N. 14 SENTENZA 1 dicembre 2022- 9 febbraio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Salute (Tutela della) - Profilassi internazionale - Prevenzione  anti
  SARS-CoV-2 per il personale  sanitario  -  Previsione  dell'obbligo
  vaccinale e della sospensione dall'esercizio della  professione  in
  caso di inadempimento -  Denunciata  violazione  del  diritto  alla
  salute - Non fondatezza della questione. 
Salute  (Tutela  della)  -   Trattamenti   sanitari   obbligatori   e
  vaccinazione obbligatoria - Onere di  sottoscrizione  del  consenso
  informato - Omessa previsione - Denunciata violazione del principio
  di ragionevolezza e del  diritto  alla  libera  manifestazione  del
  pensiero - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni,
  nella legge 28 maggio 2021, n. 76, art. 4, commi 1 e  2;  legge  22
  dicembre 2017, n. 219, art. 1. 
- Costituzione, artt. 3, 4, 21, 32, 33, 34 e 97. 
(GU n.7 del 15-2-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,
  Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4, commi  1
e 2, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti  per  il
contenimento dell'epidemia da COVID-19, in  materia  di  vaccinazioni
anti SARS-CoV-2, di giustizia e di  concorsi  pubblici),  convertito,
con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, e  dell'art.  1
della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in  materia  di  consenso
informato e di disposizioni anticipate di trattamento), promosso  dal
Consiglio di giustizia amministrativa per la  Regione  Siciliana  nel
procedimento vertente tra  G.  G.  e  l'Universita'  degli  studi  di
Palermo, con ordinanza del 22 marzo  2022,  iscritta  al  n.  38  del
registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visti l'atto di costituzione di G. G., l'atto di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' quelli di  D.  D.P.  e
altri e M. A., di R. S. e G. V., di A. C. e S. M., di V. B. e altri e
M. D.M., di G. L. e altri e A. B., di L. B., di S. P. e altri e di P.
C.; 
    udito nell'udienza pubblica  del  30  novembre  2022  il  Giudice
relatore Filippo Patroni Griffi; 
    uditi gli avvocati Gabriele Fantin e Orsola Costanza per D.  D.P.
e altri, per M. A., e per S. P. e altri, Orsola Costanza  per  V.  B.
altri, per M. D.M., per G. L. e altri e per A. B., Nicolo'  Fiorentin
per L. B., Paola Chiandotto  per  se'  medesima,  Augusto  Sinagra  e
Angelo Di Lorenzo per R. S., G. V., A. C. e S. M., Vincenzo Sparti  e
Sergio Sparti per G. G. e gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni
e  Beatrice  Gaia  Fiduccia  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 1° dicembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 22  marzo  2022,  iscritta  al  n.  38  del
registro ordinanze 2022, il Consiglio di giustizia amministrativa per
la  Regione  Siciliana  ha  sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 1°  aprile
2021, n. 44 (Misure urgenti  per  il  contenimento  dell'epidemia  da
COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia  e
di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge  28
maggio 2021, n. 76, nella parte in cui prevede, da un lato, l'obbligo
vaccinale per la prevenzione  dell'infezione  da  SARS-CoV-2  per  il
personale    sanitario    e,    dall'altro    lato,    per    effetto
dell'inadempimento dello stesso, la sospensione dall'esercizio  delle
professioni sanitarie, per contrasto con gli artt. 3, 4, 32, 33, 34 e
97 della Costituzione; nonche' dell'art. 1 della  legge  22  dicembre
2017,  n.  219  (Norme  in  materia  di  consenso  informato   e   di
disposizioni anticipate di  trattamento),  nella  parte  in  cui  non
prevede  l'espressa  esclusione  dalla  sottoscrizione  del  consenso
informato  delle  ipotesi  di  trattamenti  sanitari  obbligatori,  e
dell'art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte  in
cui non esclude l'onere di sottoscrizione del consenso informato  nel
caso di vaccinazione obbligatoria, per contrasto con gli artt. 3 e 21
Cost. 
    1.1.- Nell'ambito del contenzioso tra uno  studente  iscritto  al
terzo anno del corso di laurea  in  Infermieristica  e  l'Universita'
degli studi di Palermo, il Consiglio di giustizia amministrativa  per
la Regione Siciliana  veniva  adito  per  la  riforma  dell'ordinanza
cautelare  del  TAR  Sicilia,  che  aveva   negato   la   sospensione
dell'efficacia del provvedimento del 27 aprile 2021 con il  quale  il
Rettore e il Direttore generale dell'Universita'  disponevano  che  i
tirocini di area medico-sanitaria «potranno  proseguire  in  presenza
all'interno   delle   strutture    sanitarie    a    seguito    della
somministrazione vaccinale anti Covid-19». 
    Il giudice a quo, con ordinanza  del  17  gennaio  2022,  n.  38,
disponeva  approfondimenti  istruttori  affidati  ad   un   collegio,
composto dal Segretario generale  del  Ministero  della  salute,  dal
Presidente del Consiglio superiore  di  sanita'  operante  presso  il
Ministero della  salute  e  dal  Direttore  generale  di  prevenzione
sanitaria. Il Collegio, in data  25  febbraio  2022,  depositava  una
relazione,  corredata  da  documentazione  illustrativa,  rendendo  i
chiarimenti richiesti. 
    Nell'ordinanza di rimessione, il giudice a quo - premessa la  non
fondatezza di talune eccezioni preliminari sollevate  dall'appellante
-  si  sofferma  sulla  rilevanza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale,   ritenendo    di    non    condividere    l'asserita
inapplicabilita' agli studenti tirocinanti dell'obbligo vaccinale per
la prevenzione da SARS-CoV-2 introdotto dall'art. 4 del  d.l.  n.  44
del 2021, come convertito, in considerazione sia dell'ampiezza  della
previsione  («riferita  alla  categoria  degli  operatori   sanitari»
destinatari  dell'obbligo  vaccinale)  della  normativa   applicabile
ratione temporis alla data di adozione dell'atto impugnato, sia della
ratio della stessa, identificabile nella finalita' di  proteggere  la
salute di  chi  frequenta  i  luoghi  di  cura,  in  particolare  dei
pazienti, che spesso si trovano in condizione di  fragilita'  e  sono
esposti a gravi pericoli di contagio. 
    In particolare, il giudice rimettente rileva che,  alla  luce  di
tali considerazioni, l'impugnato provvedimento, adottato il 27 aprile
2021, cioe' nel vigore dell'originaria formulazione dell'art.  4  del
d.l. n. 44 del 2021, come convertito,  deve  considerarsi  legittimo,
senza che a tale conclusione ostino le sopravvenienze  normative  che
hanno, di  volta  in  volta,  riformulato  la  disposizione,  fino  a
pervenire al testo, dalla cui lettura sembrerebbe  desumersi  che  il
legislatore abbia  inteso  introdurre  l'obbligo  vaccinale  per  gli
studenti tirocinanti solo in sede di conversione del decreto-legge 26
novembre  2021,  n.  172  (Misure   urgenti   per   il   contenimento
dell'epidemia da COVID-19 e per lo  svolgimento  in  sicurezza  delle
attivita' economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella
legge 21 gennaio 2022, n. 3. Tale interpretazione, infatti,  non  era
enucleabile dal testo originario della norma. 
    Tanto premesso, e confutate una  serie  di  osservazioni  esposte
dall'appellante, il giudice a quo  rimettente  passa  a  trattare  il
profilo della non manifesta infondatezza. 
    1.2.- Con riferimento al primo gruppo di questioni, il giudice  a
quo  parte  dalla  giurisprudenza  costituzionale   in   materia   di
vaccinazioni obbligatorie, secondo la quale l'art. 32  Cost.  postula
il necessario contemperamento del diritto alla salute  della  singola
persona (anche  nel  suo  contenuto  di  liberta'  di  cura)  con  il
coesistente e reciproco diritto delle altre persone e con l'interesse
della collettivita'. In particolare viene ricordato come questa Corte
(con le sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990)  abbia  precisato
che - ferma la necessita' che l'obbligo  vaccinale  sia  imposto  con
legge - la legge  impositiva  di  un  trattamento  sanitario  non  e'
incompatibile con l'art. 32 Cost. alle seguenti condizioni: a) se  il
trattamento e' diretto non solo a migliorare o a preservare lo  stato
di salute di chi vi e' assoggettato, ma anche a preservare  lo  stato
di salute  degli  altri;  b)  se  si  prevede  che  esso  non  incida
negativamente sullo stato di salute di colui che e' obbligato,  salvo
che per quelle sole conseguenze «che appaiano  normali  e,  pertanto,
tollerabili»; c) se, nell'ipotesi di danno  ulteriore,  sia  prevista
comunque la corresponsione di  una  equa  indennita'  in  favore  del
danneggiato,  e   cio'   a   prescindere   dalla   parallela   tutela
risarcitoria. 
    Il  rimettente  sottolinea,  quindi,  di  doversi   rifare   alla
richiamata giurisprudenza  per  valutare  l'attuale  piano  vaccinale
obbligatorio, pure nella dichiarata  consapevolezza  di  confrontarsi
«con  i  principi  affermati  dalla   Corte,   in   riferimento,   va
sottolineato, a situazioni per cosi' dire ordinarie, non ravvisandosi
precedenti riferiti a situazioni emergenziali ingenerate da una grave
pandemia». 
    Tanto premesso, afferma  che,  nel  caso  in  esame,  puo'  dirsi
soddisfatto  -  oltre  che  il  presupposto   sub   c),   stante   la
riconducibilita', ex art. 20 del decreto-legge 27 gennaio 2022, n.  4
(Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli  operatori
economici,  di  lavoro,  salute  e  servizi  territoriali,   connesse
all'emergenza da COVID-19, nonche' per il contenimento degli  effetti
degli aumenti dei prezzi  nel  settore  elettrico),  convertito,  con
modificazioni,  nella  legge  28  marzo  2022,  n.  25,  dell'obbligo
vaccinale in esame alla disciplina di  cui  alla  legge  25  febbraio
1992, n.  210  (Indennizzo  a  favore  dei  soggetti  danneggiati  da
complicanze  di  tipo   irreversibile   a   causa   di   vaccinazioni
obbligatorie, trasfusioni e somministrazione  di  emoderivati)  -  il
presupposto sub a). 
    In particolare, il Collegio rimettente  sostiene  la  natura  non
sperimentale  dei  vaccini  per  la  prevenzione  dell'infezione   da
SARS-CoV-2. Per essi - viene ricordato - non e' stata  omessa  alcuna
delle  tradizionali  fasi  di  sperimentazione;  semplicemente,  data
l'impellenza  della  situazione  pandemica,  dette  fasi  sono  state
condotte  in  parallelo,  in  sovrapposizione  parziale,  il  che  ha
consentito di accelerare l'immissione in commercio dei farmaci. 
    Viene dunque rammentato che -  come  evincibile  dalla  relazione
trasmessa  a  seguito   della   propria   ordinanza   istruttoria   -
l'autorizzazione  all'immissione  in  commercio  condizionata  e'  lo
strumento che permette alle autorita'  regolatorie  di  approvare  un
farmaco  rapidamente  in  presenza   di   una   necessita'   urgente,
garantendo, comunque, che il vaccino approvato  soddisfi  i  rigorosi
standard  dell'Unione  europea  quanto  a  sicurezza,   efficacia   e
qualita', ma senza considerare concluso il processo di valutazione al
momento dell'immissione in commercio, in quanto si  prevede  che  gli
sviluppatori  presentino  dati  supplementari   sul   vaccino   anche
successivamente. 
    Il Collegio rimettente  ammette  altresi'  la  persistenza  della
validita' dell'approccio vaccinale che,  sebbene  introdotto  in  una
fase emergenziale,  mantiene  «la  propria  legittimita'  (o  meglio,
necessita')  anche  nell'attuale   fase,   nonostante   l'intervenuta
approvazione di alcuni farmaci che consentono la terapia dei soggetti
contagiati». E cio' in quanto l'efficacia delle terapie in  questione
dipende dalla tempestivita' nella somministrazione,  non  agevole  da
assicurare  in  considerazione  dell'esordio   della   patologia   da
SARS-CoV-2    (che    perlopiu'    presenta    una     sintomatologia
simil-influenzale) e della durata  del  cosiddetto  periodo  finestra
(allorquando il test presenta un risultato falso-negativo). 
    Il giudice a quo, inoltre, pur partendo dalla  constatazione  che
soggetti vaccinati sono in grado di infettarsi e infettare,  sostiene
che tale dato e' inidoneo a scardinare  la  razionalita'  complessiva
della  campagna  di  vaccinazione.  Essa,  pur   se   concepita   con
l'obiettivo  di  conseguire  una  rarefazione  dei  contagi  e  della
circolazione del virus, era tesa  anche  allo  scopo  di  evitare  il
decorso ingravescente della patologia verso forme severe necessitanti
di ricovero in ospedale, obiettivo  tuttora  conseguito  dal  sistema
preventivo in atto. Il profilo della tutela  della  collettivita'  si
ravviserebbe, in sostanza, nella minore pressione sulle strutture  di
ricovero e di terapia intensiva derivante dalla  maggiore  estensione
della platea dei vaccinati. 
    Sul  punto,  vengono  condivise  -  secondo  considerazioni  gia'
offerte dal medesimo rimettente nella  propria  precedente  ordinanza
istruttoria - le valutazioni espresse nella decisione  del  Consiglio
di Stato, sezione terza, sentenza 20 ottobre 2021, n.  7045,  secondo
cui, in applicazione del principio costituzionale di solidarieta', in
fase  emergenziale,  il   principio   di   precauzione,   che   trova
applicazione  anche  in  ambito  sanitario,  opera  in  modo  inverso
rispetto all'ordinario. Esso, infatti, richiede al decisore  pubblico
di consentire o, addirittura, imporre l'utilizzo di terapie che,  pur
sulla  base  di  dati  non  completi  (come  e'  nella  procedura  di
autorizzazione condizionata), assicurino piu' benefici che rischi, in
quanto il potenziale rischio di un  evento  avverso  per  un  singolo
individuo, con l'utilizzo di quel farmaco, e' di gran lunga inferiore
al reale nocumento per una intera societa', senza l'utilizzo di  quel
farmaco. 
    Viene altresi' ricordato che, con la  successiva  sentenza  della
medesima terza  sezione,  28  febbraio  2022,  n.  1381,  il  giudice
amministrativo  indicato   ha   sottolineato   come   i   monitoraggi
dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e dell'Istituto superiore di
sanita' (ISS), abbiano evidenziato l'elevata efficacia vaccinale  nel
prevenire l'ospedalizzazione, il ricovero in terapia intensiva  e  il
decesso.  Proprio  la  minore  pressione  sulle  strutture  sanitarie
comporterebbe un vantaggio per la tutela della collettivita', le  cui
necessita'   di   assistenza   sanitaria   non   potrebbero    essere
adeguatamente soddisfatte in situazioni di costante emergenza  (tanto
per esigenze legate all'infezione da SARS-CoV-2, quanto per  esigenze
legate ad altre patologie). 
    1.2.1.- Cosi' concluso con riferimento al parametro  sub  a),  il
giudice rimettente ravvisa insuperabili elementi  di  criticita'  con
riferimento al profilo sub b),  relativamente  ai  cosiddetti  eventi
avversi, sotto i seguenti aspetti. 
    Il  Collegio  rimettente  premette  di  doversi  discostare   dai
precedenti del Consiglio di Stato (sentenze n. 1381  del  2022  e  n.
7045 del 2021), i quali avevano escluso la ricorrenza di  profili  di
dubbio in ordine alla  proporzionalita'  dell'obbligo  vaccinale,  in
quanto, all'epoca, non risultava  (e  non  era  stato  dimostrato  in
giudizio) che il rischio degli effetti avversi non rientrasse  «nella
media, tollerabile, degli  eventi  avversi  gia'  registrati  per  le
vaccinazioni obbligatorie in uso da anni».  E  cio'  in  quanto  tale
conclusione  viene   ritenuta   fondata   su   dati   successivamente
revisionati - essendo stato pubblicato dall'AIFA il rapporto  annuale
sulla sicurezza dei vaccini  per  la  prevenzione  dell'infezione  da
SARS-CoV-2 nel febbraio 2022 - e, comunque, superata dalle  emergenze
istruttorie. 
    Il Collegio rimettente segnala che dai nuovi dati risulta che  il
numero di eventi avversi da vaccini per la prevenzione dell'infezione
da SARS-CoV-2 e' superiore alla «media  [...]  degli  eventi  avversi
gia' registrati per le vaccinazioni obbligatorie in uso da anni»,  e,
per di piu', lo e' di diversi ordini di grandezza. Sulla base di tali
dati conclude per una necessaria  «rivisitazione  degli  orientamenti
giurisprudenziali  fin  qui  espressi  sulla  base  di   dati   ormai
superati», nel senso che il vaccino incide negativamente sullo  stato
di salute di colui  che  e'  obbligato  a  vaccinarsi,  oltre  quelle
conseguenze «che appaiano normali e, pertanto, tollerabili». 
    Per giungere a  tale  conclusione  il  giudice  a  quo  sostiene,
innanzitutto, che il sistema di raccolta  dei  dati  in  ordine  agli
effetti   collaterali   -   limitato,   allo   stato,    alla    sola
farmacovigilanza passiva - condurrebbe a una sottostima (e comunque a
un'incertezza sull'entita') degli eventi avversi da vaccinazione  per
la prevenzione dell'infezione  da  SARS-CoV-2.  Rileva,  poi,  quanto
segue: «[v]ero e' che le  reazioni  gravi  costituiscono  una  minima
parte degli eventi avversi complessivamente segnalati; ma il criterio
posto dalla Corte costituzionale in  tema  di  trattamento  sanitario
obbligatorio non pare lasciare spazio  ad  una  valutazione  di  tipo
quantitativo,  escludendosi  la  legittimita'   dell'imposizione   di
obbligo vaccinale mediante preparati i cui  effetti  sullo  stato  di
salute dei vaccinati superino la soglia della normale tollerabilita',
il che non pare lasciare  spazio  all'ammissione  di  eventi  avversi
gravi e fatali, purche' pochi in rapporto alla popolazione vaccinata,
criterio che, oltretutto, implicherebbe delicati  profili  etici  (ad
esempio,  a  chi  spetti  individuare  la  percentuale  di  cittadini
"sacrificabili"). Pare quindi che, non potendosi,  in  generale,  mai
escludere la possibilita' di reazioni avverse a  qualunque  tipologia
di farmaco, il discrimen, alla stregua dei criteri rinvenibili  dalla
richiamata  giurisprudenza  costituzionale,  vada   ravvisato   nelle
ipotesi  del  caso  fortuito  e   imprevedibilita'   della   reazione
individuale. Ma nel caso in questione, l'esame  dei  dati  pubblicati
nel sito EudraVigilance disaggregati per Stato segnalatore  evidenzia
una certa omogeneita' nella tipologia di eventi avversi segnalati dai
vari Paesi (in disparte  il  maggiore  o  minore  afflusso  di  dati,
evidenziato dai Consulenti della parte  appellante),  il  che  lascia
poco spazio all'opzione caso fortuito/reazione imprevedibile». 
    1.2.2.-   Il   Collegio   rimettente,   infine,    si    sofferma
sull'inadeguatezza del triage  pre-vaccinale.  Per  giungere  a  tale
conclusione  -  pur  dicendosi  consapevole  della   insostenibilita'
logistica e finanziaria, in una situazione di vaccinazione di  massa,
di uno screening anch'esso di massa - valorizza fondamentalmente  tre
aspetti: 1) il difetto di coinvolgimento del medico  di  base,  unico
detentore di un'approfondita  conoscenza  dei  propri  assistiti;  2)
l'assenza di previsione di esami di laboratorio,  quali  accertamenti
diagnostici da eseguire prima della  vaccinazione,  o  test,  inclusi
quelli di carattere genetico; 3)  la  mancanza  di  un  test  per  la
rilevazione dell'infezione da SARS-CoV-2, idoneo  a  evidenziare  una
condizione di infezione in atto. 
    1.3.- In ordine al secondo gruppo  di  questioni,  relativo  alla
mancata  esclusione  dell'onere  di   sottoscrizione   del   consenso
informato  nel  caso  di  trattamenti  sanitari  obbligatori  e,   in
particolare, di vaccinazione obbligatoria, il giudice  a  quo  espone
che,  per  quanto  emerge  dall'istruttoria  effettuata,  al  momento
dell'anamnesi  pre-vaccinale,  in  conformita'  alla   normativa   in
questione, viene effettivamente raccolto il consenso informato. 
    Il  rimettente  si  confronta  con  la  posizione  dell'organismo
incaricato dell'istruttoria  -  a  parere  del  quale,  nel  caso  di
vaccinazione obbligatoria, il consenso andrebbe  inteso  quale  presa
visione da parte del cittadino delle informazioni  fornite  -  ma  la
reputa non condivisibile in quanto, da un punto di  vista  letterale,
logico e giuridico, il consenso dovrebbe essere espresso a  valle  di
una   libera   autodeterminazione   volitiva,   inconciliabile    con
l'adempimento di un obbligo previsto dalla legge. 
    Da cio'  deriverebbe,  dunque,  l'intrinseca  irrazionalita'  del
dettato normativo, in quanto sarebbe richiesta la  sottoscrizione  di
tale manifestazione di volonta' all'atto della sottoposizione ad  una
vaccinazione indispensabile ai fini dell'esplicazione di  un  diritto
costituzionalmente tutelato quale il diritto al lavoro. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   chiedendo   dichiararsi   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale inammissibili e, nel merito, non fondate. 
    2.1.- In via preliminare vengono sollevate diverse  eccezioni  di
inammissibilita' con riferimento al primo gruppo di questioni. 
    2.1.1.- Viene, innanzitutto, eccepita  l'erronea  identificazione
delle disposizioni denunciate. E cio' in quanto l'art. 4 e' censurato
limitatamente ai suoi commi 1 e 2, espressamente nella parte  in  cui
prevede, da un lato, l'obbligo vaccinale per il  personale  sanitario
«e, dall'altro  lato,  per  effetto  dell'inadempimento  dell'obbligo
vaccinale,   la   sospensione   dell'esercizio   delle    professioni
sanitarie». 
    La  difesa  dello  Stato  sostiene  pero'  che   la   sospensione
dall'esercizio delle professioni  sanitarie  sarebbe  prevista  quale
conseguenza    determinata    dall'accertamento    dell'inadempimento
dell'obbligo  vaccinale  al  comma  4,  disposizione  non  altrimenti
denunciata nell'ordinanza di rimessione. 
    2.1.2.- Le questioni sarebbero inammissibili  anche  per  difetto
assoluto di motivazione con riferimento agli artt.  3,  4,  33  e  34
Cost. 
    La   motivazione   riferita    alle    richiamate    disposizioni
costituzionali si sostanzierebbe in una mera enunciazione dei diritti
che  queste  riconoscono,  supportata  da  un  semplice  rimando  per
relationem a «tutte  le  motivazioni  sopra  articolate»,  le  quali,
tuttavia, sono illustrate con esclusivo riferimento alla verifica  di
conformita' della previsione dell'obbligo vaccinale  per  i  sanitari
rispetto al solo art. 32 Cost. 
    2.1.3.- Ulteriori profili di inammissibilita'  deriverebbero  dal
fatto che il  giudice  rimettente  avrebbe  «erroneamente  elevato  a
condizione di compatibilita' costituzionale  della  legge  impositiva
dell'obbligo vaccinale elementi operanti su altro piano di  rilevanza
giuridica». 
    Il giudice a quo, nell'evocare la sentenza n. 307  del  1990  per
valorizzare il richiamo alle «cautele o condotte secondo le modalita'
che lo stato delle conoscenze scientifiche e  l'arte  prescrivono  in
relazione alla sua natura», trascurerebbe di considerare  che  questa
Corte tratta di circostanze  con  specifico  riferimento  alla  sfera
risarcitoria, e cioe' alla verifica dei presupposti  per  il  rimedio
risarcitorio, e  non  gia'  reputandole  condizione  di  legittimita'
costituzionale di una legge impositiva dell'obbligo vaccinale. 
    2.1.4.-  Infine,  viene  eccepito  che  il   rimettente   avrebbe
affermato  l'insussistenza   della   condizione   di   compatibilita'
costituzionale «relativa alla non eccedenza la normale tollerabilita'
degli effetti avversi» della vaccinazione tramite l'espressione di un
«giudizio di rilevanza (e prognosi)  del  numero  e  della  tipologia
degli eventi avversi al vaccino sindacando  elementi  di  valutazione
regolati  nel  sistema  da  disposizioni  generali   non   altrimenti
impugnati». 
    Sotto  tale  profilo,  il  giudice  a  quo  avrebbe   omesso   di
considerare come il sistema generale della farmacovigilanza e  quello
specifico sulle vaccinazioni siano regolati non dal censurato art.  4
del d.l.  n.  44  del  2021,  come  convertito,  ma  da  disposizioni
generali, non sottoposte al giudizio di legittimita'  costituzionale,
e da fonti di normazione secondaria. 
    2.2.- Quanto al merito, l'Avvocatura generale dello Stato  -  con
riferimento al primo gruppo di questioni - ricorda che  questa  Corte
ha fissato con chiarezza le condizioni in  presenza  delle  quali  la
legge impositiva di un trattamento sanitario puo' ritenersi  conforme
al parametro costituzionale di  cui  all'art.  32  Cost.,  richiamate
anche dal giudice rimettente. 
    La difesa dello Stato - premesso il mero richiamo alla condizione
legata  alla   previsione   dell'indennizzo,   stante   la   pacifica
riconducibilita' della vaccinazione per la prevenzione dell'infezione
da SARS-CoV-2 obbligatoria per gli esercenti le professioni sanitarie
all'art. 1 della legge  n.  210  del  1992  -  svolge  una  serie  di
argomentazioni tese a comprovare  che  il  trattamento  vaccinale  e'
diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato  di  salute  di
chi vi e' assoggettato, ma anche a  preservare  lo  stato  di  salute
degli altri (condizione sulla quale lo stesso rimettente concorda). 
    2.2.1.- Si sofferma,  dunque,  sulla  circostanza  che  l'obbligo
vaccinale «non incid[e] negativamente sullo stato di salute di  colui
che vi e' assoggettato, salvo che per quelle  sole  conseguenze  che,
per la loro temporaneita' e scarsa entita', appaiano normali di  ogni
intervento  sanitario   e,   pertanto,   tollerabili»,   oggetto   di
contestazione da parte del rimettente sotto diversi  profili:  numero
di eventi avversi, inadeguatezza  della  farmacovigilanza  passiva  e
attiva,  inadeguatezza  del  triage  pre-vaccinale  per  il   mancato
coinvolgimento  dei  medici  di  famiglia,  assenza  di  approfonditi
accertamenti (esami di laboratorio o accertamenti diagnostici)  e  di
test di positivita'/negativita' all'infezione da SARS-CoV-2. 
    In risposta  alle  specifiche  argomentazioni  -  sempre  con  il
necessario  conforto  dei  dati  tecnico-scientifici  offerti   dalle
autorita' ed organismi competenti  (con  relativa  allegazione  della
documentazione dell'AIFA, dell'ISS e del Ministero  della  salute)  -
l'Avvocatura generale dello Stato sostiene che il sistema  assicurava
(e assicura) il  rispetto  del  parametro  costituzionale  della  non
eccedenza   la   normale    tollerabilita'    dell'evento    avverso,
correttamente inteso. 
    Per giungere a tale  conclusione  ricostruisce  la  procedura  di
autorizzazione dei vaccini e sostiene il carattere «non sperimentale»
del vaccino per la prevenzione dell'infezione da  SARS-CoV-2;  espone
le modalita'  di  realizzazione  dell'attivita'  di  farmacovigilanza
attiva e  passiva,  affermando  l'attendibilita'  dei  dati  raccolti
sull'incidenza  di  eventi  avversi  conseguenti  alla  vaccinazione;
sostiene  l'irrilevanza  -  ai  fini  della  verifica  del   rispetto
dell'art.  32  Cost.  e  comunque  di   qualsiasi   altro   parametro
costituzionale - del mancato coinvolgimento dei  medici  di  famiglia
nel triage pre-vaccinale, nonche' della mancanza nella fase di triage
di approfonditi accertamenti e  di  test  di  positivita'/negativita'
all'infezione da SARS-CoV-2. 
    2.2.2.-  In  chiusura  della  trattazione  del  primo  gruppo  di
questioni, la difesa dello Stato, tirando le fila di quanto  esposto,
affronta le argomentazioni svolte dal giudice rimettente. 
    Innanzitutto sostiene che vi sarebbe la prova del  vantaggio  per
la   salute   dei   singoli   e   della   collettivita',    ribadendo
l'attendibilita' dei dati scientifici utilizzati a tal fine. 
    In secondo  luogo,  in  ordine  alla  non  eccedenza  la  normale
tollerabilita' delle conseguenze avverse sullo stato di salute di chi
vi e'  assoggettato,  sostiene  che  tale  condizione  sarebbe  stata
erroneamente applicata dal rimettente. E cio'  in  quanto  -  secondo
quanto attestato dalle autorita' e dagli organismi competenti  -  non
sarebbero state identificate reazioni avverse o rischi specifici tali
da inficiare significativamente per gravita' o frequenza  i  benefici
della vaccinazione. Come riportato nel contributo offerto  dall'AIFA,
il numero complessivo di eventi avversi  post-vaccinazione  segnalati
ai sistemi di farmacovigilanza nazionali (come la Rete  nazionale  di
farmacovigilanza in Italia) o sovranazionali (come EudraVigilance  in
Europa) non potrebbe essere  considerato  un  indicatore  dei  rischi
connessi  alla  specifica  vaccinazione:   un   elevato   numero   di
segnalazioni di eventi avversi a seguito dell'inoculazione di vaccini
per  la  prevenzione  dell'infezione  da   SARS-CoV-2   non   sarebbe
indicativo di maggiori rischi ad essi correlati, quanto piuttosto  di
una maggiore attenzione da parte di operatori  sanitari  e  cittadini
alla sicurezza di questi vaccini e di un  maggior  funzionamento  dei
sistemi di farmacovigilanza passiva. 
    La difesa dello Stato valorizza il fatto  che  le  condizioni  di
efficacia, di sicurezza e di qualita'  del  farmaco  sarebbero  state
comunque vagliate dall'AIFA (gia' il nono  Rapporto  dell'AIFA  sulla
sorveglianza  dei  vaccini  per  la  prevenzione  dell'infezione   da
SARS-CoV-2    illustrava    chiaramente     l'affidabilita'     delle
autorizzazioni concesse) e la permanenza stessa delle  condizioni  di
sicurezza  del  farmaco  sarebbe  assicurata  dalla  stessa   Agenzia
nell'esercizio dell'attivita' di  farmacovigilanza  che  ex  lege  le
compete. 
    Infine, sostiene la non veridicita' dell'affermazione del giudice
a  quo  relativa  all'aumento  dei  casi  avversi.  Sul  punto  viene
segnalato che, anche in base ai dati rinvenibili nell'ultimo Rapporto
dell'AIFA  sulla  sorveglianza  dei  vaccini   per   la   prevenzione
dell'infezione   da   SARS-CoV-2,   l'andamento   nel   tempo   delle
segnalazioni  rispetto  al  numero   di   dosi   somministrate,   con
riferimento al primo trimestre 2022,  sarebbe  stabile  per  tutti  i
vaccini, dunque sovrapponibile  a  quello  riportato  nei  precedenti
rapporti  e  proporzionale  alle  somministrazioni  effettuate,  come
evidenziato  in  modo  particolare  dal  trend   osservato   per   le
somministrazioni e le segnalazioni di sospetta  reazione  avversa  al
booster vaccinale, sebbene su scale con  ordini  di  grandezza  assai
diversi. 
    In chiusura,  segnala  la  mancata  ponderazione,  da  parte  del
rimettente, del fatto che la disposizione censurata ha introdotto  un
obbligo vaccinale settoriale e non  generalizzato,  che  sarebbe  del
tutto coerente  con  la  tutela  della  salute  dei  pazienti  e  con
l'affidamento che gli stessi ripongono nella  somministrazione  delle
cure in condizioni di massima sicurezza. La prospettiva del  Collegio
rimettente, dunque, non considererebbe  la  peculiare  posizione  dei
sanitari e la specifica ratio dell'obbligo  vaccinale  loro  imposto,
mentre  proprio  quest'ultima  farebbe  comprendere   il   punto   di
equilibrio che il legislatore ha individuato nel bilanciamento tra la
liberta' di autodeterminazione del singolo e le esigenze di interesse
pubblico, e tra queste, in primis, quelle concernenti la  tenuta  dei
presidi ospedalieri e la  garanzia,  per  chi  necessita  di  cura  e
assistenza, di poterle ricevere in condizioni di massima sicurezza  e
di minor rischio di contagio possibile. 
    2.3.- Con riferimento al secondo  gruppo  di  questioni,  infine,
l'Avvocatura  generale  dello  Stato   ne   sostiene   l'irrilevanza,
l'inammissibilita' e la manifesta infondatezza. 
    2.3.1.- Le questioni vengono reputate, innanzitutto, irrilevanti,
perche'   si   baserebbero   su   un'interpretazione   errata   delle
disposizioni censurate. Ci si troverebbe, infatti, di  fronte  non  a
un'ipotesi di consenso informato ex art. 1 della  legge  n.  219  del
2017, ma  a  una  mera  informativa,  come  segnalato  dall'organismo
incaricato dell'istruttoria nel giudizio a quo. 
    Tale  considerazione  condurrebbe  altresi'  all'inammissibilita'
della questione per aberratio ictus. 
    2.3.2.-  Le   questioni   sarebbero,   comunque,   manifestamente
infondate. 
    E cio' in quanto si potrebbe parlare  di  consenso  solo  laddove
esso fosse esercitabile, con la conseguente possibilita' di rifiutare
il trattamento sanitario, circostanza esclusa ex lege  nelle  ipotesi
di vaccinazione obbligatoria. Questa considerazione,  dunque  avrebbe
dovuto far comprendere al Collegio  rimettente  che  la  disposizione
censurata,  per  evidenti  ragioni  logiche,  non  puo'  che   essere
interpretata nel senso che essa  gia'  determina  l'esclusione  dalla
sottoscrizione del consenso informato nelle  ipotesi  di  trattamenti
sanitari obbligatori. 
    2.4.- In data 9 novembre 2022, il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha depositato memoria nella quale si da' atto della  recente
evoluzione  normativa,  relativa  all'art.  7  del  decreto-legge  31
ottobre 2022, n.  162  (Misure  urgenti  in  materia  di  divieto  di
concessione dei benefici penitenziari nei confronti  dei  detenuti  o
internati che non collaborano con la giustizia, nonche' in materia di
entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di
obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto
dei raduni illegali), convertito, con modificazioni, nella  legge  30
dicembre 2022,  n.  199,  che  ha  apportato  alcune  modifiche  alla
disposizione censurata, anticipando al 1° novembre  2022  il  termine
finale di scadenza  dell'obbligo  vaccinale  (comma  1),  il  termine
finale  di   efficacia   della   sospensione   dall'esercizio   delle
professioni sanitarie per il  caso  di  accertato  suo  inadempimento
(comma 5) e il termine finale di requisito  ai  fini  dell'iscrizione
all'albo degli ordini professionali del suo  adempimento  (comma  6),
termini tutti sino ad allora (nell'ultima versione  dell'art.  4  del
d.l. n. 44 del 2021, come convertito) fissati al 31 dicembre 2022. 
    Viene sostenuto che la norma sopravvenuta si  porrebbe  in  piena
continuita'   e   coerenza   con   la   pregressa   normativa.   Essa
rappresenterebbe, infatti, un adeguamento dell'originaria  previsione
alla valutazione attuale della situazione pandemica, la quale avrebbe
reso congruente e ragionevole anticipare la  cessazione  dell'obbligo
vaccinale e delle  conseguenze  del  suo  inadempimento  rispetto  al
termine  precedentemente   individuato,   in   considerazione   della
diminuzione dell'incidenza dei casi di contagio da SARS-CoV-2 e della
stabilizzazione della trasmissibilita'. 
    Ulteriori   osservazioni   sulle   questioni   di    legittimita'
costituzionale in esame  riguardano,  in  particolare,  gli  sviluppi
relativi alle autorizzazioni all'immissione in  commercio  di  alcuni
vaccini. Si segnala infatti  che,  in  data  16  settembre  2022,  il
Comitato per i medicinali ad uso umano  (CHMP)  dell'Agenzia  europea
per  i  medicinali   (EMA)   ha   raccomandato   di   convertire   le
autorizzazioni all'immissione in commercio subordinate  a  condizioni
dei vaccini per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 Comirnaty
(vaccino di BioNTech/Pfizer)  e  Spikevax  (vaccino  di  Moderna)  in
autorizzazioni all'immissione in commercio standard, che non dovranno
piu' essere  rinnovate  annualmente.  Precisamente,  il  Comitato  ha
ritenuto che il  corpus  di  letteratura  scientifica  prodotto  dopo
l'autorizzazione,  inclusi  sperimentazioni   e   studi   aggiuntivi,
compresi gli studi osservazionali, ha fornito  dati  rassicuranti  su
aspetti chiave come la capacita' dei vaccini di  prevenire  la  forma
severa dell'infezione da SARS-CoV-2. La  raccomandazione  riguarda  i
vaccini Comirnaty e Spikevax gia' autorizzati e le relative  versioni
adattate,  presenti  e   future,   compresi   i   vaccini   Comirnaty
Original/Omicron BA.1, Comirnaty Original/Omicron BA.4/5  e  Spikevax
bivalent Original/Omicron BA.1. 
    3.- Con atto depositato il 17 maggio 2022, si  e'  costituito  G.
G., appellante  nel  giudizio  principale,  chiedendo  di  dichiarare
costituzionalmente illegittime le disposizioni censurate. 
    3.1.- Egli parte dal  carattere  di  novita'  proprio  del  virus
SARS-CoV-2, evidenziando che l'intrinseca diversita' del fenomeno sul
piano  medico-sanitario  impedirebbe,  in  radice,  di  attingere   a
decisioni di questa Corte su precedenti fenomeni e campagne vaccinali
per rinvenire un valido criterio orientativo delle scelte da compiere
e valutativo di quelle gia' compiute. 
    Premessa la assoluta novita' del virus in esame e  della  tecnica
vaccinale  cosiddetta  a  mRNA,  mai  utilizzata  prima   sul   piano
vaccinale, sostiene il carattere «sperimentale» del trattamento e  la
conseguente sua esclusione dall'alveo dell'art. 32 Cost.,  in  quanto
quest'ultimo  si  riferirebbe  unicamente  ai  trattamenti   sanitari
accreditati. 
    4.- In data 9 novembre 2022 la parte ha depositato  una  «memoria
illustrativa  su  taluni  profili  di  carattere  scientifico»   (con
allegata documentazione), nella  quale,  in  sostanza,  ribadisce  di
ritenere sussistente  la  violazione  dell'art.  32  Cost.  sotto  il
profilo     dell'ingiustificata     compressione     del      diritto
all'autodeterminazione terapeutica in assenza  di  beneficio  per  la
collettivita', sulla base delle seguenti considerazioni:  inidoneita'
dei farmaci genici ad  evitare  le  ospedalizzazioni  ed  i  decessi;
efficacia delle cure domiciliari;  non  bilanciabilita'  del  diritto
alla salute allo stato attuale delle conoscenze scientifiche. 
    5.-  Nel  presente  giudizio  sono  state   presentate   numerose
opiniones (Droit uniforme ASBL, Associazione ContiamoCI e  Fondazione
Centro studi allineare sanita' e salute, Comitato per il diritto alla
cura domiciliare nell'epidemia di COVID-19, Associazione  umanita'  e
ragione, Noi avvocati per la liberta_NAL,  Dr.  S.  S.  (  Presidente
commissione albo  degli  odontoiatri  di  La  Spezia,  Corvelva  APS,
Coordinamento nazionale danneggiati  da  vaccino  (  ONDAV,  Comitato
radicale scienza e' coscienza, Confederazione legale  per  i  diritti
dell'uomo,    Associazione    CoScienze    critiche,     Associazione
coordinamento del movimento italiano per la liberta' di  vaccinazione
( COMILVA ODV, Associazione libera scelta Campania,  Comitato  immuni
per sempre, Avvocati liberi e Organizzazione mondiale per la  vita  (
OMV) ai sensi dell'art. 6  delle  Norme  integrative  per  i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale, nonche' depositati  numerosi  atti
di intervento. 
    Alcuni di questi ultimi sono stati presentati  con  l'indicazione
in epigrafe di "intervento/opinione",  accompagnati  dalla  richiesta
che venga esaminata la possibilita' di considerare  il  proprio  atto
alla stregua di opinio, formulando un'istanza  del  seguente  tenore:
«in  via  subordinata,  tenersi   in   considerazione,   per   quanto
ritualmente possibile,  la  presente  manifestazione  della  opinione
giuridica di un comune e concorde consesso di Amici Curiae  aderenti,
anche in quanto comunque rappresentativa del comune sentire di quanti
hanno rifiutato il trattamento». 
    5.1.- Tutti gli interventi e le opinioni presentano un  contenuto
omogeneo. 
    Alcuni sono presentati da  esercenti  professioni  sanitarie  non
vaccinati, destinatari della sospensione ex art. 4 del d.l. n. 44 del
2021,  come   convertito.   Altri,   invece,   sono   presentati   da
ultracinquantenni (e, in alcuni casi, prossimi al compimento  dei  50
anni), destinatari dell'obbligo vaccinale ex art. 1 del decreto-legge
7 gennaio 2022, n. 1 (Misure  urgenti  per  fronteggiare  l'emergenza
COVID-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole  e  negli
istituti della formazione superiore), convertito, con  modificazioni,
nella legge 4 marzo 2022, n. 18. 
    Sotto il profilo della legittimazione,  tutti  gli  intervenienti
assumono di rivestire la «medesima condizione di diritto  sostanziale
dell'impugnante incidentale di cui  all'ordinanza»  di  rimessione  o
«posizioni giuridiche sostanziali individuali  identiche  o  comunque
direttamente connesse per strettissima dipendenza rispetto alla parte
privata  principale  e  quindi  accomunate  dal  concreto  esito  del
presente giudizio, stante il carattere  trasversale  della  questione
incidentale sollevata su uno dei generali e  preliminari  presupposti
di ammissibilita' costituzionale dello stesso an dell'imposizione  di
un qualsiasi obbligo vaccinale». 
    Quanto al  merito  della  questione  in  esame,  viene  sostenuta
l'illegittimita'   costituzionale    dell'imposizione    dell'obbligo
vaccinale, contestando, in sintesi, la sicurezza  e  l'efficacia  dei
vaccini per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2  oggetto  del
predetto   obbligo,   nonche'   la   criticita'   del   sistema    di
farmacovigilanza      passiva,      oltreche'      l'irragionevolezza
dell'imposizione  dell'obbligo  vaccinale  alle  persone  dotate   di
immunita' naturale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione
Siciliana, con ordinanza del 22 marzo 2022, iscritta  al  n.  38  del
registro ordinanze  2022,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3,  4,  32,  33,  34  e  97
Cost., dell'art. 4, commi 1 e 2,  del  d.l.  n.  44  del  2021,  come
convertito, nella  parte  in  cui  prevede,  da  un  lato,  l'obbligo
vaccinale per la prevenzione  dell'infezione  da  SARS-CoV-2  per  il
personale    sanitario    e,    dall'altro    lato,    per    effetto
dell'inadempimento dello stesso, la sospensione dall'esercizio  delle
professioni sanitarie. 
    Ha sollevato altresi' questioni di  legittimita'  costituzionale,
in riferimento agli artt. 3 e 21 Cost., dell'art. 1  della  legge  n.
219 del 2017, e dell'art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito,
nella parte in cui  tali  disposizioni  non  escludono  espressamente
l'onere  di  sottoscrizione  del   consenso   informato   nei   casi,
rispettivamente,   di   trattamenti   sanitari   obbligatori   e   di
vaccinazione obbligatoria. 
    2.-  Va  preliminarmente  confermata   l'inammissibilita'   degli
interventi ad adiuvandum  spiegati  nel  presente  giudizio,  per  le
ragioni indicate nell'ordinanza letta  all'udienza  del  30  novembre
2022, allegata alla presente sentenza. 
    Ne'  e'  ipotizzabile  una  sorta  di  conversione  dell'atto  di
intervento inammissibile in una manifestazione dell'opinio di  amicus
curiae, come richiesto da alcuni  intervenienti,  sia  pure  «in  via
subordinata». Le significative differenze tra i due istituti,  quanto
a  presupposti  e  modalita'  processuali,  non  ne   consentono   la
compresenza nello stesso atto, in via alternativa o subordinata. 
    3.- Nell'esporre il primo gruppo  di  questioni  di  legittimita'
costituzionale,  che  hanno  ad  oggetto  l'imposizione  dell'obbligo
vaccinale per la prevenzione  dell'infezione  da  SARS-CoV-2  per  il
personale sanitario,  con  la  correlata  sospensione  dall'esercizio
delle professioni sanitarie nell'ipotesi di inadempimento a esso,  il
giudice a quo muove dalla giurisprudenza di questa Corte  in  materia
di vaccinazioni obbligatorie, rilevando come, in riferimento all'art.
32 Cost., un trattamento sanitario obbligatorio,  disposto  ex  lege,
sia ammissibile alle seguenti condizioni: a)  se  il  trattamento  e'
diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato  di  salute  di
chi vi e' assoggettato, ma anche a  preservare  lo  stato  di  salute
degli altri; b) se si prevede che esso non incida negativamente sullo
stato di salute di colui che e' obbligato, salvo che per quelle  sole
conseguenze «che appaiano normali e, pertanto, tollerabili»;  c)  se,
nell'ipotesi  di  danno   ulteriore,   sia   prevista   comunque   la
corresponsione di una equa indennita' in favore  del  danneggiato,  e
cio' a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (tra le altre,
sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990). 
    Il giudice rimettente si  dichiara  consapevole  di  confrontarsi
«con i  principi  affermati  dalla  Corte,  in  riferimento  [...]  a
situazioni per cosi'  dire  ordinarie,  non  ravvisandosi  precedenti
riferiti a situazioni emergenziali ingenerate da una grave pandemia».
Conviene, in punto di fatto e alla luce degli esiti  dell'istruttoria
disposta  nel  giudizio  principale,  in  contrapposizione   con   le
doglianze dell'appellante,  che  non  possono  essere  contestate  la
metodologia di conteggio dei decessi e il  correlato  dato  ufficiale
relativo  alla  mortalita',  nonche'  la  gravita'  della   patologia
SARS-CoV-2; condivide le  risultanze  istruttorie  sulla  natura  non
sperimentale  dei  vaccini  per  la  prevenzione  dell'infezione   da
SARS-CoV-2, oggetto per contro di  autorizzazione  all'immissione  in
commercio condizionata. 
    3.1.- Passando al merito delle censure, il  giudice  a  quo,  pur
riconoscendo la sussistenza delle condizioni sub a)  e  c)  elaborate
dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, ravvisa  insuperabili
elementi di criticita' con riferimento alla  residua  condizione  sub
b), concernente il profilo delle conseguenze, sullo stato  di  salute
di  colui  che  e'  obbligato,  oltre   la   normale   tollerabilita'
(cosiddetti eventi avversi). 
    Partendo  dalla  considerazione  che,  dai  dati  piu'   recenti,
risulterebbe che il numero  di  eventi  avversi  da  vaccini  per  la
prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 sia  superiore  alla  «media
[...] degli  eventi  avversi  gia'  registrati  per  le  vaccinazioni
obbligatorie in uso da anni», e, per  di  piu',  «lo  e'  di  diversi
ordini  di  grandezza»,  il   rimettente   ritiene   necessaria   una
«rivisitazione degli orientamenti giurisprudenziali fin qui  espressi
sulla base  di  dati  ormai  superati»,  nel  senso  che  il  vaccino
inciderebbe negativamente sullo stato  di  salute  di  colui  che  e'
obbligato  a  vaccinarsi,  oltre  quelle  conseguenze  «che  appaiano
normali e, pertanto, tollerabili». 
    Il Consiglio di  giustizia  amministrativa  esprime  al  riguardo
dubbi «circa l'adeguatezza del sistema di monitoraggio fin qui  posto
in essere», limitato, allo stato, alla sola farmacovigilanza passiva,
e lamenta una  sottostima  (e  comunque  un'incertezza  sull'entita')
degli   eventi   avversi   da   vaccinazione   per   la   prevenzione
dell'infezione da SARS-CoV-2. Sostiene poi, come meglio si dira', che
dalla giurisprudenza costituzionale emergerebbe un  orientamento  che
esclude  «la  legittimita'  dell'imposizione  di  obbligo   vaccinale
mediante preparati i cui effetti sullo stato di salute dei  vaccinati
superino la soglia della normale  tollerabilita',  il  che  non  pare
lasciare spazio all'ammissione di eventi avversi gravi e fatali». 
    3.2.- Il Collegio rimettente, infine, lamenta l'inadeguatezza del
triage pre-vaccinale. 
    Per giungere a tale conclusione il giudice a quo - pur  dicendosi
consapevole della insostenibilita' logistica e  finanziaria,  in  una
situazione di vaccinazione di massa, di uno  screening  anch'esso  di
massa  -  valorizza  fondamentalmente  tre  aspetti:  1)  il  mancato
coinvolgimento  del   medico   di   base   -   che   normalmente   ha
un'approfondita  conoscenza  dei  propri  assistiti  -   nel   triage
pre-vaccinale, che viene demandato al personale sanitario che  esegue
la vaccinazione; questo, a sua volta, deve affidarsi  alle  capacita'
(inevitabilmente variabili) del soggetto avviato alla vaccinazione di
rappresentare (nella ristretta tempistica a cio' destinata)  fatti  e
circostanze rilevanti circa le proprie condizioni generali di salute;
2) la mancata previsione della presentazione di esami di laboratorio,
quali accertamenti diagnostici da eseguire prima della  vaccinazione,
o test, inclusi quelli di carattere genetico,  al  fine  di  esentare
dalla vaccinazione o  sottoporre  preventivamente  a  idonea  terapia
farmacologica soggetti che evidenzino specifici profili  di  rischio;
3)  la  mancata  previsione  dell'esecuzione  di  un  test   per   la
rilevazione di SARS-CoV-2, idoneo a  evidenziare  una  condizione  di
infezione in atto, che - secondo il rimettente -  sconsiglierebbe  la
somministrazione del vaccino, avuto riguardo al rischio  di  reazione
anomala del sistema immunitario. 
    4.- Tanto premesso, e' preliminarmente  necessario  esaminare  le
eccezioni di inammissibilita', tutte  relative  al  primo  gruppo  di
questioni, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri. 
    4.1.- L'eccezione di aberratio ictus non e' fondata. 
    L'Avvocatura generale dello  Stato  sostiene,  innanzitutto,  che
siano state erroneamente identificate le disposizioni denunciate  nel
sollevare le questioni. E cio' in quanto l'art. 4 del d.l. n. 44  del
2021, come convertito, e' censurato limitatamente ai  commi  1  e  2,
nella parte in cui - secondo quanto asserito dal Collegio  rimettente
- prevede, da un lato, l'obbligo vaccinale per il personale sanitario
«e, dall'altro  lato,  per  effetto  dell'inadempimento  dell'obbligo
vaccinale,   la   sospensione   dell'esercizio   delle    professioni
sanitarie».  In   realta'   la   sospensione   dall'esercizio   delle
professioni   sanitarie   sarebbe    prevista    quale    conseguenza
dell'inadempimento dell'obbligo  vaccinale  dal  successivo  comma  4
(recte, nella versione censurata dal rimettente e applicabile ratione
temporis: comma 6,  identificabile  come  comma  4  nella  successiva
versione derivante dalle modifiche apportate all'art. 4 dal  d.l.  n.
172  del  2021,  come  convertito),   disposizione   non   altrimenti
denunciata nell'ordinanza di rimessione. 
    La tesi non puo' essere condivisa, in quanto il vulnus  lamentato
dal giudice rimettente - identificato, per come si evince chiaramente
dall'apparato motivazionale e dalla prospettazione della questione di
legittimita' costituzionale, nell'imposizione dell'obbligo  vaccinale
- deriva direttamente dalle disposizioni censurate. Infatti, il comma
1 prevede  espressamente  che  la  vaccinazione  per  la  prevenzione
dell'infezione da SARS-CoV-2 costituisce  «requisito  essenziale  per
l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle  prestazioni
lavorative rese dai  soggetti  obbligati».  I  commi  successivi  del
censurato art. 4 si limitano a disciplinare le modalita' operative di
accertamento dell'inadempimento, disponendo, infine, che  l'«adozione
dell'atto di accertamento  da  parte  dell'azienda  sanitaria  locale
determina la  sospensione  dal  diritto  di  svolgere  prestazioni  o
mansioni che  implicano  contatti  interpersonali  o  comportano,  in
qualsiasi altra forma, il  rischio  di  diffusione  del  contagio  da
SARS-CoV-2» (comma 6) e le conseguenze operative a specificare  quale
sia la conseguenza, e cioe' la sospensione, e  non,  ad  esempio,  la
cessazione del rapporto lavorativo. 
    L'eccezione deve essere pertanto rigettata. 
    4.2.- Va  invece  accolta  l'eccezione  di  inammissibilita'  per
difetto assoluto di motivazione con riferimento ai parametri  di  cui
agli artt. 3, 4, 33 e 34 Cost. 
    E anzi, tale vizio e'  ravvisabile  con  riferimento  a  tutti  i
parametri diversi dall'art. 32 Cost. 
    Invero, essi vengono  evocati  esclusivamente  al  punto  19.b.6)
dell'ordinanza di rimessione, ove il CGARS  si  limita,  pero',  alla
mera enunciazione degli articoli con l'esplicitazione dei diritti che
questi  riconoscono,  rimandando  a  tutte  le   motivazioni   «sopra
articolate». Queste ultime sono quelle illustrate al precedente punto
18 della medesima  ordinanza,  le  quali,  tuttavia,  si  concentrano
esclusivamente sulla  verifica  della  conformita'  della  previsione
dell'obbligo vaccinale per il gli esercenti le professioni  sanitarie
e gli operatori di interesse sanitario di cui all'art.  1,  comma  2,
della legge 1° febbraio 2006,  n.  43  (Disposizioni  in  materia  di
professioni  sanitarie  infermieristiche,  ostetrica,  riabilitative,
tecnico-sanitarie  e  della  prevenzione  e  delega  al  Governo  per
l'istituzione dei relativi ordini professionali), rispetto al  (solo)
art. 32 Cost. e sulla base della giurisprudenza costituzionale a esso
riferita. 
    Deve quindi dichiararsi la manifesta inammissibilita' per difetto
di motivazione delle censure con  riferimento  ai  parametri  diversi
dall'art. 32 Cost. 
    4.3.- Altri profili di inammissibilita' eccepiti  dall'Avvocatura
generale dello Stato impingono il merito delle questioni sollevate  e
vanno pertanto esaminati in quella sede. 
    La difesa erariale eccepisce, in primo luogo, che il rimettente -
nel valorizzare il passo della sentenza di questa Corte  n.  307  del
1990 in cui si fa riferimento alle «cautele  o  condotte  secondo  le
modalita'  che  lo  stato  delle  conoscenze  scientifiche  e  l'arte
prescrivono in relazione alla sua  natura»  -  avrebbe  «erroneamente
elevato a condizione di  compatibilita'  costituzionale  della  legge
impositiva dell'obbligo vaccinale elementi operanti su altro piano di
rilevanza giuridica», ovverosia la verifica dei  presupposti  per  il
rimedio risarcitorio. Ma tali considerazioni non attengono a  profili
di ammissibilita'. 
    Ad  analoghe  conclusioni  si  deve  giungere   con   riferimento
all'eccezione per omessa  censura  delle  disposizioni  generali  che
disciplinano il sistema della  farmacovigilanza  e  quello  specifico
sulle vaccinazioni. 
    Invero, i dubbi e le criticita' sostenute dal giudice rimettente,
in ordine al sistema della farmacovigilanza e al sistema di  raccolta
dei dati relativi alle conseguenze delle vaccinazioni,  rappresentano
una mera  argomentazione  posta  a  supporto  delle  censure,  mentre
oggetto  del  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  e'  solo   la
previsione dell'obbligo  vaccinale  (e  della  correlata  sospensione
dall'esercizio  della  professione).  La  disposizione  censurata  e'
quella che impone  l'obbligo  vaccinale  ed  e'  stata  correttamente
individuata. 
    4.4.-  Ne'  sussistono  dubbi  sulla  giurisdizione  del  giudice
amministrativo,  in  quanto  nel  giudizio  a  quo  e'  impugnato  il
provvedimento del Rettore e del Direttore  generale  dell'universita'
con il quale si  subordinava  alla  somministrazione  vaccinale  anti
COVID-19 la prosecuzione dei tirocini  di  area  medico-sanitaria  in
presenza all'interno delle strutture sanitarie. 
    5.-  Nel  merito,  per  la  trattazione  della  prima   questione
sollevata in riferimento all'art. 32  Cost.,  occorre  partire  dalla
ricostruzione dei criteri, ricordati dallo stesso giudice rimettente,
alla luce dei quali questa Corte ha valutato  la  compatibilita'  con
l'art. 32 Cost. di una legge impositiva di un trattamento sanitario. 
    Essi, gia' elencati nella sentenza n. 258 del 1994, sono indicati
come segue: «a) "se il trattamento sia diretto non solo a  migliorare
o a preservare lo stato di salute di chi vi e' assoggettato, ma anche
a preservare lo stato di salute degli altri, giacche' e' proprio tale
ulteriore  scopo,  attinente  alla  salute   come   interesse   della
collettivita',   a   giustificare   la   compressione    di    quella
autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla
salute in quanto diritto fondamentale" (cfr. sentenza 1990  n.  307);
b) se vi sia "la previsione che esso non incida  negativamente  sullo
stato di salute di colui che vi e' assoggettato, salvo che per quelle
sole conseguenze, che, per la loro temporaneita'  e  scarsa  entita',
appaiano  normali  di  ogni   intervento   sanitario   e,   pertanto,
tollerabili" (ivi); c) se nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute
del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la
malattia contratta per contagio causato da vaccinazione  profilattica
- sia prevista comunque la corresponsione di una "equa indennita'" in
favore del danneggiato (cfr. sentenza 307 cit.  e  v.  ora  legge  n.
210/1992)». Da una lettura  complessiva  degli  indicati  criteri  si
evince che il rischio di  insorgenza  di  un  evento  avverso,  anche
grave,  non  rende  di  per  se'  costituzionalmente  illegittima  la
previsione di un obbligo vaccinale, costituendo  una  tale  evenienza
titolo per l'indennizzabilita'. 
    Questa Corte ha affermato  con  chiarezza  che  l'art.  32  Cost.
postula il necessario contemperamento del  diritto  alla  salute  del
singolo (anche nel suo contenuto negativo di non assoggettabilita'  a
trattamenti  sanitari  non  richiesti  o  non   accettati)   con   il
coesistente diritto  degli  altri  e  quindi  con  l'interesse  della
collettivita' (sentenze n. 5 del 2018, n. 258 del 1994 e n.  307  del
1990). 
    Come efficacemente espresso nella sentenza n. 218  del  1994,  la
tutela della salute implica anche il «dovere  dell'individuo  di  non
ledere ne' porre a rischio con il  proprio  comportamento  la  salute
altrui, in osservanza del principio generale che vede il  diritto  di
ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale
protezione  del  coesistente  diritto  degli  altri.  Le  simmetriche
posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi
essenziali della comunita', che possono richiedere la  sottoposizione
della persona a trattamenti sanitari  obbligatori,  posti  in  essere
anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la  soggezione
di essa ad oneri particolari». 
    5.1.-  Nell'ambito  di  questo   contemperamento   tra   le   due
declinazioni, individuale e  collettiva,  del  diritto  alla  salute,
l'imposizione  di  un  trattamento   sanitario   obbligatorio   trova
giustificazione in quel principio di solidarieta' che rappresenta «la
base  della  convivenza  sociale   normativamente   prefigurata   dal
Costituente» (sentenza n. 75 del 1992). 
    E' costante, nella giurisprudenza costituzionale,  l'affermazione
della centralita' di tale principio, soprattutto in ambito sanitario,
in considerazione  del  «rilievo  costituzionale  della  salute  come
interesse della collettivita'» (sentenza n. 307 del 1990):  «in  nome
di esso, e quindi della solidarieta' verso gli altri, ciascuno p[uo']
essere obbligato,  restando  cosi'  legittimamente  limitata  la  sua
autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se  questo
importi un rischio specifico»  (ancora  sentenza  n.  307  del  1990,
richiamata anche dalla sentenza n. 107 del 2012). 
    5.2.- Sotto quest'ultimo profilo, questa Corte e' sempre  partita
dalla consapevolezza che esiste un rischio di  evento  avverso  anche
grave  con  riferimento  ai  vaccini  e,  ancor  prima,  a  tutti   i
trattamenti sanitari (sentenze n. 268 del 2017, n. 118 del 1996 e  n.
307 del 1990). E ha,  pertanto,  sostenuto  che,  fino  a  quando  lo
sviluppo della scienza e della tecnologia mediche non consentira'  la
totale eliminazione di tale  rischio,  la  decisione  di  imporre  un
determinato  trattamento   sanitario   attiene   alla   sfera   della
discrezionalita'  del  legislatore,  da  esercitare  in  maniera  non
irragionevole (sentenza n. 118 del 1996). 
    E' stato, infatti,  precisato  che,  «poiche'  tale  rischio  non
sempre e' evitabile, e' allora che la dimensione individuale e quella
collettiva entrano in conflitto» (sentenza n. 118 del  1996).  Ci  si
trova di fronte a un rischio, «preventivabile in astratto  -  perche'
statisticamente  rilevato  -  ancorche'   in   concreto   non   siano
prevedibili i soggetti che saranno colpiti  dall'evento  dannoso.  In
questa situazione, la legge che impone l'obbligo  della  vaccinazione
[...]  compie  deliberatamente  una   valutazione   degli   interessi
collettivi ed individuali in questione, al limite di quelle che  sono
state denominate "scelte tragiche" del diritto  [...]»  (sentenza  n.
118 del 1996). 
    Da tale consapevolezza nasce, del resto, l'affermazione, costante
da  parte  di  questa  Corte,  in  ordine  all'indefettibilita'   del
riconoscimento  dell'indennizzo  estesa  anche  in   relazione   alle
vaccinazioni raccomandate (tra le tante, sentenze n. 118 del  2020  e
n. 268 del 2017). 
    5.3.- Alla luce di quanto sin qui esposto, innanzitutto, non puo'
essere condiviso l'argomento svolto in  via  principale  dal  giudice
rimettente. 
    Questi, sul punto, rileva - come si e' accennato - quanto  segue:
«[v]ero e' che le reazioni gravi costituiscono una minima parte degli
eventi avversi complessivamente segnalati; ma il criterio posto dalla
Corte costituzionale in tema di  trattamento  sanitario  obbligatorio
non pare lasciare spazio ad una  valutazione  di  tipo  quantitativo,
escludendosi la legittimita' dell'imposizione  di  obbligo  vaccinale
mediante preparati i cui effetti sullo stato di salute dei  vaccinati
superino la soglia della normale  tollerabilita',  il  che  non  pare
lasciare spazio all'ammissione di  eventi  avversi  gravi  e  fatali,
purche' pochi in rapporto alla popolazione vaccinata,  criterio  che,
oltretutto, implicherebbe delicati profili etici (ad esempio,  a  chi
spetti individuare la percentuale di cittadini "sacrificabili"). Pare
quindi che, non potendosi, in generale, mai escludere la possibilita'
di reazioni avverse a qualunque tipologia di farmaco,  il  discrimen,
alla stregua dei criteri rinvenibili dalla richiamata  giurisprudenza
costituzionale, vada ravvisato nelle  ipotesi  del  caso  fortuito  e
imprevedibilita'  della  reazione  individuale.  Ma   nel   caso   in
questione,  l'esame  dei  dati  pubblicati  nel  sito  EudraVigilance
disaggregati per Stato segnalatore evidenzia  una  certa  omogeneita'
nella tipologia di  eventi  avversi  segnalati  dai  vari  Paesi  (in
disparte il maggiore o  minore  afflusso  di  dati,  evidenziato  dai
Consulenti  della  parte  appellante),  il  che  lascia  poco  spazio
all'opzione  caso  fortuito/reazione  imprevedibile»   (punto   18.4.
dell'ordinanza di rimessione). 
    Il passaggio argomentativo si  presta,  per  la  verita',  a  una
qualche incertezza interpretativa, dovuta al fatto che non emerge con
chiarezza se il  rimettente  deduca  l'illegittimita'  costituzionale
dell'imposizione   del   trattamento   sanitario    dalla    semplice
possibilita' della verificazione di  eventi  avversi  gravi  che,  in
quanto tali, sarebbero «non  tollerabili»,  oppure,  se,  consapevole
della difficolta' di «escludere la possibilita' di reazioni avverse a
qualunque tipologia di farmaco», reputi determinante che le  reazioni
avverse gravi siano riconducibili a ipotesi di  caso  fortuito  e  di
imprevedibilita' della reazione individuale, solo in tale ultimo caso
potendo essere «tollerabili». 
    A prescindere da tale incertezza, peraltro, va osservato  che  il
giudice  a  quo  sembra  non  considerare   che   la   giurisprudenza
costituzionale ha affermato con chiarezza (sulla base  dei  ricordati
criteri) che il rischio remoto di  eventi  avversi  anche  gravi  non
possa,  in  quanto  tale,  reputarsi  non  tollerabile,   costituendo
piuttosto - come si e' detto - titolo  per  l'indennizzo.  Non  puo',
pertanto, condividersi la lettura  che  il  Collegio  rimettente  da'
della giurisprudenza di  questa  Corte,  la  quale  ha,  per  contro,
affermato che devono ritenersi leciti i trattamenti sanitari,  e  tra
questi le vaccinazioni obbligatorie, che,  al  fine  di  tutelare  la
salute collettiva, possano  comportare  il  rischio  di  «conseguenze
indesiderate,  pregiudizievole  oltre  il  limite   del   normalmente
tollerabile» (sentenza n. 118 del 1996). 
    Ugualmente priva di  riscontro  nella  giurisprudenza  di  questa
Corte e' l'affermazione che sarebbero tollerabili le reazioni avverse
(unicamente) «nelle ipotesi  del  caso  fortuito  e  imprevedibilita'
della reazione individuale». Il rimettente, partendo da cio', esclude
la ricorrenza di tali ipotesi nelle vaccinazioni in esame, in nome di
«una certa omogeneita' nella tipologia di  eventi  avversi  segnalati
dai vari Paesi». Invero - al di la' della natura del tutto apodittica
di tale ultimo assunto, privo di dati posti a suo supporto  -  questa
Corte, nell'esaminare le leggi impositive di obblighi vaccinali,  non
ha mai introdotto questa sorta di "filtro", ma si e' sempre  attenuta
ai dati scientifici relativi alla sicurezza del vaccino, rispetto  ai
quali non conta  in  se'  l'omogeneita'  della  tipologia  di  eventi
avversi, quanto piuttosto l'incidenza a  livello  generale  del  loro
manifestarsi anche in relazione alla loro gravita'. 
    Del resto, proprio l'eventualita'  che  si  manifesti  un  evento
avverso  e'  la  ragione  della  previsione  dell'indennizzo  che,  a
differenza del risarcimento del danno, spetta anche in presenza di un
rischio  imprevedibile  rispetto  al  suo  ricadere  sulla  specifica
persona (sentenze n. 5 del 2018, n. 268 del 2017, n. 107 del 2012, n.
118 del 1996 e n. 307 del 1990). 
    Va quindi ribadito che tale conclusione  non  e'  scalfita  dalla
ravvisabilita' del rischio di evento avverso, anche grave. Come  gia'
sopra  ricordato,  questa  Corte  ha  sempre  preso  le  mosse  dalla
consapevolezza che esiste e non e' evitabile  un  rischio  di  evento
avverso (anche grave) con riferimento ai vaccini e,  ancor  prima,  a
tutti i trattamenti sanitari (sentenze n. 5  del  2018,  n.  268  del
2017, n. 118 del 1996 e n. 307 del 1990). 
    6.- Cio' premesso, la  soluzione  della  questione  sottoposta  a
questa Corte deve muovere da un  suo  corretto  inquadramento  e,  in
particolare, dalla individuazione della risposta che la  Costituzione
fornisce  per  le  ipotesi  in  cui  entrino  in  conflitto  le   due
dimensioni, individuale e collettiva, della salute,  contemplate  dal
ricordato art. 32 Cost. 
    Come anticipato, talora il conflitto tra le due  dimensioni  puo'
perfino condurre a che «il perseguimento dell'interesse  alla  salute
della  collettivita',  attraverso  trattamenti  sanitari,   come   le
vaccinazioni obbligatorie, pregiudichi il  diritto  individuale  alla
salute, quando tali trattamenti comportino, per la salute  di  quanti
ad essi devono sottostare, conseguenze indesiderate,  pregiudizievoli
oltre il limite del normalmente tollerabile»  (sentenza  n.  118  del
1996). E' stato affermato espressamente che «[t]ali trattamenti  sono
leciti, per testuale previsione dell'art. 32,  secondo  comma,  della
Costituzione, il  quale  li  assoggetta  ad  una  riserva  di  legge,
qualificata  dal  necessario   rispetto   della   persona   umana   e
ulteriormente specificata da questa Corte, nella sentenza n. 258  del
1994, con l'esigenza che si prevedano ad opera del legislatore  tutte
le cautele  preventive  possibili,  atte  a  evitare  il  rischio  di
complicanze. Ma poiche' tale rischio  non  sempre  e'  evitabile,  e'
allora che la dimensione individuale e quella collettiva  entrano  in
conflitto» (ancora sentenza n. 118 del 1996). 
    In ipotesi di ineliminabile  conflitto,  si  e'  affermato  nella
medesima pronuncia, la legge che impone l'obbligo della  vaccinazione
- come gia' ricordato - «compie deliberatamente una valutazione degli
interessi collettivi e individuali in questione, al limite di  quelle
che sono state denominate "scelte tragiche" del  diritto:  le  scelte
che una societa' ritiene di assumere in vista di un bene (nel  nostro
caso, l'eliminazione della poliomielite) che comporta il  rischio  di
un male (nel nostro caso,  l'infezione  che,  seppur  rarissimamente,
colpisce qualcuno dei suoi componenti).  L'elemento  tragico  sta  in
cio', che sofferenza e benessere non  sono  equamente  ripartiti  tra
tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio  degli
altri. Finche' ogni rischio di complicanze  non  sara'  completamente
eliminato attraverso lo sviluppo della  scienza  e  della  tecnologia
mediche  [...]  la  decisione  in   ordine   alla   sua   imposizione
obbligatoria apparterra' a questo genere di scelte pubbliche». 
    E' innegabile come tale (potenziale)  conflitto  tra  il  diritto
alla salute del singolo e quello  della  collettivita'  sia  divenuto
attuale in tutta la sua drammaticita'  di  fronte  al  deflagrare  di
«un'emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari» (sentenza  n.
37  del  2021).  L'Organizzazione  mondiale  della  sanita',  con  la
dichiarazione del 30 gennaio 2020, ha valutato l'epidemia da COVID-19
come un'emergenza di sanita' pubblica  di  rilevanza  internazionale;
successivamente, in considerazione  dei  livelli  di  diffusivita'  e
gravita' raggiunti a livello globale, con  la  dichiarazione  dell'11
marzo 2020, e'  stata  valutata  come  «pandemia».  La  delibera  del
Consiglio dei ministri  del  31  gennaio  2020,  dal  canto  suo,  ha
dichiarato, per sei  mesi,  lo  stato  di  emergenza  sul  territorio
nazionale relativo al rischio sanitario  connesso  all'insorgenza  di
patologie derivanti da agenti virali  trasmissibili,  successivamente
piu'  volte  prorogato  sino  alla   cessazione   disposta   con   il
decreto-legge 24 marzo 2022,  n.  24  (Disposizioni  urgenti  per  il
superamento delle misure di contrasto alla  diffusione  dell'epidemia
da  COVID-19,  in  conseguenza  della  cessazione  dello   stato   di
emergenza), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  19  maggio
2022, n. 52. 
    A  questa  Corte  spetta  vagliare  se,  a  fronte  del  rilevato
conflitto,   il   legislatore    abbia    esercitato    la    propria
discrezionalita' nel rispetto dell'art. 32 Cost., e cioe' operando un
bilanciamento tra le suddette dimensioni del diritto alla salute  non
irragionevole  e   non   sproporzionato   rispetto   alla   finalita'
perseguita. In altri termini deve valutare se, in  quella  situazione
data, la scelta del legislatore sia stata adottata, nell'esercizio di
discrezionalita'  politica,  in  modo  compatibile  con  i   principi
costituzionali. 
    Tale  sindacato,  dunque,  essendo  riferito  alle   scelte   del
legislatore,  deve  muoversi  lungo  due  direttrici  principali:  la
valutazione della situazione di fatto,  cioe',  nel  caso  in  esame,
della  pandemia  e   l'adeguata   considerazione   delle   risultanze
scientifiche disponibili in merito all'efficacia e alla sicurezza dei
vaccini. 
    7.-  Quanto  alla  situazione  di  fatto,  va  osservato  che  le
peculiarita' delle condizioni epidemiologiche  esistenti  al  momento
dell'introduzione dell'obbligo vaccinale - e, cioe', la loro gravita'
e  l'imprevedibilita'  del  decorso  (attestate  dalla  dichiarazione
dell'Organizzazione mondiale della sanita' dell'11 marzo 2020,  sopra
ricordata) - comportano diverse conseguenze. 
    Innanzi tutto, la compresenza di diritti e doveri - alla base del
fondamento  solidaristico  della  nostra  Costituzione  gia'  in  via
generale  e  in  periodi  ordinari   -   trova   una   sua   concreta
esplicitazione  in  materia  di  salute,  all'art.  32  Cost.;   tale
disposizione,  infatti,  si  muove  tra   le   due   dimensioni   del
«fondamentale  diritto  dell'individuo»   e   dell'«interesse   della
collettivita'», imponendo espressamente il  loro  contemperamento.  E
l'interesse della collettivita' di cui all'art. 32 Cost.  costituisce
la declinazione, nel campo della tutela alla salute,  dei  doveri  di
solidarieta' di cui all'art. 2 Cost. Dunque, tutte le volte in cui le
due dimensioni entrano in conflitto, secondo la giurisprudenza  sopra
ricordata, il  diritto  alla  salute  individuale  puo'  trovare  una
limitazione in nome dell'interesse  della  collettivita',  nel  quale
trova considerazione il diritto (individuale) degli altri in nome  di
quella solidarieta' "orizzontale",  che  lega  ciascun  membro  della
comunita' agli altri consociati (sentenza n. 288 del 2019). I  doveri
inderogabili, a carico di ciascuno, sono infatti posti a salvaguardia
e a garanzia dei diritti degli altri, che costituiscono  lo  specchio
dei diritti propri: al legislatore tocca bilanciare queste situazioni
soggettive e a questa Corte assicurare che il bilanciamento sia stato
effettuato correttamente. 
    Su altro versante, piu' generale, va considerato che il sindacato
sulla non irragionevolezza della scelta del legislatore  di  incidere
sul diritto fondamentale alla salute, anche sotto  il  profilo  della
liberta'  di  autodeterminazione,  va  effettuato  alla  luce   della
concreta  situazione  sanitaria  ed  epidemiologica   in   atto.   La
giurisprudenza costituzionale ha infatti chiarito che, nelle  ipotesi
di conflitto  tra  i  diritti  contemplati  dall'art.  32  Cost.,  la
discrezionalita' del legislatore «deve essere  esercitata  alla  luce
delle diverse  condizioni  sanitarie  ed  epidemiologiche,  accertate
dalle autorita' preposte (sentenza n. 268 del 2017)» (sentenza  n.  5
del 2018). 
    8.-  A  cio'  va  aggiunto  -  come   anticipato   -   che   tale
discrezionalita' deve essere esercitata  dal  legislatore  alla  luce
«delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica,  che
debbono guidare il legislatore nell'esercizio  delle  sue  scelte  in
materia (cosi', la giurisprudenza costante di questa Corte sin  dalla
fondamentale sentenza n. 282 del 2002)» (sentenza n. 5 del 2018). 
    Difatti, un intervento in tali ambiti «non  potrebbe  nascere  da
valutazioni  di   pura   discrezionalita'   politica   dello   stesso
legislatore, bensi' dovrebbe prevedere  l'elaborazione  di  indirizzi
fondati sulla verifica dello stato delle  conoscenze  scientifiche  e
delle  evidenze  sperimentali  acquisite,   tramite   istituzioni   e
organismi - di norma nazionali o sovranazionali -  a  cio'  deputati,
dato l'"essenziale rilievo" che, a questi fini, rivestono "gli organi
tecnico-scientifici" (cfr. sentenza n.  185  del  1998);  o  comunque
dovrebbe costituire il risultato di una siffatta verifica»  (sentenza
n. 282 del 2002). Si tratta, pertanto, pur  sempre  di  esercizio  di
discrezionalita' politica,  ancorche'  fondata  (necessariamente)  su
evidenze scientifiche. 
    8.1.- Non va dimenticato che la  connotazione  medico-scientifica
degli elementi in base  ai  quali  il  legislatore  deve  operare  le
proprie scelte non esclude la sindacabilita' delle stesse da parte di
questa Corte (sentenza n. 282 del 2002), ma il sindacato riguarda, in
tal caso, la coerenza della disciplina con il dato scientifico  posto
a  disposizione,   oltre   che   la   non   irragionevolezza   e   la
proporzionalita' della disciplina medesima. 
    8.2.- Questa Corte  accerta,  innanzitutto,  se  il  legislatore,
nell'esercizio  del  suo  potere   discrezionale,   si   sia   tenuto
all'interno di un'area di attendibilita' scientifica, alla luce delle
migliori conoscenze raggiunte in quel momento storico, quali definite
dalle autorita' medico-scientifiche istituzionalmente preposte. 
    Cio'  che  la  Corte  puo'  e  deve  verificare,  pertanto,   e',
innanzitutto, se la scelta del legislatore  di  introdurre  l'obbligo
vaccinale per la prevenzione dell'infezione  da  SARS-CoV-2  per  gli
esercenti le professioni  sanitarie  e  gli  operatori  di  interesse
sanitario di cui all'art. 1, comma 2, della legge  n.  43  del  2006,
anche alla luce della situazione pandemica esistente, sia  suffragata
e coerente, o meno, rispetto alle conoscenze medico-scientifiche  del
momento (sentenza n.  5  del  2018),  quali  tratte  dagli  organismi
nazionali e sovranazionali istituzionalmente preposti al settore. 
    E in questa scelta, come gia'  affermato  da  questa  Corte,  «la
tempestivita'   della    risposta    all'evoluzione    della    curva
epidemiologica e' fattore  decisivo  ai  fini  della  sua  efficacia»
(sentenza n. 37 del 2021). Dover  effettuare  una  scelta  tempestiva
comporta che essa venga  fatta,  necessariamente,  allo  stato  delle
conoscenze scientifiche del momento e nella consapevolezza della loro
fisiologica  provvisorieta'.  Del  resto,  tutte  le  volte  che  una
decisione implichi valutazioni tecnico-scientifiche,  il  legislatore
sceglie tra le possibili opzioni che la scienza offre in quel momento
storico. E la scelta tra le possibili  opzioni,  che  inevitabilmente
racchiudono una intensita' diversa  e  quindi  un  diverso  grado  di
limitazione dei diritti, e' esercizio  di  discrezionalita'  politica
che, nei limiti della sua ragionevolezza e proporzionalita', non puo'
essere sostituita da una diversa scelta di questa Corte. 
    D'altro canto, e' innegabile che ogni legge elaborata sulla  base
di conoscenze medico-scientifiche  e'  per  sua  natura  transitoria,
perche' adottata allo stato delle conoscenze del momento e  destinata
ad essere superata a seguito dell'evoluzione medico-scientifica. 
    E  pero',  di  contro,  proprio  perche'  il   legislatore   deve
esercitare la propria discrezionalita' sulla  base  delle  conoscenze
medico-scientifiche fornite dalle autorita'  di  settore  al  momento
dell'assunzione  della   decisione,   e'   fondamentale   una   piena
valorizzazione della «dinamica  evolutiva  propria  delle  conoscenze
medico-scientifiche che debbono sorreggere  le  scelte  normative  in
campo sanitario» (sentenza n. 5 del  2018).  Come  chiarito  gia'  in
passato da questa Corte, un intervento non  irragionevole  alla  luce
delle condizioni epidemiologiche e delle conoscenze  scientifiche  in
atto non esclude, e anzi impone, che, mutate le condizioni, la scelta
possa (e debba) essere rivalutata e riconsiderata. 
    La disciplina, dunque, puo' e deve mutare in base  all'evoluzione
della situazione sanitaria  che  si  fronteggia  e  delle  conoscenze
scientifiche acquisite. 
    La genetica e originaria transitorieta' della  disciplina,  cosi'
come la previsione di elementi di  flessibilizzazione  e  monitoraggi
che  consentano  l'adeguamento  delle  misure  all'evoluzione   della
situazione di fatto che e' destinata a  fronteggiare,  sono  elementi
che incidono sulla verifica della legittimita'  costituzionale  della
normativa (sentenza n. 5 del 2018). 
    Sul punto, si evidenzia sin d'ora che l'art. 4 del d.l. n. 44 del
2021, come convertito, ha subito  nel  tempo  diverse  modifiche,  in
relazione   tanto   alle   conseguenze    legate    all'inadempimento
dell'obbligo vaccinale, quanto, soprattutto, all'individuazione della
durata dell'obbligo. 
    E anzi, e'  l'intera  disciplina  relativa  alla  gestione  della
pandemia ad aver subito continue modifiche in risposta all'evoluzione
della situazione sanitaria nonche' delle  conoscenze  mediche.  Basti
pensare alle limitazioni imposte alla liberta'  di  circolazione,  al
diritto allo studio e  all'esercizio  delle  attivita'  produttive  e
lavorative, che sono state nel tempo modificate  e  infine  revocate,
sempre     sulla     base     dell'andamento     della     situazione
epidemiologico-sanitaria e dell'evoluzione  degli  strumenti  offerti
dalla scienza medica per fronteggiarla. 
    In particolare, per quanto qui  di  piu'  stretto  interesse,  la
disposizione censurata, nella sua versione originaria (oggetto  della
questione in esame),  prevedeva  una  precisa  scadenza  dell'obbligo
vaccinale, fissata al 31 dicembre 2021. Tale termine  e'  stato  piu'
volte  modificato,  proprio  in  base  all'andamento  dei  contagi  e
all'evoluzione della pandemia, subendo diverse proroghe  fino  al  31
dicembre  2022,  per  poi  essere  infine  anticipato   (rispetto   a
quest'ultima data) al 1° novembre 2022. 
    Siffatta anticipazione e' stata disposta con il d.l. n.  162  del
2022, come convertito, in considerazione, per  quanto  si  legge  nel
preambolo   dello   stesso,    «dell'andamento    della    situazione
epidemiologica che registra una diminuzione dell'incidenza  dei  casi
di contagio da COVID-19 e una stabilizzazione della  trasmissibilita'
sebbene al di sopra della soglia epidemica [e  della]  necessita'  di
riavviare un progressivo ritorno alla  normalita'  nell'attuale  fase
post pandemica, nella quale l'obiettivo da perseguire e' il controllo
efficace dell'endemia». 
    A cio' si aggiunga che, con specifico riferimento al  sistema  di
monitoraggio  per  le  reazioni  conseguenti  ai   vaccini   per   la
prevenzione dell'infezione da  SARS-CoV-2,  da  un  lato  sono  stati
predisposti specifici monitoraggi  sull'andamento  epidemiologico  da
parte del Ministero della salute (secondo quanto previsto dal decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri  26  aprile  2020,  recante
«Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020,
n. 6, recante misure urgenti in materia di  contenimento  e  gestione
dell'emergenza epidemiologica da  COVID-19,  applicabili  sull'intero
territorio nazionale», rispetto al quale si segnala in particolare il
decreto del Ministro della salute 30 aprile 2020,  recante  «Adozione
dei criteri relativi  alle  attivita'  di  monitoraggio  del  rischio
sanitario di cui all'allegato  10  del  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri del 26 aprile 2020»;  dall'altro,  sono  state
attuate le relative attivita' di sorveglianza da parte dell'AIFA  con
cadenza trimestrale, che confluiscono in rapporti concernenti tutti i
dati sulle reazioni determinate dalla somministrazione dei vaccini. 
    9.-  Tanto  premesso,  dunque,  sul  costante  adeguamento  della
disciplina    in     esame     all'andamento     della     situazione
epidemiologico-sanitaria   e    all'evoluzione    delle    conoscenze
medico-scientifiche, e' opportuno procedere a un'analisi, sia pur  di
tipo sintetico, di queste ultime. 
    Infatti, come  detto,  il  sindacato  richiesto  a  questa  Corte
presuppone di verificare se il  legislatore  -  utilizzando  il  dato
medico-scientifico posto a disposizione dalle autorita' di settore  -
si sia mantenuto in un'area  di  "attendibilita'  scientifica"  e  se
abbia assunto una decisione non irragionevole nonche'  idonea  e  non
sproporzionata rispetto alla finalita' perseguita. 
    10.- Per far  cio'  occorre  confrontarsi,  innanzitutto,  con  i
contributi elaborati dall'AIFA, dall'ISS, dal  Segretariato  generale
del  Ministero  della  salute,   dalla   Direzione   generale   della
programmazione sanitaria del Ministero della salute e dalla Direzione
generale    della    prevenzione    sanitaria,    tutti    depositati
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  in  allegato   all'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri. 
    10.1.- Il  principale  dato  medico-scientifico  garantito  dalle
autorita' istituzionali nazionali ed europee, preposte al settore, e'
costituito,  fin  dal  momento   dell'adozione   della   disposizione
censurata e a tutt'oggi, dalla natura non sperimentale del vaccino  e
dalla sua efficacia, oltre che dalla sua sicurezza. 
    10.2.- Relativamente ai primi due profili - che lo stesso giudice
rimettente sostanzialmente non contesta - convergono  le  conclusioni
dell'AIFA, dell'ISS e del Segretariato generale del  Ministero  della
salute. 
    Viene innanzitutto attestato che i  «vaccini  anti  COVID-19  non
possono  in  alcun  modo  considerarsi  sperimentali»,  poiche'  «[i]
vaccini attualmente in uso nella campagna vaccinale in  Italia  [...]
sono vaccini regolarmente immessi in commercio dopo  aver  completato
l'iter per determinarne qualita',  sicurezza  ed  efficacia»  (cosi',
testualmente, la nota dell'ISS sopra menzionata, pagina 2). 
    Come attestato piu' dettagliatamente dall'AIFA, tali vaccini sono
oggetto di autorizzazioni all'immissione  in  commercio  condizionate
(CMA), sulla base di un protocollo preesistente e gia' utilizzato  in
passato in ambito europeo per una serie  di  medicinali  destinati  a
soddisfare un elevato bisogno  terapeutico  insoddisfatto  (cosi'  la
nota dell'AIFA sopra menzionata, pagina 9). 
    Cio' posto, l'Unione europea ha quindi ritenuto che, a fronte  di
minacce  gravi  per  la  salute  pubblica,  quale  e'  senz'altro  la
pandemia, la scelta tecnica di ricorrere alla CMA  rappresentasse  la
scelta migliore al fine di garantire la tutela della salute.  E  cio'
in  quanto  «questa  autorizzazione  certifica  che   la   sicurezza,
l'efficacia e  la  qualita'  dei  medicinali  autorizzati,  nel  caso
specifico  del  vaccino,  sono  comprovate  e  che  i  benefici  sono
superiori ai rischi» (pagina 8 della nota dell'AIFA). Sempre  secondo
quanto  attestato  dall'AIFA,  nessuna  delle  fasi  dello   sviluppo
pre-clinico e clinico (test di qualita', valutazione dell'efficacia e
del profilo di sicurezza) dei vaccini e' stata omessa e il numero dei
pazienti coinvolti  negli  studi  clinici  e'  lo  stesso  di  quello
relativo a vaccini sviluppati  con  tempistiche  standard.  E'  stato
infatti  possibile  «affiancare  temporalmente  le  diverse  fasi  di
sviluppo clinico e di arruolare negli studi di fase 3 un numero molto
elevato (decine di migliaia) di partecipanti» (pagina 10  della  nota
dell'AIFA). 
    Sull'efficacia   della   vaccinazione    per    la    prevenzione
dell'infezione da SARS-CoV-2 si sofferma l'ISS, esponendo  che  «[l]a
vaccinazione anti-COVID-19  costituisce  una  misura  di  prevenzione
fondamentale  per   contenere   la   diffusione   dell'infezione   da
SARS-CoV-2.  Numerose  evidenze  scientifiche  internazionali   hanno
dimostrato l'elevata efficacia dei vaccini anti-COVlD-19  disponibili
ad oggi, sia nella popolazione generale sia in specifici  sottogruppi
di categorie a rischio, inclusi gli operatori sanitari» (pagine 2 e 3
della nota dell'ISS). Al di la' della fisiologica eterogeneita' delle
risposte immunitarie dei singoli individui e della maggiore capacita'
della variante Omicron di eludere l'immunita' rispetto alle  varianti
precedenti,  viene  attestato  che  «la  protezione  rimane   elevata
specialmente nei confronti della malattia  severa  o  peggior  esito»
(pagina 3 della nota dell'ISS). L'ISS chiarisce, inoltre, che  «anche
se l'efficacia vaccinale non e' pari al l00%,  ma  del  resto  nessun
vaccino ha una  tale  efficacia,  l'elevata  circolazione  del  virus
SARS-CoV-2 rende comunque rilevante la  quota  di  casi  prevenibile»
(pagina 5 della nota dell'ISS). 
    10.3.- Quanto al profilo  della  sicurezza,  l'AIFA,  come  sopra
riportato, sostiene con  chiarezza  che  la  CMA  «certifica  che  la
sicurezza, l'efficacia e la qualita' dei medicinali autorizzati,  nel
caso specifico del vaccino, sono comprovate e  che  i  benefici  sono
superiori ai rischi». 
    Inoltre - affrontando specificamente le criticita' segnalate  dal
Collegio rimettente - l'Agenzia attesta l'assoluta attendibilita' del
sistema di  raccolta  dati,  basato  sulla  farmacovigilanza  passiva
(pagine da 16 a 23 della nota dell'AIFA), e,  soprattutto,  evidenzia
la differenza  tra  «segnalazioni  di  eventi  avversi  dopo  vaccini
anti-COVID-19» e «analisi del segnale» (pagine da 23 a 25 della  nota
dell'AIFA). Alla base della segnalazione dell'evento  avverso  vi  e'
infatti il solo criterio temporale, il quale, tuttavia, e' condizione
necessaria ma non  sufficiente  a  stabilire  un  nesso  causale  fra
vaccinazione ed evento (pagine da 23 a 25 della nota dell'AIFA). 
    Secondo le conclusioni esposte, «la maggior parte delle  reazioni
avverse ai  vaccini  sono  non  gravi  e  con  esito  in  risoluzione
completa. Le reazioni avverse gravi hanno una  frequenza  da  rara  a
molto rara e non configurano un rischio tale da superare  i  benefici
della vaccinazione. Non e' stato inoltre osservato alcun  eccesso  di
decessi a seguito di vaccinazione e il  numero  di  casi  in  cui  la
vaccinazione  puo'  aver  contribuito  all'esito  fatale  dell'evento
avverso e' estremamente esiguo e comunque non tale  da  inficiare  il
beneficio di tali medicinali» (pagine 26 e 27 della nota dell'AIFA). 
    Sempre relativamente al profilo della  sicurezza,  l'ISS,  a  sua
volta, attesta che «[a]d oggi miliardi  di  persone  nel  mondo  sono
state vaccinate contro COVID-19. I vaccini anti SARS-CoV-2  approvati
sono stati attentamente testati e  continuano  ad  essere  monitorati
costantemente. Numerose evidenze  scientifiche  internazionali  hanno
confermato la sicurezza dei vaccini anti-COVID-19»  (pagina  6  della
nota dell'ISS). Si segnala, infine, la  mole  di  dati  di  sicurezza
relativi ai soggetti che hanno ricevuto un vaccino per la prevenzione
dell'infezione  da  SARS-CoV-2,  posto  che,  secondo   l'EMA,   fino
all'inizio di aprile 2022 sono state piu' di 868 milioni le  dosi  di
vaccini somministrate alle persone nell'UE e nello  Spazio  economico
europeo (SEE), concludendo nel senso che «[d]ai dati  emerge  che  la
stragrande maggioranza degli effetti  collaterali  noti  dei  vaccini
COVID-19  sono  lievi  e  di  breve  durata.  Problemi  di  sicurezza
classificabili come gravi sono estremamente  rari»  (pagina  8  della
nota dell'ISS). 
    11.- Alla luce dei dati sin qui ripercorsi, deve ritenersi che le
autorita'  scientifiche  attestino  concordemente  la  sicurezza  dei
vaccini per la prevenzione dell'infezione da  SARS-CoV-2  oggetto  di
CMA e la loro efficacia nella riduzione della circolazione del  virus
(come emerge dalla diminuzione del numero dei  contagi,  nonche'  del
numero di casi ricoverati, in area medica e in terapia  intensiva,  e
dall'entita' dei decessi associati al SARS-CoV-2 relativi al  periodo
che  parte  dall'inizio  della  campagna  di  vaccinazione  di  massa
risalente a marzo-aprile 2021). 
    Ed e' su questi dati scientifici -  forniti  dalle  autorita'  di
settore  e  che  non  possono  percio'  essere  sostituiti  con  dati
provenienti da fonti diverse, ancorche' riferibili  a  "esperti"  del
settore - che si  e'  basata  la  scelta  politica  del  legislatore;
legislatore che altrimenti, anziche'  alle  autorita'  istituzionali,
avrebbe dovuto affidarsi a "esperti" non e'  dato  vedere  con  quali
criteri scelti. 
    Appare   evidente,   dunque,   in   coerenza    con    il    dato
medico-scientifico che attesta  la  piena  efficacia  del  vaccino  e
l'idoneita' dell'obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre  la
circolazione del virus, la non irragionevolezza del ricorso ad  esso,
«[a] fronte di "un virus respiratorio altamente  contagioso,  diffuso
in modo ubiquo nel mondo, e che puo' venire  contratto  da  chiunque"
(sentenza  n.  127  del  2022)»   (sentenza   n.   171   del   2022),
caratterizzato da rapidita' e imprevedibilita' del contagio. 
    12.- Tale valutazione di non irragionevolezza  e  idoneita'  allo
scopo vale con particolare riferimento agli esercenti le  professioni
sanitarie e operatori di interesse sanitario di cui all'art. 1, comma
2, della legge n. 43 del 2006. 
    E infatti, l'obbligo vaccinale  per  tali  soggetti  consente  di
perseguire, oltre che la tutela della salute di una  delle  categorie
piu' esposte al contagio, «il  duplice  scopo  di  proteggere  quanti
entrano con loro in contatto e di evitare l'interruzione  di  servizi
essenziali per la collettivita'» (sentenza n. 268 del 2017). 
    12.1.- Quest'ultima finalita' era particolarmente avvertita in un
momento in cui, da un lato, il sistema sanitario  nel  suo  complesso
era sottoposto ad un gravissimo stress, dovendo affrontare - oltre  a
crescenti  richieste  di  assistenza  domiciliare  -  un   enorme   e
incessante incremento di ricoveri per i pazienti affetti da patologia
da  SARS-CoV-2,   con   conseguente   congestione   delle   strutture
ospedaliere e dei reparti intensivi, e, dall'altro lato, si assisteva
a una crescente diffusione del contagio tra il personale sanitario. 
    Sotto quest'ultimo profilo,  basti  ricordare  che  l'ISS,  nella
menzionata nota, sostiene espressamente che «gli  operatori  sanitari
sono tra le categorie ad alto rischio  di  contrarre  l'infezione  da
SARS-CoV-2 potendosi infettare piu' facilmente prendendosi  cura  dei
pazienti e/o interagendo con altro  personale  sanitario»  (pagina  5
della nota dell'ISS). 
    D'altro canto,  il  Segretariato  generale  del  Ministero  della
salute attesta con nettezza il significativo impatto  della  campagna
vaccinale  sulla  circolazione  del  SARS-CoV-2  tra  gli   operatori
sanitari: «a seguito dell'avvio della campagna vaccinale  c'e'  stata
una netta riduzione della percentuale  dei  casi  tra  gli  operatori
sanitari rispetto al resto della popolazione: a fine dicembre 2020 la
percentuale dei casi tra gli operatori  sanitari  rispetto  al  resto
della popolazione si attestava a circa il 6%, mentre a fine  febbraio
2021, in concomitanza con il completamento del ciclo vaccinale  e  il
conseguente sviluppo  dell'immunita',  risultava  poco  al  di  sopra
dell'1,5%» (pagina  28  della  nota  del  Segretariato  generale  del
Ministero della salute). 
    Su altro versante, la predetta situazione di congestionamento  si
rivelava ancor piu' allarmante in quanto,  in  un  sistema  sanitario
prevalentemente proiettato sulla gestione della pandemia, determinava
un'estrema difficolta' di disporre cure e ricoveri per i pazienti non
affetti  da  patologia  SARS-CoV-2.  Sul  punto  basti  segnalare  le
osservazioni della Direzione generale della programmazione  sanitaria
del Ministero della salute, la  quale,  sulla  base  di  una  lettura
comparativa dei volumi dei ricoveri ospedalieri degli anni 2019-2020,
attesta una netta flessione dell'erogazione complessiva dei  ricoveri
del 2020 rispetto all'anno precedente con una perdita in  termini  di
volumi di circa 1 milione e mezzo di ricoveri (pagina  2  della  nota
della Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero
della salute), flessione «che ha con tutta  probabilita'  determinato
l'impossibilita' di curarsi di pazienti affetti da patologie  diverse
dal COVID-19» (pagina 3 della medesima nota). 
    12.2.- Con specifico riferimento al - differente ma complementare
- scopo di proteggere quanti entrano in contatto con gli esercenti le
professioni sanitarie e  operatori  di  interesse  sanitario  di  cui
all'art. 1, comma 2,  della  legge  n.  43  del  2006,  e'  opportuno
ricordare che gia' in passato questa Corte  -  esaminando  una  legge
regionale  che  prevede  la  facolta'  della  Giunta   regionale   di
individuare i reparti dove consentire l'accesso ai soli operatori che
si siano attenuti alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione
vaccinale  vigente  per  i  soggetti  a   rischio   per   esposizione
professionale - ha avuto modo di valorizzare,  con  riferimento  alla
vaccinazione degli operatori  sanitari,  lo  «scopo  di  prevenire  e
proteggere la salute di chi frequenta i  luoghi  di  cura:  anzitutto
quella  dei  pazienti,  che  spesso  si  trovano  in  condizione   di
fragilita' e sono esposti a gravi pericoli di  contagio,  quella  dei
loro familiari, degli altri operatori  e,  solo  di  riflesso,  della
collettivita'.  Tale  finalita'  [...]  e'  del  resto   oggetto   di
attenzione da parte delle societa' medico-scientifiche, che segnalano
l'urgenza di mettere in atto prassi adeguate a prevenire le  epidemie
in  ambito  ospedaliero,  sollecitando   anzitutto   un   appropriato
comportamento del personale sanitario, per garantire ai  pazienti  la
sicurezza nelle cure» (sentenza n. 137 del 2019). 
    D'altronde, come segnalato  anche  dall'ISS  nella  sopra  citata
nota, «[l]e infezioni tra gli operatori  sanitari  hanno  un  impatto
negativo sulla salute individuale e collettiva sia  direttamente  che
indirettamente. Infatti non solo l'operatore  sanitario  puo'  a  sua
volta trasmettere l'infezione piu'  facilmente  a  pazienti  tra  cui
soggetti fragili  ad  alto  rischio  di  sviluppare  forme  gravi  di
malattia ma, indirettamente, le procedure di isolamento e  quarantena
che si renderebbero necessarie a seguito  di  un'eventuale  infezione
possono provocare danno al sistema sanitario nazionale in termini  di
garanzia e continuita' nell'erogazione delle cure»  (pagina  5  della
nota ISS). Con cio', peraltro, evidenziando,  ancora  una  volta,  la
possibile ricaduta in termini di rischio di interruzione del servizio
sanitario. 
    12.3.- Della convergenza, in capo agli esercenti  le  professioni
sanitarie e operatori di interesse sanitario di cui all'art. 1, comma
2, della legge n. 43 del 2006, di queste plurime  valutazioni  -  che
giustificano un trattamento differenziato per tali soggetti -, vi  e'
traccia anche nella Relazione illustrativa del d.l. n. 44  del  2021:
«L'introduzione di un siffatto obbligo per le categorie professionali
considerate nasce  dalla  constatazione  che  la  vaccinazione  degli
operatori  sanitari,  unitamente  alle  altre  misure  di  protezione
collettiva e individuale per la prevenzione della trasmissione  degli
agenti  infettivi   nelle   strutture   sanitarie   e   negli   studi
professionali,  ha  valenza  multipla:  consente   di   salvaguardare
l'operatore rispetto al rischio infettivo professionale, contribuisce
a proteggere i pazienti dal  contagio  in  ambiente  assistenziale  e
serve a difendere l'operativita' dei servizi sanitari, garantendo  la
qualita' delle prestazioni erogate, e contribuisce a  perseguire  gli
obiettivi di sanita' pubblica». 
    12.4.- Fortemente significativa e', infine, sotto il  profilo  di
diritto  comparato,  la  tendenziale  omogeneita'  della   soluzione,
adottata in  altri  Paesi,  nel  senso  della  obbligatorieta'  della
vaccinazione legata a certe professioni, tra le quali  spiccano,  per
tutte -  pur  nell'ambito  di  una  certa  variabilita'  delle  altre
categorie soggettive coinvolte e pur nella diversita' degli  approcci
che emerge dal confronto tra i vari ordinamenti -, quelle sanitarie. 
    In particolare, va segnalato  che  l'obbligo  vaccinale  per  gli
esercenti attivita' in ambito  sanitario  e'  stato  introdotto,  tra
l'altro, in Francia e in Germania, nonche' nel Regno  Unito  e  negli
Stati Uniti d'America. E, come meglio esposto in seguito,  le  Corti,
anche costituzionali, di alcuni Paesi hanno ritenuto la  legittimita'
dell'obbligo,  facendo  ricorso  ai  canoni   di   ragionevolezza   e
proporzionalita', utilizzati in modo non dissimile da come sviluppati
nel nostro ordinamento. 
    13.-   Verificata,   dunque,   in   coerenza    con    il    dato
medico-scientifico che attesta la piena  efficacia  del  vaccino  nei
sensi  sopra  esaminati,  l'idoneita'  dell'obbligo  vaccinale  degli
esercenti le professioni sanitarie e  degli  operatori  di  interesse
sanitario di cui all'art. 1, comma 2, della legge  n.  43  del  2006,
rispetto alla finalita'  di  ridurre  la  circolazione  del  virus  -
funzionale al duplice scopo, sopra ricordato,  di  proteggere  quanti
entrano con loro in contatto e di evitare l'interruzione  di  servizi
essenziali per la collettivita' -, e quindi la  non  irragionevolezza
del  ricorso  ad  esso,  va  ora  valutato  il  profilo   concernente
l'osservanza  del  principio  di   proporzionalita'   rispetto   alle
finalita' perseguite. 
    Come gia' affermato da questa Corte, quando si e' in presenza  di
una questione concernente  il  bilanciamento  tra  due  diritti,  «il
giudizio di ragionevolezza sulle scelte  legislative  si  avvale  del
cosiddetto test di proporzionalita', che "richiede di valutare se  la
norma  oggetto  di  scrutinio,  con  la  misura  e  le  modalita'  di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al  conseguimento  di
obiettivi legittimamente  perseguiti,  in  quanto,  tra  piu'  misure
appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei   diritti   a
confronto  e  stabilisca  oneri  non   sproporzionati   rispetto   al
perseguimento  di  detti  obiettivi"  (sentenza  n.   1   del   2014,
richiamata, da ultimo, dalle sentenze n. 137  del  2018,  n.  10  del
2016, n. 272 e n. 23 del 2015 e n. 162 del 2014)» (sentenza n. 20 del
2019). 
    13.1.-  Sotto  tale  aspetto,  la  misura  deve   ritenersi   non
sproporzionata, in primo  luogo,  perche'  non  risultavano,  a  quel
tempo, misure altrettanto adeguate rispetto allo scopo prefissato dal
legislatore  per  fronteggiare  la  pandemia.   E   cio'   vale,   in
particolare, per la soluzione alternativa  prospettabile  (utilizzata
in ambiti piu' generali, per l'accesso ai luoghi pubblici da parte di
soggetti  non  appartenenti  a  categorie  soggette  a   vaccinazione
obbligatoria), rappresentata  dall'effettuazione  periodica  di  test
diagnostici  dell'infezione  da  SARS-CoV-2.  Innanzitutto   perche',
dovendo essere effettuati con una cadenza particolarmente serrata  (e
cioe' ogni due o tre giorni), avrebbero avuto costi  insostenibili  e
avrebbero  comportato  un  intollerabile  sforzo   per   il   sistema
sanitario, gia' impegnato nella  gestione  della  pandemia,  tanto  a
livello logistico-organizzativo, quanto per l'impiego  di  personale.
D'altro canto, l'esito del test  non  e'  immediatamente  disponibile
rispetto al momento della sua effettuazione:  esso,  pertanto,  nasce
gia' "obsoleto", posto che l'esito puo' essere gia' stato superato da
un contagio sopravvenuto nel frattempo, con  il  fisiologico  rischio
della presenza nei  luoghi  di  cura  di  soggetti  inconsapevolmente
contagiati. 
    13.2.- Sempre con riferimento al rispetto della proporzionalita',
va, altresi', rilevato che la  conseguenza  del  mancato  adempimento
dell'obbligo e' rappresentata dalla sospensione dall'esercizio  delle
professioni sanitarie, con reintegro al venir meno dell'inadempimento
dell'obbligo e, comunque, dello stato di crisi epidemiologica. 
    La scelta - che non  riveste  natura  sanzionatoria  -  si  muove
nell'ambito della responsabilita' del legislatore di individuare  una
conseguenza  calibrata,  in  termini  di   sacrificio   dei   diritti
dell'operatore sanitario, che sia  strettamente  funzionale  rispetto
alla finalita' perseguita di riduzione della circolazione del virus. 
    E cio' tanto in termini di durata, posto che, secondo quanto gia'
sopra evidenziato, il legislatore ha introdotto, sin dall'inizio, una
durata   predeterminata   dell'obbligo   vaccinale,    modificandola,
costantemente, in  base  all'andamento  della  situazione  sanitaria,
giungendo ad anticiparla appena la situazione  epidemiologica  lo  ha
consentito; quanto in  termini  di  intensita',  trattandosi  di  una
sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo
disciplinare, e non di una sua risoluzione. 
    13.3.- E'  interessante  notare  come  in  altri  ordinamenti,  e
segnatamente  in  quello  francese,  la  giurisprudenza,   rigettando
un'istanza che mirava alla presentazione di una question  prioritaire
de constitutionnalite' degli artt. 12 e 14 della legge 5 agosto 2021,
n. 1040, abbia sostenuto che il fatto che l'art. 14 - concernente  le
conseguenze dell'inadempimento degli obblighi vaccinali - non preveda
la risoluzione del contratto di lavoro o la cessazione dalle funzioni
delle persone interessate, bensi' la  sospensione  del  rapporto,  fa
propendere per «una conciliazione non manifestamente squilibrata  fra
le esigenze costituzionali discendenti dal diritto  al  lavoro  e  al
diritto alla tutela della salute» (Conseil d'Etat,  sezioni  V  e  VI
riunite, 28 gennaio 2022, n. 457879, paragrafo 12). 
    Diversamente, in altri ordinamenti, quali la Germania,  il  Regno
Unito  e  gli  Stati  Uniti  d'America,  e'   stata   introdotta   la
possibilita' di ricorrere al licenziamento  (indipendentemente  dalla
frequenza con cui, nella prassi, vi si sia fatto ricorso). 
    In particolare, in Germania, la giurisprudenza costituzionale  ha
affermato che, sebbene la  liberta'  di  esercitare  una  professione
tuteli anche la volonta' del singolo di mantenere il posto di  lavoro
si' da non ammettere tutte quelle misure che sortiscono l'effetto  di
obbligare il singolo a rinunciare a un determinato  posto  di  lavoro
(Rn.  246),  la  previsione  dell'obbligo   vaccinale   e'   tuttavia
giustificata in quanto posta a tutela delle persone piu'  vulnerabili
(Rn. 254). In particolare, risulta: a) legittimo lo scopo  perseguito
(Rn. 256); b) adeguata la misura prescelta per il suo raggiungimento,
non  ravvisandosi  misure  alternative  che  comportino   un   minore
sacrificio (Rn. 257,  ma  anche  189  e  seguenti);  c)  adeguato  il
bilanciamento operato tra lo  scopo  perseguito  e  la  gravita'  del
sacrificio  comportato  (Rn.   258-266)   (Tribunale   costituzionale
federale, ordinanza 27 aprile 2022, 1 BvR 2649/21). 
    14.- Non colgono nel segno, infine, le doglianze - che, peraltro,
meritano attenta considerazione anche in sede  legislativa  -  svolte
dal giudice rimettente in ordine alla mancata adozione di «misure  di
mitigazione»   e   «misure   di   precauzione»   ad   accompagnamento
dell'obbligo vaccinale, a suo parere rinvenibili  in  alcune  carenze
del triage pre-vaccinale: il mancato  coinvolgimento  dei  medici  di
medicina generale e l'assenza, prima della inoculazione del  vaccino,
di adeguati accertamenti, analisi e test diagnostici,  nonche'  dello
stesso test sierologico. 
    14.1.- Quanto al primo profilo, di norma la pratica vaccinale  in
Italia non  prevede  un  coinvolgimento  nel  triage  del  medico  di
medicina generale o del pediatra di libera scelta. Come esposto nella
richiamata nota del Segretariato generale del Ministero della salute,
le vaccinazioni previste dai calendari vaccinali  regionali  sono  in
genere eseguite, salvo talune eccezioni che qui non rilevano,  presso
i  servizi  di  vaccinazione  delle  aziende   sanitarie   locali   o
provinciali delle varie regioni da parte degli operatori  di  sanita'
pubblica (medici igienisti, assistenti sanitari, infermieri). 
    Di norma, dunque, il medico di medicina generale non  assolve  un
ruolo primario nella valutazione dell'eleggibilita' di un assistito a
una vaccinazione, anche in relazione alle vaccinazioni contemplate in
via ordinaria nel Piano nazionale di  prevenzione  vaccinale.  Questa
valutazione  compete,  infatti,  ai  medici  vaccinatori,  che   sono
all'uopo  adeguatamente  formati  e  che  assumono  la  decisione  di
procedere o meno con la vaccinazione dell'interessato. 
    Cio' non toglie, peraltro, che il medico  di  medicina  generale,
per espressa previsione del gia' ricordato comma 2 del censurato art.
4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, ha  affiancato  i  medici
vaccinatori nella verifica della presenza delle  cause  di  esenzione
dalla vaccinazione  e,  pertanto,  ha  nei  fatti  assolto  un  ruolo
tutt'altro  che  secondario  nel  percorso  di  accompagnamento   dei
relativi assistiti nell'ambito della campagna vaccinale,  proprio  in
considerazione della conoscenza  del  paziente  e  della  sua  storia
clinica. 
    14.2.- Nemmeno puo' convenirsi con l'assunto del  giudice  a  quo
secondo il quale non  sono  state  predisposte  adeguate  «misure  di
precauzione»  ad  accompagnamento   dell'obbligo   vaccinale,   quali
adeguati accertamenti in fase di triage pre-vaccinale. 
    Nella  pratica,   l'anamnesi   pre-vaccinale   e'   una   pratica
standardizzata attraverso la quale e' possibile stabilire la presenza
di  eventuali  controindicazioni  o  di  precauzioni  rispetto   alla
vaccinazione, attraverso una serie di precise e semplici  domande,  a
cui possono e  devono  seguire,  se  del  caso,  eventuali  ulteriori
approfondimenti, ivi inclusi, raramente, accertamenti  diagnostici  o
consulti clinici con il medico  di  medicina  generale  o  il  medico
specialista che assiste  il  soggetto.  Il  personale  sanitario  che
esegue una  vaccinazione  deve  infatti  verificare  la  presenza  di
controindicazioni  e/o  di  precauzioni  in  ogni  persona  prima  di
somministrare qualsiasi vaccino, secondo un consolidato protocollo. 
    Con riferimento al rilievo conferito dal rimettente alla  mancata
somministrazione  di  test   pre-vaccinali,   va   considerato   come
normalmente per le vaccinazioni non sia prevista  l'effettuazione  di
simili test per stabilire il profilo di sicurezza  relazionato  a  un
determinato individuo. Non sono  richiesti  esami  di  laboratorio  o
altri accertamenti diagnostici da eseguire  di  routine  prima  della
vaccinazione, in quanto  non  esiste  alcuna  evidenza  che  supporti
l'utilita' di un loro utilizzo esteso,  in  maniera  aprioristica,  a
tutti i soggetti candidati  alla  vaccinazione:  non  esistono  test,
inclusi quelli di carattere genetico, che vengano  raccomandati  come
test pre-vaccinali (pagina 28 della nota  del  Segretariato  generale
del Ministero della salute). 
    Del resto, come il Presidente del Consiglio rammenta nel  proprio
atto di intervento,  le  principali  autorita'  sanitarie  in  ambito
internazionale, inclusi l'Organizzazione mondiale della sanita'  e  i
Centers  for  disease  prevention  and  control   statunitensi,   non
raccomandano  l'esecuzione  di  alcun  test  pre-vaccinale   per   la
vaccinazione per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2. 
    La considerazione che normalmente per  le  vaccinazioni  non  sia
prevista l'effettuazione di un  test  in  ordine  alla  patologia  di
riferimento vale anche con riguardo alla  mancata  effettuazione  del
test sierologico. 
    14.3.-  Occorre,  infine,  soffermarsi  anche  sul  profilo  piu'
generale delle cautele o  condotte  che  lo  stato  delle  conoscenze
scientifiche e l'arte prescrivono in  relazione  alla  attuazione  ed
esecuzione materiale del trattamento sanitario. 
    Impregiudicato il diritto a  un  indennizzo  in  caso  di  eventi
avversi comunque riconducibili al vaccino, inerenti  a  quel  rischio
ineliminabile  di  cui  si  e'  gia'  detto  sopra,  resta  ferma  la
responsabilita' civile di cui all'art. 2043  del  codice  civile  per
l'ipotesi in cui «il danno ulteriore sia imputabile  a  comportamenti
colposi  attinenti  alle  concrete  misure  di  attuazione  [...]   o
addirittura  alla  materiale  esecuzione  del   trattamento   stesso»
(sentenza n. 307 del 1990). 
    Questa Corte, infatti, facendo riferimento alla  «necessita'  che
il soggetto vaccinando sia messo quanto piu' possibile al riparo  dai
rischi di  complicanze  da  vaccino»,  rimarca  come  tali  «esigenze
cautelative [...] gia' trovino un primo  livello  di  risposta  nella
doverosita' dell'osservanza, in sede di attuazione ed esecuzione  del
trattamento obbligatorio, di quelle "cautele o [...] modalita' che lo
stato delle conoscenze scientifiche e l'arte prescrivono in relazione
alla sua natura", e la cui violazione fonda [...] la tutela aquiliana
ex art. 2043 cit.» (sentenza n. 258 del 1994; ma anche,  in  termini,
la sentenza n. 307 del 1990). 
    15.- Alla luce di tutte le considerazioni  sin  qui  svolte  deve
quindi  dichiararsi  non  fondata  la   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata, in riferimento all'art. 32 Cost., dell'art.
4, commi 1 e 2, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte
in cui prevede, da un lato,  l'obbligo  vaccinale  per  il  personale
sanitario e, dall'altro lato, per  effetto  dell'inadempimento  dello
stesso, la sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie. 
    16.- Ugualmente non  fondate  sono  le  questioni  sollevate,  in
riferimento agli artt. 3 e 21 Cost., dell'art. 1 della legge  n.  219
del 2017, nella parte in cui non prevede l'espressa esclusione  dalla
sottoscrizione del consenso informato nelle  ipotesi  di  trattamenti
sanitari obbligatori, e dell'art. 4 del d.l. n.  44  del  2021,  come
convertito, nella parte in cui non esclude l'onere di  sottoscrizione
del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria. 
    16.1.- Il consenso informato, quale condizione per la liceita' di
qualsivoglia     trattamento     sanitario,     trova      fondamento
nell'autodeterminazione,  nelle  scelte  che  riguardano  la  propria
salute, intesa come liberta' di disporre del proprio  corpo,  diritti
fondamentali della persona sanciti dagli artt.  2,  13,  32  Cost.  e
dagli artt. 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea. Secondo quanto disposto dall'art. 1 della legge n.  219  del
2017, «nessun trattamento sanitario puo' essere iniziato o proseguito
se privo del consenso libero e informato della  persona  interessata,
tranne  che  nei  casi  espressamente  previsti  dalla  legge».  Piu'
precisamente,  il  consenso  del  paziente  deve  essere   libero   e
consapevole,  preceduto  da  informazioni  complete,   aggiornate   e
comprensibili relative a diagnosi, prognosi, benefici e rischi  degli
accertamenti  diagnostici  e  dei  trattamenti   sanitari   indicati,
possibili  alternative  e  conseguenze  dell'eventuale   rifiuto   al
trattamento  sanitario  e  dell'accertamento  diagnostico   o   della
rinuncia ai medesimi. 
    Orbene - premessa la rilevanza della raccolta del consenso  anche
ai fini di un'adeguata emersione dei dati essenziali per una completa
e corretta anamnesi pre-vaccinale, destinata, tra l'altro, come sopra
ricordato, a valutare l'eleggibilita' del soggetto  interessato  alla
vaccinazione - la  natura  obbligatoria  del  vaccino  in  esame  non
esclude la necessita' di raccogliere il consenso informato, che viene
meno solo nei casi espressamente previsti dalla legge, come  disposto
dal comma 1 dell'art. 1 della citata legge n. 219 del 2017. 
    L'obbligatorieta' del  vaccino  lascia  comunque  al  singolo  la
possibilita' di  scegliere  se  adempiere  o  sottrarsi  all'obbligo,
assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le  conseguenze
previste dalla legge. 
    Qualora, invece, il singolo  adempia  all'obbligo  vaccinale,  il
consenso, pur a fronte dell'obbligo, e' rivolto, proprio nel rispetto
dell'intangibilita'  della  persona,  ad  autorizzare  la   materiale
inoculazione del vaccino. 
    17.- In conclusione, le questioni di legittimita'  costituzionale
sollevate vanno dichiarate in parte manifestamente inammissibili e in
parte non fondate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara  manifestamente  inammissibili   le   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  commi   1   e   2,   del
decreto-legge  1°  aprile  2021,  n.  44  (Misure  urgenti   per   il
contenimento dell'epidemia da COVID-19, in  materia  di  vaccinazioni
anti SARS-CoV-2, di giustizia e di  concorsi  pubblici),  convertito,
con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, nella parte  in
cui prevede,  da  un  lato,  l'obbligo  vaccinale  per  il  personale
sanitario e, dall'altro lato, per effetto dell'inadempimento  stesso,
la sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie, sollevate,
in riferimento agli artt. 3, 4, 33, 34 e 97 della  Costituzione,  dal
Consiglio di giustizia amministrativa per la  Regione  Siciliana  con
l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 2, del d.l.  n.  44  del  2021,
come convertito, sollevata, in riferimento  all'art.  32  Cost.,  dal
Consiglio di giustizia amministrativa per la  Regione  Siciliana  con
l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1 della  legge  22  dicembre  2017,  n.  219
(Norme in materia di consenso informato e di disposizioni  anticipate
di trattamento), nella parte in cui non prevede l'espressa esclusione
della  sottoscrizione  del  consenso  informato  nelle   ipotesi   di
trattamenti sanitari obbligatori, e dell'art. 4 del d.l.  n.  44  del
2021, come convertito, nella parte in  cui  non  esclude  l'onere  di
sottoscrizione  del  consenso  informato  nel  caso  di  vaccinazione
obbligatoria, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 21 Cost.,  dal
Consiglio di giustizia amministrativa per la  Regione  Siciliana  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2022. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                  Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2023. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 
 
                                                            Allegato: 
                     Ordinanza letta all'udienza del 30 novembre 2022 
 
                              ORDINANZA 
 
    Visti   gli   atti   relativi   al   giudizio   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 1°  aprile
2021, n. 44 (Misure urgenti  per  il  contenimento  dell'epidemia  da
COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia  e
di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge  28
maggio 2021, n. 76, nonche' degli artt. 1  della  legge  22  dicembre
2017,  n.  219  (Norme  in  materia  di  consenso  informato   e   di
disposizioni anticipate di trattamento) e 4 del d.l. n. 44 del  2021,
come convertito, promosso dal Consiglio di  giustizia  amministrativa
per la Regione Siciliana con ordinanza del 22 marzo 2022, iscritta al
n. 38 registro ordinanze 2022 e pubblicata nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Rilevato che, nel giudizio sono intervenuti, con atti  depositati
il 16 maggio 2022, D. D.P. e altri nove, R. S. e G. V., M. A. e altri
dodici, A. C. e S. M.; con atti depositati il 17 maggio 2022, V. B. e
altri sedici, G. L. e altri quattro, L. B., M. D.M., S.  P.  e  altri
quattro, A. B., P. C.; 
    che alcuni di essi (D. D.P. e altri nove, R. S. e G. V., M. A.  e
altri dodici, A.  C.  e  S.  M.,  L.  B.),  in  quanto  esercenti  le
professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario e, pertanto,
destinatari dell'obbligo vaccinale ai sensi dell'art. 4 del  d.l.  n.
44 del 2021, come convertito, sostengono di trovarsi  nella  medesima
condizione   di   diritto   sostanziale   dell'appellante   di    cui
all'ordinanza di rimessione indicata; 
    che  altri   (M.   D.M.,   A.   B.,   P.   C.)   sono   cittadini
ultracinquantenni destinatari dell'obbligo vaccinale ex  art.  1  del
decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1 (Misure urgenti  per  fronteggiare
l'emergenza COVID-19, in particolare  nei  luoghi  di  lavoro,  nelle
scuole e negli istituti della formazione superiore), convertito,  con
modificazioni, nella legge 4 marzo 2022, n. 18, oppure (V. B. e altri
sedici, G. L. e altri  quattro,  S.  P.  e  altri  quattro)  «privati
cittadini italiani [...],  lavoratori,  medici  e  non,  over  50  (e
qualcuno prossimo), che hanno deciso di non  "vaccinarsi  covid"  per
proprie motivazioni personali», che assumono essere titolari  di  una
posizione suscettibile di restare incisa dall'esito del  giudizio  di
questa Corte. 
    Considerato che, ai sensi  dell'art.  4,  comma  3,  delle  Norme
integrative per i giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale,  nel
giudizio in via incidentale possono intervenire  «i  titolari  di  un
interesse qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio»; 
    che la partecipazione al  giudizio  incidentale  di  legittimita'
costituzionale e', infatti, circoscritta, di norma,  alle  parti  del
giudizio a quo  e  che  «non  e'  sufficiente,  al  fine  di  rendere
ammissibile l'intervento, la circostanza che il soggetto sia titolare
di interessi analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale, o che
sia parte in un giudizio analogo, ma diverso dal giudizio a quo,  sul
quale la decisione di questa Corte possa influire» (ordinanza n.  191
del 2021); 
    che, nel caso in  esame,  i  soggetti  intervenuti  nel  presente
giudizio, in quanto destinatari dell'obbligo vaccinale ex art. 4  del
d.l. n. 44 del 2021, come convertito, sono titolari di  un  interesse
meramente indiretto all'accoglimento della questione di  legittimita'
costituzionale, interesse che ancora meno e' possibile apprezzare con
riferimento ai soggetti ultracinquantenni o ai soggetti  appartenenti
a categorie professionali (non meglio precisate nei  rispettivi  atti
di intervento) diverse da quelle di cui al citato art. 4; 
    che,  pertanto,   gli   interventi   devono   essere   dichiarati
inammissibili. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibili gli interventi di D. D.P. e altri nove, R.
S. e G. V., M. A. e altri dodici, A. C.  e  S.  M.,  V.  B.  e  altri
sedici, G. L. e altri quattro, L. B., M. D.M., S.P. e altri  quattro,
A. B., P. C. 
 
                  F.to: Silvana Sciarra, Presidente