N. 25 SENTENZA 30 novembre 2021- 28 gennaio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Matrimonio - Divorzio - Diritto alla pensione di reversibilita' e  ad
  una  quota  dell'indennita'  di  fine  rapporto   -   Requisiti   -
  Titolarita' del diritto all'assegno di divorzio -  Sussistenza  del
  requisito nel caso di premorienza dell'ex coniuge dopo la  sentenza
  parziale di divorzio, ma in pendenza del giudizio che definisce gli
  aspetti patrimoniali accessori -  Omessa  previsione  -  Denunciata
  violazione del principio di solidarieta' sociale  e  disparita'  di
  trattamento - Inammissibilita' delle questioni. 
- Legge 1° dicembre 1970, n. 898, artt. 9, comma 2, e  12-bis,  comma
  1; legge 28 dicembre 2005, n. 263, art. 5. 
- Costituzione, artt. 2 e 3. 
(GU n.5 del 2-2-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela  NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN
  GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 9,  comma
2,  e  12-bis,  comma  1,  della  legge  1°  dicembre  1970,  n.  898
(Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio)  e  dell'art.  5
della legge 28 dicembre 2005,  n.  263  (Interventi  correttivi  alle
modifiche  in  materia   processuale   civile   introdotte   con   il
decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 14 maggio 2005, n. 80,  nonche'  ulteriori  modifiche  al
codice  di  procedura  civile  e  alle   relative   disposizioni   di
attuazione, al regolamento di cui al regio decreto 17 agosto 1907, n.
642, al  codice  civile,  alla  legge  21  gennaio  1994,  n.  53,  e
disposizioni in tema di diritto alla pensione di  reversibilita'  del
coniuge divorziato),  promosso  dalla  Corte  d'appello  di  Salerno,
sezione civile, nel procedimento fra T. F. e la Fondazione Enasarco e
altri, con ordinanza del 20 ottobre  2020,  iscritta  al  n.  44  del
registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'Istituto  nazionale   della
previdenza  sociale  (INPS),  nonche'  l'atto   di   intervento   del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udita nell'udienza pubblica  del  30  novembre  2021  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    uditi l'avvocata Antonella Patteri per l'INPS e l'avvocato  dello
Stato Maurizio Greco per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 30 novembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del  20  ottobre  2020,  iscritta  al  registro
ordinanze n. 44 del 2021, la  Corte  d'appello  di  Salerno,  sezione
civile,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  2  e  3  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale degli artt.  9
(recte: art. 9, comma 2) e 12-bis (recte: art. 12-bis, comma 1) della
legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi  di  scioglimento
del matrimonio) e dell'art. 5 della legge 28 dicembre  2005,  n.  263
(Interventi correttivi alle modifiche in materia  processuale  civile
introdotte con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80,  nonche'  ulteriori
modifiche al codice di procedura civile e alle relative  disposizioni
di attuazione, al regolamento di cui al regio decreto17 agosto  1907,
n. 642, al codice civile, alla  legge  21  gennaio  1994,  n.  53,  e
disposizioni in tema di diritto alla pensione di  reversibilita'  del
coniuge divorziato), nella parte in cui non prevedono, ai fini  della
corresponsione della  pensione  di  reversibilita'  e  di  una  quota
dell'indennita' di fine rapporto, che il requisito della  titolarita'
dell'assegno divorzile, in caso di morte  dell'obbligato  intervenuta
successivamente a una sentenza parziale di divorzio, ma  prima  della
definitiva determinazione dell'assegno, sussista anche in presenza di
provvedimenti provvisori presidenziali  che  riconoscano  provvidenze
economiche all'ex coniuge. 
    2.- In punto di fatto, il rimettente riferisce che  T.  F.  aveva
percepito, durante gli  anni  in  cui  si  era  svolta  la  causa  di
divorzio, sino alla  data  del  decesso  dell'ex  coniuge,  l'assegno
disposto in via provvisoria dal Presidente del Tribunale ordinario di
Salerno. 
    Di seguito, con la morte dell'ex coniuge, il processo di divorzio
si era concluso con una sentenza  di  cessazione  della  materia  del
contendere, pronunciata dopo il passaggio in giudicato della sentenza
parziale,  che  aveva  gia'  deciso  lo  scioglimento  del   rapporto
matrimoniale incidendo sullo status coniugale. 
    2.1.-  Secondo  quanto  espone  il   rimettente,   l'ex   coniuge
superstite, non avendo impugnato  la  sentenza  di  cessazione  della
materia del  contendere,  che  pertanto  era  passata  in  giudicato,
presentava, il 12 luglio 2019, ricorso al Tribunale per  ottenere  la
determinazione della quota  di  pensione  di  reversibilita'  nonche'
della quota di trattamento di fine  rapporto  di  sua  spettanza.  Il
Tribunale rigettava entrambe  le  richieste,  motivando  il  relativo
decreto del 18 febbraio 2020 con la non  titolarita',  in  capo  alla
ricorrente, dell'assegno di divorzio. 
    2.2.- Il giudice a quo prosegue  nell'esporre  che  T.  F.  aveva
proposto reclamo avverso il citato provvedimento,  motivando  la  sua
mancata impugnazione della sentenza di cessazione della  materia  del
contendere   con   la   seguente   argomentazione:   «per    costante
giurisprudenza di legittimita',  la  morte  di  uno  dei  coniugi  in
pendenza  del  giudizio  di  separazione  o  divorzio   comporta   la
declaratoria di cessazione della  materia  del  contendere  e  [...],
pertanto, ella non poteva [id est: la reclamante  non  aveva  potuto]
impugnare la conforme sentenza emessa dal Tribunale, impedendo che la
stessa divenisse irrevocabile». 
    Il rimettente puntualizza, di seguito, che T. F., sul presupposto
dell'assegno  di  divorzio  percepito  in  virtu'  di  «provvedimenti
provvisori» in vigore sino alla scomparsa dell'ex coniuge, «invocava,
in caso di rigetto della sua  domanda,  la  violazione  dei  principi
costituzionali relativi al divieto di disparita' di trattamento». 
    3.- Cosi' riferite le premesse in fatto, il giudice a  quo  passa
ad illustrare il quadro normativo che regola la corresponsione  della
pensione  di  reversibilita'  e  dell'indennita'  di  fine  rapporto,
nonche' i principali sviluppi giurisprudenziali che hanno interessato
la materia. 
    3.1.- Il rimettente ricorda che, a norma dell'art.  9,  comma  2,
della legge n. 898 del 1970, «[i]n caso di morte dell'ex coniuge e in
assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per  la  pensione
di reversibilita', il coniuge rispetto al quale e' stata  pronunciata
sentenza di scioglimento o di cessazione  degli  effetti  civili  del
matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che  sia
titolare di assegno  ai  sensi  dell'articolo  5,  alla  pensione  di
reversibilita', sempre  che  il  rapporto  da  cui  trae  origine  il
trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza». 
    Precisa,  inoltre,  che   la   citata   disposizione   e'   stata
successivamente oggetto di  una  interpretazione  autentica  a  opera
dell'art. 5 della legge n. 263 del 2005, il quale specifica che  «per
titolarita' dell'assegno ai sensi  dell'articolo  5  deve  intendersi
l'avvenuto  riconoscimento  dell'assegno  medesimo   da   parte   del
tribunale ai sensi del predetto articolo 5 della citata legge n.  898
del 1970». 
    Infine, rileva che, sebbene testualmente riferita al solo art.  9
della legge n. 898  del  1970,  l'interpretazione  autentica  sarebbe
applicabile anche all'art. 12-bis, «posto che esso richiede, ai  fini
del riconoscimento del TFR, il medesimo requisito  della  titolarita'
dell'assegno di divorzio». 
    3.2.- Il giudice a quo precisa  che  l'interpretazione  autentica
aveva  composto  una  divergenza  ermeneutica  che  era  sorta  nella
giurisprudenza in ordine ai presupposti indicati dall'art.  9,  comma
2, della legge n. 898 del 1970. 
    Secondo  una  prima  tesi  doveva  ritenersi  indispensabile   la
concreta previsione in via giudiziale dell'assegno  (sono  richiamate
le sentenze della Corte  di  cassazione:  sezione  prima  civile,  10
ottobre 2003, n. 15148; sezioni unite civili,  12  gennaio  1998,  n.
159; sezione prima civile, 8 gennaio 1997, n. 75; sezione lavoro,  26
luglio 1993, n. 8335),  mentre,  secondo  una  diversa  ricostruzione
(difesa sin dalla sentenza della Corte di cassazione,  sezione  prima
civile, sentenza 10 settembre 1990,  n.  9309),  poteva  considerarsi
sufficiente   l'esistenza,   in   astratto,   dei   presupposti   per
l'attribuzione dell'assegno, «diritto accertabile  incidenter  tantum
anche da parte del giudice delle pensioni» (viene richiamata Corte di
cassazione, sezione lavoro, sentenza 17 gennaio 2000, n. 457). 
    3.3.-  Da  ultimo,  il  rimettente  puntualizza  che,  a  seguito
dell'intervento  legislativo   di   interpretazione   autentica,   la
giurisprudenza ha ulteriormente precisato che «l'assegno deve  essere
giudizialmente riconosciuto in modo formale e definitivo, (salva ogni
impugnabilita' o successiva possibilita' di revisione),  non  essendo
utili, ai fini in oggetto, determinazioni provvisorie in attesa della
decisione» (e' richiamata  sul  punto  la  sentenza  della  Corte  di
cassazione, sezione prima civile, 11 aprile 2011, n. 8228). La legge,
dunque, non consentirebbe «di ritenere sufficiente  il  provvedimento
provvisorio di riconoscimento  dell'assegno  divorzile  concesso  dal
Presidente del Tribunale in sede di comparizione delle parti»  (Corte
di cassazione, sezione prima civile, sentenza 20  febbraio  2018,  n.
4107). 
    3.4.- Il rimettente giunge, pertanto, alla seguente conclusione. 
    Ove vi sia stata, come nel caso da cui origina il giudizio a quo,
una sentenza parziale di divorzio, mentre «la decisione, sia sull'an,
che  sul  quantum  dell'assegno,  sia  stata   rinviata   alla   fase
successiva», «l'accertamento giudiziale non potra' compiersi dopo  il
decesso dell'obbligato, vigendo l'opposto principio della  cessazione
della materia del contendere con riferimento al rapporto di  coniugio
ed a tutti i profili economici connessi». 
    Pertanto,  poiche'  alla  parte  reclamante  residuava  «il  solo
riconoscimento dell'assegno divorzile contenuto nell'ordinanza emessa
dal Presidente del Tribunale ex art. 4, comma 8, legge n.  898/1970»,
ma  tale  provvedimento,   in   virtu'   del   quadro   normativo   e
giurisprudenziale esposto, non avrebbe alcuna valenza ai  fini  della
corresponsione  dei  benefici  economici  oggetto   del   contendere,
emergerebbe un vulnus costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3
Cost. 
    4.- Passando, dunque, a motivare la  non  manifesta  infondatezza
della questione sollevata, il rimettente premette che il  trattamento
pensionistico di cui all'art. 9, comma 2, della legge n. 898 del 1970
non avrebbe natura meramente previdenziale, bensi'  assolverebbe  «la
precipua funzione di assicurare all'ex  coniuge  la  continuita'  del
sostegno economico in precedenza garantitogli mediante  il  pagamento
dell'assegno di divorzio» (e' richiamata, in proposito,  la  sentenza
di questa Corte n. 419 del 1999). 
    Il giudice a quo colloca, dunque, tale trattamento nel quadro  di
un sistema, disegnato dal legislatore, che sarebbe volto  a  tutelare
diritti fondamentali «nel modo piu' completo,  per  proteggere  parti
giudizialmente ritenute economicamente deboli e percio' vulnerabili». 
    In particolare, secondo il  rimettente,  la  tutela  del  coniuge
economicamente piu' debole sarebbe affidata, sino  alla  sentenza  di
divorzio, al sostegno economico nell'ambito del rapporto di coniugio,
nonche'  al  riconoscimento  della  pensione  di   reversibilita'   e
dell'indennita' di fine rapporto. Successivamente, non  sarebbe  piu'
il rapporto di coniugio a garantire protezione,  ma  opererebbero  le
norme divorzili «che equiparano coniuge ed ex coniuge ai  fini  della
reversibilita' e  garantiscono  una  quota  dell'indennita'  di  fine
rapporto». 
    4.1.- Cio' premesso, il rimettente solleva, in  riferimento  agli
artt. 2 e 3 Cost., questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
9, comma 2, della legge n. 898 del 1970 e dell'art. 5 della legge  n.
263 del 2005, sulla base delle seguenti argomentazioni. 
    4.1.1.- Ritiene, innanzitutto, che il citato art. 9, comma 2, per
come interpretato dalla disposizione  di  interpretazione  autentica,
anch'essa censurata, contrasti con l'art. 2 Cost.  «nella  misura  in
cui subordina la  [...]  funzione  solidaristica  della  pensione  di
reversibilita' alla sussistenza di presupposti meramente formali». 
    4.1.2.-  Individua,  inoltre,  «un  vulnus,  verosimilmente   non
considerato dal Legislatore, anche in  ragione  del  fatto  che  sono
successivamente  intervenute  modifiche  in  tema  di  sentenza   non
definitiva di divorzio, che riguarda la posizione di chi non e'  piu'
coniuge,  perche'  gia'  divorziato,   ma   non   ha   ancora   visti
regolamentati  i  suoi  diritti  definitivi  in   tema   di   assegno
divorzile». In particolare, il giudice a quo sostiene  che,  per  chi
versi nella situazione della parte reclamante nel giudizio principale
(ossia l'essere gia' divorziato, ma non ancora titolare di assegno di
divorzio), vi sarebbe «una disparita'  di  trattamento  sia  con  chi
abbia gia' ottenuto un divorzio, sia con chi non l'abbia ottenuto». 
    4.1.3.- Parimenti, ravvisa una disparita' di trattamento tra  chi
abbia gia' conseguito «una  sentenza  non  passata  in  giudicato  e,
quindi, suscettibile di essere travolta e chi abbia ottenuto un  mero
provvedimento  presidenziale».  Il  rimettente   precisa   che   tale
disparita'  sarebbe  «processualmente  giustificabile»,   stante   la
differenza tra  provvedimento  provvisorio  e  sentenza,  ma  sarebbe
comunque «fonte di ingiustizie  sostanziali»,  ove  si  applicasse  a
casi, quale quello di cui si controverte nel giudizio principale, ove
la parte «aveva goduto dell'assegno, non solo durante il  periodo  di
separazione, ma anche per quattro anni nel giudizio divorzile». 
    Pertanto,  il  rimettente  sostiene   che   la   medesima   norma
precluderebbe  irragionevolmente  «al  destinatario  di  un   assegno
divorzile provvisorio l'accesso alla tutela pensionistica ex  art.  9
comma 2, sebbene anch'egli  [fosse]  beneficiario  di  una  forma  di
contribuzione economica al pari dell'ex  coniuge  cui  l'assegno  sia
stato riconosciuto con sentenza». 
    4.2.- Infine, il giudice a quo ritiene che  analoghe  censure  di
legittimita' costituzionale vadano riferite all'art. 12-bis, comma 1,
della stessa legge n. 898 del 1970 che, al pari dell'indicato art. 9,
comma 2, presuppone il requisito della  titolarita'  dell'assegno  di
divorzio  ai  fini  della  corresponsione  del  trattamento  di  fine
rapporto in favore dell'ex coniuge. 
    5.- Con atto depositato il  4  maggio  2021,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso    dall'Avvocatura    generale    dello    Stato,    eccependo
l'inammissibilita' e la non fondatezza delle questioni. 
    5.1.- Ad avviso della difesa  erariale,  le  questioni  sarebbero
inammissibili per difetto di rilevanza e  per  errata  individuazione
delle norme da applicare  ai  fini  della  definizione  del  giudizio
principale. 
    5.1.1.- Quanto ai profili attinenti alla rilevanza,  l'Avvocatura
osserva che la «condizione giuridica della reclamante»  nel  giudizio
principale «deriva [...] dalla decisione del tribunale di  dichiarare
estinto il giudizio di divorzio  per  cessazione  della  materia  del
contendere a  seguito  della  morte  dell'ex  coniuge  potenzialmente
obbligato  a  versare  l'assegno,  statuizione  che  ha  precluso  la
riassunzione del giudizio nei confronti degli eredi del de cuius, sia
pure limitatamente alle domande relative ai diritti patrimoniali». La
difesa erariale osserva che il rimettente «omette  di  analizzare  il
fatto che la normativa vigente e in particolare  le  norme  censurate
non precludono la possibilita' di conseguire, anche in caso di  morte
dell'ex coniuge durante il giudizio, l'accertamento con sentenza  del
diritto all'assegno di divorzio». 
    L'interveniente ritiene, pertanto, che  il  denunciato  «"vulnus"
nel sistema» non deriverebbe dall'applicazione delle norme censurate.
Se, infatti, tale vulnus  viene  identificato  con  riferimento  alla
posizione di coloro che ottengono  una  sentenza  non  definitiva  di
divorzio, «ma non riescono ad ottenere, per causa non imputabile,  la
pronuncia  definitiva  sugli  aspetti   patrimoniali»,   il   mancato
conseguimento   della   statuizione   definitiva   sull'assegno   non
deriverebbe, ad avviso della difesa erariale, dalle norme  della  cui
legittimita' costituzionale si dubita. 
    5.1.2.-  Quanto  alle  censure  formulate  in  riferimento   alla
violazione  dell'art.  3  Cost.,  sotto  il   profilo   dell'asserita
sussistenza di una «irragionevole disparita' di trattamento  tra  chi
ha ottenuto il divorzio e l'accertamento del diritto di percepire  un
contributo economico dall'ex coniuge con sentenza definitiva  e  chi,
sia pure titolare di assegno in forza di  provvedimento  provvisorio,
non ha conseguito questa decisione a  causa  della  premorte  dell'ex
coniuge», la censura non sarebbe «correttamente formulata» e  sarebbe
pertanto inammissibile: mancherebbe, infatti, l'individuazione  della
ratio che sta alla base  delle  norme  censurate,  «alla  luce  della
differente  situazione  giuridica  di  chi  e'  destinatario  di  una
statuizione provvisoria emessa a seguito di cognizione sommaria e  di
chi, invece,  ottiene  l'accertamento  del  diritto  all'assegno  con
statuizione a seguito di giudizio di cognizione piena». 
    5.1.3.- In aggiunta, l'Avvocatura contesta l'ammissibilita' delle
questioni, sul presupposto che  il  giudice  rimettente  non  avrebbe
tentato   un'interpretazione   costituzionalmente   orientata   delle
disposizioni censurate (sono richiamate la sentenza di  questa  Corte
n. 255 del 2017 e le ordinanze n. 212, n. 101 e n. 15 del 2011  e  n.
322 del 2010), il che dovrebbe prescindere «dalla correttezza o  meno
dell'interpretazione» prospettata, profilo che invece  atterrebbe  al
merito. 
    5.2.-   Di   seguito,   l'interveniente    sviluppa    molteplici
argomentazioni che deporrebbero per la non fondatezza delle questioni
sollevate. 
    5.2.1.- Innanzitutto, ritiene non fondata la censura secondo cui,
stante  la  funzione  solidaristica  dei  diritti  alla  pensione  di
reversibilita' e alla quota di indennita' di fine  rapporto,  sarebbe
violato l'art. 2 Cost., in quanto le norme che regolano tali  diritti
subordinerebbero il loro riconoscimento a un dato meramente formale. 
    Ad  avviso  dell'Avvocatura,  il  dato  sarebbe  tutt'altro   che
formale, poiche' consisterebbe  nella  necessita'  di  ricollegare  i
trattamenti patrimoniali in  questione  alla  sussistenza,  accertata
giudizialmente, di tutte le condizioni indicate  dall'art.  5,  sesto
comma, della legge n. 898 del 1970. La difesa  erariale  osserva  che
tale  disposizione  «e'  chiara  nel  vincolare   la   corresponsione
dell'assegno divorzile al requisito che l'ex coniuge non abbia  mezzi
adeguati e non possa procurarseli  per  ragioni  oggettive  e  tenuto
conto "delle condizioni dei coniugi, delle ragioni  della  decisione,
del  contributo  personale  ed  economico  dato  da   ciascuno   alla
conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno  o
di quello comune,  del  reddito  di  entrambi,  e  valutati  tutti  i
suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio"». Per
tali ragioni, la difesa erariale ritiene che il vincolo solidaristico
cui e'  tenuto  l'ex  coniuge  obbligato  presupponga  di  necessita'
l'avvenuta  verifica  giudiziale  sia  dell'inadeguatezza  dei  mezzi
dell'ex   coniuge   beneficiario,   sia   della   conseguenza   della
sperequazione  reddituale  dalle  scelte  comuni  di  vita  degli  ex
coniugi, per effetto delle quali  un  coniuge  abbia  sacrificato  le
proprie aspettative professionali  e  reddituali  a  beneficio  della
conduzione  familiare  (viene  richiamata,  in  proposito,  Corte  di
cassazione, sezione prima civile, sentenza 17 aprile 2019, n. 10782). 
    5.2.2.- Per la medesima ragione, l'Avvocatura contesta che  possa
ritenersi irragionevole  il  diverso  trattamento  di  chi,  dopo  lo
scioglimento del matrimonio, abbia potuto ottenere,  prima  che  l'ex
coniuge morisse, solo un provvedimento provvisorio di  riconoscimento
dell'assegno di divorzio, rispetto a chi sia  riuscito  a  conseguire
per tempo la sentenza che  decide  a  riguardo.  «La  differenza  tra
sentenza e ordinanza provvisoria non e'  meramente  formale  ma  deve
essere messa in rapporto con la situazione che forma oggetto di  tali
provvedimenti, che solo nel  caso  di  sentenza  viene  compiutamente
verificata». Ed e' per  questo  che  la  giurisprudenza  escluderebbe
l'equivalenza fra provvedimento presidenziale provvisorio e  sentenza
ai fini  del  riconoscimento  della  titolarita'  dell'assegno  (sono
richiamate le sentenze  della  Corte  di  cassazione,  sezione  prima
civile, 11 aprile 2011, n. 8228; 9 giugno 2010, n. 13899 e  8  luglio
2005, n. 14381). 
    La difesa  erariale  osserva,  inoltre,  che,  ove  la  questione
venisse accolta, si creerebbe il paradossale esito  per  cui  «all'ex
coniuge di un soggetto in vita potrebbe essere corrisposto un assegno
divorzile solo all'esito dell'attivita'  istruttoria,  mentre  all'ex
coniuge  di  un  soggetto  premorto  alla  conclusione  del  giudizio
relativo agli aspetti patrimoniali del divorzio  verrebbe  attribuito
un  trattamento  pensionistico  e  di  fine   rapporto   prescindendo
completamente  da  una  tale  attivita'»,  facendo  cosi'   dipendere
l'approfondimento e  le  condizioni  dell'accertamento  da  un  fatto
puramente casuale, qual e' la morte di uno dei coniugi. 
    Di seguito, l'Avvocatura ribadisce che  l'ordinamento  fornirebbe
gli strumenti adeguati per dare all'ex coniuge una  piena  tutela  in
caso  di  premorte,  riassumendo  la  causa  dichiarata  estinta  nei
confronti degli eredi del de cuius, e coltivando in  quella  sede  le
relative pretese patrimoniali  (sono  richiamate  le  sentenze  della
Corte di cassazione, sezione prima civile, 3 agosto 2007, n. 17041  e
2 settembre 1997, n. 8381). 
    5.2.3.- Anche in merito allo specifico profilo  della  violazione
del principio di eguaglianza per l'irragionevole distinzione  che  le
norme censurate creerebbero tra  chi  riceve  un  emolumento  mensile
sulla base di un'ordinanza presidenziale provvisoria e chi e'  invece
titolare di un assegno di divorzio  in  forza  di  una  sentenza  non
ancora passata in  giudicato,  e  quindi  parimenti  suscettibile  di
essere caducata, la difesa erariale ritiene che la questione non  sia
fondata, in quanto la sentenza  sarebbe  comunque  «un  provvedimento
tendenzialmente definitivo», suscettibile di acquisire la  stabilita'
del giudicato ove non impugnata. 
    6.- Con atto depositato il 4 maggio 2021,  si  e'  costituito  in
giudizio l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS),  parte
del giudizio principale, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata
non fondata. 
    La parte deduce che la verifica  della  condizione  di  effettiva
titolarita'    dell'assegno,    riconosciuta    giudizialmente    con
provvedimento non provvisorio, risponderebbe alla «generale  esigenza
di certezza dei rapporti giuridici, esigenza che diventa ancora  piu'
stringente quando si tratta di  rapporti  e  diritti  previdenziali».
Nello specifico, la parte eccepisce  che,  poiche'  al  provvedimento
presidenziale    provvisorio    non    seguirebbe     necessariamente
l'attribuzione  piena  del  diritto   all'assegno,   posto   che   la
statuizione   provvisoria   potrebbe   essere   sostituita   da    un
provvedimento di opposto  tenore,  il  requisito  sarebbe  funzionale
all'interesse pubblico di verificare che le condizioni stabilite  per
l'accesso all'assegno siano state compiutamente valutate dal giudice.
Cio' non sarebbe in contrasto con  la  funzione  solidaristica  della
pensione  di  reversibilita'  e  -  anzi  -  proprio  tale   funzione
imporrebbe che «le limitate risorse pubbliche non vengano distribuite
senza l'attenta e scrupolosa verifica  dei  requisitivi  costitutivi,
per evitare che tali risorse vengano disperse». 
    7.- Nell'udienza del 30 novembre 2021 sono intervenute la  difesa
dell'INPS e l'Avvocatura generale dello Stato,  che  hanno  insistito
per le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del  20  ottobre  2020,  iscritta  al  registro
ordinanze n. 44 del 2021, la  Corte  d'appello  di  Salerno,  sezione
civile,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  2  e  3  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt.  9
(recte: art. 9, comma 2) e 12-bis (recte: art. 12-bis, comma 1) della
legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi  di  scioglimento
del matrimonio) e dell'art. 5 della legge 28 dicembre  2005,  n.  263
(Interventi correttivi alle modifiche in materia  processuale  civile
introdotte con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80,  nonche'  ulteriori
modifiche al codice di procedura civile e alle relative  disposizioni
di attuazione, al regolamento di cui al regio decreto 17 agosto 1907,
n. 642, al codice civile, alla  legge  21  gennaio  1994,  n.  53,  e
disposizioni in tema di diritto alla pensione di  reversibilita'  del
coniuge divorziato), nella parte in cui non prevedono, ai fini  della
corresponsione della  pensione  di  reversibilita'  e  di  una  quota
dell'indennita' di fine rapporto, che il requisito della  titolarita'
dell'assegno divorzile, in caso di morte  dell'obbligato  intervenuta
successivamente a una sentenza parziale di divorzio, ma  prima  della
definitiva determinazione dell'assegno, sussista anche in presenza di
provvedimenti provvisori presidenziali  che  riconoscano  provvidenze
economiche all'ex coniuge. 
    1.1.- L'art. 9, comma 2, della legge n. 898 del 1970 prevede  che
«[i]n caso di morte dell'ex  coniuge  e  in  assenza  di  un  coniuge
superstite avente i requisiti per la pensione di  reversibilita',  il
coniuge  rispetto  al  quale  e'  stata   pronunciata   sentenza   di
scioglimento o di cessazione degli effetti civili del  matrimonio  ha
diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che  sia  titolare  di
assegno ai sensi dell'articolo 5, alla  pensione  di  reversibilita',
sempre  che  il  rapporto  da  cui  trae   origine   il   trattamento
pensionistico sia anteriore alla sentenza». 
    1.2.-   L'art.   5   della   legge   n.   263   del   2005   reca
un'interpretazione  autentica  dell'indicato   art.   9,   comma   2,
specificando che tale disposizione debba interpretarsi «nel senso che
per titolarita' dell'assegno ai sensi dell'articolo 5 deve intendersi
l'avvenuto  riconoscimento  dell'assegno  medesimo   da   parte   del
tribunale ai sensi del predetto articolo 5 della citata legge n.  898
del 1970». 
    1.3.- Infine, l'art. 12-bis,comma 1, della medesima legge n.  898
del 1970 dispone che  «[i]l  coniuge  nei  cui  confronti  sia  stata
pronunciata sentenza di scioglimento o di  cessazione  degli  effetti
civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze  e  in
quanto sia titolare di assegno  ai  sensi  dell'articolo  5,  ad  una
percentuale dell'indennita' di  fine  rapporto  percepita  dall'altro
coniuge all'atto della cessazione del rapporto  di  lavoro  anche  se
l'indennita' viene a maturare dopo la sentenza». 
    2.- In punto di fatto, il rimettente  riferisce  che  T.  F.,  in
qualita' di coniuge divorziato di A. C., aveva chiesto,  con  ricorso
del 12 luglio 2019, la determinazione  della  quota  di  pensione  di
reversibilita' nonche' della quota di trattamento di fine rapporto di
sua spettanza. 
    Tuttavia, secondo quanto riporta il rimettente, con  decreto  del
18 febbraio 2020, il Tribunale ordinario di Salerno  aveva  rigettato
entrambe le richieste in ragione della non titolarita', in capo  alla
ricorrente, di un assegno di divorzio.  La  motivazione  del  rigetto
risiedeva nella circostanza che «il divorzio  era  stato  pronunciato
con sentenza parziale, con riserva  di  esaminare  nel  prosieguo  le
questioni di carattere economico e il relativo giudizio si era  pero'
concluso, in conseguenza della morte  in  corso  di  causa,  con  una
pronuncia di cessazione della materia del contendere, non impugnata e
pertanto divenuta irrevocabile». 
    La Corte d'appello rimettente prosegue  nell'esporre  che  T.  F.
aveva proposto  reclamo,  motivando  la  mancata  impugnazione  della
sentenza   di   cessazione   della   materia   del   contendere   con
l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimita' volto  a
ravvisare, in caso di «morte di  uno  dei  coniugi  in  pendenza  del
giudizio di separazione o divorzio[, la] cessazione della materia del
contendere e che,  pertanto,  ella  non  poteva  [id  est:  la  parte
reclamante non aveva potuto] impugnare la  conforme  sentenza  emessa
dal Tribunale, impedendo che la stessa divenisse irrevocabile». 
    Il giudice a quo conclude, pertanto, che T. F. faceva  valere  il
suo diritto  alla  pensione  di  reversibilita'  e  a  una  quota  di
indennita' di fine rapporto,  in  ragione  dell'assegno  di  divorzio
percepito,  sino  alla  scomparsa  dell'ex  coniuge,  in  virtu'   di
«provvedimenti provvisori» del Presidente del Tribunale di Salerno  e
che «invocava, in caso di rigetto della sua  domanda,  la  violazione
dei principi costituzionali relativi  al  divieto  di  disparita'  di
trattamento». 
    3.- Cosi' riportate le premesse in fatto, il  giudice  rimettente
ricostruisce il quadro normativo che impedirebbe di riconoscere  alla
reclamante nel  giudizio  principale  il  diritto  alla  pensione  di
reversibilita' e alla  quota  di  indennita'  di  fine  rapporto,  in
mancanza  della  sentenza  che  accerta  il  diritto  all'assegno  di
divorzio ai sensi dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970. 
    Tale presupposto difetterebbe, nel caso di specie, in presenza di
un  assegno   riconosciuto   in   via   meramente   provvisoria   con
provvedimento del Presidente del  tribunale,  il  che  -  secondo  il
rimettente - evidenzierebbe un vulnus costituzionale. 
    4.- In punto di non manifesta  infondatezza,  il  giudice  a  quo
ritiene che l'art. 9, comma 2, della legge n. 898 del 1970, per  come
interpretato alla luce dell'art. 5, della  legge  n.  263  del  2005,
anch'esso censurato, contrasti con l'art. 2 Cost.  «nella  misura  in
cui subordina la  [...]  funzione  solidaristica  della  pensione  di
reversibilita' alla sussistenza di presupposti meramente formali». 
    Ravvisa, inoltre, una violazione anche  dell'art.  3  Cost.,  per
irragionevole  disparita'  di  trattamento  fra   chi   versi   nella
situazione della parte  reclamante  nel  giudizio  principale,  ossia
l'essere gia' divorziato,  ma  non  ancora  titolare  di  assegno  di
divorzio, e chi abbia «gia' ottenuto un[a sentenza di]  divorzio»  o,
viceversa, «chi non l'abbia ottenut[a]» e goda  ancora  delle  tutele
coniugali. 
    In particolare, denuncia una disparita' di  trattamento  tra  chi
abbia  gia'  conseguito  «una  sentenza  [relativa   all'assegno   di
divorzio] non passata in giudicato e, quindi, suscettibile di  essere
travolta e chi abbia ottenuto un  mero  provvedimento  presidenziale»
che abbia riconosciuto in via provvisoria un assegno.  Il  rimettente
precisa che tale disparita' sarebbe «processualmente giustificabile»,
stante la differenza tra provvedimento  provvisorio  e  sentenza,  ma
sarebbe «fonte di ingiustizie sostanziali», ove si applicasse a casi,
quale quello di cui si controverte nel giudizio  principale,  ove  la
parte «aveva goduto dell'assegno, non  solo  durante  il  periodo  di
separazione, ma anche per quattro anni nel giudizio divorzile». 
    Pertanto,  sostiene   che   la   medesima   norma   precluderebbe
irragionevolmente  «al   destinatario   di   un   assegno   divorzile
provvisorio l'accesso alla tutela pensionistica ex art. 9,  comma  2,
sebbene anch'egli [fosse] beneficiario di una forma di  contribuzione
economica  al  pari  dell'ex  coniuge   cui   l'assegno   sia   stato
riconosciuto con sentenza». 
    Il giudice a  quo  appunta,  infine,  analoghe  censure  all'art.
12-bis, comma 1, della stessa legge n. 898  del  1970  che,  al  pari
dell'art.  9,  comma  2,  prevede  il  requisito  della   titolarita'
dell'assegno di divorzio ai fini della corresponsione del trattamento
di fine rapporto in favore dell'ex coniuge. 
    5.- Con atto depositato il  4  maggio  2021,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso    dall'Avvocatura    generale    dello    Stato,    eccependo
l'inammissibilita' e la non fondatezza delle questioni. 
    5.1.- In rito,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ritiene  le
questioni di legittimita' costituzionale in esame inammissibili  «sia
sotto il profilo della  rilevanza  che  della  esatta  individuazione
delle norme rilevanti per la soluzione della causa». 
    In particolare, la Corte  d'appello  rimettente  ometterebbe  «di
analizzare il fatto che la normativa  vigente  e  in  particolare  le
norme censurate non precludono la possibilita' di  conseguire,  anche
in caso di morte dell'ex coniuge durante il giudizio,  l'accertamento
con sentenza del diritto all'assegno di divorzio». 
    Di conseguenza, la questione sarebbe irrilevante  poiche',  «pure
essendo vero che il giudice deve applicare  le  norme  censurate  per
statuire sulla domanda della reclamante, e' pure vero che il  mancato
conseguimento della statuizione definitiva  sull'assegno  non  deriva
dalle norme della cui legittimita' si dubita». 
    6.- In via preliminare, al fine  di  esaminare  le  eccezioni  di
inammissibilita',   occorre   rievocare   il   quadro   normativo   e
giurisprudenziale, nel  quale  si  colloca  la  vicenda  oggetto  del
giudizio a quo. 
    6.1.- Secondo l'art. 9, comma 2, della  legge  n.  898  del  1970
(come modificato dall'art. 13  della  legge  6  marzo  1987,  n.  74,
recante «Nuove norme sulla disciplina dei  casi  di  scioglimento  di
matrimonio»), il diritto alla pensione di reversibilita'  scaturisce,
insieme  con  altri  presupposti,  dalla  titolarita'   del   diritto
all'assegno di divorzio. Quest'ultimo, a sua volta,  e'  giustificato
da ragioni assistenziali e compensativo-perequative,  che  coniugano,
nei  rapporti  orizzontali,  la  solidarieta'   con   l'esigenza   di
riequilibrare gli effetti delle scelte  condivise  nello  svolgimento
della vita coniugale. In virtu' di tale presupposto, anche il diritto
alla pensione di reversibilita' rispecchia,  sul  piano  assiologico,
una funzione solidaristica (sentenze n. 419 del 1999, n. 286 del 1987
e  n.   7   del   1980),   che   sottende,   al   contempo,   istanze
perequativo-compensative. 
    Analogamente, ai sensi dell'art. 12-bis, comma 1, della legge  n.
898 del 1970 (introdotto con l'art. 16 della legge n. 74  del  1987),
la pretesa di una quota dell'indennita' di fine rapporto dipende, fra
l'altro, dalla titolarita' dell'assegno di cui all'art. 5 della legge
n.  898  del  1970  ed  e'  giustificata  dalla  prevalente  funzione
perequativo-compensativa. 
    I diritti alla pensione di  reversibilita'  e  ad  una  quota  di
indennita' di fine rapporto svolgono, in sostanza, funzioni che,  nei
rapporti orizzontali tra ex coniugi, riflettono  istanze  di  rilievo
costituzionale, che attengono alla  solidarieta'  e  all'effettivita'
del principio di eguaglianza. 
    6.2.-  Deve,  poi,  precisarsi  che  tali  diritti,  pur  traendo
giustificazione e origine dai rapporti fra gli ex coniugi,  producono
effetti che si riverberano anche nei confronti di terzi. 
    Al fine, dunque, di evitare che, nell'ambito di processi relativi
a pretese previdenziali,  coinvolgenti  gli  enti  obbligati  a  tali
prestazioni, possano porsi, tramite accertamenti  incidenter  tantum,
questioni inerenti alla spettanza in astratto del diritto all'assegno
di divorzio, l'art. 5 della legge n. 263 del  2005,  disposizione  di
interpretazione  autentica,  ha   previsto   che   «per   titolarita'
dell'assegno  [...]   deve   intendersi   l'avvenuto   riconoscimento
dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del[l'] art.  5
della [...] legge n. 898 del 1970». Resta  salva  l'equiparazione  al
provvedimento giudiziale della convenzione di negoziazione assistita,
ai sensi dell'art. 6, comma 3, del decreto-legge 12  settembre  2014,
n.  132  (Misure  urgenti  di  degiurisdizionalizzazione   ed   altri
interventi per la definizione dell'arretrato in materia  di  processo
civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014,
n. 162. 
    In particolare, l'esclusione dell'accertamento incidenter  tantum
si e' posta in linea di continuita' con la  scelta  effettuata  dalla
legge n. 74 del 1987 di  rendere  automatico  il  riconoscimento  del
diritto di cui all'art. 9, comma 2,  della  legge  n.  898  del  1970
(nonche' di aggiungere la previsione  di  cui  all'art.  12-bis).  La
novella del 1987 ha, infatti, disegnato con l'art. 9,  comma  2,  «un
nuovo istituto [...], che il legislatore ha prescelto allo  scopo  di
eliminare le occasioni di litigiosita' di cui la  norma  abrogata  si
era dimostrata gravida» (sentenza n. 777 del 1988). 
    6.3.- Escluso, dunque, dal legislatore l'accertamento  incidenter
tantum, si pone il problema delle ipotesi in cui l'ex  coniuge  muoia
in  pendenza  del  giudizio  che  deve  ancora  definire  il  diritto
all'assegno di divorzio. 
    In tali casi, la prosecuzione del processo serve a far valere  il
diritto alle prestazioni inerenti all'assegno di divorzio,  che  sono
in concreto maturate  dall'ex  coniuge  sopravvissuto  nei  confronti
dell'altro ex coniuge, nel periodo che  intercorre  fra  la  sentenza
parziale  di  divorzio  e  la  morte  di  quest'ultimo,   prestazioni
patrimoniali   trasmissibili   iure   hereditario.    Al    contempo,
l'accertamento del diritto all'assegno, nell'ambito di un giudizio in
via principale e a cognizione piena, consente,  facendo  applicazione
dei criteri fissati dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970, di  dare
fondamento ai diritti alla pensione di reversibilita' e a  una  quota
dell'indennita' di fine rapporto. 
    Senza la prosecuzione del processo, resterebbe la  sola  sentenza
parziale di divorzio,  passata  in  giudicato,  che,  per  un  verso,
scioglie il  vincolo  matrimoniale,  non  offrendo  le  garanzie  che
spetterebbero all'ex coniuge in conseguenza del divorzio, e,  per  un
altro verso, essendo  la  modificazione  dello  status  correlata  al
divorzio antecedente alla morte, priva l'ex coniuge delle tutele che,
viceversa,  avrebbe  se  lo  scioglimento  fosse  stato  causato  dal
decesso. 
    6.4.-  Orbene,  in  merito  alla  prosecuzione  del  processo  di
divorzio, nelle ipotesi sopra richiamate, si  registra  un  contrasto
nella giurisprudenza della Corte di cassazione. 
    Secondo una prima ricostruzione, il procedimento di divorzio deve
poter  proseguire,  permanendo  l'interesse  dell'altra  parte   alla
pronuncia (cosi' Corte di cassazione, sezione sesta civile,  sentenza
24 luglio 2014, n. 16951; sezione sesta civile, ordinanza  11  aprile
2013, n. 8874; sezione prima  civile,  sentenza  3  agosto  2007,  n.
17041). 
    Secondo una diversa impostazione, la morte di una delle parti del
processo determinerebbe la cessazione della materia del contendere in
ordine alle domande accessorie ancora sub iudice, anche ove avvenisse
dopo l'eventuale sentenza parziale di scioglimento per divorzio dello
status coniugale, a nulla rilevando il suo passaggio in giudicato (in
questo senso Corte di cassazione, sezione prima civile,  sentenza  20
febbraio 2018, n. 4092; sezione sesta civile,  ordinanza  8  novembre
2017, n. 26489; sezione prima civile, sentenza  26  luglio  2013,  n.
18130). 
    Da ultimo, i divergenti indirizzi giurisprudenziali hanno indotto
la  prima  sezione  della  Corte  di  cassazione,   con   l'ordinanza
interlocutoria 29 ottobre 2021, n. 30750, a inviare gli atti al primo
presidente perche' valuti l'opportunita' di rimettere  l'esame  della
questione alle Sezioni  unite  civili.  In  particolare,  l'ordinanza
richiama l'attenzione sul contrasto giurisprudenziale  relativo  alle
«sorti del giudizio di separazione o divorzio quando intervenga,  nel
corso del loro svolgimento (come nel caso in esame), la morte di  una
parte e se, dunque, un evento simile determini  la  cessazione  della
materia del contendere, sia con riferimento al rapporto di  coniugio,
sia a tutti i profili economici connessi e, per quel  che  rileva  in
questa sede, in presenza del passaggio in  giudicato  della  sentenza
non definitiva che ha pronunciato lo  scioglimento  o  la  cessazione
degli effetti civili del  matrimonio,  riguardo  alla  determinazione
della quota della pensione di reversibilita' in astratto spettante al
coniuge divorziato e al coniuge superstite». 
    6.5.-  Tanto  premesso,  questa  Corte  non  puo'  esimersi   dal
sottolineare che dalla soluzione del citato contrasto  interpretativo
dipendono  tutele  sostanziali,  che  -  come  sopra  evidenziato   -
riflettono, nei rapporti orizzontali fra ex coniugi, istanze di rango
costituzionale. 
    7.- Al contempo, proprio alla luce del descritto quadro normativo
e  giurisprudenziale,  le  eccezioni  di  inammissibilita'  sollevate
dall'Avvocatura generale dello Stato risultano fondate. 
    Il rimettente, a fronte della richiesta applicazione di norme che
presuppongono l'avvenuto  accertamento  del  diritto  all'assegno  di
divorzio, afferma lapidariamente che «l'accertamento  giudiziale  [di
tale diritto] non [poteva] compiersi dopo il decesso  dell'obbligato,
vigendo [il] principio della cessazione della materia del  contendere
con riferimento  al  rapporto  di  coniugio  ed  a  tutti  i  profili
economici connessi». 
    Per converso, il  quadro  normativo  e  giurisprudenziale,  sopra
riportato, dimostra che non sussiste - e non sussisteva neppure prima
dell'ordinanza  interlocutoria  n.  30750  del  2021  -   il   citato
principio, bensi' un contrasto interpretativo, di cui  il  rimettente
avrebbe dovuto dare conto. 
    A fronte di tale contrasto, il giudice a quo, senza adeguatamente
confrontarsi con la giurisprudenza sul punto, ha assunto che la parte
reclamante non avrebbe potuto impugnare  la  sentenza  di  cessazione
della materia del contendere, relativa al giudizio avente ad  oggetto
l'accertamento del presupposto costitutivo dei diritti previsti dalle
norme censurate. 
    Il rimettente non da', pertanto,  una  spiegazione  adeguata  del
perche' debba applicare tali norme. Non fornisce, cioe', una  congrua
motivazione sulla rilevanza delle questioni  sollevate  in  merito  a
disposizioni, che in tanto si trova  ad  applicare,  dubitando  della
loro legittimita' costituzionale, in quanto  cerca  di  ovviare  alla
pregressa scelta di fatto della parte reclamante  di  non  impugnare,
nel precedente giudizio di divorzio, la sentenza di cessazione  della
materia del contendere. 
    Per costante orientamento di questa  Corte,  ove  l'ordinanza  di
rimessione risulti «carente [...] nella motivazione sulla  rilevanza»
e impedisca di procedere allo «scrutinio in ordine  alla  sussistenza
del necessario nesso di pregiudizialita' tra la questione proposta  e
la  definizione  del   giudizio   principale»,   si   deve   ritenere
«inammissibile la questione medesima (ordinanza  n.  314  del  2012)»
(sentenza n. 50 del 2014). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale degli artt. 9, comma 2, e 12-bis, comma 1, della legge
1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei  casi  di  scioglimento  del
matrimonio) e dell'art. 5  della  legge  28  dicembre  2005,  n.  263
(Interventi correttivi alle modifiche in materia  processuale  civile
introdotte con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80,  nonche'  ulteriori
modifiche al codice di procedura civile e alle relative  disposizioni
di attuazione, al regolamento di cui al regio decreto 17 agosto 1907,
n. 642, al codice civile, alla  legge  21  gennaio  1994,  n.  53,  e
disposizioni in tema di diritto alla pensione di  reversibilita'  del
coniuge divorziato), sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 3 della
Costituzione, dalla Corte d'appello di Salerno, sezione  civile,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                   Emanuela NAVARRETTA, Redattrice 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA