N. 238 SENTENZA 20 ottobre - 7 dicembre 2021

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Sospensione dell'esecuzione delle pene  detentive
  - Divieto nei confronti dei condannati per delitto di  contrabbando
  di tabacchi lavorati esteri aggravato -  Denunciata  disparita'  di
  trattamento,  irragionevolezza  e  violazione  del  principio   del
  necessario finalismo rieducativo della pena - Non fondatezza  delle
  questioni. 
- Codice di procedura penale, art. 656, comma 9, lettera a). 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma. 
(GU n.49 del 9-12-2021 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 656,  comma
9, lettera a), del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale
ordinario di Napoli, nel procedimento penale a carico di G.  R.,  con
ordinanza del  19  marzo  2020,  iscritta  al  n.  189  del  registro
ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 1, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 20 ottobre  2021  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 20 ottobre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 19 marzo 2020 (reg. ord. n. 189 del  2020),
il  Tribunale  ordinario  di  Napoli  ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera  a),  del
codice di procedura penale, nella parte  in  cui  stabilisce  che  la
sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5  della  medesima  norma
non puo' essere disposta nei confronti dei condannati per  i  delitti
di cui all'art. 4-bis della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative della liberta'), con riferimento al delitto di
cui all'art. 291-ter, comma  1,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle
disposizioni legislative in materia doganale), per contrasto con  gli
artt. 3 (recte: art. 3, primo comma) e  27  (recte:  art.  27,  terzo
comma), della Costituzione. 
    1.1.- Il giudice a  quo  premette  che  il  procedimento  attiene
all'istanza di revoca dell'ordine di esecuzione della  pena  di  anni
uno e  mesi  quattro  di  reclusione,  irrogata  per  il  delitto  di
trasporto di tabacchi lavorati esteri del peso di chilogrammi  195,2,
occultati all'interno di un autoveicolo,  con  l'aggravante  di  aver
adoperato mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato
e con recidiva reiterata specifica. 
    Il  rimettente  ricorda  che   il   difensore,   subordinatamente
all'istanza  di  revoca  dell'ordine  di  carcerazione,  ha  eccepito
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9,  lettera  a),
cod. proc. pen., richiamando il parere favorevole reso  dal  medesimo
ufficio del pubblico ministero in altro procedimento  di  esecuzione.
Il giudice a quo osserva che l'accoglimento dell'istanza di revoca e'
precluso da tale norma, la quale vieta  di  disporre  la  sospensione
dell'esecuzione della pena detentiva nei confronti dei condannati per
i delitti di cui  all'art.  4-bis  ordin.  penit.,  tra  i  quali  e'
compreso il delitto  di  contrabbando  di  tabacchi  lavorati  esteri
aggravato. 
    La norma censurata comporta, infatti, un piu'  grave  trattamento
in tema di esecuzione della detenzione non superiore a quattro  anni,
nonostante il titolo di reato e la pena breve irrogata, ed  impedisce
al condannato di accedere "da libero", come previsto  dall'art.  656,
comma  5,  cod.  proc.  pen.,  alle  misure  alternative,  salve   le
valutazioni di merito del tribunale di sorveglianza. 
    1.2.- Il giudice  a  quo  dubita,  quindi,  della  compatibilita'
dell'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. con gli artt.  3,
primo comma, e 27,  terzo  comma,  Cost.  In  particolare,  l'ipotesi
aggravata del delitto di contrabbando di  tabacchi  lavorati  esteri,
indicata dal comma 1 dell'art. 291-ter del d.P.R.  n.  43  del  1973,
dovrebbe differenziarsi nelle  modalita'  di  esecuzione  della  pena
dalle ipotesi invece contemplate nel comma 2 dello  stesso  articolo,
che costituiscono aggravanti ad effetto speciale, ricollegate all'uso
di armi, alla presenza di piu' persone e  agli  ostacoli  o  violenza
opposta agli organi di polizia giudiziaria, nonche'  al  collegamento
con  reati  contro  la   fede   pubblica   o   contro   la   pubblica
amministrazione  o  a  circuiti  finanziari  e  societari  dediti  al
riciclaggio. 
    Stante la diversita'  delle  condotte  e  del  correlato  allarme
sociale dei reati di contrabbando, il giudice a quo evidenzia che  il
delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1, del d.P.R. n. 43  del  1973
non   richiede   necessariamente   l'esistenza   di    una    stabile
organizzazione  criminale,  ma  puo'  essere  realizzato  anche   con
condotte estemporanee, di limitato impatto ed e' ben diverso da  quei
reati che sacrificano il patrimonio, la  liberta'  e  la  vita  delle
vittime, pure  ricompresi  nella  "seconda  fascia"  dell'art.  4-bis
ordin. penit. 
    La norma  censurata  determinerebbe  altresi'  un  ingiustificato
deteriore trattamento tra le  diverse  fattispecie  di  detenzione  e
trasporto  di  tabacchi  lavorati  esteri  di  contrabbando,  nonche'
rispetto ad altre piu' gravi fattispecie, come  la  detenzione  e  lo
spaccio di droghe  pesanti,  non  interessate  dal  divieto  (se  non
aggravate dall'ingente quantita' ex art. 80, comma 2, del decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.  309,  recante  «Testo
unico delle leggi in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza»), o i delitti di  rapina  ed  estorsione,
parimenti non interessati - nelle forme non aggravate -  dal  divieto
di sospensione dell'esecuzione. 
    Il Tribunale di Napoli richiama le sentenze n. 253 del 2019 e  n.
125 del 2016 di questa Corte e sostiene che la disposizione censurata
si fonderebbe,  appunto,  su  di  una  «aprioristica  presunzione  di
pericolosita',  oltrepassando   il   limite   della   non   manifesta
irragionevolezza delle scelte legislative», colpendo anche chi  abbia
commesso un reato di modesta gravita' e abbia  riportato  condanna  a
una pena detentiva breve, come il condannato nel giudizio a quo. 
    Nella specie, la presunzione del collegamento con  organizzazioni
criminali rimarrebbe vieppiu' esclusa, giacche' l'aggravante generica
e' stata elisa dal giudice del merito in sede  di  bilanciamento  con
l'attenuante di cui all'art. 62-bis del codice penale. 
    1.3.- La disposizione in parola violerebbe anche l'art 27,  terzo
comma, Cost., poiche' sarebbe irragionevole  applicare  la  modalita'
intramuraria  di  esecuzione  della  pena  a  prescindere   da   ogni
valutazione in concreto del percorso di emenda intrapreso. 
    Del resto, nel caso di specie, il giudice di merito  ha  irrogato
la pena considerando l'entita' della condotta,  valutando  condizioni
soggettive e oggettive, nel mentre la prognosi  di  pericolosita'  di
recidiva era  stata  gia'  compiuta  nella  fase  cautelare  mediante
l'applicazione  della  misura  dell'obbligo  di  presentazione   alla
polizia giudiziaria. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. 
    La scelta di ricomprendere il delitto di  cui  all'art.  291-ter,
comma 1, del d.P.R. n. 43 del 1973 nel novero dei reati ostativi alla
concessione della sospensione dell'esecuzione della pena,  in  quanto
rientrante nella "seconda fascia" dell'art. 4-bis ordin. penit.,  non
rivelerebbe  i  vizi  lamentati   dal   Tribunale   di   Napoli,   in
considerazione dell'ipotesi aggravata di contrabbando. 
    L'atto di intervento richiama la sentenza  n.  216  del  2019  di
questa Corte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Napoli, con ordinanza del 19  marzo
2020  (reg.  ord.  n.  189  del  2020),  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera  a),  del
codice di procedura penale, nella parte  in  cui  stabilisce  che  la
sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5  della  medesima  norma
non puo' essere disposta nei confronti dei condannati per  i  delitti
di cui all'art. 4-bis della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative della liberta'), con riferimento al delitto di
cui all'art. 291-ter, comma  1,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle
disposizioni legislative in materia doganale), per contrasto con  gli
artt. 3 (recte: art. 3, primo comma) e  27  (recte:  art.  27,  terzo
comma) della Costituzione. 
    1.1.-  Il  procedimento  a  quo  concerne  l'istanza  di   revoca
dell'ordine di esecuzione della pena di anni uno e  mesi  quattro  di
reclusione, irrogata per il delitto di trasporto di tabacchi lavorati
esteri del peso di chilogrammi 195,2,  occultati  all'interno  di  un
autoveicolo, con l'aggravante di aver adoperato  mezzi  di  trasporto
appartenenti a persone estranee al reato  e  con  recidiva  reiterata
specifica. L'accoglimento di detta istanza di revoca sarebbe precluso
dalla norma censurata, la quale  vieta  di  disporre  la  sospensione
dell'esecuzione della pena detentiva nei confronti dei condannati per
i delitti di cui  all'art.  4-bis  ordin.  penit.,  tra  i  quali  e'
compreso il delitto  di  contrabbando  di  tabacchi  lavorati  esteri
aggravato. 
    Secondo l'ordinanza di rimessione, l'art. 656, comma  9,  lettera
a), cod. proc. pen. comporterebbe un piu' grave trattamento esecutivo
della  pena  della  reclusione  non  superiore  a  quattro   anni   e
impedirebbe al condannato di  accedere  "da  libero",  come  previsto
dall'art. 656, comma 5, cod. proc.  pen.,  alle  misure  alternative,
salve le valutazioni di merito del tribunale di sorveglianza. 
    Il Tribunale  di  Napoli  dubita,  quindi,  della  compatibilita'
dell'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. con gli artt.  3,
primo comma, e 27, terzo comma, Cost. 
    1.2.- Ad avviso del rimettente, l'ipotesi aggravata  del  delitto
di contrabbando di tabacchi lavorati esteri,  prevista  dal  comma  1
dell'art. 291-ter del d.P.R. n. 43 del 1973, dovrebbe  differenziarsi
nelle modalita' di esecuzione della pena  dalle  ipotesi  contemplate
nel comma 2 dello stesso articolo, che  costituiscono  aggravanti  ad
effetto speciale, riferite all'uso di armi,  alla  presenza  di  piu'
persone e agli ostacoli o violenza opposta  agli  organi  di  polizia
giudiziaria,  nonche'  al  collegamento  con  reati  contro  la  fede
pubblica o contro la pubblica amministrazione o a circuiti finanziari
e societari dediti al riciclaggio. 
    Tenuto conto della diversita'  delle  condotte  e  del  correlato
allarme sociale dei reati di contrabbando, il giudice a quo evidenzia
che il delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1, del d.P.R. n. 43 del
1973  non  richiede  necessariamente  l'esistenza  di   una   stabile
organizzazione  criminale,  ma  puo'  essere  realizzato  anche   con
condotte estemporanee, di limitato impatto, ed e' ben diverso da quei
reati che sacrificano il patrimonio, la  liberta'  e  la  vita  delle
vittime, pure  ricompresi  nella  "seconda  fascia"  dell'art.  4-bis
ordin. penit. 
    La norma  censurata  determinerebbe  altresi'  un  ingiustificato
deteriore trattamento tra le  diverse  fattispecie  di  detenzione  e
trasporto  di  tabacchi  lavorati  esteri  di  contrabbando,  nonche'
rispetto ad altre piu' gravi fattispecie, quali la  detenzione  e  lo
spaccio di droghe  pesanti,  non  interessate  dal  divieto  (se  non
aggravate dall'ingente quantita' ex art. 80, comma 2, del decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.  309,  recante  «Testo
unico delle leggi in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza»), o i delitti di  rapina  ed  estorsione,
parimenti non interessati - nelle forme non aggravate -  dal  divieto
di sospensione dell'esecuzione. 
    Il Tribunale  di  Napoli  sostiene  che  la  norma  censurata  si
fonderebbe su  di  una  aprioristica  presunzione  di  pericolosita',
oltrepassando il limite della non  manifesta  irragionevolezza  delle
scelte legislative, giacche' colpisce anche  chi  abbia  commesso  un
reato di modesta gravita' e  abbia  riportato  condanna  a  una  pena
detentiva breve, come il soggetto  condannato  nel  giudizio  a  quo.
Nella specie, la  presunzione  del  collegamento  con  organizzazioni
criminali dovrebbe ritenersi esclusa in quanto l'aggravante comune e'
stata elisa dal giudice del merito in sede di  bilanciamento  con  le
attenuanti generiche. 
    1.3.- Secondo  l'ordinanza  di  rimessione,  la  disposizione  in
parola violerebbe  anche  l'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,  poiche'
sarebbe irragionevole applicare la modalita' esecutiva  carceraria  a
prescindere da ogni valutazione in concreto del  percorso  di  emenda
intrapreso, dovendosi tener presente che  il  giudice  di  merito  ha
irrogato la pena considerando l'entita' della  condotta  e  valutando
condizioni soggettive e oggettive; la prognosi  di  pericolosita'  di
recidiva, del resto, era stata gia' compiuta nella fase cautelare con
l'applicazione  della  misura  dell'obbligo  di  presentazione   alla
polizia giudiziaria. 
    2.- Le questioni non sono fondate. 
    3.- L'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. ha  gia'  in
piu' occasioni formato oggetto di esame da parte di questa Corte. 
    3.1.-  L'ordinanza  n.  166  del  2010   ha   rilevato   che   la
disposizione,  nella  parte  in  cui  prevede  che   la   sospensione
dell'esecuzione delle pene detentive brevi, secondo la regola fissata
dal comma 5 del medesimo art. 656, non  possa  essere  disposta  «nei
confronti dei condannati per i delitti di cui  all'art.  4-bis  della
legge  26  luglio  1975,  n.  354,   e   successive   modificazioni»,
costituisce un vincolo per l'attivita' del pubblico ministero,  posto
«in funzione  della  presunzione  di  pericolosita'  che  concerne  i
condannati per i delitti compresi nel  catalogo  appena  citato».  La
medesima ordinanza ha tuttavia precisato che spetta poi al  tribunale
di sorveglianza «la valutazione delle istanze di condannati, i quali,
dopo l'ordine di carcerazione e l'eventuale provvedimento  sospensivo
che puo' accompagnarlo, chiedano l'accesso  a  forme  alternative  di
esecuzione della pena». 
    3.2.- Con la  sentenza  n.  125  del  2016  e'  stata  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale, per  violazione  dell'art.  3  Cost.
(restando assorbita la censura relativa  all'art.  27,  terzo  comma,
Cost.), dell'art. 656, comma 9, lettera a), cod.  proc.  pen.,  nella
parte in cui stabilisce che non puo' essere disposta  la  sospensione
dell'esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto
di  furto  con  strappo,  attesa  la  ingiustificata  disparita'   di
trattamento con la  rapina.  Ribadendo  che  tale  disposizione,  nel
prevedere il divieto della sospensione dell'esecuzione  prevista  dal
comma 5 dello stesso  articolo,  si  fonda  su  una  «presunzione  di
pericolosita'» dei condannati per i delitti compresi nel catalogo dei
reati di  cui  all'art.  4-bis  ordin.  penit.,  questa  sentenza  ha
condiviso la censura del giudice rimettente, secondo cui  gli  indici
di pericolosita' che possono ravvisarsi  nel  furto  con  strappo  si
rinvengono, incrementati, anche nella rapina (non inserita nel citato
catalogo). La denunciata disparita' di trattamento, si e'  osservato,
non trova giustificazione, in quanto le caratteristiche dei due reati
posti in comparazione non consentono di assegnare  all'autore  di  un
furto con strappo una pericolosita' maggiore di quella  riscontrabile
nell'autore di una rapina attuata mediante violenza alla persona. 
    3.3.- La sentenza n. 216 del  2019  ha,  invece,  dichiarato  non
fondate le questioni di legittimita' costituzionale  -  sollevate  in
riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27,  terzo  comma,  Cost.  -
dell'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., nella  parte  in
cui stabilisce che la sospensione dell'esecuzione di cui al  comma  5
del medesimo articolo non puo'  essere  disposta  nei  confronti  dei
condannati per il delitto di furto in abitazione. Dopo  aver  escluso
la  irragionevolezza  del  differente  trattamento  previsto  per   i
condannati  per  furto  in  abitazione  rispetto  a  chi  sia   stato
condannato per rapina semplice o per furto con  strappo,  ovvero  per
altre ipotesi di furto aggravato o pluriaggravato, la citata sentenza
n. 216 del 2019, quanto alla dedotta  violazione  del  principio  del
necessario finalismo rieducativo della  pena  sancito  dall'art.  27,
terzo comma, Cost., ha evidenziato che l'art. 656, comma  9,  lettera
a), cod. proc. pen. non esclude la valutazione  individualizzata  del
condannato, in relazione alla possibilita' di concedergli i  benefici
previsti  dall'ordinamento  penitenziario.  Tale  valutazione  resta,
infatti, demandata al tribunale di  sorveglianza  in  sede  di  esame
dell'apposita istanza,  che  il  medesimo  condannato  puo'  comunque
presentare  una  volta  passata  in  giudicato  la  sentenza  che  lo
riguarda. Se, allora, e' indubbio che il  meccanismo  di  sospensione
automatica dell'ordine di esecuzione di cui all'art.  656,  comma  5,
cod. proc. pen. sia anche funzionale a evitare l'inutile ingresso nel
sistema penitenziario di condannati che potrebbero essere  ammessi  a
misure alternative sin dall'inizio dell'esecuzione  della  pena,  non
puo' d'altra  parte  negarsi  un  «margine  di  discrezionalita'  del
legislatore, sempre  entro  i  limiti  segnati  dalla  non  manifesta
irragionevolezza, nella definizione delle categorie di  detenuti  che
di tale meccanismo possono beneficiare». 
    Non di meno, nella sentenza n.  216  del  2019  questa  Corte  ha
ritenuto necessario segnalare al legislatore «l'incongruenza cui puo'
dar luogo il difetto di coordinamento attualmente  esistente  tra  la
disciplina processuale e quella sostanziale relativa  ai  presupposti
per accedere alle misure alternative alla  detenzione,  in  relazione
alla situazione dei condannati nei cui confronti non e'  prevista  la
sospensione dell'ordine di carcerazione ai sensi dell'art. 656, comma
5, cod. proc. pen., ai quali  -  tuttavia  -  la  vigente  disciplina
sostanziale riconosce la possibilita' di  accedere  a  talune  misure
alternative sin dall'inizio dell'esecuzione  della  pena:  come,  per
l'appunto, i condannati per i reati elencati dall'art. 656, comma  9,
lettera a), cod. proc. pen., diversi da quelli di cui all'art.  4-bis
ordin. penit. (per i quali  l'accesso  ai  benefici  penitenziari  e'
invece subordinato a  specifiche  stringenti  condizioni).  Cio',  in
particolare, in relazione al rischio -  specialmente  accentuato  nel
caso di pene detentive di breve durata, peraltro indicative di solito
di una minore pericolosita' sociale del condannato - che la decisione
del tribunale di sorveglianza intervenga dopo che il  soggetto  abbia
ormai interamente o quasi scontato la propria pena». 
    Tali conclusioni si trovano ribadite  nell'ordinanza  n.  67  del
2020, con la quale sono  state  dichiarate  manifestamente  infondate
questioni identiche a quelle esaminate  nella  sentenza  n.  216  del
2019. 
    3.4.- Di particolare rilievo e', poi,  nella  ricognizione  della
giurisprudenza  di   questa   Corte   in   materia   di   sospensione
dell'esecuzione della pena, la sentenza n. 41 del 2018, con la  quale
e' stata dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  656,
comma 5, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il  pubblico
ministero  sospende  l'esecuzione  della  pena  detentiva,  anche  se
costituente residuo di maggiore  pena,  non  superiore  a  tre  anni,
anziche' a quattro anni. In tale decisione si e' osservato che, se il
tendenziale collegamento della sospensione dell'ordine di  esecuzione
con i casi di accesso alle misure alternative costituisce un punto di
equilibrio ottimale,  appartiene  pur  sempre  alla  discrezionalita'
legislativa selezionare ipotesi di cesura,  quando  ragioni  ostative
appaiano prevalenti. 
    Resta pertanto possibile che peculiari situazioni suggeriscano al
legislatore di imporre un  periodo  di  carcerazione  in  attesa  che
l'organo competente decida sull'istanza di affidamento in prova. Cio'
puo' dipendere, ad esempio, dalla particolare pericolosita'  di  cui,
secondo il legislatore, sono indice determinati reati,  pericolosita'
alla quale si intende rispondere inizialmente con il carcere, secondo
la ratio cui si ispira l'art. 656, comma 9, lettera  a),  cod.  proc.
pen., nell'indicare specifici delitti  per  i  quali  e'  esclusa  la
sospensione dell'ordine di esecuzione della pena. 
    Il legislatore puo' anche prendere atto che l'accesso alla misura
alternativa e' soggetto a  condizioni  cosi'  stringenti  da  rendere
questa eventualita' meramente residuale, sicche'  appare  tollerabile
che venga sottoposto  all'esecuzione  carceraria  chi  all'esito  del
giudizio  relativo  alla  misura  alternativa  potra'   con   estrema
difficolta' sottrarsi alla detenzione: e' quanto (oltre  che  per  la
gravita' dei reati) accade, appunto, per i delitti elencati dall'art.
4-bis della legge n. 354 del 1975, che l'art. 656, comma  9,  lettera
a),  cod.  proc.  pen.  esclude  dal  beneficio   della   sospensione
dell'ordine di esecuzione della pena. 
    4.- Tanto  premesso,  deve  escludersi  la  denunciata  manifesta
irragionevolezza del trattamento stabilito,  quanto  alla  esclusione
dalla possibilita' di sospensione dell'ordine di esecuzione, per  chi
commette fatti di contrabbando di tabacchi lavorati esteri adoperando
mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato. 
    4.1.-  Nella  sentenza  n.  233  del  2018,  questa  Corte,   nel
dichiarare non fondate le questioni di legittimita' costituzionale  -
sollevate in riferimento agli artt. 3 e  27,  primo  e  terzo  comma,
Cost. - dell'art. 291-bis, comma 1, del d.P.R. n.  43  del  1973,  in
tema di  trattamento  sanzionatorio  del  reato  di  contrabbando  di
tabacchi lavorati esteri, ha considerato che il  maggior  rigore  del
trattamento sanzionatorio riservato dal legislatore a questo delitto,
rispetto a quanto previsto per le altre  violazioni  doganali,  trova
giustificazione  nel  diverso  disvalore  di  dette  condotte  e  nel
maggiore allarme sociale che tale forma di contrabbando suscita. 
    Si e',  infatti,  osservato  nella  citata  sentenza  che:  «[i]l
contrabbando di t.l.e. e' [...] fenomeno criminale  che  -  come  del
resto testualmente si ricavava in considerazione del tenore letterale
dell'art. 1, comma 1, della legge n. 50  del  1994  -  interseca  gli
interessi della criminalita'  organizzata,  allettata  dagli  ingenti
profitti che  tale  iniziativa  illecita  garantisce  immediatamente.
Profitti, questi, che risultano acquisiti secondo percorsi analoghi a
quelli  propri  di  altri  traffici  transnazionali  (inerenti   agli
stupefacenti, alle armi, all'immigrazione clandestina),  notoriamente
dominati dalle organizzazioni criminali; e che costituiscono, a  loro
volta, l'utile provvista da  reimpiegare  in  altre  iniziative,  non
necessariamente illecite, secondo tecniche sempre piu' sofisticate». 
    Quindi, sul rilievo che le condotte sanzionate  dal  citato  art.
291-bis sono «destinate a ledere l'ordine e  la  sicurezza  pubblica,
ben piu' di quanto possa ritenersi per le altre violazioni doganali»,
in quanto «sono causa di  significativi  danni  nei  confronti  dello
Stato, non  esclusivamente  limitati  al  profilo  finanziario  delle
entrate  non  percepite»,  la  medesima  sentenza  ha  osservato  che
quell'intervento  normativo  «abbraccia  sempre  piu'  l'esigenza  di
reprimere adeguatamente un fenomeno criminale caratterizzato [...] da
una  crescente  recrudescenza  alla  luce  dell'ancora  piu'  marcato
coinvolgimento  delle  organizzazioni  criminali,  anche  sul   piano
internazionale,  capaci  di  movimentare  ingenti   capitali   e   di
realizzare profitti elevati su vasta scala». 
    5.- In questa prospettiva, l'aggravante ex art. 291-ter, comma 1,
del  d.P.R.  n.  43  del  1973  intende  reagire  alla   prassi   dei
contrabbandieri volta all'impiego di mezzi  non  propri  (ad  esempio
presi a noleggio). L'autore del delitto di contrabbando che  utilizza
un mezzo di trasporto appartenente ad un terzo estraneo al  reato,  e
cioe' a persona che risulti non aver avuto  alcun  collegamento,  ne'
diretto ne' indiretto, con la commissione del contrabbando,  dimostra
maggiore pericolosita', tenuto conto che al terzo  e'  consentito  di
sottrarre il veicolo alla confisca ove dimostri di non averne  potuto
prevedere l'illecito  impiego  anche  occasionale  e  di  non  essere
incorso in un difetto di vigilanza (art. 301, comma 3, del d.P.R.  n.
43 del 1973). 
    In tal senso, l'art. 291-ter del d.P.R. n. 43 del 1973 tratta  in
modo ragionevolmente differenziato la  condotta  di  chi  commette  i
fatti  previsti  dall'art.  291-bis  adoperando  mezzi  di  trasporto
appartenenti a persone estranee al reato, che il comma 1 delinea come
aggravante comune, e le condotte contemplate nel comma  2,  le  quali
costituiscono  circostanze  aggravanti  ad  effetto   speciale,   che
comportano una pena  pecuniaria  in  misura  fissa  per  ogni  grammo
convenzionale di prodotto e la reclusione da tre  a  sette  anni.  Il
comma 3 dell'art. 291-ter detta altresi' una  regola  legale  per  il
giudizio di bilanciamento, escludendo  che  le  attenuanti  generiche
possano  essere  ritenute  prevalenti  o  equivalenti  rispetto  alle
aggravanti di cui alle lettere a) e d) del comma 2. 
    L'unificazione delle condotte aggravate di cui  all'art.  291-ter
del d.P.R. n. 43 del  1973  si  riscontra,  piuttosto,  nel  comma  1
dell'art.  4-bis  della  legge  n.  354  del  1975,  come  modificato
dall'art. 6, comma 1, della legge 19 marzo  2001,  n.  92  (Modifiche
alla  normativa  concernente  la  repressione  del  contrabbando   di
tabacchi lavorati) e dunque per effetto  della  ricomprensione  dello
stesso tra i reati della cosiddetta "seconda fascia" dell'art. 4-bis,
per i quali il legislatore subordina  la  possibile  concessione  dei
benefici penitenziari al presupposto dell'inesistenza di collegamenti
con  la  criminalita'  organizzata,  terroristica  o   eversiva,   da
accertare con peculiari e tipizzate modalita'. 
    La ricomprensione del citato  art.  291-ter  tra  i  reati  della
cosiddetta "seconda fascia" dell'art. 4-bis  ordin.  penit.  risulta,
dunque,  coerente  con  il  particolare  rigore   sanzionatorio   che
l'ordinamento italiano riserva al contrabbando di  tabacchi  lavorati
esteri nell'ambito dei reati doganali, allo  scopo  di  garantire  un
piu'  efficace  contrasto  a  tale  fenomeno   delittuoso,   ritenuto
particolarmente  allarmante,  tanto  da  indurre  il  legislatore  ad
apprestare un sistema repressivo analogo a quello predisposto  per  i
piu' gravi reati di criminalita' organizzata. 
    E' poi il censurato comma 9, lettera a), dell'art. 656 cod. proc.
pen. che include in primo luogo i reati di cui all'art. 4-bis  ordin.
penit. tra  quelli  per  i  quali  non  opera  la  sospensione  degli
adempimenti  esecutivi  stabiliti  per  le  pene  brevi,   in   vista
dell'eventuale applicazione di misure alternative alla detenzione. 
    5.1.- La presunzione di pericolosita' inerente a tutte le ipotesi
previste dall'art. 291-ter del d.P.R.  n.  43  del  1973,  che  e'  a
fondamento del loro inserimento  tra  le  fattispecie  incriminatrici
ostative  alla  sospensione  dell'esecuzione  della  pena,  ai  sensi
dell'art.  656,  comma  9,  lettera  a),  cod.  proc.   pen.,   trova
giustificazione  nella  comparazione  delle  diverse  caratteristiche
delle condotte di contrabbando di tabacchi lavorati esteri semplice o
aggravate. 
    In  questa  prospettiva,  non   puo'   ritenersi   manifestamente
irragionevole la scelta del legislatore di considerare attratte in un
unico regime - quanto alla inclusione nel catalogo dei reati  di  cui
all'art. 4-bis, comma 1-ter, ordin. penit. - le ipotesi aggravate del
reato di  cui  all'art.  291-bis  del  d.P.R.  n.  43  del  1973.  In
particolare, la condotta descritta  dall'art.  291-ter,  comma  1,  e
quindi  l'ipotesi  di  contrabbando  di  tabacchi   lavorati   esteri
aggravata dall'uso del mezzo altrui, pur se  non  accompagnata  dalla
predisposizione di ostacoli all'attivita' della polizia, e pur se non
caratterizzata dalla presenza di specifici pericoli per l'incolumita'
pubblica  (fattispecie,  queste,  integranti  aggravanti  ad  effetto
speciale), appare comunque  assimilabile,  per  il  quid  pluris  che
qualifica la condotta, alle altre ipotesi  aggravate,  piuttosto  che
all'ipotesi semplice. 
    6.- Il divieto di sospensione  dell'ordine  di  esecuzione  della
condanna per il delitto di contrabbando di tabacchi  lavorati  esteri
commesso  adoperando  mezzi  di  trasporto  appartenenti  a   persone
estranee  al  reato   trova,   dunque,   la   propria   ratio   nella
discrezionale, e non manifestamente  irragionevole,  presunzione  del
legislatore relativa alla  particolare  gravita'  del  fatto  e  alla
speciale pericolosita' soggettiva manifestata dall'autore. 
    Non e' riscontrabile un aprioristico automatismo legislativo,  in
quanto con il censurato comma 9, lettera a), dell'art. 656 cod. proc.
pen., che si riferisce ai reati di cui all'art. 4-bis ordin.  penit.,
e percio' anche all'art. 291-ter  del  d.P.R.  n.  43  del  1973,  il
legislatore, in ragione della particolare  pericolosita'  che  denota
l'autore del delitto di contrabbando, il quale utilizza un  mezzo  di
trasporto appartenente ad un terzo estraneo al  reato,  ha  inteso  -
indipendentemente dalla gravita' della condotta  posta  in  essere  e
dall'entita'  della  pena  irrogata  -  negare  in  via  generale  al
condannato   il   beneficio   della   sospensione   dell'ordine    di
carcerazione, in attesa della valutazione caso per caso, da parte del
tribunale di sorveglianza. 
    Seguendo le direttrici indicate nella sentenza n. 41 del 2018  di
questa  Corte,  la  ragionevolezza   del   divieto   di   sospensione
dell'esecuzione della  condanna  detentiva  per  i  delitti  elencati
dall'art.  4-bis  della  legge  n.  354  del  1975  sta  gia'   nella
considerazione che riguardo ad essi l'accesso alla misura alternativa
e'  soggetto  a  condizioni  cosi'  stringenti  da   rendere   questa
eventualita' meramente residuale. 
    Ne' la presunzione di  pericolosita',  correlata  all'inserimento
dell'art. 291-ter del d.P.R. n. 43 del 1973 tra  i  delitti  elencati
dall'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, puo' dirsi nella  specie
superata,  come  prospetta  il  Tribunale  di   Napoli,   visto   che
l'aggravante e' stata  bilanciata  dal  giudice  del  merito  con  le
attenuanti generiche, dovendosi piuttosto ribadire quanto  da  questa
Corte affermato nella sentenza n.  52  del  2020,  e  cioe'  che  «la
previsione di attenuanti [...] consente di adeguare la pena  al  caso
concreto, ma non riguarda necessariamente  l'oggettiva  pericolosita'
del comportamento descritto dalla fattispecie astratta»,  sicche'  la
concessione dell'attenuante puo' dirsi rilevante ai soli  fini  della
determinazione della pena proporzionata  al  caso  concreto,  mentre,
nella logica dell'attuale art. 4-bis,  comma  1-ter,  ordin.  penit.,
essa non risulta idonea a incidere, di per se' sola,  sulla  coerenza
della scelta legislativa di ricollegare a quel determinato delitto un
trattamento piu' rigoroso in fase di esecuzione,  quale  che  sia  la
misura della pena inflitta nella sentenza di condanna. 
    7.- Non sussiste neppure l'ipotizzata  violazione  del  principio
del necessario finalismo rieducativo della pena sancito dall'art. 27,
terzo comma, Cost., in quanto il comma 9, lettera a),  dell'art.  656
cod. proc. pen.  non  esclude  la  valutazione  individualizzata  del
condannato, in relazione alla possibilita' di concedergli i  benefici
previsti  dall'ordinamento  penitenziario,  valutazione   che   resta
demandata al tribunale di sorveglianza in sede di esame dell'apposita
istanza. 
    8.- Per le considerazioni che precedono, le  sollevate  questioni
di legittimita' costituzionale devono essere dichiarate non fondate. 
    9.-  Cio'  ovviamente  non  esclude  che  il  legislatore   possa
diversamente  modulare  le  cause  di  esclusione  della  sospensione
dell'ordine di esecuzione delle pene detentive. 
    In questa prospettiva, invero, sembra porsi l'art. 1,  comma  17,
della legge  27  settembre  2021,  n.  134  (Delega  al  Governo  per
l'efficienza del processo penale  nonche'  in  materia  di  giustizia
riparativa e disposizioni per la celere definizione dei  procedimenti
giudiziari),  il  quale  detta  principi  e  criteri  direttivi   per
procedere ad una revisione organica della disciplina  delle  sanzioni
sostitutive delle pene detentive brevi, con innalzamento  del  limite
della pena detentiva sostituibile e con agevolazione delle  richieste
di accesso alle misure alternative alla detenzione, proponibili  gia'
nel giudizio di cognizione. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 656, comma 9, lettera a), del codice di  procedura  penale,
sollevate, in riferimento agli artt. 3,  primo  comma,  e  27,  terzo
comma, della Costituzione, dal  Tribunale  ordinario  di  Napoli  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                     Stefano PETITTI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA