N. 125 SENTENZA 7 aprile - 19 maggio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Lavoro - Licenziamento individuale per giustificato motivo  oggettivo
  -  Illegittimita'  per  insussistenza  del  fatto  -  Condizione  -
  Carattere  manifesto  dell'insussistenza   -   Irragionevolezza   -
  Illegittimita' costituzionale parziale. 
- Legge 20 maggio 1970, n.  300,  art.  18,  settimo  comma,  secondo
  periodo. 
- Costituzione, artt. 1, 3, 4, 24 e 35. 
(GU n.21 del 25-5-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 18, settimo
comma, secondo periodo, della legge 20 maggio  1970,  n.  300  (Norme
sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta'
sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), come modificato dall'art. 1,  comma  42,  lettera  b),
della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma
del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), promosso  dal
Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di  giudice  del  lavoro,
nel procedimento instaurato da CFS  Europe  spa  contro  M.  P.,  con
ordinanza del 6 maggio 2021, iscritta al n. 97 del registro ordinanze
2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  27,
prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  6  aprile  2022  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 aprile 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 6  maggio  2021,  iscritta  al  n.  97  del
registro ordinanze  2021,  il  Tribunale  ordinario  di  Ravenna,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale  dell'art.  18,  settimo  comma,  secondo
periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della
liberta' e  dignita'  dei  lavoratori,  della  liberta'  sindacale  e
dell'attivita'  sindacale  nei  luoghi  di   lavoro   e   norme   sul
collocamento), come modificato dall'art. 1,  comma  42,  lettera  b),
della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma
del  mercato  del  lavoro  in  una  prospettiva  di  crescita),   per
violazione degli artt. 1, 3, 4, 24 e 35 della Costituzione. 
    Le censure si incentrano sulla disciplina del  licenziamento  per
giustificato motivo oggettivo, che richiede  il  carattere  manifesto
dell'insussistenza del fatto ai fini della reintegrazione. 
    1.1.- Il rimettente espone di dover decidere sull'opposizione del
datore di lavoro contro l'ordinanza che ha reintegrato un lavoratore,
licenziato «tre volte nel giro di alcuni mesi, una  delle  quali  per
giustificato motivo oggettivo, le altre due per giusta causa». 
    L'opposizione, instaurata ai sensi dell'art. 1, comma  51,  della
legge n. 92 del 2012, concerne il  solo  licenziamento  intimato  per
giustificato motivo oggettivo. 
    A sostegno della rilevanza delle  questioni,  il  giudice  a  quo
argomenta che il dipendente e' stato assunto nel 2001  da  un'impresa
che occupa «circa  50  dipendenti  in  media»  e  che  le  parti  non
contestano    l'applicabilita'    della    disposizione    censurata,
contraddistinta da un  tenore  testuale  inequivocabile.  Oggetto  di
contestazione,   per    contro,    e'    il    carattere    manifesto
dell'insussistenza del fatto. 
    1.2.- Il giudice  a  quo  ravvisa  il  contrasto  con  molteplici
parametri costituzionali. 
    1.2.1.-  Vi  sarebbe,  in  primo  luogo,   «una   ingiustificata,
irrazionale ed illegittima differenziazione» tra il licenziamento per
giustificato motivo oggettivo, da un lato,  e  il  licenziamento  per
giusta causa o per giustificato motivo soggettivo,  dall'altro  lato.
Solo nella prima  fattispecie  sarebbe  richiesta  -  ai  fini  della
reintegrazione del lavoratore - una insussistenza manifesta del fatto
e tale trattamento differenziato sarebbe sprovvisto di una plausibile
ragion d'essere. 
    1.2.2.- Il vulnus al principio  di  eguaglianza  (art.  3,  primo
comma, Cost.) si coglierebbe anche nel raffronto  con  la  disciplina
dei licenziamenti collettivi,  che  -  nel  caso  di  violazione  dei
criteri di scelta - concede la reintegrazione, invece preclusa per  i
licenziamenti individuali determinati da ragioni economiche. 
    1.2.3.- Il criterio individuato dal legislatore sarebbe, inoltre,
«intrinsecamente illogico» e dunque lesivo dell'art. 3, primo  comma,
Cost., in quanto incerto nella sua applicazione concreta e carente di
un «preciso e concreto metro  di  giudizio»,  idoneo  a  definire  il
carattere manifesto dell'insussistenza del fatto. 
