N. 196 SENTENZA 23 giugno - 26 luglio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Tributi - Redditi fondiari - Concorso  alla  formazione  del  reddito
  complessivo, indipendentemente dalla loro percezione  -  Esclusione
  dei canoni non percepiti accertati in sede giudiziaria, al di fuori
  del  procedimento  giurisdizionale  di  convalida  di  sfratto  per
  morosita'  del  conduttore  -  Omessa   previsione   -   Denunciata
  disparita' di trattamento e violazione del principio  di  capacita'
  contributiva - Inammissibilita' della questione. 
- D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 26, comma 1, «seconda parte». 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 53, primo comma. 
(GU n.30 del 27-7-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  26,  comma
1, «seconda parte», del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione
del testo  unico  delle  imposte  sui  redditi),  nella  formulazione
introdotta dall'art. 8, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n.  431
(Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti  ad
uso abitativo), promosso dalla Commissione tributaria regionale della
Toscana nel procedimento  vertente  tra  l'Agenzia  delle  entrate  -
Direzione provinciale di Firenze e Heather Ann Pamela Mclaughlin, con
ordinanza del 16  aprile  2019,  iscritta  al  n.  148  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23  giugno  2022  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 aprile 2019 (reg. ord. n. 148 del 2021),
la Commissione tributaria regionale della Toscana  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, primo  comma,  e  53,  primo  comma,  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  26,
comma 1, «seconda  parte»,  del  d.P.R.  22  dicembre  1986,  n.  917
(Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) «nella parte
in cui, in particolare, nel prevedere che il reddito dei  canoni  non
percepiti dai soggetti che possiedono immobili a titolo di proprieta'
non concorre alla formazione del reddito, subordina detta  previsione
alla sola conclusione del procedimento giurisdizionale  di  convalida
di sfratto per morosita' del conduttore». 
    Tale  disposizione,  nella   formulazione   applicabile   ratione
temporis,  prevede  che  «[i]  redditi  derivanti  da  contratti   di
locazione di  immobili  ad  uso  abitativo,  se  non  percepiti,  non
concorrono a formare il reddito dal  momento  della  conclusione  del
procedimento giurisdizionale di convalida di  sfratto  per  morosita'
del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e
non  percepiti  come  da  accertamento   avvenuto   nell'ambito   del
procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosita' e'
riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare». 
    1.1.- In punto di fatto la CTR  rimettente  riferisce  di  essere
chiamata a decidere in ordine al ricorso proposto dalla  contribuente
Heather Ann Pamela Mclaughlin avverso  l'avviso  di  accertamento  ai
fini  dell'imposta  sui  redditi  delle  persone  fisiche  (IRPEF)  e
addizionali  comunali  e  regionali   emesso   nei   suoi   confronti
dall'Agenzia delle entrate di Firenze, per l'anno di imposta 2010, in
conseguenza  dell'omessa  dichiarazione  del  reddito   di   immobili
concessi in locazione alla societa' Infinity Design srl. 
    In particolare, secondo quanto  afferma  il  giudice  a  quo,  il
ricorso avrebbe dato atto che il 13 marzo 2014 la societa'  locataria
era stata dichiarata fallita e che «la stessa, evidentemente  perche'
in  stato  di  dissesto  gia'  negli  anni  precedenti,   non   aveva
corrisposto durante il 2010 canone alcuno». 
    La CTR espone, poi, che avverso la sentenza di prime cure  -  che
ha annullato l'avviso impugnato, in quanto emesso «in violazione  del
principio di "capacita' contributiva" [...] posto che la contribuente
nel produrre in giudizio la documentazione relativa all'ammissione al
passivo fallimentare della  societa'  conduttrice  aveva  dato  prova
della  effettiva  mancata  percezione  dei  canoni  di  locazione»  -
l'Agenzia  delle  entrate  ha   interposto   appello   specificamente
dolendosi dell'erronea applicazione del citato art. 26, comma 1, t.u.
imposte redditi. 
    1.2.- In punto di diritto, il rimettente premette che,  in  forza
della «seconda parte» della disposizione appena citata, il canone  di
locazione di immobili ad uso abitativo non  effettivamente  percepito
non concorrerebbe a formare il reddito nel caso  in  cui  la  mancata
riscossione derivi da morosita' del conduttore  accertata  a  seguito
del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto e  che  cio'
costituirebbe una deroga a quanto stabilito dal periodo precedente, a
mente del quale «[i] redditi fondiari  concorrono,  indipendentemente
dalla percezione, a formare il reddito complessivo». 
    In particolare, ad avviso del giudice a  quo,  la  ragione  della
deroga sarebbe da ricondurre «all'accertamento giurisdizionale  della
morosita'», che consentirebbe: a) di evitare allegazioni  fraudolente
delle parti circa la mancata percezione del canone; b) «di  sollevare
dall'obbligo della contribuzione  tributaria  chi  con  certezza,  ed
all'esito di un vero e proprio accertamento giurisdizionale,  non  ha
riscosso un reddito». 
    Pertanto,  sulla  base  di  queste  premesse  interpretative,  il
rimettente conclude che l'art. 26, comma  1,  t.u.  imposte  redditi,
violerebbe gli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma,  Cost.  nella
parte in cui, stabilendo che il  reddito  derivante  dai  canoni  non
percepiti non  concorre  alla  formazione  del  reddito  complessivo,
«subordina detta previsione alla sola  conclusione  del  procedimento
giurisdizionale  di  convalida   di   sfratto   per   morosita'   del
conduttore»,  anziche'  a  tutte  le  ipotesi  in  cui  «ve  ne   sia
dimostrazione in sede giudiziaria». 
    La norma censurata,  infatti,  comporterebbe  una  disparita'  di
trattamento sia nei confronti di chi, «non percependo alcun  reddito,
non corrisponde all'erario alcunche'», sia nei  confronti  di  chi  -
come nel caso della contribuente che  qui  interessa  -  «per  motivi
diversi dalla morosita' del conduttore» non abbia  comunque  riscosso
il canone,  cosicche'  sarebbe  chiamato  «a  concorrere  alle  spese
pubbliche in ragione  della  (sua)  capacita'  contributiva  chi  per
tabulas (id est  per  fatto  accertato  in  sede  giudiziaria)  detta
capacita' non la possiede». 
    1.3.- Ai fini della rilevanza,  il  rimettente  afferma  che  «il
giudizio [...] non p[otrebbe] essere definito indipendentemente dalla
risoluzione della questione». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sollevata dalla CTR  della  Toscana
sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata. 
    2.1.- Preliminarmente l'interveniente, ricordata la  formulazione
dell'art. 26, comma  1,  t.u.  imposte  redditi  applicabile  ratione
temporis,  da'  comunque  conto  che  essa,  fra  l'altro,  e'  stata
recentemente modificata dall'art. 3-quinquies  del  decreto-legge  30
aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita  economica  e  per  la
risoluzione di  specifiche  situazioni  di  crisi),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, il quale stabilisce
che, limitatamente ai contratti  di  locazione  di  immobili  ad  uso
abitativo, i canoni non percepiti non concorrono alla formazione  del
reddito ai  fini  dell'IRPEF  sin  dal  momento  dell'intimazione  di
sfratto o dell'ingiunzione di pagamento, senza quindi dover attendere
la convalida dello sfratto stesso. 
    2.2.- Cio' premesso,  la  difesa  statale  rileva  che  la  norma
censurata subordina la non concorrenza del canone di  locazione  alla
formazione del reddito complessivo a due condizioni: a) che si tratti
di locazione di immobili ad uso abitativo; b)  che  sia  concluso  il
procedimento giurisdizionale di convalida di  sfratto  per  morosita'
del conduttore. 
    Tanto chiarito, l'Avvocatura generale sostiene che la motivazione
dell'ordinanza di rimessione sulla non manifesta infondatezza sarebbe
incentrata solo  sull'asserita  illegittimita'  costituzionale  della
seconda delle due descritte condizioni,  mentre  «[n]essuna  espressa
denuncia viene invece sollevata» in relazione alla prima  condizione,
«ossia l'essere la  deroga  in  esame  esclusivamente  riferita  alle
locazioni ad uso abitativo». 
    L'interveniente precisa poi che, «[n]el caso in esame,  peraltro,
risulta pacifica la circostanza che la locazione oggetto del giudizio
principale era di tipo commerciale e non  ad  uso  abitativo»  e  che
«[q]uesta  importante  e   non   contestata   circostanza   fattuale»
comporterebbe «l'irrimediabile inammissibilita' della questione». 
    Piu' in particolare,  a  parere  della  difesa  statale,  ove  si
ritenesse che la  richiesta  del  rimettente  sia  finalizzata  a  un
intervento additivo che estenda la portata  della  norma  alle  altre
ipotesi di accertamento giudiziale diverse da quello compiuto in sede
di  convalida  di  sfratto  per  morosita',  la   questione   sarebbe
inammissibile per difetto di rilevanza, posto che, nella  specie,  la
natura  commerciale  della   locazione   in   ogni   caso   osterebbe
all'applicazione  di  tale  addizione,  perche'   questa   rimarrebbe
limitata alle locazioni di immobili ad uso abitativo. 
    Diversamente, qualora  si  assumesse  che  il  petitum  non  solo
auspichi di attingere al risultato appena  detto,  ma  implicitamente
miri anche a estenderne gli effetti  ai  contratti  di  locazione  di
immobili diversi da quelli ad uso  abitativo,  la  questione  sarebbe
inammissibile per assoluto difetto di motivazione sulla non manifesta
infondatezza, atteso che non sarebbe stata spesa «neppure una parola»
per spiegare le ragioni  di  illegittimita'  costituzionale  di  tale
specifica condizione (a sostegno  e'  citata  l'ordinanza  di  questa
Corte n. 318 del 2004). 
    2.3.- Sotto un distinto profilo, secondo  l'Avvocatura  generale,
la questione sarebbe comunque inammissibile per difetto di  rilevanza
o comunque, anche in questo caso, per insufficiente motivazione sulla
stessa. 
    A fondamento di tale eccezione l'interveniente premette  che  con
la sentenza, interpretativa di rigetto, n. 362 del  2000,  emessa  in
relazione alla disciplina dei redditi fondiari prima  dell'emanazione
della  norma  censurata,  questa  Corte  avrebbe  affermato  che   il
riferimento al canone di locazione (anziche' alla rendita  catastale)
verrebbe meno solo  al  momento  della  cessazione  del  rapporto  di
locazione,  da  individuarsi,  oltre  che   nella   conclusione   del
procedimento giurisdizionale di convalida di  sfratto,  in  tutte  le
ipotesi a essa equipollenti, come la scadenza del termine (art.  1596
del  codice  civile),  ovvero  qualsiasi  causa  di  risoluzione  del
contratto (artt. 1454 e 1456 cod. civ.). 
    Pertanto, rilevato che, ai sensi dell'art. 80, terzo  comma,  del
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del  fallimento,  del
concordato  preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e   della
liquidazione coatta amministrativa), il  rapporto  locatizio  non  si
scioglie automaticamente a seguito della declaratoria  di  fallimento
del conduttore, la difesa statale  sostiene  che  il  rimettente  non
avrebbe considerato che «il mero  fallimento»  non  e'  «assimilabile
alle ipotesi di cessazione del  rapporto  locatizio  enucleate  dalla
Corte» o alla conclusione del procedimento di convalida  di  sfratto,
di cui alla seconda parte del  comma  1  dell'art.  26  t.u.  imposte
redditi. 
    2.4.-  L'Avvocatura  argomenta  poi  la  non   fondatezza   della
questione   in   relazione   a   entrambi   gli   evocati   parametri
costituzionali. 
    Secondo la difesa statale, la previsione per cui il  contribuente
sarebbe  obbligato  a  dichiarare  anche  i  canoni   relativi   alle
mensilita' non  corrisposte  non  sarebbe  lesiva  del  principio  di
capacita' contributiva. 
    Tale  disciplina,  seppure  nella  sua  previgente  formulazione,
avrebbe difatti gia' superato,  sotto  tale  profilo,  il  vaglio  di
legittimita' costituzionale in occasione della citata sentenza n. 362
del  2000   e,   in   ogni   caso,   andrebbe   considerata   l'ampia
discrezionalita'  da  sempre  riconosciuta   da   questa   Corte   al
legislatore tributario nell'individuazione degli indici di  capacita'
contributiva. 
    Anche quanto all'asserita violazione dell'art. 3 Cost.,  poi,  la
difesa  statale  riproduce  ampi  stralci  della  motivazione   della
suddetta pronuncia al fine di contestare l'assunto del rimettente per
cui la norma censurata determinerebbe una disparita'  di  trattamento
nei confronti di chi - in ipotesi diverse dalla convalida di  sfratto
per  morosita'  del  conduttore  -  non  riscuote  alcun  canone   di
locazione. 
    Sarebbe  piuttosto  la  addizione  auspicata  dal  rimettente   a
determinare «una grave  ed  ingiustificata  discrasia  nel  sistema»,
introducendo, «per i soli redditi derivanti da  immobili  locati,  un
criterio completamente diverso  da  quello  operante  per  i  redditi
fondiari relativi ad immobili non  locati,  per  i  quali  la  regola
generale -  come  visto  -  e'  incentrata  sulla  irrilevanza  della
concreta percezione». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 aprile 2019 (reg. ord. n. 148 del 2021),
la Commissione tributaria regionale della Toscana  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, primo  comma,  e  53,  primo  comma,  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  26,
comma 1, «seconda  parte»,  del  d.P.R.  22  dicembre  1986,  n.  917
(Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) «nella parte
in cui, in particolare, nel prevedere che il reddito dei  canoni  non
percepiti dai soggetti che possiedono immobili a titolo di proprieta'
non concorre alla formazione del reddito, subordina detta  previsione
alla sola conclusione del procedimento giurisdizionale  di  convalida
di sfratto per morosita' del conduttore». 
    Tale  disposizione,  nella   formulazione   applicabile   ratione
temporis,  prevede  che  «[i]  redditi  derivanti  da  contratti   di
locazione di  immobili  ad  uso  abitativo,  se  non  percepiti,  non
concorrono a formare il reddito dal  momento  della  conclusione  del
procedimento giurisdizionale di convalida di  sfratto  per  morosita'
del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e
non  percepiti  come  da  accertamento   avvenuto   nell'ambito   del
procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosita' e'
riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare». 
    Il giudice a quo riferisce di dover decidere in ordine al ricorso
proposto da una contribuente avverso l'avviso di accertamento ai fini
dell'imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) e  addizionali
comunali e regionali emesso nei  suoi  confronti  dall'Agenzia  delle
entrate di Firenze,  per  l'anno  di  imposta  2010,  in  conseguenza
dell'omessa  dichiarazione  del  reddito  di  immobili  concessi   in
locazione alla societa' Infinity Design srl, dichiarata fallita il 13
marzo 2014, la quale, «evidentemente perche'  in  stato  di  dissesto
gia' negli anni precedenti, non aveva  corrisposto  durante  il  2010
canone alcuno». 
    In punto di rilevanza, il rimettente  afferma  che  «il  giudizio
[...]  non  p[otrebbe]  essere   definito   indipendentemente   dalla
risoluzione della questione». 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, la CTR  premette  che  la
«seconda parte»  del  comma  1  dell'art.  26  t.u.  imposte  redditi
costituirebbe una deroga al primo  periodo  del  medesimo  comma,  ai
sensi del quale «[i] redditi fondiari  concorrono,  indipendentemente
dalla percezione, a formare il reddito complessivo», e  sostiene  che
la ragione  della  deroga  sarebbe  da  ricondurre  «all'accertamento
giurisdizionale della morosita'», che consentirebbe:  a)  di  evitare
allegazioni fraudolente delle parti circa la mancata  percezione  del
canone; b) «di sollevare dall'obbligo della contribuzione  tributaria
chi con certezza, ed all'esito di  un  vero  e  proprio  accertamento
giurisdizionale, non ha riscosso un reddito». 
    Da tale premessa discenderebbe  che  l'art.  26,  comma  1,  t.u.
imposte redditi violerebbe gli artt. 3,  primo  comma,  e  53,  primo
comma, Cost., nella parte in cui consente che i canoni non  percepiti
non concorrano alla formazione del reddito complessivo solo  in  caso
di conclusione  del  procedimento  giurisdizionale  di  convalida  di
sfratto per morosita' del conduttore e non anche «tutte le  volte  in
cui il contribuente non  riscuota  il  canone/reddito  e  ve  ne  sia
dimostrazione in sede giudiziaria». 
    La norma censurata,  infatti,  comporterebbe  una  disparita'  di
trattamento sia nei confronti di chi, «non percependo alcun  reddito,
non corrisponde all'erario alcunche'», sia nei  confronti  di  chi  -
come nel  caso  che  qui  interessa  -,  «per  motivi  diversi  dalla
morosita' del conduttore», non abbia  comunque  riscosso  il  canone,
sicche' sarebbe  chiamato  «a  concorrere  alle  spese  pubbliche  in
ragione della (sua) capacita' contributiva chi per  tabulas  (id  est
per fatto accertato in  sede  giudiziaria)  detta  capacita'  non  la
possiede». 
    2.- All'esame dell'ordinanza occorre premettere una pur sintetica
illustrazione   del   quadro   normativo   e   giurisprudenziale   di
riferimento, nel cui  ambito  si  e'  verificata,  a  partire  da  un
determinato momento, un'asimmetria nella  disciplina  tributaria  dei
canoni non riscossi, a seconda che questi siano relativi a  contratti
di locazione di immobili ad uso abitativo o ad uso  diverso  (ovvero,
in senso lato, commerciale). 
    2.1.- Il primo periodo del comma  1  dell'art.  26  t.u.  imposte
redditi sancisce la  regola  generale  per  cui  i  redditi  fondiari
concorrono a formare il reddito complessivo  indipendentemente  dalla
loro percezione. 
    Per  tale   categoria   reddituale,   infatti,   il   presupposto
dell'imposta deriva dal possesso di un immobile: a) qualificato da un
titolo di appartenenza  (proprieta',  enfiteusi,  usufrutto  o  altro
diritto reale); b) situato nel territorio dello Stato;  c)  iscritto,
con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni  o  nel  catasto
edilizio urbano. 
    In linea di principio,  dunque,  la  determinazione  dei  redditi
fondiari avviene nell'ottica tipica del catasto, ovvero in modo medio
ordinario mediante l'applicazione delle  tariffe  d'estimo  stabilite
dalla legge catastale, finalizzate  ad  apprezzare  la  potenzialita'
reddituale del bene immobile. 
    Per gli immobili  locati,  il  legislatore  ha  pero'  nel  tempo
introdotto una  diversa  disciplina  di  determinazione  del  reddito
fondiario, prevedendo l'assoggettamento a tassazione del valore  piu'
elevato tra il canone di locazione risultante dal contratto,  ridotto
di una certa percentuale, e la rendita catastale. 
    Tale  criterio,  se  ha  reso  piu'  vicina  all'effettivita'  la
quantificazione dell'imponibile, non ha pero' alterato quella  logica
di  un'imposizione   a   carattere   virtuale   o   figurativo,   che
tradizionalmente  caratterizza   l'intera   categoria   dei   redditi
fondiari. 
    Attraverso  il  riferimento  alla  maturazione  del  credito   ex
contractu  e'  stato,  infatti,  introdotto  un  diverso  indice  per
misurare la potenzialita' economica,  ma  e'  rimasto  in  ogni  caso
valido - sino alla  piu'  recente  evoluzione  per  le  locazioni  di
immobili ad uso abitativo che si descrivera' al punto successivo - il
principio  generale   per   cui   i   redditi   fondiari   concorrono
«indipendentemente   dalla   percezione»   a   formare   il   reddito
complessivo; pertanto, in tale logica, la  morosita'  del  conduttore
non costituisce un elemento idoneo a far venire meno l'obbligo per il
locatore di indicare  nella  dichiarazione  annuale  dei  redditi  il
canone annuo pattuito e di corrispondere la relativa imposta. 
    Solo le varie fattispecie di  risoluzione  del  contratto,  cosi'
come chiarito in via interpretativa dalla sentenza n. 362 del 2000 di
questa Corte, determinano il venir meno del  riferimento  al  reddito
locativo  e  fanno  tornare  in  vigore  la  regola  generale   della
tassazione sulla base della rendita catastale. 
    2.2.-  Rispetto   a   questa   disciplina,   che   si   applicava
indistintamente agli immobili sia ad uso abitativo, sia  commerciale,
l'art. 8, comma 5, della legge 9 dicembre 1998,  n.  431  (Disciplina
delle  locazioni  e  del  rilascio  degli  immobili  adibiti  ad  uso
abitativo),  ha  dato  luogo  a  una  vera  e  propria  soluzione  di
continuita'. 
    Ha infatti aggiunto al comma 1 dell'art. 23 t.u. imposte  redditi
- ora 26 a seguito della rinumerazione operata dall'art. 2, comma  3,
del  decreto  legislativo  12  dicembre   2003,   n.   344   (Riforma
dell'imposizione sul reddito delle societa', a norma dell'articolo  4
della legge 7 aprile 2003, n. 80) - due periodi in cui si dispone che
«[i] redditi derivanti da contratti di locazione di immobili  ad  uso
abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito  dal
momento  della  conclusione  del  procedimento   giurisdizionale   di
convalida di sfratto per morosita' del  conduttore.  Per  le  imposte
versate sui  canoni  venuti  a  scadenza  e  non  percepiti  come  da
accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giurisdizionale di
convalida di sfratto per morosita'  e'  riconosciuto  un  credito  di
imposta di pari ammontare». 
    Si tratta di una evidente deroga al  tradizionale  principio  che
caratterizza i redditi fondiari, perche' stabilisce, ma solo  per  le
locazioni di immobili ad uso  abitativo,  che  la  mora  debendi  del
conduttore, se accertata dal giudice attraverso la procedura ex artt.
658  e  seguenti  del  codice   di   procedura   civile,   fonda   il
riconoscimento di un credito d'imposta per i  canoni  non  percepiti,
ancorche'  resti,  di  per  se',  impregiudicato  il   diritto   alla
percezione del canone pattuito in base al contratto. 
    Tale significativa novita' - che attraverso  un  accostamento  al
principio di cassa attribuisce rilievo al  momento  della  percezione
dei canoni - non ha quindi riguardato tutte le locazioni: per  quelle
relative agli immobili ad uso commerciale e', infatti, rimasto  fermo
il metodo figurativo di imposizione, con la conseguenza che i  canoni
da  locazione  concorrono  «indipendentemente  dalla  percezione»   a
formare il reddito complessivo. 
    Va peraltro ricordato  che  tale  novella  e'  stata  oggetto  di
numerose critiche da parte della  dottrina,  laddove  stabilisce  una
diversita' di trattamento tra le diverse tipologie di locazioni. 
    2.3.- Da ultimo, va  rilevato  che  la  Corte  di  cassazione  ha
reiteratamente affermato che, dato il tenore della norma, la suddetta
deroga non puo' essere estesa ai contratti di locazione  ad  uso  non
abitativo, ovverosia destinati ad uso ufficio e ad  uso  commerciale:
il criterio di imputazione del reddito di locazione  in  questi  casi
prescinde,  dunque,  dalla  effettiva  percezione  dei   canoni   (ex
plurimis, Corte di cassazione, sezione  quinta  civile,  sentenza  18
gennaio 2012, n. 651; piu' recentemente, Corte di cassazione, sezione
sesta civile, ordinanza 14 aprile 2022, n. 12254). 
    2.4.- A completamento del quadro normativo, va  infine  segnalato
che  di  recente  l'asimmetria  tra  locazioni  di  immobili  ad  uso
abitativo e ad uso commerciale, quanto a criterio di imputazione  dei
redditi di locazione, si e' ulteriormente accentuata, perche'  per  i
primi si e' previsto che i canoni  non  percepiti  non  concorrono  a
formare il reddito  laddove  la  mancata  percezione  sia  comprovata
dall'intimazione di  sfratto  per  morosita'  o  dall'ingiunzione  di
pagamento (art. 26, comma 1, seconda  parte,  t.u.  imposte  redditi,
come modificato dall'art. 3-quinquies, comma 1, del decreto-legge  30
aprile 2019, n. 34, recante «Misure urgenti di crescita  economica  e
per la risoluzione di specifiche situazioni  di  crisi»,  convertito,
con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58). 
    Per quanto qui rileva, va pero' precisato che, in ogni caso, tale
disciplina chiaramente non e' applicabile nel  giudizio  a  quo,  dal
momento che, tra l'altro, per effetto dell'art. 6-septies,  comma  2,
del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia  di
sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e
servizi   territoriali,   connesse   all'emergenza   da    COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 21  maggio  2021,  n.  69,
essa concerne esclusivamente i «canoni  derivanti  dai  contratti  di
locazione di immobili non percepiti a decorrere dal 1° gennaio 2020». 
    3.- Quanto sopra premesso consente ora di passare in disamina  le
prime due eccezioni  di  inammissibilita'  sollevate  dall'Avvocatura
generale dello Stato, intervenuta in giudizio in rappresentanza  e  a
difesa del Presidente del Consiglio dei ministri. 
    3.1.- La difesa statale assume che la motivazione  dell'ordinanza
di rimessione sulla non  manifesta  infondatezza  sarebbe  incentrata
solo sulla limitazione del regime derogatorio  previsto  dalla  norma
censurata alla mancata percezione dei canoni accertata all'esito  del
procedimento giurisdizionale di convalida di  sfratto  per  morosita'
del conduttore, mentre  «[n]essuna  espressa  denuncia  viene  invece
sollevata» in relazione alla limitazione di tale disciplina alle sole
locazioni di immobili ad uso abitativo. 
    E  a  cio'  aggiunge  che  «[n]el  caso   in   esame,   peraltro,
risulterebbe pacifica la circostanza che  la  locazione  oggetto  del
giudizio principale era di tipo commerciale e non ad uso abitativo». 
    Da  qui,  a  parere  dell'interveniente,  ove  si  ritenesse   la
richiesta del giudice a quo finalizzata a un'addizione relativa  alle
ipotesi di accertamento  giudiziale  diverse  da  quella  contemplata
dalla norma censurata, l'inammissibilita' della questione per difetto
di rilevanza, posto  che,  nella  specie,  in  ogni  caso  la  natura
commerciale della locazione osterebbe all'applicazione  della  deroga
alla fattispecie in esame. 
    Diversamente  -  prosegue  l'Avvocatura  generale  -  qualora  si
assumesse che il petitum,  non  solo  auspichi  detto  risultato,  ma
implicitamente miri anche a estenderne gli effetti  ai  contratti  di
locazione diversi da quelli ad uso abitativo,  la  questione  sarebbe
inammissibile per assoluto difetto di motivazione sulla non manifesta
infondatezza, atteso che non sarebbe stata spesa «neppure una parola»
per spiegare le ragioni  di  illegittimita'  costituzionale  di  tale
specifica condizione. 
    4.- Le eccezioni sono fondate nei termini di seguito illustrati. 
    4.1.- Va  innanzitutto  chiarito  che  il  rimettente  ambisce  a
un'estensione del regime derogatorio dettato dalla seconda parte  del
comma 1 dell'art. 26 t.u. imposte redditi «tutte le volte in  cui  il
contribuente non riscuota il canone/reddito e ve ne sia dimostrazione
in sede giudiziaria». 
    Nel formulare tale ampio petitum,  tuttavia,  il  rimettente  non
offre sufficienti elementi sulla fattispecie sottoposta al suo  esame
e omette del tutto di confrontarsi con la parte del censurato art. 26
che limita la deroga da esso prevista ai soli contratti di  locazione
ad uso abitativo, senza prendere  in  alcun  modo  in  considerazione
quella singolare asimmetria rispetto ai contratti di locazione ad uso
non  abitativo  che,  come  si  e'  descritto   in   precedenza,   ha
caratterizzato lo sviluppo dell'ordinamento. 
    Sono tali lacune che depongono a favore  della  fondatezza  delle
eccezioni sollevate dall'Avvocatura  generale,  che  sarebbero  state
invece superabili qualora: a)  l'ordinanza  avesse  chiarito  (recte:
avesse potuto chiarire) che  nella  fattispecie  si  trattava  di  un
contratto di locazione ad uso abitativo, oppure b)  avesse,  appunto,
esplicitamente dedotto una violazione del  principio  di  uguaglianza
per la discriminazione tra tipologie di  contratti  di  locazione  di
immobili. 
    Sul primo punto, invece, l'ordinanza non offre alcun  chiarimento
e sul secondo, come rilevato dall'Avvocatura, non spende «neppure una
parola». 
    Quanto alla tipologia  di  contratto  che  viene  in  rilevo  nel
giudizio a quo, peraltro, va precisato che,  diversamente  da  quanto
sostenuto dall'interveniente, la circostanza che  si  tratti  di  una
locazione ad uso diverso dall'abitativo non e' «pacifica», stando  al
tenore dell'atto di promovimento: tale elemento,  infatti,  non  puo'
con certezza desumersi dal fatto  che  il  conduttore  sia  una  srl,
poiche' cio' non osterebbe, in linea di massima, alla stipula  di  un
contratto di locazione di immobile ad uso abitativo. Piuttosto, e' il
silenzio dell'ordinanza a risultare decisivo. 
    4.2.- La questione  e'  pertanto  inammissibile  per  difetto  di
motivazione sulla rilevanza. 
    Il che impedisce evidentemente di esaminare nel merito il profilo
della  omessa  assimilazione,   ai   fini   dell'applicazione   della
disciplina   derogatoria,   della   «conclusione   del   procedimento
giurisdizionale di convalida di sfratto per morosita' del conduttore»
a tutte le altre ipotesi in cui «ve  ne  sia  dimostrazione  in  sede
giudiziaria». 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 26, comma 1, «seconda parte», del d.P.R.  22
dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui
redditi), nella formulazione introdotta dall'art. 8, comma  5,  della
legge 9 dicembre 1998, n.  431  (Disciplina  delle  locazioni  e  del
rilascio degli immobili adibiti  ad  uso  abitativo),  sollevata,  in
riferimento agli artt. 3, primo  comma,  e  53,  primo  comma,  della
Costituzione, dalla Commissione tributaria  regionale  della  Toscana
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                      Luca ANTONINI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA