un obbligo la facolta'  -  prevista  dalla
normativa  comunitaria  -  per  l'amministrazione  aggiudicatrice  di
imporre al concessionario di lavori  pubblici  di  affidare  a  terzi
appalti corrispondenti a una data percentuale minima. In particolare,
si  prevedeva  che  i  «concessionari   di   lavori   pubblici,   [i]
concessionari di esercizio di infrastrutture  destinate  al  pubblico
servizio, [le] societa' con capitale pubblico, in  misura  anche  non
prevalente,  che  abbiano  ad  oggetto  della  propria  attivita'  la
produzione di beni o servizi non destinati ad  essere  collocati  sul
mercato in regime di libera concorrenza nonche', qualora  operino  in
virtu' di diritti speciali o esclusivi, [i] concessionari di  servizi
pubblici  e  [i]  soggetti  di  cui  alla  direttiva  93/38/CEE   del
Consiglio, del 14 giugno 1993», «sono obbligati ad appaltare a  terzi
i lavori pubblici  non  realizzati  direttamente  o  tramite  imprese
controllate [...]» (art. 2, commi 2, lettera b, e 4, della  legge  n.
109 del 1994). 
    Si prevedeva, altresi', una deroga, sia  pure  limitata  ai  soli
«tre anni successivi alla data  di  entrata  in  vigore  della  [...]
legge», nel senso che i soggetti di cui sopra potevano «far  eseguire
i lavori oggetto della concessione ad imprese collegate, nella misura
massima del 30 per cento» (art. 2, comma 5, della legge  n.  109  del
1994). 
    Il testo dell'art. 2 della legge n. 109 del 1994, prima di essere
abrogato dall'art. 256 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163
(Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE  e  2004/18/CE),  ha  subito
ripetute e significative  modifiche;  tra  queste  merita  di  essere
segnalata, ai fini del presente giudizio, quella operata dall'art. 7,
comma 1, lettera a), della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni
in materia di infrastrutture  e  trasporti),  che,  novellandolo,  ha
previsto,  fra  l'altro,  che  «[l]e  amministrazioni  aggiudicatrici
possono imporre ai concessionari di  lavori  pubblici,  con  espressa
previsione del contratto di concessione, di affidare a terzi  appalti
corrispondenti a una percentuale minima del 30 per cento  del  valore
globale dei lavori oggetto della concessione oppure possono  invitare
i  candidati  concessionari  a  dichiarare  nelle  loro  offerte   la
percentuale, ove sussista, del  valore  globale  dei  lavori  oggetto
della concessione  che  essi  intendono  affidare  a  terzi.  Per  la
realizzazione delle opere previste nelle convenzioni  gia'  assentite
alla data del 30 giugno 2002, ovvero rinnovate e prorogate  ai  sensi
della legislazione vigente, i concessionari sono tenuti ad  appaltare
a terzi una percentuale minima del 40 per cento dei lavori [...]». 
    La previsione dell'obbligo era mantenuta,  dunque,  solo  per  le
convenzioni  gia'  assentite  alla  data  del  30   giugno   2002   e
limitatamente a una percentuale minima  del  40  per  cento;  per  le
restanti concessioni, invece,  si  ritornava  alla  previsione  della
possibilita'  per  le  amministrazioni  aggiudicatrici   di   imporre
l'obbligo di affidamento per la misura minima del 30 per cento. 
    Tornando alla normativa comunitaria, la direttiva 93/37/CEE, come
detto, e' stata abrogata dall'art. 82 della direttiva  2004/18/CE.  A
sua  volta,  l'art.  60  di  quest'ultima,  rubricato   «Subappalto»,
ribadiva  quanto   gia'   previsto   nella   disciplina   comunitaria
previgente, stabilendo che «[l]'amministrazione aggiudicatrice  puo':
a) imporre al concessionario di lavori pubblici di affidare  a  terzi
appalti corrispondenti a una percentuale non  inferiore  al  30%  del
valore globale dei lavori oggetto della concessione,  pur  prevedendo
la facolta' per i candidati  di  aumentare  tale  percentuale;  detta
aliquota minima deve figurare nel contratto di concessione di lavori;
oppure b) invitare i candidati concessionari a dichiarare essi stessi
nelle loro offerte la percentuale, ove sussista, del  valore  globale
dei lavori oggetto della concessione che intendono affidare a terzi». 
    Questa direttiva veniva recepita con il d.lgs. n. 163  del  2006,
del quale rilevano, in questa sede, gli artt. 146 e 253, comma 25. 
    L'art. 146, rubricato «Obblighi e facolta' del concessionario  in
relazione  all'affidamento  a  terzi  di  una  parte   dei   lavori»,
riprendeva il contenuto dell'art. 60  della  direttiva  2004/18/CE  e
dell'ultima versione dell'art. 2, comma 3, della  legge  n.  109  del
1994, stabilendo che «[...] la stazione appaltante puo':  a)  imporre
al concessionario di lavori pubblici  di  affidare  a  terzi  appalti
corrispondenti ad una percentuale non inferiore  al  30%  del  valore
globale dei lavori oggetto della concessione.  Tale  aliquota  minima
deve figurare nel bando di gara e nel contratto  di  concessione.  Il
bando fa  salva  la  facolta'  per  i  candidati  di  aumentare  tale
percentuale; b) invitare i candidati a dichiarare nelle loro  offerte
la percentuale, ove sussista, del valore globale dei  lavori  oggetto
della concessione, che intendono appaltare a terzi». 
    Il  comma  25  dell'art.  253,  nell'ultimo  testo   in   vigore,
prevedeva,  invece,  un  regime  transitorio  per  «i   titolari   di
concessioni gia' assentite alla data del 30 giugno 2002, ivi comprese
quelle rinnovate o prorogate ai sensi della legislazione successiva»,
i quali erano «tenuti ad affidare a terzi una percentuale minima  del
60 per cento dei lavori, agendo, esclusivamente per  detta  quota,  a
tutti gli effetti come amministrazioni aggiudicatrici». 
    Dunque, la previsione dell'art. 146 operava  per  le  concessioni
affidate mediante gara (come si  deduce  dal  secondo  periodo  della
lettera a), mentre quella dell'art.  253,  comma  25,  concerneva  le
concessioni gia' assentite e quelle rinnovate o prorogate. 
    Da ultimo, la direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo  e  del
Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di
concessione, ha innovato  la  disciplina  della  materia  di  cui  si
discute. In particolare, in questa sede, rileva sia la previsione per
cui la nuova normativa europea trova applicazione, oltre che  per  le
concessioni di lavori, anche per le concessioni di  servizi,  sia  la
circostanza, rilevata anche dal rimettente, che la  stessa  normativa
non prevede un obbligo di esternalizzazione. 
    In definitiva, la disamina dell'evoluzione  normativa  a  livello
europeo  restituisce  l'immagine  di  una  disciplina   in   costante
oscillazione ma comunque piuttosto stabile nell'escludere un radicale
obbligo di affidamento a terzi,  finanche  per  le  concessioni  gia'
assentite, rinnovate o prorogate. 
    5.2.- Nella  cornice  normativa  cosi'  definita  si  colloca  il
censurato principio e criterio direttivo della legge di delega n.  11
del 2016, recante, tra  l'altro,  disposizioni  per  l'attuazione  di
alcune direttive e, tra queste, della citata direttiva 2014/23/UE. 
    L'art. 1, comma 1, lettera iii), della legge in  parola  prevede,
infatti, l'«obbligo per i soggetti pubblici e  privati,  titolari  di
concessioni di lavori o di servizi pubblici gia' esistenti o di nuova
aggiudicazione, di affidare una  quota  pari  all'80  per  cento  dei
contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di
importo superiore a  150.000  euro  mediante  procedura  ad  evidenza
pubblica». 
    Si stabilisce, inoltre,  «che  la  restante  parte  possa  essere
realizzata da societa' in house per i  soggetti  pubblici  ovvero  da
societa' direttamente o indirettamente controllate o collegate per  i
soggetti  privati,  ovvero  tramite  operatori  individuati  mediante
procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato». 
    Infine, si dispone che siano affidate all'ANAC le  «modalita'  di
verifica del rispetto di tali previsioni [...], introducendo clausole
sociali  per  la  stabilita'  del  personale  impiegato  e   per   la
salvaguardia delle professionalita' e prevedendo, per le  concessioni
gia' in essere, un periodo transitorio di adeguamento non superiore a
ventiquattro mesi ed escludendo dal predetto  obbligo  unicamente  le
concessioni in essere o  di  nuova  aggiudicazione  affidate  con  la
formula della finanza di progetto e le concessioni  in  essere  o  di
nuova aggiudicazione affidate  con  procedure  di  gara  ad  evidenza
pubblica  secondo  il  diritto  dell'Unione  europea  per  le   quali
continuano comunque ad  applicarsi  le  disposizioni  in  materia  di
affidamento di contratti di appalto vigenti alla data di  entrata  in
vigore della presente legge». 
    5.2.1.- Un tale principio e criterio direttivo non  era  presente
nel testo del disegno di legge presentato dal Governo al Senato della
Repubblica (AS n. 1678), comunicato alla Presidenza dell'Assemblea il
18  novembre   2014.   La   sua   introduzione   si   deve,   invece,
all'approvazione, nella seduta del 20 maggio 2015 dell'8a Commissione
permanente  del  Senato  (Lavori  pubblici,  comunicazioni),  di   un
emendamento,  presentato  dai  relatori  del   disegno   stesso.   In
particolare, nella  sua  primigenia  versione,  l'obbligo  concerneva
«tutti i contratti di  lavori,  servizi  e  forniture  relativi  alle
concessioni» e si prevedeva «un periodo  transitorio  di  adeguamento
non superiore a dodici mesi». 
    Anche il testo licenziato dall'Assemblea del Senato il 18  giugno
2015 - che pure limitava  la  portata  generale  della  disposizione,
circoscrivendone  l'applicabilita'  alle   concessioni   di   importo
superiore a 150.000 euro ed escludendo quelle affidate con la formula
della finanza di  progetto,  oltre  che  con  procedura  di  gara  ad
evidenza  pubblica  -  continuava  a  prevedere  che   l'obbligo   di
affidamento  mediante  procedura  ad  evidenza  pubblica  riguardasse
«tutti i contratti di lavori,  servizi  e  forniture  relativi»  alla
concessione. 
    Nel corso  dell'esame  del  disegno  di  legge  alla  Camera  dei
deputati la portata assoluta dell'obbligo e' stata sostituita con  la
previsione della misura dell'80 per cento dei  contratti  di  lavori,
servizi e forniture (stabilendo, peraltro, che  il  restante  20  per
cento possa essere realizzato da societa' in  house  per  i  soggetti
pubblici e  da  societa'  controllate  o  collegate  per  i  soggetti
privati), e la durata massima del periodo transitorio di  adeguamento
e' stata portata a ventiquattro mesi. 
    5.3.- La sostanza normativa del  suddetto  principio  e  criterio
direttivo (almeno per la parte qui  censurata)  e'  stata  pressoche'
integralmente riprodotta nell'art. 177, comma 1, del d.lgs. n. 50 del
2016. Il comma 2 di questo articolo ha  individuato  in  ventiquattro
mesi il termine del periodo di adeguamento,  conformemente  a  quanto
previsto nella legge di delega. Infine, il  comma  3  ha  rimesso  ad
apposite linee guida dell'ANAC il compito di definire le modalita' di
verifica del rispetto del limite di cui al comma  1,  prevedendo  una
penale «[n]el caso di reiterate situazioni di squilibrio per due anni
consecutivi». 
    In attuazione di quanto disposto da quest'ultimo comma, l'ANAC ha
approvato la delibera n. 614 del 2018, recante le linee guida n.  11,
impugnate dalla A2A nel giudizio amministrativo  di  prime  cure.  Le
suddette linee guida sono state poi oggetto di aggiornamento ad opera
della delibera 26 giugno 2019, n. 570  (Linee  Guida  n.  11  recanti
«Indicazioni  per  la  verifica  del  rispetto  del  limite  di   cui
all'articolo 177, comma 1, del codice, da parte dei soggetti pubblici
o privati titolari di  concessioni  di  lavori,  servizi  pubblici  o
forniture gia' in essere alla data di entrata in  vigore  del  codice
non affidate con la formula della  finanza  di  progetto  ovvero  con
procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione
europea»). 
    Il termine del periodo di  adeguamento,  previsto  dal  comma  2,
primo periodo, dell'art. 177, e'  stato  a  piu'  riprese  prorogato,
essendo stato differito al 31 dicembre 2019, al 31 dicembre 2020,  al
31 dicembre 2021 e, da ultimo - con l'art. 47-ter  del  decreto-legge
31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale  di  ripresa  e
resilienza  e  prime  misure   di   rafforzamento   delle   strutture
amministrative e di accelerazione  e  snellimento  delle  procedure),
convertito, con modificazioni, nella legge 29 luglio 2021, n.  108  -
al 31 dicembre 2022. 
    Intervenendo  in  sede  consultiva,  il  Consiglio  di  Stato  ha
ritenuto il relativo schema di decreto legislativo un  «coerente,  ma
parziale, recepimento del punto iii) della  legge  delega»  e  ne  ha
sottolineato «la efficacia  retroattiva  connessa  direttamente  alla
previsione» della stessa delega, in ragione della sua  applicabilita'
alle  sole  concessioni  gia'  in  essere  e  non  anche  alle  nuove
concessioni (cosi' Consiglio di  Stato,  adunanza  della  Commissione
speciale del 21 marzo 2016, parere 1°  aprile  2016,  n.  855,  sullo
«[s]chema  di  decreto  legislativo  recante  "Codice  degli  appalti
pubblici e dei contratti di concessione", ai sensi  dell'articolo  1,
comma 3, della legge 28 gennaio 2016, n. 11»). Con specifico riguardo
a questo profilo, il Consiglio di Stato ha aggiunto che per le  nuove
concessioni «il problema, a regime, potrebbe non porsi»,  in  ragione
del fatto «che, almeno in linea teorica, tutte le nuove  concessioni,
affidate dopo l'entrata  in  vigore  del  codice,  dovrebbero  essere
affidate  con  la  formula  della  finanza  di  progetto  ovvero  con
procedura di gara ad evidenza pubblica». 
    Proprio quest'ultima considerazione avvalora  la  dichiarata  (in
sede  di  lavori  parlamentari)  ratio  dell'intervento   legislativo
realizzato attraverso le disposizioni censurate; non  sembra  esservi
dubbio, infatti, sulle finalita' perseguite dal legislatore delegante
e realizzate da quello delegato, costituendo l'art. 177 «la  conferma
della necessita' di imporre regole concorrenziali, seppure  a  valle,
in una certa misura, quando sono mancate le gare a monte» (in  questi
termini, Consiglio di Stato, sezione prima, parere 28 aprile 2020, n.
823, reso su richiesta del Ministero dell'economia  e  delle  finanze
sullo  «[s]chema  di  contratto  standard  per  l'affidamento   della
progettazione, costruzione e gestione di opere  pubbliche  a  diretto
utilizzo della pubblica amministrazione da realizzare in partenariato
pubblico-privato»). 
    6.- Alla luce dell'inquadramento normativo  fin  qui  operato  e'
possibile affrontare innanzitutto il profilo  della  rilevanza  delle
questioni di legittimita' costituzionale della  normativa  censurata.
L'odierno rimettente si trova a dover decidere sull'appello  promosso
dalla A2A avverso la sentenza del TAR Lazio n. 9309 del 2019, con  la
quale - come detto - e' stato  dichiarato  inammissibile  il  ricorso
promosso dalla stessa societa' nei confronti delle linee guida n. 11,
attuative dell'art. 177, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016. 
    Dopo aver superato le ragioni, ritenute  non  condivisibili,  che
avevano   portato   il   giudice   di   primo   grado   a   escludere
l'ammissibilita' del ricorso di A2A, il Consiglio di Stato esamina in
via  preliminare  le  eccezioni  di   illegittimita'   costituzionale
prospettate dalla ricorrente e, con la sentenza non definitiva con la
quale decide l'ammissibilita' del ricorso, le accoglie - sia pure  in
parte   -   sollevando   le   odierne   questioni   di   legittimita'
costituzionale sul principio e  criterio  direttivo  contenuto  nella
legge di  delega  e  sulla  norma  recata  dal  decreto  legislativo,
muovendo  dal  presupposto  dell'identita'  sostanziale   delle   due
disposizioni censurate. 
    Il  Consiglio  di  Stato  ha  pertanto  motivato  in   modo   non
implausibile la rilevanza delle questioni prospettate;  ne',  d'altra
parte, alcuna eccezione di inammissibilita' e' formulata al  riguardo
dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    7.- Quanto al merito delle censure, occorre anzitutto  verificare
la  praticabilita'  dell'interpretazione  conforme  a   Costituzione,
patrocinata, come primo argomento difensivo, dalla A2A. 
    7.1.- Si tratta,  invero,  di  un  percorso  interpretativo  gia'
esplorato dal  rimettente,  che  ne  ha  escluso  la  praticabilita',
ritenendo che «la pur suggestiva  interpretazione  costituzionalmente
orientata [...] proposta da A2A» si scontrerebbe, sia con  il  tenore
letterale  delle   disposizioni   censurate,   sia   con   la   ratio
dell'intervento legislativo, finendo  con  il  rimettere  «alla  sola
volonta' del concessionario» la scelta  sull'esternalizzazione  senza
alcuna indicazione dei «criteri, oggettivi e  inequivoci»,  cui  tale
decisione dovrebbe essere improntata. 
    Come viene ricordato nell'atto di promovimento, la tesi  proposta
dall'appellante e' stata gia'  respinta  dallo  stesso  Consiglio  di
Stato in sede consultiva,  in  occasione  sia  del  parere  reso  sul
decreto correttivo al  codice  dei  contratti  pubblici  (Commissione
speciale, parere 30 marzo 2017, n. 782), sia di  quello  sulle  linee
guida ANAC n. 11 (Commissione speciale, parere  20  giugno  2018,  n.
1582). 
    7.2.-  Nell'atto  di  costituzione   nell'odierno   giudizio   di
legittimita' costituzionale la A2A - con  uno  sforzo  interpretativo
chiaramente volto a limitare la portata della normativa  censurata  -
ritiene possibile leggere la disposizione di  cui  all'art.  177  nel
senso che «l'obbligo di affidare mediante procedura di gara [...]  si
applichi solo all'80% delle attivita' oggetto  della  concessione  (e
non delle prestazioni a esse funzionali/strumentali) che  per  scelta
il concessionario dovesse affidare a terzi». 
    In  tal  senso  deporrebbero  sia   il   dato   letterale   della
disposizione (che fa riferimento ai «contratti  [...]  relativi  alle
concessioni»), sia la salvezza accordata, nel suo incipit, all'art. 7
cod. contratti pubblici, che consente l'affidamento diretto a imprese
collegate. Cio' che confermerebbe l'intenzione del legislatore di non
riferire le percentuali dell'80 e del 20 per cento al complesso delle
attivita' oggetto della concessione, ma solo a quelle che  lo  stesso
concessionario intenda esternalizzare. 
    7.3.- In  senso  ostativo  a  tale  lettura  militano,  tuttavia,
diverse  ragioni,   desumibili,   in   primis,   dall'interpretazione
letterale delle disposizioni de quibus. Da questo punto di vista,  il
dato letterale risulta inequivoco nel riferire la  quota  percentuale
da  affidare  mediante  procedura  a  evidenza  pubblica  a  tutti  i
contratti di lavori, servizi e forniture relativi alla concessione di
cui si discute. 
    Ne' ad esiti  differenti  si  perviene  seguendo  altri  approcci
ermeneutici.  Si  e'  gia'  detto  della  ragione  storica   che   ha
caratterizzato l'evoluzione normativa in materia e,  in  particolare,
la  disciplina  oggi  censurata,  diretta,  in  tutta   evidenza,   a
recuperare a valle il deficit di concorrenza  registrato  al  momento
dell'affidamento della concessione, in linea con il  crescente  favor
espresso dal  legislatore  europeo  e  interno  nei  confronti  delle
procedure pro-concorrenziali. 
    Nemmeno sul  piano  dell'interpretazione  sistematica  sembra  di
poter pervenire a conclusioni diverse. Al riguardo, come questa Corte
ha avuto modo di precisare in relazione  al  divieto  del  cosiddetto
gold  plating,  si  registra  «una  linea  restrittiva  del   ricorso
all'affidamento diretto che e' costante  nel  nostro  ordinamento  da
oltre dieci anni, e che costituisce la  risposta  all'abuso  di  tale
istituto da parte delle  amministrazioni  nazionali  e  locali,  come
emerge dalla relazione AIR  dell'Autorita'  nazionale  anticorruzione
(ANAC), relativa alle Linee guida per l'istituzione dell'elenco delle
amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano
mediante affidamenti diretti nei confronti  di  proprie  societa'  in
house, ai sensi dell'art. 192  del  codice  dei  contratti  pubblici»
(sentenza n. 100 del 2020). 
    Di particolare significato  risultano,  infine,  le  affermazioni
contenute  nei  due  pareri  del  Consiglio   di   Stato   richiamati
dall'odierno rimettente. 
    Nel primo (parere n. 782 del 2017),  relativo  alle  disposizioni
integrative e correttive al d.lgs. n. 50 del 2016,  il  Consiglio  di
Stato  ha  posto  come  condizione  della  legittimita'  del  decreto
correttivo l'espunzione dal testo  (poi  avvenuta)  della  previsione
secondo cui l'art. 177 non avrebbe dovuto riguardare la  manutenzione
ordinaria o i  contratti  eseguiti  direttamente  dai  concessionari,
giacche'   un   tale   «importante   temperamento   dell'obbligo   di
esternalizzazione dell'80%» sarebbe risultato «in  evidente  distonia
con il criterio di  delega  di  cui  alla  lett.  iii)  del  comma  1
dell'art. 1 della legge n. 11 del 2016». 
    Nel secondo parere (n. 1582 del 2018), reso sullo schema di linee
guida successivamente approvate con la delibera n. 614 del  2018,  si
afferma con altrettanta chiarezza che «non puo' essere condivisa»  la
tesi riferita dall'ANAC e sostenuta da  alcuni  stakeholder,  secondo
cui la quota percentuale dovrebbe avere a riferimento  «non  gia'  il
totale  delle   prestazioni   oggetto   dell'originaria   concessione
comprensive del valore delle prestazioni effettuate in proprio [...],
ma le sole  prestazioni  che  il  concessionario  non  e'  capace  di
svolgere direttamente e per le  quali  sia  gia'  intervenuta,  o  si
intenda adottare, una  esternalizzazione  a  mezzo  di  contratti  di
appalto stipulati con societa' in house,  collegate  o  comunque  con
altri soggetti privati». 
    Nel medesimo parere, nondimeno, il  Consiglio  di  Stato  precisa
come - stante l'impraticabilita' di un'interpretazione che escluda la
produzione  in  proprio  dal  computo  della  quota  percentuale   da
esternalizzare -  «non  si  [possa]  al  contempo  non  segnalare  la
sussistenza di alcuni dubbi di costituzionalita'  della  norma  cosi'
interpretata»,  individuando  una  «contraddizione  con  i   principi
scaturenti dall'art. 41 Cost.». 
    7.4.-  Per  le  ragioni  anzidette  si  deve  quindi  ritenere  -
conformemente  a  quanto  sostenuto  dal  rimettente  -  che   quella
avversata dall'appellante  sia  l'unica  interpretazione  plausibile,
oltre che conforme al criterio direttivo di cui alla legge delega. 
    8.- Le questioni sollevate in riferimento  agli  artt.  3,  primo
comma, e 41, primo comma, Cost. sono fondate. 
    8.1.- Le articolate censure mosse dal rimettente  in  riferimento
agli  indicati  parametri   costituzionali   possono   essere   cosi'
sintetizzate. 
    Innanzitutto, il Consiglio di  Stato  ritiene  che  l'obbligo  di
dismissione  totalitaria  previsto  dalle   disposizioni   di   legge
censurate, ancorche' finalizzato a sanare l'originario contrasto  con
i  principi  comunitari  di  libera  concorrenza   determinatosi   in
occasione dell'affidamento senza gara della concessione,  si  traduca
in un impedimento assoluto  e  definitivo  a  proseguire  l'attivita'
economica privata, comunque intrapresa ed esercitata in  base  ad  un
titolo  amministrativo  legittimo  sul  piano  interno,  secondo   le
disposizioni di legge all'epoca vigenti, con  conseguente  violazione
dell'art. 41 Cost. 
    Le norme censurate determinerebbero, altresi',  uno  snaturamento
del ruolo del privato concessionario, ridotto, secondo il rimettente,
a mera stazione appaltante in contrasto sempre con l'art. 41 Cost. 
    La scelta legislativa operata con le norme censurate non  sarebbe
inoltre equilibrata, risultando  in  essa  del  tutto  trascurate  le
legittime aspettative dei concessionari - contrapposte  a  quelle  di
tutela della concorrenza e del mercato -  di  proseguire  l'attivita'
economica  in  corso  di  svolgimento,  con  conseguente   violazione
dell'art. 3 Cost. 
    Sarebbe infine illegittima, sempre in  riferimento  al  parametro
costituzionale da ultimo indicato, la previsione di un  indistinto  e
generalizzato  obbligo  di   dismissione   «indipendentemente   dalla
effettiva dimensione della struttura imprenditoriale che gestisce  la
concessione, dall'oggetto e dall'importanza  del  settore  strategico
cui si riferisce la concessione, oltre che dal suo valore economico e
dal fatto che il contratto di concessione fosse ancora in  vigore  al
momento dell'entrata in vigore dell'art. 177 D.Lgs. n. 50  del  2016,
ovvero se  la  concessione  fosse  scaduta  e  che  versasse  in  una
situazione di proroga, di fatto o meno». 
    8.2.- Come si evince dalla sintetica  descrizione  delle  censure
formulate  dal  rimettente,  le  questioni  prospettate  nell'odierno
giudizio in  riferimento  all'art.  41  Cost.  sono  legate  in  modo
pressoche' inscindibile a quelle elaborate con riferimento all'art. 3
Cost., ritenendo, il giudice  a  quo,  che  nel  caso  di  specie  la
limitazione della liberta' di iniziativa economica privata  derivante
dalle norme censurate trasmodi intollerabilmente in una irragionevole
compressione di detta liberta'. 
    Tale lettura appare coerente con la giurisprudenza costituzionale
in  tema  di  restrizioni  della  liberta'  di  iniziativa  economica
privata,   che   ne   ha   individuato   il    limite    insuperabile
nell'arbitrarieta'     e     nell'incongruenza     -     e     quindi
nell'irragionevolezza  -  delle  misure  restrittive   adottate   per
assicurare   l'utilita'   sociale.   Questa   Corte   ha,    infatti,
«costantemente  negato  che  sia  "configurabile  una  lesione  della
liberta' d'iniziativa economica allorche' l'apposizione di limiti  di
ordine generale al suo esercizio corrisponda  all'utilita'  sociale",
oltre, ovviamente, alla protezione di valori primari  attinenti  alla
persona umana, ai sensi dell'art. 41, secondo comma, Cost.,  purche',
per un verso,  l'individuazione  dell'utilita'  sociale  "non  appaia
arbitraria" e, "per altro verso, gli interventi del  legislatore  non
la perseguano mediante misure palesemente  incongrue"  (ex  plurimis,
sentenze n. 247 e n. 152 del 2010; n. 167 del 2009)» (sentenza n.  56
del 2015). 
    Le censure prospettate in riferimento agli artt. 3, primo  comma,
e  41,  primo  comma,   Cost.   possono   quindi   essere   esaminate
congiuntamente. 
    8.3.- Nel caso oggetto del presente giudizio, i vincoli frapposti
dalle norme denunciate alla  piena  esplicazione  della  liberta'  di
iniziativa economica non consistono, come piu' frequentemente accade,
in misure che, al fine di assicurarne l'utilita' o  i  fini  sociali,
limitano il normale dispiegarsi di tale liberta' in  un  ambiente  di
libera  concorrenza  tra  imprese,  ma  sono  costituiti  da   misure
espressamente  dirette  a  favorire  l'apertura   alla   concorrenza,
attraverso la restituzione al mercato di  segmenti  di  attivita'  ad
esso sottratti, in quanto oggetto di concessioni a suo tempo affidate
senza gara alle imprese concessionarie. A questo fine e' precisamente
orientato,  come  visto,  l'obbligo  imposto  ai   concessionari   di
esternalizzare,  mediante  affidamenti  a  terzi  con  procedura   di
evidenza  pubblica,  l'80  per  cento  dei  contratti  relative  alle
concessioni, nonche' di realizzare la restante parte tramite societa'
in house, quanto ai  soggetti  pubblici,  o  societa'  controllate  o
collegate, quanto  ai  soggetti  privati,  ovvero  tramite  operatori
individuati mediante procedura ad evidenza pubblica,  anche  di  tipo
semplificato. 
    In questo contesto, cio' di cui il  rimettente  si  duole  e'  la
ritenuta eccessiva gravosita' di un intervento legislativo  che,  pur
perseguendo  l'apprezzabile  finalita'  di  assicurare   la   massima
apertura possibile al mercato delle commesse pubbliche -  quindi  una
finalita' che attiene proprio al libero esercizio  dell'attivita'  di
impresa - avrebbe oltrepassato i limiti segnati dalla ragionevolezza,
imponendo un obbligo generalizzato  di  affidamento  all'esterno  con
procedura ad evidenza pubblica della  gran  parte  dei  contratti  di
lavori, servizi e forniture relativi  alle  concessioni  affidate  in
passato in via diretta e di dismissione, comunque a favore di imprese
formalmente distinte, anche della restante parte. Con la  conseguenza
che il concessionario,  anziche'  poter  decidere  se  eseguire  esso
stesso o esternalizzare, in tutto o in parte, le prestazioni  oggetto
della concessione, e' obbligato ad affidarle nella loro  totalita'  a
terzi, cio' che finirebbe  per  snaturare  la  sua  stessa  attivita'
imprenditoriale, ridotta in  questo  modo  all'attivita'  burocratica
propria di una stazione appaltante. 
    La  liberta'  di  iniziativa  economica  privata  risulta   cosi'
invocata dal  giudice  a  quo  quale  limite  "interno"  alle  misure
finalizzate ad assicurare  la  concorrenza,  esse  stesse  dirette  a
garantire la medesima liberta' di iniziativa economica. 
    8.4.- Questa Corte e' dunque chiamata a verificare in che  misura
la liberta' di iniziativa economica garantita dall'art. 41 Cost. - da
leggere oggi anche alla luce dei Trattati e, in generale, del diritto
dell'Unione europea, costituito,  per  quanto  qui  interessa,  dalla
normativa di cui si e' descritta sopra l'evoluzione  -  possa  essere
limitata in nome della tutela della concorrenza, la quale, in  quanto
funzionale al libero  esplicarsi  dell'attivita'  di  impresa,  trova
nella medesima previsione il suo fondamento  costituzionale  (tra  le
piu' recenti, sentenze n. 129 e n. 7 del 2021, e n. 168 del 2020). 
    In questa prospettiva, libera iniziativa economica  e  limiti  al
suo esercizio devono costituire oggetto, nel  quadro  della  garanzia
offerta dall'art. 41 Cost. - considerato sia  nel  suo  primo  comma,
espressamente  individuato   dal   rimettente   come   parametro   di
legittimita' costituzionale, sia nei due commi successivi che,  della
invocata liberta', definiscono portata e limiti -  di  una  complessa
operazione di bilanciamento. In essa  vengono  in  evidenza,  per  un
verso, il contesto sociale ed economico di riferimento e le  esigenze
generali del mercato in cui si realizza la liberta'  di  impresa,  e,
per  altro  verso,  le  legittime  aspettative  degli  operatori,  in
particolare  quando  essi  abbiano  dato   avvio,   sulla   base   di
investimenti e di programmi, a un'attivita' imprenditoriale in  corso
di svolgimento. E al riguardo si  deve  sottolineare  che  uno  degli
aspetti caratterizzanti della liberta'  di  iniziativa  economica  e'
costituito dalla possibilita' di scelta  spettante  all'imprenditore:
scelta dell'attivita' da svolgere, delle modalita' di reperimento dei
capitali, delle forme di organizzazione della stessa  attivita',  dei
sistemi  di  gestione  di   quest'ultima   e   delle   tipologie   di
corrispettivo. 
    Se, dunque, legittimamente in base a quanto previsto all'art.  41
Cost., il legislatore puo' intervenire a  limitare  e  conformare  la
liberta' d'impresa in funzione di  tutela  della  concorrenza,  nello
specifico ponendo rimedio ex post al  vulnus  conseguente  a  passati
affidamenti diretti avvenuti al di fuori delle regole del mercato, il
perseguimento di tale finalita' incontra pur sempre il  limite  della
ragionevolezza  e  della  necessaria  considerazione  di  tutti   gli
interessi coinvolti. La liberta' d'impresa non puo'  subire  infatti,
nemmeno in ragione del doveroso obiettivo di piena realizzazione  dei
principi della concorrenza, interventi che ne determinino un radicale
svuotamento, come avverrebbe nel caso di un completo sacrificio della
facolta' dell'imprenditore di compiere le  scelte  organizzative  che
costituiscono tipico oggetto della stessa attivita' d'impresa. 
    8.5.- Alla luce delle considerazioni svolte, si deve ritenere che
la previsione dell'obbligo a carico dei titolari di concessioni  gia'
in essere, non assegnate con la formula della finanza di  progetto  o
con  procedure  a  evidenza  pubblica,  di   affidare   completamente
all'esterno l'attivita' oggetto di concessione - mediante  appalto  a
terzi dell'80 per  cento  dei  contratti  inerenti  alla  concessione
stessa e  mediante  assegnazione  a  societa'  in  house  o  comunque
controllate o collegate del restante 20 per cento -  costituisca  una
misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo  fine
perseguito, in  quanto  tale  lesiva  della  liberta'  di  iniziativa
economica,  con  la  conseguenza  dell'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 177, comma 1, del d.lgs. n. 50  del  2016  e  dell'art.  1,
comma 1, lettera iii), della legge n. 11  del  2016,  per  violazione
degli artt. 3, primo comma, e 41, primo comma, Cost. 
    8.5.1.-  L'irragionevolezza  dell'obbligo  censurato  si  collega
innanzitutto alle dimensioni del suo oggetto: come  detto,  la  parte
piu' grande delle attivita' concesse deve essere appaltata a terzi  e
la modesta percentuale restante non  puo'  comunque  essere  compiuta
direttamente. L'impossibilita' per l'imprenditore  concessionario  di
conservare  finanche  un  minimo  di  residua   attivita'   operativa
trasforma la natura stessa della sua attivita' imprenditoriale, e  lo
tramuta da soggetto (piu' o meno direttamente) operativo in  soggetto
preposto ad attivita' esclusivamente burocratica  di  affidamento  di
commesse, cioe', nella sostanza, in una stazione appaltante. Ne' vale
in proposito osservare che resterebbero comunque garantiti i profitti
della  concessione,   giacche',   anche   a   prescindere   da   ogni
considerazione di merito al riguardo, e'  evidente  che  la  garanzia
della liberta' di impresa non investe  soltanto  la  prospettiva  del
profitto ma attiene anche, e ancor prima, alla liberta' di  scegliere
le attivita' da intraprendere e le modalita' del loro svolgimento. 
    Al riguardo giova richiamare quanto affermato  da  questa  Corte,
secondo cui «[n]on e' [...] contestabile che la  garanzia  posta  nel
primo  comma  [dell'art.  41  Cost.]  nell'ambito  circoscritto   dai
successivi due capoversi riguarda non soltanto la  fase  iniziale  di
scelta  dell'attivita',  ma  anche  i  successivi  momenti  del   suo
svolgimento;  ed  e'  ugualmente  certo  che,   poiche'   l'autonomia
contrattuale  in  materia   commerciale   e'   strumentale   rispetto
all'iniziativa economica, ogni limite posto alla prima si risolve  in
un  limite  della  seconda,  ed  e'  legittimo,  percio',   solo   se
preordinato al raggiungimento degli scopi previsti o consentiti dalla
Costituzione» (sentenza n. 30 del 1965). 
    Un ulteriore indice della  irragionevolezza  del  vincolo,  cosi'
come definito dalla previsione censurata,  e'  costituito  dalla  sua
mancata  differenziazione  o  graduazione  in  ragione  di   elementi
rilevanti, nel ricordato  bilanciamento,  per  l'apprezzamento  dello
stesso interesse della concorrenza, quali fra gli altri le dimensioni
della concessione - apparendo  a  tale  fine  di  scarso  rilievo  la
prevista soglia di applicazione alle concessioni di importo superiore
a 150.000 euro, normalmente  superata  dalla  quasi  totalita'  delle
concessioni  -,  le   dimensioni   e   i   caratteri   del   soggetto
concessionario, l'epoca di assegnazione  della  concessione,  la  sua
durata, il suo oggetto e il suo valore economico. 
    Nello  stabilire  un  obbligo  di  tale  incisivita'  e  ampiezza
applicativa il legislatore ha poi omesso  del  tutto  di  considerare
l'interesse dei concessionari che, per quanto possano godere  tuttora
di una posizione di favore derivante dalla  concessione  ottenuta  in
passato, esercitano nondimeno un'attivita' di impresa  per  la  quale
hanno sostenuto investimenti e fatto programmi, riponendo un relativo
affidamento  nella  stabilita'  del  rapporto   instaurato   con   il
concedente. Affidamento  che  riguarda,  inoltre,  anche  al  di  la'
dell'impresa  e  delle  sue  sorti,  la  prestazione  oggetto   della
concessione, e quindi l'interesse  del  concedente,  degli  eventuali
utenti del servizio, nonche'  del  personale  occupato  nell'impresa.
Interessi tutti che, per quanto comprimibili  nel  bilanciamento  con
altri ritenuti meritevoli di protezione da parte del legislatore, non
possono  essere  tuttavia  completamente  pretermessi,  come  risulta
essere accaduto invece nella scelta legislativa in esame. 
    8.5.2.- Per queste stesse ragioni, l'introduzione di  un  obbligo
radicale e generalizzato di esternalizzazione, come  quello  disposto
nella normativa censurata, non supera nemmeno - nello  scrutinio  del
bilanciamento operato fra diritti  di  pari  rilievo  -  la  doverosa
verifica di proporzionalita'. 
    Per quanto la misura prevista possa in astratto  apparire  idonea
rispetto al fine di ripristinare condizioni di piena concorrenza, non
si puo' certo  dire  che  con  essa  il  legislatore  abbia  dato  la
preferenza al "mezzo piu' mite" fra quelli idonei  a  raggiungere  lo
scopo, scegliendo, fra i vari strumenti a  disposizione,  quello  che
determina il sacrificio minore (sentenze n. 202 del 2021, n. 119  del
2020 e n. 179 del 2019). 
    In questa logica, lo stesso legislatore sarebbe  stato  tenuto  a
perseguire l'obiettivo di tutela della  concorrenza,  non  attraverso
una misura radicale  e  ad  applicazione  indistinta,  ma  calibrando
l'obbligo  di  affidamento  all'esterno  sulle   varie   e   alquanto
differenziate situazioni concrete, attenuandone  la  radicalita',  se
del caso attraverso una modulazione dei tempi, ovvero limitandolo  ed
escludendolo, ad  esempio,  laddove  la  posizione  del  destinatario
apparisse particolarmente meritevole di  protezione,  e  comunque  in
definitiva dando evidenza alle circostanze rilevanti in  funzione  di
un adeguato bilanciamento dei due diversi aspetti della  liberta'  di
impresa, costituiti,  come  visto,  dalla  aspirazione  a  proseguire
un'attivita' in atto, da un lato, e dall'esigenza  di  assicurare  la
piena concorrenza, dall'altro. 
    In conclusione, se la previsione legislativa di obblighi a carico
dei titolari delle concessioni in essere, a  suo  tempo  affidate  in
maniera non concorrenziale, puo' risultare necessaria nella  corretta
prospettiva di ricondurre al mercato settori  di  attivita'  ad  esso
sottratti, le misure da assumere a tale fine non possono  non  tenere
conto di tutto il quadro degli interessi  rilevanti  e  operarne  una
ragionevole composizione, nella  consapevolezza  della  complessita',
come visto, delle scelte  inerenti  alla  tutela  da  accordare  alla
liberta' di iniziativa economica. Complessita' - e quindi difficolta'
nella concreta composizione a sistema degli interessi in gioco - che,
d'altra parte, non sembra essere sfuggita  allo  stesso  legislatore,
che ha prorogato piu' volte il termine per l'adeguamento, fissandolo,
da ultimo, al 31 dicembre 2022. 
    9.- Dall'illegittimita' costituzionale dell'art.  177,  comma  1,
del d.lgs. n. 50 del 2016 deriva l'illegittimita' costituzionale  dei
successivi commi 2 e 3. Come precisato  in  precedenza,  il  comma  2
fissa  il  termine  per  l'adeguamento  delle  concessioni  a  quanto
previsto dal comma 1, mentre il comma 3 disciplina  la  verifica  del
rispetto dei limiti di cui al predetto comma 1.  Le  disposizioni  di
cui ai commi 2 e 3 integrano dunque la normativa recata dal comma  1,
costituendo un insieme organico, espressivo di una  logica  unitaria,
che trova il suo fulcro  nell'obbligo  di  affidamento  previsto  nel
comma 1, e devono pertanto seguire la stessa sorte. 
    Va percio'  dichiarata  in  via  consequenziale  l'illegittimita'
costituzionale delle restanti disposizioni dell'art. 177, commi  2  e
3, del d.lgs. n. 50 del 2016. 
    10.- Sono assorbite le  censure  prospettate  dal  rimettente  in
riferimento all'art. 97, secondo comma, Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
lettera iii), della legge 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al  Governo
per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e  2014/25/UE
del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  del  26  febbraio  2014,
sull'aggiudicazione  dei  contratti  di  concessione,  sugli  appalti
pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori
dell'acqua,  dell'energia,  dei  trasporti  e  dei  servizi  postali,
nonche' per il  riordino  della  disciplina  vigente  in  materia  di
contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e  forniture)   e
dell'art. 177, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50
(Codice dei contratti pubblici); 
    2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 177, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 50 del 2016. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 ottobre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattrice 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 
 
                                                            Allegato: 
                       Ordinanza letta all'udienza del 5 ottobre 2021 
 
                              ORDINANZA 
 
    Visti   gli   atti   relativi   al   giudizio   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera  iii),  della  legge  28
gennaio 2016, n.  11  (Deleghe  al  Governo  per  l'attuazione  delle
direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento  europeo
e del  Consiglio,  del  26  febbraio  2014,  sull'aggiudicazione  dei
contratti di concessione, sugli appalti pubblici  e  sulle  procedure
d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua,  dell'energia,
dei trasporti e dei servizi postali, nonche' per  il  riordino  della
disciplina vigente  in  materia  di  contratti  pubblici  relativi  a
lavori, servizi e forniture) e dell'art. 177, comma  1,  del  decreto
legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice  dei  contratti  pubblici),
promosso con sentenza non definitiva del Consiglio di Stato,  sezione
quinta, del 19 agosto 2020 (r. o. n. 166 del 2020). 
    Rilevato che nel giudizio sono  intervenuti  ad  adiuvandum,  con
distinti atti, e-distribuzione spa e l'Associazione italiana societa'
concessionarie autostrade e trafori (AISCAT); 
    che e-distribuzione spa  espone:  di  essere  concessionaria  del
servizio pubblico di distribuzione di energia elettrica su gran parte
del territorio nazionale;  di  aver  partecipato  alla  consultazione
indetta dall'Autorita' nazionale anticorruzione (ANAC) per l'adozione
delle linee guida di attuazione del censurato  art.  177;  di  essere
destinataria di queste  ultime  e  di  averle  impugnate  dinanzi  al
Tribunale  amministrativo  regionale  per  il   Lazio   con   ricorso
dichiarato inammissibile; 
    che AISCAT  espone:  di  essere  un'associazione  delle  societa'
concessionarie nell'ambito delle autostrade e dei  trafori;  di  aver
impugnato le anzidette linee guida dinanzi al TAR Lazio  con  ricorso
dichiarato inammissibile; di aver  proposto  appello  avverso  questa
decisione dinanzi al Consiglio di Stato, che ha sospeso  il  giudizio
in attesa del pronunciamento di questa Corte sulle odierne  questioni
di legittimita' costituzionale; 
    che, per tali ragioni,  entrambe  le  intervenienti  assumono  di
essere  legittimate  ad  intervenire,  in  quanto  portatrici  di  un
interesse immediato e diretto  al  rapporto  sostanziale  dedotto  in
giudizio. 
    Considerato che l'art. 4, comma 7, delle Norme integrative per  i
giudizi davanti  alla  Corte  costituzionale  stabilisce  che  «[n]ei
giudizi in via incidentale  possono  intervenire  i  titolari  di  un
interesse qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al
rapporto dedotto in giudizio»; e che tale disposizione  recepisce  la
costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 128
e n. 46 del 2021; ordinanza allegata alla sentenza n. 180 del  2021),
secondo cui la partecipazione al giudizio incidentale di legittimita'
costituzionale e' circoscritta, di norma, alle parti del  giudizio  a
quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e,  nel  caso
di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4
delle Norme integrative); 
    che,   pertanto,   l'incidenza   sulla    posizione    soggettiva
dell'interveniente deve derivare non gia', come per  tutte  le  altre
situazioni sostanziali disciplinate  dalla  disposizione  denunciata,
dalla pronuncia di questa  Corte  sulla  legittimita'  costituzionale
della legge stessa, ma dall'immediato  effetto  che  detta  pronuncia
produce sul rapporto sostanziale  oggetto  del  giudizio  a  quo  (ex
multis, sentenze n. 46 del 2021, n. 98 del 2019 e n. 345 del 2005); 
    che, nel caso in esame, gli intervenienti non sono titolari di un
interesse  direttamente  riconducibile   all'oggetto   del   giudizio
principale, bensi' di un interesse  riflesso  all'accoglimento  della
questione; 
    che,  pertanto,  gli  interventi   di   e-distribuzione   spa   e
dell'Associazione  italiana  societa'  concessionarie  autostrade   e
trafori (AISCAT) devono essere dichiarati inammissibili. 
 
                          Per Questi Motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibili gli interventi di  e-distribuzione  spa  e
dell'Associazione  italiana  societa'  concessionarie  autostrade   e
trafori (AISCAT). 
 
                F.to: Giancarlo Coraggio, Presidente