    1.2.4.-  L'irragionevolezza  della  disposizione   censurata   si
rivelerebbe, inoltre, nell'inversione dell'onere della prova in  essa
sancita. Il lavoratore, pur estraneo  alle  relative  circostanze  di
fatto, dovrebbe dimostrarne la manifesta insussistenza. 
    1.2.5.- In violazione degli artt. 1,  3,  primo  comma,  4  e  35
Cost., il legislatore avrebbe attuato «un  illegittimo  bilanciamento
tra i valori in  gioco  delle  due  parti  del  rapporto»  e  avrebbe
adottato una scelta penalizzante per il lavoratore. 
    1.2.6.- L'inversione dell'onere  della  prova  a  svantaggio  del
lavoratore entrerebbe in conflitto,  inoltre,  con  il  principio  di
eguaglianza sostanziale sancito dall'art. 3, secondo comma, Cost. 
    1.2.7.- Il rimettente prospetta, infine,  il  contrasto  con  gli
artt.  3,  primo  comma,  e  24  Cost.  La   disposizione   censurata
comprimerebbe in maniera irragionevole e  sproporzionata  il  diritto
del lavoratore di agire in giudizio. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  e  ha  chiesto  di  dichiarare  manifestamente  infondate  le
questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal  Tribunale  di
Ravenna. 
    2.1.-  Nel  rispetto   dei   principi   di   eguaglianza   e   di
ragionevolezza, il legislatore potrebbe scegliere tempi e modi  della
tutela del diritto  del  lavoratore  di  non  essere  arbitrariamente
licenziato. 
    La legge n. 92 del 2012 perseguirebbe l'obiettivo di  «introdurre
un articolato sistema di rimedi,  funzionale  alla  creazione  di  un
mercato del lavoro "inclusivo e dinamico"» e, in questa  prospettiva,
si giustificherebbe  la  previsione  del  requisito  della  manifesta
insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento economico. 
    2.2.- Il  trattamento  differenziato  tra  il  licenziamento  per
giustificato motivo soggettivo o per giusta causa e il  licenziamento
per giustificato  motivo  oggettivo  rispecchierebbe  la  «diversita'
sostanziale delle due situazioni», l'una legata  a  un  comportamento
del lavoratore, l'altra a scelte organizzative del datore di  lavoro.
Ne'  il  datore  di   lavoro   potrebbe   attribuire   alla   ragione
giustificatrice del licenziamento una  qualificazione  che  prescinda
dalla  realta'  effettuale  e  cosi'  attrarre   entro   l'area   del
giustificato   motivo   oggettivo   ipotesi   che   appartengono   al
licenziamento disciplinare. 
    La previsione del requisito  della  manifesta  insussistenza  del
fatto bilancerebbe «l'interesse del lavoratore  al  mantenimento  del
posto  di  lavoro  con  il  principio  di  liberta'   dell'iniziativa
economica privata». 
    2.3.- Non potrebbe assurgere a  utile  termine  di  raffronto  la
disciplina   dei   licenziamenti   collettivi,   contraddistinta   da
«ulteriori ed evidenti esigenze di  tutela  della  collettivita',  di
natura  tanto  sociale  quanto  economica»,  che  reclamano  la  piu'
energica tutela reale. 
    2.4.- Non sarebbero fondate neppure le  censure  che  fanno  leva
sull'indeterminatezza del criterio della manifesta insussistenza  del
fatto. 
    Tale presupposto,  inteso  sul  piano  probatorio  come  evidente
assenza della giustificazione del recesso, risponderebbe all'esigenza
di escludere la rilevanza di «interessi  contrapposti  da  bilanciare
con quello del lavoratore alla reintegrazione nel posto  di  lavoro».
Peraltro, il lavoratore beneficerebbe  di  una  «tutela  indennitaria
piena»,  che  garantirebbe  «un   adeguato   ristoro   del   concreto
pregiudizio subito a causa del licenziamento illegittimo». 
    Per altro  verso,  il  requisito  della  manifesta  insussistenza
presenterebbe un significato sostanziale, in  quanto  denoterebbe  la
chiara pretestuosita'  del  licenziamento,  nozione  quest'ultima  da
ritenersi   autonoma   rispetto   a    quella    del    licenziamento
discriminatorio o ritorsivo. 
    Sarebbe  dunque  «fisiologico»  il  margine  di  discrezionalita'
attribuito  al  giudice,  che  potrebbe   valorizzare   «puntuali   e
molteplici criteri desumibili dall'ordinamento»,  nell'esercizio  del
potere di valutazione delle circostanze del caso concreto che  questa
stessa Corte ha riconosciuto come imprescindibile. 
    2.5.-  Il  differenziato  sistema   di   rimedi   presupporrebbe,
pertanto, non la mera  facilita'  dell'accertamento,  ma  la  diversa
gravita'  dei  vizi  e  costituirebbe  il  frutto  di   un   prudente
contemperamento degli interessi contrapposti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg.  ord.  n.  97  del
2021), il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice  del
lavoro,  dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.   18,
settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio  1970,  n.  300
(Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei  lavoratori,  della
liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro  e
norme sul collocamento),  come  modificato  dall'art.  1,  comma  42,
lettera b), della legge  28  giugno  2012,  n.  92  (Disposizioni  in
materia di riforma del mercato  del  lavoro  in  una  prospettiva  di
crescita), «nella parte in cui prevede che, in caso di  insussistenza
del  fatto,  per  disporre  la  reintegra  occorra  un  quid   pluris
rappresentato dalla dimostrazione della "manifesta" insussistenza del
fatto stesso», posto alla base  del  licenziamento  per  giustificato
motivo oggettivo. 
    Le censure, formulate in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 24 e  35
della  Costituzione,  si  incentrano  sul  criterio  della  manifesta
insussistenza del fatto, declinata come «evidenza piena» e «peculiare
difformita'» rispetto al paradigma legale. 
    1.1.- Il rimettente prospetta, in primo luogo, il  contrasto  con
l'art. 3, primo comma, Cost., in ragione  dell'arbitraria  disparita'
di trattamento tra il regime applicabile  al  licenziamento  intimato
per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, da un lato,  e
la disciplina del licenziamento determinato da un giustificato motivo
oggettivo, dall'altro lato. 
    Se, nella prima fattispecie, la reintegrazione e' subordinata  al
ricorrere dell'insussistenza del fatto, nel  licenziamento  che  trae
origine da ragioni economiche e' richiesta - senza alcun  «fondamento
logico-giuridico»  -  una  insussistenza  manifesta,  che  spetta  al
lavoratore dimostrare, con inversione dell'onere della prova. 
    1.2.-  Il  contrasto  con  il   principio   di   eguaglianza   si
apprezzerebbe anche sotto  un  distinto  profilo,  che  attiene  alla
diversa regolamentazione prevista per  i  «licenziamenti  individuali
per motivo economico» e  per  i  licenziamenti  collettivi.  Solo  in
quest'ultima  fattispecie  si  potrebbe  disporre  la  reintegrazione
nell'ipotesi di violazione dei  criteri  di  scelta,  laddove  -  nei
licenziamenti  intimati  per  giustificato  motivo  oggettivo  -   il
requisito  restrittivo  in  esame  precluderebbe  il  ripristino  del
rapporto di lavoro e condurrebbe a una tutela meramente indennitaria. 
    1.3.-  Ad  avviso  del  rimettente,  sarebbe  poi   «illogica   e
irragionevole» l'applicazione in chiave sostanziale di un criterio di
matrice processuale, «totalmente impalpabile» e foriero di «risultati
bizzarri e imponderabili», in  un  contenzioso  che  presuppone  «una
ampia  istruttoria,  spesso  molto  complessa   e   sicuramente   non
"facile"». 
    In contrasto con l'art. 3, primo comma,  Cost.,  la  disposizione
censurata rimetterebbe alla  «scelta  totalmente  discrezionale»  del
giudice  la  determinazione  delle  tutele  spettanti  al  lavoratore
ingiustamente licenziato, senza  fornire  alcun  «criterio  serio  ed
omogeneo, uguale per tutti». 
    1.4.- La disposizione e' censurata  in  riferimento  all'art.  3,
primo comma, Cost., anche sotto un diverso profilo. Con  «una  regola
illogica  e  irrazionale»,   essa   imporrebbe   al   lavoratore   la
dimostrazione di «un fatto negativo [...] e dai contorni indefiniti»,
che rientrerebbe «nella sfera di disponibilita' anche probatoria  del
datore di lavoro». 
    1.5.- Il rimettente denuncia, inoltre, la violazione degli  artt.
1, 3, primo comma, 4 e 35 Cost.  Nel  subordinare  la  reintegrazione
alla manifesta insussistenza del fatto, che nulla  aggiungerebbe  «al
disvalore della fattispecie estintiva» e non varrebbe a  tutelare  la
«liberta' di iniziativa economica privata»,  il  legislatore  avrebbe
delineato un assetto «marcatamente ed ingiustificatamente sbilanciato
in favore del datore di  lavoro  e,  di  contro,  ingiustificatamente
penalizzante per il lavoratore». 
    1.6.- Sarebbe violato, inoltre, l'art. 3, secondo comma, Cost. 
    La disciplina censurata, nell'imporre al lavoratore l'onere della
prova di «un fatto dai contorni incerti», ne limiterebbe la  liberta'
e l'eguaglianza, in contraddizione con l'obiettivo di  rimuovere  gli
ostacoli di ordine economico  e  sociale  che  impediscono  il  pieno
sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti  i
lavoratori  all'organizzazione  politica,  economica  e  sociale  del
Paese. 
    1.7.- Il rimettente denuncia, infine, la violazione  degli  artt.
3, primo comma, e 24 Cost. 
    La disposizione censurata, nell'introdurre «un  meccanismo  privo
di criteri applicativi oggettivi» e nell'onerare il lavoratore  della
prova   di   fatti   estranei   alla   sua   sfera   di   conoscenza,
pregiudicherebbe e renderebbe comunque  «eccessivamente  difficoltoso
l'esercizio» del suo diritto di agire in giudizio. Il lavoratore  non
potrebbe prevedere «le proprie chance di  successo»  e,  dunque,  non
potrebbe chiedere a ragion veduta di tutelare in sede giurisdizionale
i propri diritti. 
    2.- Le questioni di legittimita' costituzionale  sono  sorte  nel
giudizio  di  opposizione  promosso  dal  datore  di  lavoro   contro
l'ordinanza che, all'esito  della  fase  sommaria,  ha  annullato  il
licenziamento  intimato  per  giustificato  motivo  oggettivo  e   ha
disposto la reintegrazione del lavoratore. 
    L'odierno  rimettente,  nel  medesimo   giudizio,   ha   dapprima
sollevato  la  questione   di   legittimita'   costituzionale   della
disciplina che contemplava  la  natura  meramente  facoltativa  della
reintegrazione   nel   licenziamento   illegittimo    intimato    per
giustificato motivo oggettivo  (ordinanza  iscritta  al  n.  101  del
registro ordinanze 2020). 
    Con la sentenza n.  59  del  2021,  questa  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18, settimo comma,  secondo
periodo, dello statuto dei lavoratori, nella parte in cui prevede che
il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto
a base del licenziamento per  giustificato  motivo  oggettivo,  «puo'
altresi' applicare», invece che «applica altresi'», la disciplina  di
cui al medesimo art. 18, quarto comma. 
    Il rimettente sospetta ora di  illegittimita'  costituzionale  il
requisito della manifesta insussistenza del fatto. 
    2.1.-   Nel   giudizio    a    cognizione    piena,    introdotto
dall'opposizione di cui all'art. 1, comma 51, della legge n.  92  del
2012, il Tribunale rimettente e' chiamato a  valutare  i  presupposti
della reintegrazione e, in particolare,  la  manifesta  insussistenza
del fatto posto a base  del  licenziamento  per  giustificato  motivo
oggettivo. 
    In punto  di  rilevanza,  il  giudice  a  quo  argomenta  che  il
dibattito processuale si dispiega proprio su  tale  profilo,  dedotto
dal  lavoratore  e   contestato   dall'impresa.   Per   definire   la
controversia,  e'  dunque  necessario   applicare   la   disposizione
censurata, che delinea gli elementi costitutivi della reintegrazione,
ora obbligatoria in virtu' della  pronuncia  di  questa  Corte.  Tali
elementi devono essere vagliati nel giudizio principale,  in  cui  si
dibatte sul diritto del lavoratore di trattenere l'indennita' che  ha
percepito in sostituzione della reintegrazione. 
    La  caducazione  del  requisito  in  esame  incide  sul  percorso
argomentativo che conduce alla decisione, in quanto  rende  superflua
ogni indagine sul carattere manifesto  dell'insussistenza  accertata.
Da questo punto di vista, trova conferma la rilevanza delle questioni
proposte. 
    2.2.- Il Tribunale di Ravenna procede alla disamina  del  diritto
vivente, che  configura  l'insussistenza  manifesta  del  fatto  come
assenza - evidente e facilmente verificabile -  dei  presupposti  che
legittimano il recesso  e  come  elemento  rivelatore  del  carattere
pretestuoso del licenziamento intimato. A  fronte  dell'univoco  dato
testuale e di un indirizzo oramai consolidato della giurisprudenza di
legittimita', il giudice a  quo  esclude  la  praticabilita'  di  una
interpretazione adeguatrice. 
    Il rimettente prende le mosse  dalle  enunciazioni  di  principio
della pronuncia di questa Corte,  per  dimostrare  l'incompatibilita'
con la Costituzione di un requisito che, nel precedente giudizio, non
formava oggetto di censura (sentenza n. 59  del  2021,  punto  5  del
Considerato in diritto). 
    Anche in ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,  rispetto  a
ciascuno dei parametri invocati, l'ordinanza di rimessione offre  una
motivazione sufficiente, che consente a questa Corte di scrutinare il
merito delle questioni proposte. 
    2.3.- Sul merito si diffonde anche la difesa dello Stato, che  ha
replicato in maniera esaustiva agli argomenti del  rimettente,  senza
eccepire alcun profilo preliminare di inammissibilita'. 
    3.- Il fulcro delle censure risiede nell'attribuzione al  giudice
di «insondabili e insindacabili poteri discrezionali», sprovvisti  di
ogni   «riferimento   concreto   e   specifico»   e   diversi   dalla
«discrezionalita' che si muove all'interno di confini ragionevolmente
delimitati dal legislatore, che e' al contrario  il  valore  aggiunto
della giurisdizione». 
    Ad avviso del rimettente, il requisito censurato darebbe adito  a
molteplici «incertezze applicative». 
    4.- La questione formulata  in  relazione  all'art.  3  Cost.  e'
fondata. 
    5.- La disposizione censurata e' stata  introdotta  dall'art.  1,
comma 42, lettera b), della legge n.  92  del  2012,  che  ha  inteso
adeguare la disciplina dei licenziamenti «alle  esigenze  del  mutato
contesto di riferimento», allo scopo di ridistribuire «in  modo  piu'
equo le tutele dell'impiego». 
    L'odierna questione  di  legittimita'  costituzionale  verte  sul
licenziamento per giustificato motivo oggettivo  connesso  a  ragioni
economiche, produttive e organizzative. 
    A tale riguardo, lo statuto dei lavoratori  appresta,  a  seconda
delle dimensioni dell'impresa, un diversificato apparato di tutele. 
    5.1.- Quando sia manifesta l'insussistenza del fatto  posto  alla
base del licenziamento, opera la tutela reintegratoria, oggi non piu'
facoltativa in seguito  all'intervento  correttivo  di  questa  Corte
(sentenza n. 59 del 2021). All'ordine di reintegrazione  si  affianca
la condanna del datore di  lavoro  al  pagamento  di  una  indennita'
risarcitoria, parametrata all'ultima retribuzione globale di fatto  e
comunque non superiore  all'importo  di  dodici  mensilita',  per  il
periodo   che   intercorre   dal   licenziamento    alla    effettiva
reintegrazione. 
    Da tale somma occorre detrarre quanto il lavoratore, nel  periodo
di  estromissione,  abbia  percepito  per  lo  svolgimento  di  altre
attivita' lavorative (aliunde  perceptum)  e  quanto  avrebbe  potuto
percepire  dedicandosi  con  diligenza  alla  ricerca  di  una  nuova
occupazione (aliunde  percipiendum).  Il  datore  di  lavoro  e'  poi
obbligato a versare i contributi previdenziali  e  assistenziali  dal
giorno   del   licenziamento   fino   a   quello   della    effettiva
reintegrazione. 
    5.2.- Nelle altre ipotesi in cui accerta che  non  ricorrono  gli
estremi  del  giustificato  motivo  oggettivo,  il  giudice  dichiara
risolto il rapporto di lavoro sin  dalla  data  del  licenziamento  e
condanna  il  datore  di  lavoro  al  pagamento  di  una   indennita'
risarcitoria onnicomprensiva, determinata tra un minimo di  dodici  e
un  massimo  di  ventiquattro  mensilita'  dell'ultima   retribuzione
globale di fatto. 
    Nella   determinazione    dell'indennita'    si    tiene    conto
dell'anzianita' del lavoratore, del numero dei  dipendenti  occupati,
delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e  delle
condizioni delle parti e «delle iniziative assunte dal lavoratore per
la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento  delle  parti
nell'ambito della procedura di cui  all'articolo  7  della  legge  15
luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni». Se, nel  corso  del
giudizio,  il   licenziamento   risulti   «determinato   da   ragioni
discriminatorie  o  disciplinari»,  come  recita  il  settimo   comma
dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970, troveranno applicazione «le
relative tutele». 
    6.- Questa Corte e' costante nell'affermare che  il  diritto  del
lavoratore di  non  essere  ingiustamente  licenziato  si  fonda  sui
principi enunciati dagli artt. 4 e 35 Cost. e sulla  speciale  tutela
riconosciuta al lavoro in tutte  le  sue  forme  e  applicazioni,  in
quanto fondamento dell'ordinamento repubblicano (art. 1 Cost.). 
    L'attuazione di  tali  principi  e'  demandata  alle  valutazioni
discrezionali del legislatore (fra le molte, sentenze n. 59 del 2021,
n. 150 del 2020 e  n.  194  del  2018),  chiamato  ad  apprestare  un
equilibrato sistema di tutele. 
    Questa  Corte  ha  tuttavia  ribadito  che  il  legislatore,  pur
nell'ampio margine di apprezzamento di cui dispone, e'  vincolato  al
rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza (sentenza n.
59 del 2021). La diversita' dei  rimedi  previsti  dalla  legge  deve
sempre essere sorretta  da  una  giustificazione  plausibile  e  deve
assicurare  l'adeguatezza  delle  tutele  riservate   al   lavoratore
illegittimamente  espulso,  nelle   quali   la   reintegrazione   non
costituisce «l'unico  possibile  paradigma  attuativo»  dei  principi
costituzionali (sentenza n. 59 del 2021; cosi' anche sentenza  n.  46
del 2000, punto 5 del Considerato in diritto). 
    Nell'attuazione dei principi sanciti dagli artt. 4  e  35  Cost.,
essenziale e'  il  compito  del  giudice,  chiamato  a  ponderare  la
particolarita' di ogni vicenda e a individuare di volta in  volta  la
tutela piu' efficace, sulla  base  delle  indispensabili  indicazioni
fornite dalla legge. 
    7.- La disciplina censurata si pone in contrasto con  i  principi
richiamati. 
    8.- Nel peculiare sistema delineato dalla legge n. 92  del  2012,
la reintegrazione, sia  per  i  licenziamenti  disciplinari  sia  per
quelli economici, si incardina sulla  nozione  di  insussistenza  del
fatto, che chiama in causa l'aspetto qualificante dei presupposti  di
legittimita' del licenziamento (sentenza n. 59 del 2021, punto 9  del
Considerato in diritto). 
    E' onere del datore di lavoro dimostrare tali  presupposti,  alla
luce dell'art. 5 della legge  15  luglio  1966,  n.  604  (Norme  sui
licenziamenti individuali), che completa  e  rafforza,  sul  versante
processuale, la protezione  del  lavoratore  contro  i  licenziamenti
illegittimi. In armonia con le indicazioni delineate da questa  Corte
(sentenza n. 45 del 1965, punto 4 del  Considerato  in  diritto),  la
prospettiva sostanziale e quella processuale convergono  nell'attuare
le «doverose garanzie» che il dettato costituzionale prescrive,  allo
scopo di salvaguardare  la  dignita'  della  persona  del  lavoratore
ingiustamente licenziato per «notevole inadempimento  degli  obblighi
contrattuali»  o  per  «ragioni  inerenti  all'attivita'  produttiva,
all'organizzazione del lavoro e al regolare  funzionamento  di  essa»
(art. 3 della legge n. 604 del 1966). 
    Il fatto che e' all'origine del  licenziamento  per  giustificato
motivo oggettivo include tali ragioni e, in via prioritaria, il nesso
causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro e il recesso
dal  contratto,  che   si   configura   come   extrema   ratio,   per
l'impossibilita' di collocare altrove il lavoratore. 
    Al  fatto  si  devono  dunque  ricondurre  l'effettivita'  e   la
genuinita' della scelta imprenditoriale. Su questi aspetti il giudice
e' chiamato a svolgere una valutazione di mera legittimita', che  non
puo' «sconfinare in un sindacato di  congruita'  e  di  opportunita'»
(sentenza n. 59 del 2021, punto 5 del Considerato in diritto). 
    La preclusione di un piu' penetrante sindacato di merito  emerge,
tra l'altro, dall'art. 30, comma 1,  primo  periodo,  della  legge  4
novembre 2010, n. 183  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di  lavori
usuranti, di riorganizzazione di  enti,  di  congedi,  aspettative  e
permessi, di ammortizzatori sociali, di  servizi  per  l'impiego,  di
incentivi   all'occupazione,   di   apprendistato,   di   occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico  e  di  controversie  di  lavoro),  che  oggi
consente di impugnare per violazione di norme di diritto la  sentenza
che travalichi i  limiti  posti  dalla  legge  alla  valutazione  del
giudice (secondo periodo, aggiunto dall'art. 1, comma 43, della legge
n. 92 del 2012). 
    Nell'ambito   del   licenziamento    economico,    il    richiamo
all'insussistenza del fatto vale a circoscrivere la reintegrazione ai
vizi piu' gravi, che investono il nucleo  stesso  e  le  connotazioni
salienti  della  scelta  imprenditoriale,  confluita   nell'atto   di
recesso. 
    Rientrano nell'area della tutela indennitaria le ipotesi  in  cui
il licenziamento e' illegittimo per aspetti che, pur condizionando la
legittimita' del  licenziamento,  esulano  dal  fatto  giuridicamente
rilevante, inteso in senso stretto. In  tale  ambito  si  colloca  il
mancato rispetto della buona fede e della correttezza che  presiedono
alla scelta dei lavoratori da licenziare, quando questi  appartengono
a personale  omogeneo  e  fungibile  (Corte  di  cassazione,  sezione
lavoro, sentenza 19 maggio 2021, n. 13643). 
    La previsione del carattere manifesto di  una  insussistenza  del
fatto, gia' delimitata e coerente con  un  sistema  che  preclude  il
sindacato  delle  scelte  imprenditoriali,  presenta  i  profili   di
irragionevolezza intrinseca gia' posti in risalto nella  sentenza  n.
59 del 2021, che ha preso in esame il carattere meramente facoltativo
della reintegrazione. 
    9.- Il requisito del  carattere  manifesto,  in  quanto  riferito
all'insussistenza del fatto  posto  a  base  del  licenziamento,  e',
anzitutto, indeterminato. 
    9.1.- Questa Corte ha  evidenziato  che  e'  problematico,  nella
prassi,  il  discrimine  tra  l'evidenza  conclamata  del   vizio   e
l'insussistenza pura e semplice del fatto (sentenza n. 59  del  2021,
punto 10.1. del Considerato in diritto). Il  criterio  prescelto  dal
legislatore si presta, infatti, a incertezze  applicative  (Corte  di
cassazione, sezione lavoro, sentenza 8 luglio 2016, n. 14021) e  puo'
condurre  a  soluzioni  difformi,  con   conseguenti   ingiustificate
disparita' di trattamento. 
    Si rivela labile la definizione di un  elemento  di  fattispecie,
che richiede un apprezzamento imprevedibile e mutevole, senza  alcuna
indicazione utile a orientarne gli esiti. La scelta tra due forme  di
tutela  profondamente  diverse  e'  rimessa  a  una  valutazione  non
ancorata a precisi punti di riferimento, tanto piu' necessari  quando
vi sono fondamentali esigenze di certezza,  legate  alle  conseguenze
che la scelta stessa determina. 
    Nel caso di specie, non viene in rilievo quella  discrezionalita'
- richiamata anche dalla difesa dello Stato - che  si  sostanzia  nel
ponderato apprezzamento «delle particolarita' del caso  concreto,  in
base a puntuali e  molteplici  criteri  desumibili  dall'ordinamento,
frutto  di  una  evoluzione  normativa  risalente  e  di  una  prassi
collaudata» (sentenza n. 59 del 2021, punto 10.1. del Considerato  in
diritto). 
    Il  ruolo  cruciale  di  una  discrezionalita'   indirizzata   da
parametri attendibili e coerenti e' stato  peraltro  riconosciuto  da
questa Corte nella determinazione dell'indennita' risarcitoria per  i
licenziamenti viziati dal punto di vista sostanziale (sentenza n. 194
del 2018) o formale (sentenza n. 150 del 2020). 
    9.2.- Il  requisito  della  manifesta  insussistenza  demanda  al
giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per  di
piu' priva di un plausibile fondamento empirico. 
    Non  solo  il  riferimento  alla  manifesta   insussistenza   non
racchiude alcun criterio idoneo a  chiarirne  il  senso;  esso  entra
anche in tensione con un assetto normativo che conferisce rilievo  al
fatto e si prefigge in tal modo di valorizzare elementi oggettivi, in
una prospettiva di immediato e agevole riscontro. 
    La sussistenza di  un  fatto  non  si  presta  a  controvertibili
graduazioni in chiave di evidenza fenomenica, ma evoca piuttosto  una
alternativa netta, che  l'accertamento  del  giudice  e'  chiamato  a
sciogliere in termini positivi o negativi. 
    9.3.- L'elemento distintivo dell'insussistenza manifesta  neppure
si connette razionalmente alla peculiarita' delle diverse fattispecie
di licenziamento, che  questa  Corte  ha  ribadito  alla  luce  delle
differenze che intercorrono tra i licenziamenti disciplinari, con  la
connessa violazione degli obblighi contrattuali,  e  i  licenziamenti
per  giustificato  motivo  oggettivo,  dovuti  a  scelte  tecniche  e
organizzative (sentenza n. 59 del 2021, punto 9  del  Considerato  in
diritto). 
    10.- L'irragionevolezza del criterio enucleato dal legislatore si
coglie anche da un'altra angolazione. 
    10.1.- Il presupposto in esame non ha  alcuna  attinenza  con  il
disvalore del licenziamento intimato, che non  e'  piu'  grave,  solo
perche' l'insussistenza del fatto puo' essere  agevolmente  accertata
in giudizio. 
    Peraltro, nelle controversie che attengono  a  licenziamenti  per
giustificato  motivo  oggettivo,  il  quadro  probatorio  e'   spesso
articolato, tanto da non essere compatibile con  una  verifica  prima
facie dell'insussistenza del fatto, che la  legge  richiede  ai  fini
della reintegrazione. 
    10.2.-  Il  criterio  della  manifesta  insussistenza,   inoltre,
risulta eccentrico nell'apparato dei  rimedi,  usualmente  incentrato
sulla diversa gravita' dei vizi e non su una contingenza accidentale,
legata alla linearita' e alla celerita' dell'accertamento. 
    Dall'imprevedibile dialettica processuale e dalle variabili,  che
condizionano  il  diverso  grado   dell'approfondimento   istruttorio
necessario,  derivano  conseguenze  di  considerevole   impatto   sul
versante sostanziale, tutte riconducibili al  presupposto  censurato,
che prescinde dalla tipologia del vizio  dell'atto  espulsivo  o  dal
ricorrere di altri razionali elementi distintivi. 
    10.3.- Infine, nel far leva su un requisito indeterminato  e  per
di piu'  svincolato  dal  disvalore  dell'illecito,  la  disposizione
censurata si riflette sul processo e ne complica taluni passaggi, con
un aggravio irragionevole e sproporzionato.  Oltre  all'accertamento,
non di rado complesso, della sussistenza o della insussistenza di  un
fatto, essa impegna le parti, e con esse il  giudice,  nell'ulteriore
verifica  della  piu'  o  meno  marcata  graduazione   dell'eventuale
insussistenza. 
    A ben vedere, un sistema cosi'  congegnato  vanifica  l'obiettivo
della rapidita' e della piu' elevata prevedibilita' delle decisioni e
finisce per contraddire la  finalita'  di  una  equa  redistribuzione
delle tutele dell'impiego (art. 1, comma 1, lettera c, della legge n.
92  del  2012),  che  ha  in  tali   caratteristiche   della   tutela
giurisdizionale il suo caposaldo. 
    L'irragionevolezza intrinseca della disciplina censurata risiede,
pertanto, anche in uno squilibrio tra i fini enunciati e i  mezzi  in
concreto prescelti. 
    11.-   Si    deve    dichiarare,    pertanto,    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 18, settimo comma,  secondo  periodo,  della
legge n. 300 del 1970, come modificato dall'art. 1, comma 42, lettera
b),  della  legge  n.  92  del  2012,   limitatamente   alla   parola
«manifesta». 
    Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura illustrati dal
rimettente. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  18,  settimo
comma, secondo periodo, della legge 20 maggio  1970,  n.  300  (Norme
sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta'
sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento), come modificato dall'art. 1,  comma  42,  lettera  b),
della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma
del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), limitatamente
alla parola «manifesta». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 19 maggio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA