N. 7 SENTENZA 25 novembre 2021- 18 gennaio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo  penale   -   Incompatibilita'   del   giudice   -   Giudice
  dell'esecuzione che abbia pronunciato ordinanza sulla richiesta  di
  rideterminazione  della  pena  a  seguito  della  declaratoria   di
  illegittimita'  costituzionale  di  una   norma   incidente   sulla
  commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con  rinvio
  dalla Corte di cassazione -  Omessa  previsione  -  Violazione  del
  principio di terzieta' e imparzialita' del giudice - Illegittimita'
  costituzionale in parte qua. 
- Codice di procedura penale, artt. 34,  comma  1  e  623,  comma  1,
  lettera a). 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma. 
(GU n.3 del 19-1-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 34, comma
1, e 623, comma 1,  lettera  a),  del  codice  di  procedura  penale,
promosso dal  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale
ordinario di Verona nel procedimento penale a carico di  I.  X.,  con
ordinanza del 20  gennaio  2021,  iscritta  al  n.  65  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24 novembre 2021  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 novembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 gennaio 2021 (reg. ord. n. 65 del 2021),
il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale  ordinario
di Verona, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3 e 111 (recte: artt. 3, primo comma,  e  111,
secondo  comma)  della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 34 (in realta': 34, comma 1) e 623,  comma
1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di  rinvio  in
capo al giudice dell'esecuzione che abbia  pronunciato  ordinanza  di
rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della
pena -  avanzata  a  seguito  della  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale  di  una  norma  incidente  sulla  commisurazione  del
trattamento sanzionatorio - annullata dalla Corte di cassazione. 
    Il  giudice  a  quo,  in  via  subordinata,  ha   sollevato,   in
riferimento  ai  medesimi  parametri  costituzionali,  questioni   di
legittimita'   costituzionale   nei    confronti    delle    medesime
disposizioni, nella parte in cui non prevedono  l'incompatibilita'  a
partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice  dell'esecuzione
che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento)  della
richiesta di rideterminazione della pena  avanzata  a  seguito  della
declaratoria di illegittimita' costituzionale ad opera della sentenza
della Corte costituzionale n. 40 del 2019, dell'art. 73, comma l, del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e  riabilitazione  dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza),
annullata dalla Corte di cassazione. 
    1.1.- In punto di fatto, il rimettente riferisce di procedere nei
confronti di una persona  (detenuta  in  carcere,  al  momento  della
proposizione  delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale),
condannata in ordine al reato di cui agli artt. 73, comma 1, e 80 del
d.P.R. n. 309 del 1990 - con sentenza emessa ai sensi  dell'art.  444
cod. proc.  pen.,  dal  GIP,  in  persona  del  medesimo  rimettente,
divenuta irrevocabile l'11 gennaio 2019 - alla pena di anni  quattro,
mesi dieci di reclusione ed euro 25.000 di multa, in  relazione  alla
detenzione a fini  di  spaccio  di  sostanza  stupefacente  del  tipo
cocaina del peso complessivo di 8.216 grammi. 
    In particolare, il rimettente da' atto che  l'accordo,  raggiunto
dalle parti e cristallizzato con la sentenza emessa ex art. 444  cod.
proc.  pen.,  era  stato  articolato  come  segue:  riconosciute   le
attenuanti  generiche  prevalenti  sulla  contestata  aggravante   in
ragione dell'incensuratezza e del ruolo di mero corriere,  pena  base
anni nove, mesi nove di reclusione ed euro 45.000 di  multa,  ridotta
per le attenuanti prevalenti ad anni sei, mesi sei, di reclusione  ed
euro 30.000 di multa, ridotta per il rito ad anni quattro, mesi dieci
di reclusione ed euro 25.000 di multa. 
    Il giudice a quo riferisce, poi, che con istanza presentata il 12
aprile 2019, il  condannato  ha  proposto  incidente  di  esecuzione,
assegnato  al  medesimo   giudice   rimettente,   per   ottenere   la
rideterminazione  della  pena  oggetto  della  suddetta  sentenza  di
patteggiamento in quanto, dopo la formazione del giudicato, la  Corte
costituzionale,  con  sentenza  n.  40  del   2019,   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 73, comma 1, del d.P.R.  n.
309 del 1990, nella parte in cui  prevede  la  pena  minima  edittale
della reclusione nella misura di otto anni anziche' di sei anni. 
    Secondo il  ricorrente  era  possibile  riproporzionare  la  pena
patteggiata.  Infatti,  ponendo  quale  base  di  calcolo  il  minimo
edittale risultante dalla citata sentenza costituzionale (anni sei di
reclusione),  cui  addizionare  la  stessa  percentuale  in   aumento
individuata  nell'accordo  di  applicazione  della  pena,  si  poteva
fissare la pena base in anni sette, mesi nove di reclusione  ed  euro
45.000 di multa. Poi, ritenute le attenuanti in regime di  prevalenza
rispetto alla contestata aggravante, la  pena  si  riduceva  ad  anni
cinque, mesi  due  di  reclusione  ed  euro  30.000  di  multa,  pena
ulteriormente ridotta per il rito a quella finale di anni  tre,  mesi
cinque, giorni dieci di reclusione ed euro 25.000 di multa. 
    Il pubblico ministero, esaminata l'istanza,  in  data  15  aprile
2019 ha prestato per iscritto il «consenso per pena base anni 7  mesi
6 di reclusione (resto del calcolo come da sentenza)», ma all'udienza
del 30 gennaio 2020, fissata ex art. 666 cod. proc. pen. non  essendo
stato raggiunto l'accordo tra le parti sulla  rideterminazione  della
pena, la difesa del condannato ha insistito  per  l'accoglimento  del
ricorso. 
    Il  rimettente,  pero',  con  ordinanza  adottata  alla  medesima
udienza, ha rigettato la richiesta di  rideterminazione  della  pena,
rilevando «che il condannato trasportava un quantitativo  ingente  di
cocaina, tanto che il fatto era contestato come aggravato ex art.  80
DPR 309/90, precisamente ben  8,2  chili  di  cocaina  con  principio
attivo pari a 5793 grammi (quasi sei chili), un fatto  di  allarmante
gravita'  per  il  quale,  nella  sentenza,  si  erano   riconosciute
attenuanti generiche prevalenti  sulla  contestata  aggravante  e  si
erano prese le mosse da una pena base ampiamente superiore  a  quello
che all'epoca era il minimo edittale di otto anni di pena  detentiva,
ritenuto incongruo per difetto, in  particolare  essendosi  prese  le
mosse dalla pena base di anni nove mesi nove di reclusione; pena base
che, come argomentato  nell'ordinanza,  si  riteneva  dovesse  essere
tenuta ferma anche  a  seguito  del  citato  intervento  della  Corte
Costituzionale». 
    L'ordinanza  di  rigetto  e'  stata  impugnata  con  ricorso  per
cassazione dal  difensore  del  condannato,  il  quale  ha  censurato
l'inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 132, 133 e 133-bis
del codice penale e dell'art. 125 cod. proc. pen. (ai sensi  all'art.
606, comma 1, lettera b, cod. proc. pen.) e la  contraddittorieta'  e
manifesta illogicita' della motivazione (ai sensi all'art. 606, comma
1, lettera e, cod. proc. pen.). 
    Successivamente, la Corte di cassazione  (sezione  prima  penale,
sentenza 16 luglio-4 settembre 2020, n. 25097), in  accoglimento  del
ricorso, ha annullato l'ordinanza impugnata, con  rinvio  «per  nuovo
giudizio al Tribunale di  Verona,  Ufficio  GIP»,  ritenendo  che,  a
seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019,  il
principio della cosiddetta flessibilita' del giudicato  imponesse  la
rideterminazione della pena, da ritenersi  illegale  anche  la'  dove
formalmente  rientrante   nella   cornice   edittale   della   «norma
ripristinata»; ha escluso criteri di tipo matematico proporzionale  o
automatismi tali da replicare le scelte operate originariamente nella
fase di cognizione; ha affermato che il giudice deve rideterminare la
pena utilizzando i criteri di cui agli artt.  132  e  133  cod.  pen.
secondo  i  canoni  dell'adeguatezza  e  della  proporzionalita'  che
tengano conto del nuovo quadro  edittale;  infine,  ha  concluso  nel
senso  che  la  riduzione   della   pena   e'   necessaria   nell'an,
sviluppandosi  la  discrezionalita'  giudiziale  nel  solo   quantum,
secondo i criteri previsti dagli artt. 132 e 133 cod. pen. 
    Il rimettente riferisce, poi,  che  il  giudizio  di  rinvio  gli
veniva nuovamente assegnato in applicazione dell'art. 623,  comma  1,
lettera  a),  cod.  proc.  pen.,  per  il  quale  «se  e'   annullata
un'ordinanza, la corte di  cassazione  dispone  che  gli  atti  siano
trasmessi  al  giudice  che  l'ha  pronunciata,  il  quale   provvede
uniformandosi alla sentenza di annullamento». 
    1.2.- In punto di rilevanza, il rimettente precisa che,  chiamato
a pronunciarsi nuovamente sulla questione, «non potrebbe che ribadire
le  proprie  valutazioni,  gia'  operate  nell'ordinanza  annullata»,
stante la spiccata gravita' in concreto del fatto (trasporto di oltre
otto chili di cocaina, con principio  attivo  di  quasi  sei  chili);
fatto rispetto al quale egli ha gia' ritenuto del  tutto  congrua  la
pena  detentiva  di  anni  quattro  e  mesi  dieci   di   reclusione,
originariamente applicata con la sentenza  ex  art.  444  cod.  proc.
pen., pur a fronte della cornice edittale modificata a seguito  della
richiamata pronuncia di illegittimita' costituzionale. 
    Quindi - afferma il rimettente - egli, dovendosi uniformare  alla
sentenza di annullamento, sarebbe portato ad operare,  nei  confronti
del condannato, una riduzione di pena assolutamente minima. 
    1.3.- In punto di non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
osserva che il giudice dell'esecuzione, chiamato  a  pronunciarsi  su
un'istanza di rideterminazione della  pena  oggetto  di  giudicato  a
fronte   della   sopravvenuta    declaratoria    di    illegittimita'
costituzionale  di  una  norma  considerata  in  sede  di  cognizione
incidente sul trattamento sanzionatorio, come  nel  caso  di  specie,
deve esercitare penetranti poteri di valutazione di merito. 
    A tal  riguardo  il  rimettente  richiama  la  giurisprudenza  di
legittimita', secondo cui il giudice dell'esecuzione,  nel  procedere
all'intervento «correttivo», puo' avvalersi di penetranti  poteri  di
accertamento e di valutazione conferitigli dalla legge,  non  potendo
operare una mera trasposizione matematica del giudizio  formulato  in
sede di cognizione  entro  la  nuova  cornice  edittale,  ma  dovendo
formulare un nuovo giudizio commisurativo, da  operare  alla  stregua
dei principi di cui agli artt. 132 e 133  cod.  pen.,  tenendo  conto
della cornice edittale «ripristinata». 
    Pertanto, il rimettente ritiene che a decidere  sul  giudizio  di
rinvio, a seguito di annullamento da parte della Corte di  cassazione
dell'ordinanza di  rigetto  dell'istanza  di  rideterminazione  della
pena, non debba  e  non  possa  essere  il  medesimo  giudice-persona
fisica, che si sia gia' espresso  nell'ordinanza  annullata,  con  le
proprie «penetranti poteri di valutazione di merito», su  un  aspetto
fondamentale quale e' quello della quantificazione della pena. 
    L'art. 111, secondo  comma,  Cost.,  infatti,  prescrive  che  il
giudice sia terzo e imparziale, mentre non e' terzo e imparziale quel
giudice che dopo essersi pronunciato su una questione  esprimendo  un
giudizio  di  merito,  in  particolare  un  giudizio  attinente  alla
commisurazione della pena, venga nuovamente chiamato  a  decidere  la
medesima  questione.  Sussisterebbe,  dunque,  il  contrasto  con  il
principio  dell'imparzialita'   e   terzieta'   del   giudice   posto
dall'evocato parametro costituzionale. 
    Le disposizioni censurate contrasterebbero anche  con  l'art.  3,
primo comma, Cost., sotto il profilo  dell'ingiustificata  disparita'
di trattamento  tra  le  fasi  della  cognizione  e  dell'esecuzione,
laddove si tratti di decisioni attinenti  alla  commisurazione  della
pena. 
    Sotto tale profilo, il rimettente, a sostegno della non manifesta
infondatezza, richiama la sentenza n. 183 del  2013  con  cui  questa
Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli  artt.  34,
comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., nella parte  in
cui non prevedono che non possa partecipare  al  giudizio  di  rinvio
dopo l'annullamento, il giudice  che  ha  pronunciato  o  concorso  a
pronunciare ordinanza di accoglimento o di rigetto della richiesta di
applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato  continuato
e del concorso formale, ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen. 
    Ad avviso del giudice a quo, le argomentazioni ivi contenute,  in
riferimento alla violazione degli artt. 3 e 111 Cost., valgono  anche
nel caso in esame, a fronte  di  quella  «penetrante  valutazione  di
merito» attinente al fondamentale aspetto della quantificazione della
pena, che e' demandata al giudice dell'esecuzione (anche) in caso  di
istanza   di   rideterminazione   della   stessa   per   sopravvenuta
declaratoria di illegittimita' costituzionale di una norma  incidente
sul trattamento sanzionatorio. 
    2.- Con atto depositato in data 8 giugno 2021, e' intervenuto nel
giudizio di legittimita' costituzionale il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  a  questa  Corte  di  dichiarare  inammissibili  e,
comunque, non fondate le questioni. 
    La difesa dello Stato osserva che  l'art.  623  cod.  proc.  pen.
indica il giudice competente a pronunciarsi nei casi di  annullamento
con rinvio da parte della  Corte  di  cassazione  e,  solo  nei  casi
tassativamente   previsti   dalle   lettere   c)   e   d),   relativi
all'annullamento di una sentenza, stabilisce espressamente  che  deve
trattarsi di altra sezione o di giudice  diverso  da  quello  che  ha
pronunciato la sentenza annullata; nel caso in  cui  venga  annullata
una  ordinanza,  gli  atti  vanno  trasmessi  al  giudice  che   l'ha
pronunciata,  e  in  assenza  di  una  specifica   previsione   della
diversita', deve ritenersi che puo' essere anche  la  stessa  persona
fisica che ha emesso il precedente provvedimento. 
    L'Avvocatura, richiamando le pronunce della Corte di cassazione -
sia con riferimento  ai  provvedimenti  in  materia  "de  libertate",
laddove si e' ribadito che la disciplina  dell'incompatibilita'  deve
essere circoscritta «ai casi di duplicita'  del  giudizio  di  merito
sullo stesso oggetto», sia con specifico riguardo ai provvedimenti di
archiviazione - afferma che l'art. 623 cod. proc. pen.  non  presenta
profili  di  criticita'  in  relazione  ai  parametri  costituzionali
invocati dal rimettente, cosi' come non li presenta  l'art.  34  cod.
proc. pen. 
    Osserva la difesa dello Stato che il giudice dell'esecuzione, pur
avendo penetranti poteri di merito ai fini della commisurazione della
pena, non e' chiamato ad esprimere valutazioni sulla  responsabilita'
dell'imputato,   diversamente   da   quanto   accade   in   caso   di
riconoscimento  della  continuazione  e  del  concorso  formale,  cui
accede,  in  via  conseguenziale,  l'applicazione   del   piu'   mite
trattamento sanzionatorio, che trova giustificazione nel fatto che la
riprovevolezza complessiva dell'agente viene ritenuta minore rispetto
ai normali casi di  concorso  di  reati,  in  ragione  dell'accertata
unicita' del disegno criminoso o dell'unicita' della condotta. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 gennaio 2021 (reg. ord. n. 65 del 2021),
il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale  ordinario
di Verona, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3 e 111 (recte: artt. 3, primo comma,  e  111,
secondo  comma)  della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 34 (in realta': 34, comma 1) e 623,  comma
1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di  rinvio  in
capo al giudice dell'esecuzione che abbia  pronunciato  ordinanza  di
rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della
pena a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale di
una   norma   incidente   sulla   commisurazione   del    trattamento
sanzionatorio, annullata dalla Corte di cassazione. 
    1.1.- Al fine di individuare esattamente il petitum del  giudizio
incidentale, occorre infatti precisare che, benche' nell'ordinanza  e
nel dispositivo il giudice a quo abbia fatto  riferimento  all'intero
art. 34 cod. proc. pen., il sospetto di illegittimita' costituzionale
ha  ad  oggetto,  come  chiaramente  si  evince   dalla   complessiva
motivazione dell'ordinanza di  rimessione,  il  solo  comma  1  della
norma. 
    In via subordinata, il giudice a quo ha sollevato, in riferimento
ai  medesimi  parametri  costituzionali,  questioni  di  legittimita'
costituzionale delle stesse disposizioni,  nella  parte  in  cui  non
prevedono l'incompatibilita' a partecipare al giudizio di  rinvio  in
capo al giudice dell'esecuzione che abbia  pronunciato  ordinanza  di
rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della
pena a seguito della declaratoria di  illegittimita'  costituzionale,
ad opera della sentenza n. 40 del 2019 di questa Corte, dell'art. 73,
comma l, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico  delle  leggi
in materia di disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza), annullata dalla Corte di cassazione. 
    1.2.- Quanto alla vicenda processuale  del  giudizio  a  quo,  il
rimettente afferma di aver emesso, ai sensi dell'art. 444 cod.  proc.
pen., sentenza di applicazione della pena su richiesta  delle  parti,
passata in giudicato l'11 gennaio 2019, nei confronti del  ricorrente
- detenuto in carcere, al momento della  proposizione  dell'incidente
di legittimita' costituzionale - per il reato di cui agli  artt.  73,
comma 1, e 80 del d.P.R. n. 309 del 1990. 
    Il rimettente riferisce che il condannato ha  proposto  incidente
di esecuzione - che veniva assegnato al medesimo giudice a quo  -  al
fine di  ottenere  la  rideterminazione  della  pena  patteggiata  in
quanto, dopo la formazione del giudicato, questa Corte, con la citata
sentenza   n.   40   del   2019,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 73, comma 1, del d.P.R.  n.  309  del  1990,
nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione
nella misura di otto anni, anziche' di sei  anni.  A  sostegno  della
istanza, il ricorrente ha invocato la giurisprudenza di  legittimita'
che ha affermato  il  principio  secondo  cui  e'  illegale  la  pena
applicata con  la  sentenza  in  esecuzione,  in  forza  della  norma
dichiarata costituzionalmente illegittima. 
    Dopo aver fissato,  ai  sensi  dell'art.  666  cod.  proc.  pen.,
l'udienza per la rinegoziazione  della  pena,  non  avendo  le  parti
raggiunto l'accordo, il giudice a quo riferisce  di  aver  rigettato,
con ordinanza, la richiesta di nuova commisurazione  della  pena,  in
quanto il condannato si era reso colpevole di un fatto di  allarmante
gravita', in relazione al quale la pena base, originariamente fissata
nella misura di anni nove e mesi nove di  reclusione,  doveva  essere
tenuta  ferma  anche  dopo  la  gia'  citata  sentenza  della   Corte
costituzionale. 
    Il difensore del condannato ha, quindi, impugnato l'ordinanza  di
rigetto proponendo ricorso innanzi alla corte di  cassazione  che  ha
annullato l'ordinanza impugnata,  disponendo  il  «rinvio  per  nuovo
giudizio al Tribunale di Verona, Ufficio GIP» (Corte  di  cassazione,
sezione prima penale, sentenza 16 luglio-4 settembre 2020, n. 25097). 
    Il giudizio di rinvio e' stato  assegnato  al  medesimo  giudice,
persona fisica, in applicazione della disposizione  di  cui  all'art.
623, comma 1, lettera  a),  cod.  proc.  pen.,  secondo  cui  «se  e'
annullata un'ordinanza, la Corte di cassazione dispone che  gli  atti
siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata,  il  quale  provvede
uniformandosi alla sentenza di annullamento». 
    1.3.-  Il  rimettente  -   richiamando   la   giurisprudenza   di
legittimita' in ordine ai poteri/doveri del  giudice  dell'esecuzione
per la rideterminazione della pena nei casi, come quello in esame, in
cui vengono in rilievo gli effetti della sentenza n. 40 del  2019  di
questa Corte - ritiene che, a seguito di annullamento da parte  della
Corte  di  cassazione  dell'ordinanza  di  rigetto  dell'istanza   di
rideterminazione  della  pena,   non   possa   essere   il   medesimo
giudice-persona fisica, che  si  sia  gia'  espresso,  nell'ordinanza
annullata dalla Corte di  cassazione,  a  decidere  nel  giudizio  di
rinvio  su  un   aspetto   fondamentale,   qual   e'   quello   della
quantificazione  della  pena,  che  implica  «penetranti  poteri   di
valutazione di merito». 
    Ad avviso del giudice a quo, le norme censurate  contrasterebbero
con  l'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  perche',  quanto  al   regime
dell'incompatibilita' del  giudice,  determinano  una  ingiustificata
disparita'  di  trattamento  tra   le   fasi   della   cognizione   e
dell'esecuzione,  ove  si  tratti   di   decisioni   attinenti   alla
commisurazione della pena. 
    Inoltre, secondo il rimettente, sarebbe violato anche l'art. 111,
secondo comma, Cost., in  quanto  le  disposizioni  censurate,  nella
parte  in  cui  non  prevedono   l'incompatibilita'   per   il   caso
considerato,  si  porrebbero  in  contrasto  con  il   principio   di
imparzialita' e di terzieta' del giudice. 
    2.- Va, preliminarmente, ritenuta la rilevanza delle questioni  e
quindi la loro ammissibilita'. 
    2.1.- In  primo  luogo,  il  rimettente  richiama  l'orientamento
consolidato della giurisprudenza  di  legittimita',  secondo  cui  il
giudice dell'esecuzione  deve  rideterminare  la  pena  nel  caso  di
dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  di  norme  incidenti
sulla stessa, non ancora interamente espiata. 
    L'esigenza di non  lasciare  senza  rimedio  l'illegalita',  lato
sensu intesa, della condanna o del trattamento  sanzionatorio,  anche
se oggetto di res iudicata, e'  all'origine  della  elaborazione  del
principio della cosiddetta flessibilita' del  giudicato,  secondo  il
quale quando dopo una sentenza irrevocabile di  condanna  sopravviene
la dichiarazione d'illegittimita' costituzionale di una norma  penale
diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione  del
trattamento sanzionatorio, e quest'ultimo non sia  stato  interamente
eseguito, il giudice dell'esecuzione deve rideterminare  la  pena  in
favore del condannato (Corte di  cassazione,  sezioni  unite  penali,
sentenza 29 maggio-14 ottobre 2014, n. 42858). 
    L'efficacia   del   giudicato   penale,   quindi,   non   implica
l'immodificabilita',  in  assoluto,  del  trattamento   sanzionatorio
stabilito con la sentenza irrevocabile di condanna, nei casi  in  cui
la pena debba subire modificazioni imposte dal sistema a  tutela  dei
diritti primari della persona. 
    Del resto, sotto il profilo  della  «ampiezza  dei  poteri  ormai
riconosciuti     dall'ordinamento     processuale»     al     giudice
dell'esecuzione, questa Corte ha affermato che ben puo' tale  giudice
essere investito anche della istanza volta ad ottenere  l'adeguamento
a una decisione  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  che
accerta l'illegalita' convenzionale della pena (sentenza n.  210  del
2013). 
    Consegue da cio' che, nella  fattispecie  in  esame,  il  giudice
rimettente, quale giudice dell'esecuzione, doveva - e deve tuttora in
sede di giudizio di rinvio - procedere  alla  rideterminazione  della
pena, quale operazione  resasi  necessaria  a  seguito  della  citata
sentenza n. 40 del 2019. 
    A tal fine, il  giudice  rimettente  ha  fatto  applicazione,  in
particolare, dello schema processuale di cui all'art. 188 del decreto
legislativo  28  luglio  1989,  n.  271  (Norme  di  attuazione,   di
coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) - in tema
di concorso formale e reato continuato nel caso di piu'  sentenze  di
applicazione della  pena  su  richiesta  delle  parti  -  secondo  le
indicazioni  della   giurisprudenza   di   legittimita'   (Corte   di
cassazione, sezione prima  penale,  sentenza  7-21  luglio  2020,  n.
21815). 
    Pertanto,   in   assenza   dell'accordo   delle    parti    sulla
rinegoziazione della pena, il rimettente, attivando i  propri  poteri
di ufficio, l'ha inizialmente rideterminata,  ma  confermando  -  con
l'ordinanza poi annullata dalla Corte di  cassazione  con  rinvio  al
medesimo giudice - quella originariamente inflitta  con  la  sentenza
emessa ex art. 444 cod. proc. pen. 
    2.2.- Non esclude la rilevanza delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale la circostanza - evidenziata  dal  rimettente  -  che,
nelle  more  del  giudizio  di  costituzionalita',   «il   condannato
terminera' di espiare la pena inflitta con la sentenza in esecuzione,
allo stato non ancora "rideterminata", alla data del 1.10.2021». 
    L'incidente di legittimita' costituzionale e', infatti, scaturito
dalla richiesta del condannato di  rideterminazione  della  pena,  in
ordine ad un trattamento  sanzionatorio  non  ancora  definitivamente
espiato, che  ha  determinato  l'obbligo  per  il  rimettente,  nella
funzione  di  giudice  del  rinvio,  di  procedere   ad   una   nuova
commisurazione della pena. 
    Percio'  l'integrale  espiazione  del  trattamento  sanzionatorio
durante la pendenza del giudizio di legittimita' costituzionale -  in
disparte  ogni  profilo  attinente  alla  riparazione   da   ingiusta
detenzione - non incide sulla perdurante  rilevanza  delle  questioni
prospettate in quanto l'art. 21 delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis, reca «un
principio  generale  di  autonomia  del   giudizio   incidentale   di
costituzionalita', che come tale non risente delle vicende  di  fatto
successive all'ordinanza di rimessione (ex multis,  sentenza  n.  270
del  2020);  sicche'  la  rilevanza  delle  questioni  rispetto  alla
decisione del processo a  quo  deve  essere  vagliata  ex  ante,  con
riferimento al momento della prospettazione  delle  questioni  stesse
(sentenza n. 84 del 2021)» (sentenza n. 127 del 2021). 
    2.3.- Va altresi' considerato che  l'ordinanza  di  rimessione  -
«recando una formale e testuale qualificazione  delle  due  questioni
sollevate,  rispettivamente,   come   "principale"   (la   prima)   e
"subordinata" (la seconda)» - mostra, con chiara evidenza,  il  nesso
sequenziale che ne caratterizza la prospettazione e che esclude  ogni
connotazione ancipite del petitum (sentenza n. 152 del 2020). 
    3.- Deve poi rilevarsi come il rimettente muova da  una  corretta
premessa ermeneutica nell'affermare  che  le  norme  censurate  vanno
interpretate  nel  senso  che  il  giudizio  di  rinvio,  a   seguito
dell'annullamento dell'ordinanza di rideterminazione  della  pena  da
parte della Corte di cassazione, possa essere celebrato innanzi  allo
stesso  giudice,  persona  fisica,  che  ha  pronunciato  l'ordinanza
impugnata. 
    Nella fattispecie in esame, con norma speciale rispetto  all'art.
34, comma 1, cod. proc. pen., l'art. 623, comma 1, lettera  a),  cod.
proc. pen., prevede che, in riferimento al giudizio di rinvio, «se e'
annullata un'ordinanza, la corte di cassazione dispone che  gli  atti
siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata,  il  quale  provvede
uniformandosi alla sentenza di annullamento». 
    Parimenti, lo stesso art. 623, comma 1,  cod.  proc.  pen.,  alla
lettera d), prevede che «se e' annullata la sentenza di un  tribunale
monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la corte  di
cassazione  dispone  che  gli  atti  siano  trasmessi   al   medesimo
tribunale»; ma aggiunge: «tuttavia, il giudice deve essere diverso da
quello che ha pronunciato la sentenza annullata». 
    Quest'ultima prescrizione, presente nella lettera d) e non  anche
nella lettera a) - quella secondo cui il giudice deve essere  diverso
da quello che ha pronunciato la sentenza  annullata  -,  conferma  la
correttezza del presupposto interpretativo  del  giudice  rimettente:
ove oggetto di annullamento sia un'ordinanza e non gia' una sentenza,
non opera tale piu' specifica prescrizione. 
    Del resto, al riguardo, va anche  evidenziato  che  questa  Corte
nella sentenza n. 183 del 2013 -  dichiarativa  della  illegittimita'
costituzionale delle  medesime  disposizioni  oggi  censurate,  nella
parte in cui non prevedevano che non potesse partecipare al  giudizio
di rinvio dopo l'annullamento il giudice  che  avesse  pronunciato  o
concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o di  rigetto  della
richiesta di applicazione, in sede esecutiva,  della  disciplina  del
reato continuato, ai  sensi  dell'art.  671  cod.  proc.  pen.  -  ha
affermato che la premessa interpretativa da  cui  partiva  allora  il
rimettente, analoga a  quella  da  cui  muove  attualmente  l'odierno
rimettente,  fosse  «oggettivamente  conforme  al  dato  normativo  e
comunque rispondente al corrente orientamento della giurisprudenza di
legittimita', cosi' da poter essere assunta quale "diritto vivente"». 
    4.- Passando all'esame del merito, giova  ricordare,  in  estrema
sintesi,  il  contesto  normativo  e  giurisprudenziale  in  cui   si
collocano le sollevate questioni di legittimita' costituzionale. 
    4.1.- La vicenda processuale da  cui  scaturisce  l'incidente  di
legittimita' costituzionale trae  origine  da  una  fattispecie,  del
tutto peculiare, determinata dalla sentenza di questa Corte n. 40 del
2019, che ha dichiarato, in riferimento alla violazione degli artt. 3
e 27 Cost., l'illegittimita' costituzionale dell'art.  73,  comma  1,
del d.P.R. n. 309 del 1990, nella parte  in  cui  prevedeva  la  pena
minima edittale della reclusione nella misura di otto  anni  anziche'
di sei anni. 
    In tale pronunzia, questa Corte - nel solco gia' tracciato  dalla
sentenza n. 179 del 2017, recante «un pressante auspicio affinche' il
legislatore  proceda  rapidamente  a  soddisfare  il   principio   di
necessaria  proporzionalita'  del  trattamento  sanzionatorio»  -  ha
osservato che la  divaricazione  di  quattro  anni,  determinatasi  a
seguito del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in
tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e  di  riduzione
controllata   della   popolazione   carceraria),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014, n.  10,  tra  il  minimo
edittale di pena previsto per i fatti non lievi connessi al  traffico
di stupefacenti (pari ad  otto  anni  di  reclusione)  e  il  massimo
edittale della pena comminata dal comma 5 del medesimo art. 73 per  i
fatti  lievi  (pari  a  quattro  anni  di  reclusione),   costituisse
un'anomalia sanzionatoria in contrasto con i principi di eguaglianza,
proporzionalita' e ragionevolezza, oltre  che  con  il  principio  di
rieducazione della pena. 
    A seguito di tale dichiarazione di illegittimita' costituzionale,
"sostitutiva" del minimo della cornice edittale del reato di traffico
di sostanze stupefacenti,  i  condannati  per  tale  reato,  anche  a
seguito di patteggiamento, hanno avuto la facolta' di richiedere, nel
corso  della  espiazione   della   pena   originariamente   inflitta,
l'applicazione del trattamento  sanzionatorio  piu'  mite  sicche'  i
giudici dell'esecuzione sono stati  investiti  -  come  nel  caso  di
specie - di richieste di nuova commisurazione della pena. 
    4.2.- Le questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  dal
rimettente attengono,  in  particolare,  all'ambito  di  operativita'
delle cause di incompatibilita', disciplinate dall'art. 34 cod. proc.
pen., del quale, nel caso di specie, rileva il comma 1. 
    Da tale norma sono disciplinate le incompatibilita' che attengono
alla  progressione   "in   verticale"   del   processo,   determinata
dall'articolazione  e  dalla  sequenzialita'  dei  diversi  gradi  di
giudizio. 
    Vi sono poi i casi di  incompatibilita'  relativi  allo  sviluppo
"orizzontale" del processo, attinenti, cioe', alla relazione  tra  la
fase del giudizio e quella immediatamente precedente (art. 34,  comma
2, cod. proc. pen.),  e  i  casi  di  incompatibilita'  del  giudice,
derivanti dall'aver  esercitato,  nel  medesimo  procedimento,  altre
funzioni o uffici (art. 34, comma 3, cod. proc. pen.). 
    Con specifico riferimento alla disposizione di cui  all'art.  34,
comma 1,  cod.  proc.  pen.,  questa  Corte  ha  affermato  che  essa
«dettando la regola primaria in tema di incompatibilita' del  giudice
determinata  da  atti  compiuti   nel   procedimento,   delinea   una
incompatibilita' di tipo "verticale" - in  senso  tanto  "ascendente"
quanto "discendente" - escludendo segnatamente che il giudice che  ha
pronunciato o  concorso  a  pronunciare  sentenza  in  un  grado  del
procedimento possa esercitare funzioni di giudice negli altri  gradi,
ovvero partecipare al giudizio di rinvio  dopo  l'annullamento  o  al
giudizio per revisione» (sentenza n. 224 del 2001). 
    Tale norma, secondo l'orientamento costante della  giurisprudenza
di  questa  Corte,  mira  ad  assicurare  la  tutela  del   principio
fondamentale dell'imparzialita' del giudice,  obiettivo  cui  tendono
anche gli istituti dell'astensione e della ricusazione. 
    Come affermato da questa Corte (sentenza n.  131  del  1996),  il
"giusto processo" comprende l'esigenza di imparzialita' del  giudice,
la quale non e' che «un aspetto di quel carattere di "terzieta'"  che
connota nell'essenziale tanto la funzione giurisdizionale  quanto  la
posizione del giudice, distinguendola da quella di  tutti  gli  altri
soggetti pubblici, e condiziona l'effettivita' del diritto di  azione
e di difesa in giudizio»; pertanto - ha sottolineato questa  Corte  -
«[l]e norme sulla incompatibilita' del  giudice  sono  funzionali  al
principio di imparzialità-terzieta' della  giurisdizione  e  cio'  ne
chiarisce il rilievo costituzionale». 
    In questa prospettiva, la disciplina sulla  incompatibilita'  del
giudice e' volta a evitare che la decisione sul  merito  della  causa
possa essere o apparire condizionata dalla "forza della  prevenzione"
- ovvero dalla naturale propensione a confermare una  decisione  gia'
presa o a mantenere un atteggiamento  gia'  assunto  -  derivante  da
valutazioni che il giudice abbia  precedentemente  svolto  in  ordine
alla medesima res iudicanda (ex plurimis, sentenze n. 66 del 2019, n.
18 del 2017, n. 183 del 2013, n. 153 del 2012, n. 177  del  2010,  n.
224 del 2001, n. 283 del 2000 e n. 241 del 1999). 
    E perche' possa configurarsi una situazione di  incompatibilita',
nel senso della esigenza costituzionale della relativa previsione, e'
necessario che la valutazione  «contenutistica»  sulla  medesima  res
iudicanda  si  collochi  in  una  precedente  e  distinta  fase   del
procedimento, rispetto a quella della quale il giudice e' attualmente
investito (sentenza n. 66 del 2019). 
    A tal riguardo, si e' costantemente affermato che «[e'] del tutto
ragionevole, infatti, che,  all'interno  di  ciascuna  delle  fasi  -
intese  come  sequenze  ordinate  di  atti  che   possono   implicare
apprezzamenti  incidentali,  anche  di  merito,  su  quanto  in  esse
risulti, prodromici alla decisione conclusiva - resti, in ogni  caso,
preservata l'esigenza  di  continuita'  e  di  globalita',  venendosi
altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento,
che implicherebbe la necessita' di disporre, per la medesima fase del
giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti  da  compiere
(ex plurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 e  n.  131  del  1996;
ordinanze n. 76 del 2007, n. 123 e n. 90 del 2004, n. 370  del  2000,
n. 232 del 1999)» (sentenza n. 18 del 2017). 
    In pronunce piu' risalenti, questa Corte ha  anche  chiarito  che
non e' sufficiente per determinare una situazione di incompatibilita'
la semplice conoscenza degli atti anteriormente compiuti  riguardanti
lo svolgimento del processo, ma occorre  che  il  giudice  sia  stato
chiamato a compiere "una valutazione non formale,  di  contenuto"  di
essi, strumentale alla decisione da assumere che riguardi  il  merito
dell'accusa (sentenza n. 177 del 2010; nello stesso senso, ex multis,
sentenze n. 153 del 2012 e n. 131 del 1996). 
    5.- Cio' premesso, le questioni sono, nel merito, fondate. 
    La   mancata   previsione   dell'incompatibilita'   del   giudice
dell'esecuzione, persona fisica, che  abbia  pronunciato  l'ordinanza
sulla richiesta di rideterminazione della  pena  proposta  a  seguito
della declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  di  una  norma
incidente sulla commisurazione  del  trattamento  sanzionatorio,  poi
annullata  con  rinvio  dalla  Corte  di  cassazione,  confligge  con
entrambi i parametri evocati dal giudice rimettente (artt.  3,  primo
comma, e 111, secondo comma, Cost.). 
    6.- La regola generale di incompatibilita' del giudice che  abbia
gia' compiuto atti nel procedimento e' posta dall'art. 34 cod.  proc.
pen., che ne definisce termini  e  limiti,  e  che,  in  particolare,
stabilisce al comma 1 che il giudice che ha pronunciato o ha concorso
a  pronunciare  sentenza  in  un  grado  del  procedimento  non  puo'
partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento. 
    Questa regola poi e' declinata piu' specificamente dall'art.  623
cod. proc. pen. che, con riferimento alla pronuncia  di  annullamento
con rinvio a seguito del  giudizio  di  cassazione,  prevede  -  alle
lettere b), c) e d) - i vari  casi  di  annullamento  della  sentenza
impugnata, indicando il giudice competente per il giudizio di rinvio. 
    Se e' annullata una sentenza di un giudice collegiale  (corte  di
assise di appello o corte di appello o corte di assise o tribunale in
composizione collegiale) il giudizio e'  rinviato  rispettivamente  a
un'altra sezione della stessa corte o dello stesso  tribunale  o,  in
mancanza, alla corte o al tribunale piu' vicini. 
    Se e' annullata una sentenza di un giudice monocratico (tribunale
in composizione monocratica o giudice per le indagini preliminari) il
giudizio e' rinviato al medesimo tribunale, ma il giudice deve essere
diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata. 
    Ove invece sia annullata  un'ordinanza,  il  medesimo  art.  623,
comma 1, cod. proc. pen., alla lettera a), detta una regola  diversa.
Prevede che la  Corte  di  cassazione  dispone  che  gli  atti  siano
trasmessi  al  giudice  che  l'ha  pronunciata,  il  quale   provvede
uniformandosi alla sentenza di annullamento, senza che sia prescritto
- come nella successiva lettera d) con riferimento alla  sentenza  di
un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini  preliminari
- che il giudice, se monocratico, debba essere diverso da quello  che
ha pronunciato l'ordinanza annullata. 
    Vi e', in particolare, che l'ordinanza e' il tipico provvedimento
decisorio del giudice nel procedimento di esecuzione (art. 666, comma
6, cod. proc. pen.); il quale ha caratteristiche e  peculiarita'  ben
distinte dal procedimento di cognizione. Il  giudice  dell'esecuzione
esercita un'attivita' pur sempre giurisdizionale,  ma  entro  confini
limitati, quali sono in particolare quelli del giudicato formatosi in
sede di cognizione. 
    E', in generale, nell'attivita' della cognizione che  il  giudice
del rinvio, in  caso  di  annullamento  pronunciato  dalla  Corte  di
cassazione, e'  esposto  alla  forza  della  prevenzione  insita  nel
condizionamento per aver egli adottato il provvedimento impugnato. 
    Ma cio' accade anche quando nel  procedimento  di  esecuzione  il
giudice del rinvio, al pari del giudice dell'ordinanza annullata,  e'
chiamato a una valutazione che travalica la  stretta  esecuzione  del
giudicato e attinge, in via eccezionale, il livello della cognizione;
ossia quando al giudice dell'esecuzione e' demandato un «frammento di
cognizione inserito nella fase di esecuzione penale» (sentenza n. 183
del 2013). 
    7.- Si ha, infatti, che il giudice dell'esecuzione - in  caso  di
annullamento dell'ordinanza pronunciata  sulla  commisurazione  della
pena, a seguito di istanza di rideterminazione della stessa  proposta
dal condannato  in  ragione  della  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale che, riguardando la misura della pena edittale,  rende
recessivo, in questa parte, il  giudicato  penale  -  e'  chiamato  a
esprimersi nuovamente sulla medesima istanza. 
    In tale evenienza il giudice  dell'esecuzione,  nel  giudizio  di
rinvio  conseguente  all'annullamento  dell'ordinanza  con  cui  egli
stesso si e' gia' pronunciato sulla rideterminazione della  pena,  e'
nuovamente  investito  della  decisione  circa  la   "misura"   della
responsabilita'  del  condannato,  dovendo  a  tal  fine   esercitare
incisivi poteri di merito, volti alla rivalutazione sanzionatoria del
fatto  illecito,  alla  luce  del  nuovo  e  piu'  favorevole  minimo
edittale. 
    Non si tratta di una  operazione  da  condurre  alla  stregua  di
criteri oggettivi, di mero riproporzionamento automatico  della  pena
gia' quantificata in sede di cognizione,  nell'ambito  della  diversa
cornice edittale, in quanto - come riconosciuto dalla  giurisprudenza
di legittimita'  (ex  multis,  Corte  di  cassazione,  sezione  prima
penale, sentenza 3 marzo-30 aprile 2020, n. 13453) - il giudice  deve
effettuare una nuova valutazione alla stregua dei  parametri  di  cui
agli  artt.  132  e  133  cod.  pen.,  per  assicurare  la  finalita'
rieducativa della pena ai sensi dell'art. 27 Cost. 
    Ed e' proprio nella prospettiva della finalita' rieducativa della
sanzione  penale,  che  il  giudice  dell'esecuzione   procede   alla
necessaria riduzione della pena, perche' la modifica sopravvenuta del
minimo edittale rende non adeguata al  fatto  concreto  una  sanzione
calcolata quando la previsione edittale per quel reato - nel caso  di
specie, per il reato di cui all'art. 73, comma 1, del d.P.R.  n.  309
del 1990 - era, nel minimo, sensibilmente piu' elevata (otto anni  di
reclusione invece di sei). 
    Quando  sopravviene   la   dichiarazione   della   illegittimita'
costituzionale di una norma che incide sul trattamento  sanzionatorio
-  di  cui  la  sentenza  n.  40  del  2019  costituisce  una  tipica
fattispecie - il giudice  dell'esecuzione,  dovendo  far  ricorso  ai
parametri di cui all'art. 133 cod. pen., "ritorna" sulla  valutazione
del fatto illecito, gia' compiuta in sede di cognizione,  occupandosi
nuovamente della gravita' del reato. 
    Al  pari  del  giudice  della  cognizione,  dunque,  il   giudice
dell'esecuzione, in sede di giudizio di rinvio in relazione  al  caso
considerato, esercita un potere discrezionale di commisurazione della
pena per adeguare la risposta punitiva al fatto  concreto,  che,  per
effetto della dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  della
pena, ha assunto un diverso disvalore. 
    Del resto, questa Corte ha affermato che «"l'individualizzazione"
della pena, in modo da tenere conto dell'effettiva  entita'  e  delle
specifiche  esigenze  dei  singoli  casi,  si  pone   come   naturale
attuazione e sviluppo di principi costituzionali»  cosi'  da  rendere
«quanto piu' possibile "personale" la responsabilita'  penale,  nella
prospettiva segnata dall'art. 27, primo comma; [...]  e  quanto  piu'
possibile "finalizzata" nella prospettiva dell'art. 27, terzo  comma,
Cost.» (sentenza n. 50 del 1980). 
    8.- Si ha, allora, che l'apprezzamento demandato  al  giudice  in
sede di  rinvio  assume,  con  riferimento  alla  individuazione  del
"giusto" trattamento sanzionatorio, la natura di «giudizio»  che,  in
quanto  tale,  integra  il  «secondo  termine  della   relazione   di
incompatibilita'  [...],   espressivo   della   sede   "pregiudicata"
dall'effetto di "condizionamento" scaturente  dall'avvenuta  adozione
di una precedente decisione sulla medesima res  iudicanda»  (sentenza
n. 183 del 2013). 
    A tal proposito, questa Corte  ha  affermato  che  «la  locuzione
"giudizio" e' di per  se'  tale  da  comprendere  qualsiasi  tipo  di
giudizio, cioe' ogni processo che in base ad  un  esame  delle  prove
pervenga ad una decisione di merito» (ordinanza n. 151 del 2004). 
    Pertanto, e' un  «"giudizio"  contenutisticamente  inteso,  [...]
ogni  sequenza  procedimentale   -   anche   diversa   dal   giudizio
dibattimentale - la quale, collocandosi in una fase diversa da quella
in  cui  si  e'  svolta  l'attivita'  "pregiudicante",  implichi  una
valutazione sul merito dell'accusa, e  non  determinazioni  incidenti
sul semplice svolgimento del processo, ancorche' adottate sulla  base
di un apprezzamento delle risultanze processuali»  (sentenza  n.  224
del 2001). 
    La valutazione complessiva del fatto  illecito,  che  compete  al
giudice dell'esecuzione nell'attivita' di commisurazione della  pena,
resa  necessaria  a  seguito  di  una  pronuncia  di   illegittimita'
costituzionale, presenta,  pertanto,  tutte  le  caratteristiche  del
"giudizio" per come delineate dalla giurisprudenza di  questa  Corte.
Sicche', in sede di rinvio dopo l'annullamento da parte  della  Corte
di cassazione, il giudice  dell'esecuzione  -  per  essere  «terzo  e
imparziale» (art. 111, secondo comma, Cost.) -  deve  essere  persona
fisica diversa dal giudice che, in precedenza, si e' gia' pronunciato
con l'impugnata (e annullata)  ordinanza  sulla  richiesta  di  nuova
determinazione della pena. 
    In sostanza, ogni qual volta il  giudice  deve  provvedere  sulla
richiesta di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di
illegittimita'  costituzionale   di   una   norma   incidente   sulla
commisurazione   del   trattamento   sanzionatorio,   deve    trovare
applicazione una regola analoga a quella posta dall'art.  623,  comma
1, lettera d), cod. proc. pen.,  secondo  cui  «se  e'  annullata  la
sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le  indagini
preliminari, la corte  di  cassazione  dispone  che  gli  atti  siano
trasmessi al medesimo tribunale; tuttavia,  il  giudice  deve  essere
diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata». 
    9.- Gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc.
pen., vanno pertanto dichiarati costituzionalmente illegittimi, nella
parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione deve essere
diverso - nel senso di persona fisica diversa  -  da  quello  che  ha
pronunciato l'ordinanza sulla  richiesta  di  rideterminazione  della
pena a seguito di declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  di
una   norma   incidente   sulla   commisurazione   del    trattamento
sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 34, comma 1,
e 623, comma 1, lettera a), del codice  di  procedura  penale,  nella
parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione deve essere
diverso da quello che ha pronunciato l'ordinanza sulla  richiesta  di
rideterminazione  della  pena,   a   seguito   di   declaratoria   di
illegittimita'  costituzionale   di   una   norma   incidente   sulla
commisurazione del trattamento sanzionatorio,  annullata  con  rinvio
dalla Corte di cassazione. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 novembre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA