N. 33 SENTENZA 25 gennaio - 28 febbraio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza - Trattamento pensionistico della Polizia penitenziaria  -
  Calcolo della quota retributiva relativo anche al periodo anteriore
  al gennaio 2022 - Applicazione dei criteri piu' favorevoli previsti
  per il  personale  ad  ordinamento  militare,  anziche'  di  quelli
  previsti per gli impiegati civili dello Stato - Omessa previsione -
  Denunciata  disparita'  di  trattamento  -  Non  fondatezza   della
  questione. 
- Legge 15 dicembre 1990, n. 395, art. 1, comma 4. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.9 del 1-3-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Daria de PRETIS; 
Giudici :Nicolo' ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo  BUSCEMA,  Emanuela  NAVARRETTA,
  Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco DALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4,
della legge 15 dicembre  1990,  n.  395  (Ordinamento  del  Corpo  di
polizia penitenziaria),  promosso  dalla  Corte  dei  conti,  sezione
giurisdizionale per la Regione Puglia, in  composizione  monocratica,
nel procedimento vertente tra A.V.F. C. e l'Istituto nazionale  della
previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 16 marzo 2022,  iscritta
al n. 40 del registro ordinanze  2022  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 17,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2022. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'INPS,  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  24  gennaio  2023  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    uditi l'avvocato Antonella Patteri per l'INPS e l'avvocato  dello
Stato Pietro Garofoli per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 gennaio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 marzo 2022 (r. o. n. 40  del  2022),  la
Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la  Regione  Puglia,  in
composizione monocratica, ha sollevato,  in  riferimento  all'art.  3
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art.  1,  comma  4,  della  legge  15  dicembre  1990,  n.   395
(Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria), nella parte in  cui
non prevede che i criteri di calcolo del  trattamento  pensionistico,
riferito alla quota retributiva della  pensione,  previsti  dall'art.
54, commi 1 e 2, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n.  1092  (Approvazione
del testo  unico  delle  norme  sul  trattamento  di  quiescenza  dei
dipendenti civili e militari dello Stato), siano estesi in favore del
personale della Polizia penitenziaria. 
    1.1.- Il giudice rimettente premette di dover decidere il ricorso
proposto  in  data  30  gennaio  2021,  nei  confronti  dell'Istituto
nazionale della previdenza  sociale  (INPS)  e  del  Ministero  della
giustizia, da una persona dipendente del Ministero della giustizia  e
appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, cessata dal  servizio
dal 27 dicembre 2018, avente a oggetto la richiesta di riliquidazione
del trattamento  pensionistico  con  applicazione  dell'art.  54  del
d.P.R. n. 1092  del  1973  in  relazione  al  ricalcolo  della  parte
retributiva del trattamento stesso. 
    Il rimettente da' atto che nel giudizio a quo  si  e'  costituito
l'INPS, che ha chiesto di dichiarare la non fondatezza della  pretesa
in quanto  l'art.  54  del  d.P.R.  n.  1092  del  1973  non  sarebbe
applicabile al personale del disciolto Corpo degli agenti di  polizia
penitenziaria, e ha eccepito,  in  via  subordinata,  il  divieto  di
cumulo di interessi e rivalutazione. 
    Il giudice a quo riferisce che, in vista dell'udienza fissata per
il 14 dicembre 2021, il ricorrente ha presentato brevi  note  scritte
chiedendo di sollevare la questione di  legittimita'  costituzionale,
deducendo la violazione del principio di eguaglianza in ragione della
mancata applicazione della norma indicata (l'art. 54  del  d.P.R.  n.
1092 del 1973)  anche  in  favore  degli  appartenenti  alla  Polizia
penitenziaria. Successivamente, in vista dell'udienza  cartolare  del
1° marzo 2022, il ricorrente ha insistito  per  l'accoglimento  delle
conclusioni, richiamando l'art. 1, comma 101, della legge 30 dicembre
2021,  n.  234  (Bilancio  di  previsione  dello  Stato  per   l'anno
finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il  triennio  2022-2024),
nel frattempo entrata in vigore. 
    Il giudice a quo espone che il giudizio verte sulla  domanda  del
ricorrente, gia' in servizio presso il Ministero della giustizia come
agente di Polizia penitenziaria, con anzianita' di servizio utile  al
31 dicembre 1995 inferiore a 18 anni e superiore a 15 anni (17 anni e
un mese), volta al riconoscimento del diritto alla riliquidazione del
trattamento pensionistico  -  con  riferimento  alle  quote  A  e  B,
calcolate  con  il  sistema  misto  retributivo/contributivo  di  cui
all'art. 1, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma  del
sistema  pensionistico  obbligatorio  e  complementare)  -   mediante
l'applicazione della piu' favorevole aliquota di  rendimento  del  44
per cento, prevista dall'art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973. 
    1.2.- In via preliminare, il rimettente  si  sofferma  sullo  ius
superveniens, costituito dall'art. 1, comma 101, della legge  n.  234
del 2021, il quale cosi' testualmente dispone: «[a]l personale  delle
Forze di polizia ad ordinamento civile, in possesso, alla data del 31
dicembre 1995, di un'anzianita'  contributiva  inferiore  a  diciotto
anni,  effettivamente  maturati,  si  applica,  in   relazione   alla
specificita' riconosciuta ai sensi dell'articolo  19  della  legge  4
novembre 2010, n. 183, l'articolo  54  del  testo  unico  di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, ai
fini del calcolo della quota retributiva della pensione da  liquidare
con il sistema misto, con applicazione  dell'aliquota  del  2,44  per
cento per ogni anno utile». 
    Circa la portata  applicativa  di  tale  norma  sopravvenuta,  il
rimettente afferma di aderire all'interpretazione secondo cui la piu'
favorevole aliquota del 44 per cento deve ritenersi estesa  anche  al
trattamento pensionistico del personale della  Polizia  penitenziaria
andato in  quiescenza  entro  l'anno  appena  trascorso,  ma  con  il
riconoscimento della decorrenza economica solo  a  far  data  dal  1°
gennaio 2022. 
    Pertanto, con decisione parziale, la Corte rimettente ha  intanto
accolto il ricorso limitatamente al riconoscimento del  diritto  alla
rideterminazione    del    trattamento     pensionistico     mediante
l'applicazione, sulle quote dello stesso  calcolate  con  il  sistema
retributivo, dell'aliquota annua del 2,44 per cento a  decorrere  dal
rateo di gennaio 2022. 
    1.3.-  Invece,  con  riferimento  ai  ratei   a   decorrere   dal
pensionamento ed antecedenti al gennaio  2022,  la  Corte  rimettente
solleva la questione di legittimita' costituzionale,  per  violazione
dell'art. 3 Cost, dell'art. 1, comma 4, della legge n. 395 del  1990,
nella parte in cui - nel prevedere che  al  personale  del  disciolto
Corpo degli agenti di custodia (ora: Polizia penitenziaria),  facente
parte delle Forze di polizia, per quanto non  previsto  dalla  stessa
legge, si applichino, in quanto compatibili, le norme  relative  agli
impiegati civili dello Stato - non ha esteso l'applicazione dell'art.
54, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 1092 del 1973, riservata ai  militari,
anche al personale, quali i dipendenti della  Polizia  penitenziaria,
appartenente al comparto sicurezza a ordinamento civile. 
    Ad avviso del rimettente, anche a seguito dell'entrata in  vigore
dell'art. 1, comma 101, della legge  n.  234  del  2021,  permane  la
rilevanza della questione in quanto, a suo avviso, non sussiste alcun
dubbio sul carattere non retroattivo della disposizione sopravvenuta,
e  non  potendo  a  essa  attribuirsi   la   natura   di   norma   di
interpretazione autentica. Da cio', secondo il giudice a quo consegue
che, per quanto riguarda  i  ratei  fino  al  31  dicembre  2021,  il
trattamento pensionistico dei dipendenti collocati in  congedo,  come
il ricorrente, antecedentemente  al  1°  gennaio  2022,  deve  essere
calcolato secondo il regime vigente all'epoca del pensionamento. 
    Pertanto, per la determinazione del trattamento pensionistico del
ricorrente per il periodo dal 27 dicembre 2018 al 31  dicembre  2021,
secondo il giudice a quo, occorre  far  riferimento  alla  disciplina
vigente per il  personale  appartenente  al  Corpo  degli  agenti  di
polizia penitenziaria a ordinamento civile. 
    1.4.- Passando al merito delle censure,  il  rimettente  sostiene
che a seguito della riforma del sistema  pensionistico  di  cui  alla
legge n. 335 del 1995, che ha  stabilito  il  passaggio  dal  sistema
retributivo a quello contributivo di tutti i lavoratori,  pubblici  e
privati, ogni differenza tra personale militare e  civile  e'  venuta
definitivamente meno. 
    A tal riguardo, nell'ordinanza di  rimessione  si  evidenzia  che
l'art. 1, comma 13, della legge n. 335 del 1995 ha  fatto  salva,  in
regime transitorio, a favore dei dipendenti  che  alla  data  del  31
dicembre 1995 avessero maturato una anzianita' contributiva di  oltre
diciotto anni, la liquidazione della pensione  secondo  la  normativa
vigente in base al sistema retributivo,  calcolata,  quindi,  tenendo
conto della retribuzione pensionabile, dell'anzianita' contributiva e
dell'aliquota di rendimento. 
    Per i dipendenti che alla data del  31  dicembre  1995  avessero,
invece, una  anzianita'  inferiore,  come  nel  caso  di  specie,  il
trattamento pensionistico viene attribuito con il sistema  cosiddetto
misto  (retributivo/contributivo),  in  cui  le  quote  di   pensione
relative alle anzianita' acquisite prima del 31  dicembre  1995  sono
calcolate secondo il sistema retributivo  previgente,  mentre  quelle
riferite alle  anzianita'  successivamente  maturate  sono  computate
secondo il sistema contributivo; cio' ai sensi dell'art. 1, comma 12,
della legge n. 335 del 1995. 
    Quanto all'ambito  di  applicazione  soggettiva  dei  criteri  di
calcolo, previsti dall'art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973,  ai  fini
della determinazione della quota  retributiva  della  pensione,  come
reinterpretati dalla sentenza della Corte dei conti, sezioni  riunite
in sede giurisdizionale, 4 gennaio 2021,  n.  1,  il  giudice  a  quo
afferma che e' pacifica l'operativita' di tale disposizione in favore
del personale appartenente al solo comparto  militare,  ivi  compreso
quello svolgente funzioni di polizia (Arma dei  carabinieri  e  Corpo
della guardia di finanza) 
    Cio' precisato, il rimettente si sofferma sulla  disposizione  di
cui  all'art.  61  del  d.P.R.  n.  1092  del  1973,  che  ha  esteso
l'applicabilita' delle norme di cui  al  Capo  II  e,  quindi,  anche
dell'art. 54 del medesimo decreto, ad alcune categorie di personale a
ordinamento civile, ed in particolare ai Vigili del fuoco ed al Corpo
forestale, con conseguente applicazione, anche a tale personale,  dei
criteri previsti dall'art. 54 per la determinazione  della  quota  di
pensione calcolata con il criterio retributivo. 
    Inoltre, l'art. 73, comma 3, del decreto legislativo  30  ottobre
1992,  n.  443  (Ordinamento  del  personale  del  Corpo  di  polizia
penitenziaria, a norma dell'art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre
1990,  n.  395),   con   particolare   riferimento   al   trattamento
pensionistico stabilisce che «[a]l personale  proveniente  dai  ruoli
del disciolto Corpo degli agenti di custodia continua  ad  applicarsi
l'articolo 6 della legge 3  novembre  1963,  n.  1543»;  disposizione
quest'ultima  che,  nel  disciplinare  l'ammontare  del   trattamento
pensionistico dei sottoufficiali  e  degli  appuntati  dell'Arma  dei
carabinieri e  del  Corpo  della  guardia  di  finanza,  nonche'  dei
sottoufficiali e dei militari del Corpo  delle  guardie  di  pubblica
sicurezza (oggi:  Polizia  di  Stato),  del  Corpo  degli  agenti  di
custodia e del personale delle  corrispondenti  categorie  del  Corpo
nazionale dei vigili del fuoco e del  Corpo  forestale  dello  Stato,
prevedeva che la pensione  fosse  «ragguagliata,  al  compimento  del
ventesimo anno di servizio, al 44 per cento della base  pensionabile»
(comma 2 dell'art. 6 della legge 3 novembre 1963,  n.  1543,  recante
«Norme sugli organici e sul trattamento economico dei sottufficiali e
militari di truppa dell'Arma del carabinieri, del Corpo della guardia
di finanza, del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, del  Corpo
degli agenti di custodia, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco  e
del Corpo forestale dello Stato»)  e  che,  «[p]er  ciascun  anno  di
servizio  oltre  il  ventesimo  e  per  non  piu'   di   dieci   anni
successivamente compiuti, la pensione sara' aumentata  del  3,60  per
cento» (comma 3 dell'art. 6 della legge n. 1543 del 1963). 
    Osserva, poi, il rimettente che nulla e', invece, previsto per  i
dipendenti cessati dal servizio con una anzianita' inferiore a  venti
anni, per i quali occorre, dunque, far riferimento, stante il  rinvio
contenuto nella norma censurata al testo unico sugli impiegati civili
dello Stato, all'art. 44 del d.P.R. n. 1092  del  1973,  secondo  cui
«[l]a pensione spettante al  personale  civile  con  l'anzianita'  di
quindici anni di servizio effettivo e' pari al  35  per  cento  della
base pensionabile; detta percentuale e' aumentata di  1,80  per  ogni
ulteriore anno di  servizio  utile  fino  a  raggiungere  il  massimo
dell'ottanta per cento». 
    Alla luce di tale quadro normativo, il rimettente  conclude  che,
nella fattispecie  al  suo  esame,  con  riferimento  al  trattamento
pensionistico del personale appartenente alla  Polizia  penitenziaria
che alla data del 31 dicembre 1995, avesse  maturato  una  anzianita'
inferiore ai 18 anni, e' stata  fatta  applicazione  per  il  calcolo
della quota retributiva di  un  criterio  meno  favorevole,  previsto
dall'art. 44 del d.P.R. n. 1092 del 1973  per  il  personale  civile,
rispetto a quello applicabile ai militari. 
    Tale assetto normativo, ad avviso del giudice  a  quo,  determina
una  ingiustificata  lacuna  con  una  portata  discriminatoria   nei
confronti  del  personale  del  Corpo   degli   agenti   di   polizia
penitenziaria, a fronte della specialita' delle  funzioni  svolte  da
tale personale, e di mansioni molto simili  a  quelle  del  personale
delle altre  Forze  di  polizia  a  ordinamento  militare  (Arma  dei
carabinieri e Corpo della guardia di finanzia). 
    Tale  lacuna  sarebbe  stata  solo  parzialmente  colmata   dalla
disposizione di cui all'art. 1, comma 101, della  legge  n.  234  del
2021, restando escluso dal nuovo sistema di  calcolo  il  trattamento
pensionistico dal momento del pensionamento fino al 31 dicembre 2021. 
    La disposizione censurata violerebbe l'art. 3 Cost. «inteso quale
canone di ragionevolezza in virtu' del quale  devono  intendersi  non
conformi  a  Costituzione  le  scelte  legislative   che   comportino
discriminazioni intollerabili fra situazion[i] similari». 
    Vi sarebbe - secondo la Corte  rimettente  -  una  disparita'  di
trattamento in danno del personale della Polizia penitenziaria. 
    Anche se la legge n. 395  del  1990  ha  previsto  la  cosiddetta
smilitarizzazione  del  Corpo  degli  agenti   di   custodia   e   la
soppressione del ruolo delle vigilatrici penitenziarie, istituendo il
Corpo della polizia  penitenziaria,  facente  parte  delle  Forze  di
polizia a ordinamento civile, si tratta pur sempre  di  un  Corpo  al
quale la legge ha attribuito il compito di garantire  l'ordine  e  la
sicurezza all'interno degli istituti penitenziari e  delle  strutture
del  Ministero  della  giustizia  in  materia   di   osservazione   e
trattamento rieducativo dei detenuti e degli internati, traduzione  e
piantonamento dei detenuti e  degli  internati  in  luoghi  di  cura,
collaborando con l'Ufficio di sorveglianza e l'Ufficio  del  pubblico
ministero. 
    Ad avviso del rimettente, l'intervento legislativo  ha  mantenuto
ferme le  peculiarita'  del  personale  appartenente  a  tale  Corpo,
rispetto  allo  stesso  personale  civile  dipendente  dal   medesimo
Ministero della giustizia. 
    Quanto  alla   specifica   disciplina   relativa   alla   materia
pensionistica, il giudice a quo  osserva  che  il  legislatore  della
riforma del trattamento di quiescenza  dei  dipendenti  dello  Stato,
attuata con il d.P.R.  n.  1092  del  1973,  ha  previsto  un  regime
differenziato per il personale  civile  e  quello  militare,  per  la
peculiarita' delle funzioni svolte dalle  due  categorie,  che  trova
conferma   nel   diverso   sistema   di   calcolo   del   trattamento
pensionistico, all'epoca commisurato su una  percentuale  dell'ultima
retribuzione percepita (la cosiddetta  base  pensionabile),  regolato
dall'art. 44 del d.P.R. n. 1092 del 1973 per il  personale  civile  -
che prevede l'applicazione di una percentuale del 35 per cento  della
base pensionabile, aumentata di  1,80  per  ogni  ulteriore  anno  di
servizio utile fino a raggiungere l'80 per cento - e dall'art. 54 del
medesimo d.P.R. n. 1092 del  1973  per  il  personale  militare,  che
invece prevede l'applicazione di una percentuale  del  44  per  cento
della base pensionabile, aumentata del 1,80 per cento per  ogni  anno
di servizio utile oltre il ventesimo. 
    Non di meno - osserva la Corte rimettente - risulterebbe evidente
che il legislatore, ferma la distinzione tra lo stato civile e quello
militare,  avesse  chiara   l'esigenza   di   prevedere   un   regime
differenziato in  ragione  delle  funzioni  svolte  anche  per  altre
categorie di dipendenti pubblici. 
    In tal senso  deporrebbe  l'estensione  al  Corpo  nazionale  dei
vigili del fuoco e al Corpo forestale  -  operata  dall'art.  61  del
d.P.R. n. 1092 del 1973 - delle norme di cui al Capo II,  in  materia
pensionistica; estensione al personale del  comparto  sicurezza  che,
invece, non era necessaria perche' all'epoca il Corpo degli agenti di
custodia  (oggi:  Polizia  penitenziaria)  rientrava   nel   comparto
militare. 
    L'irragionevolezza di questo trattamento, risultato differenziato
dopo la smilitarizzazione del Corpo, sarebbe evidente  -  secondo  la
Corte rimettente - la' dove e' rimasta l'applicazione del regime piu'
favorevole al Corpo forestale e ai Vigili del fuoco, appartenenti  al
comparto rispettivamente del soccorso pubblico  e  della  tutela  del
patrimonio agro-forestale. 
    A tal riguardo, ad  avviso  del  rimettente,  le  funzioni  degli
appartenenti alla Polizia  penitenziaria,  pur  contenute  nel  mondo
carcerario,  debbono  senz'altro  ascriversi  alla  categoria   della
"sicurezza" al pari della Polizia di  Stato,  a  ordinamento  civile,
dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza,  a  ordinamento
militare. 
    Infine, il rimettente  si  sofferma  sulla  evoluzione  normativa
della disciplina in tema di trattamento pensionistico  che  ha  visto
estendere  al  personale  della  Polizia  penitenziaria  principi  ed
istituti riservati al  personale  militare,  ed  in  particolare:  1)
l'art. 56, comma 3, del d.lgs. n. 443 del 1992, il quale prevede  che
al personale  del  Corpo  di  polizia  penitenziaria,  ai  soli  fini
dell'acquisizione del diritto al trattamento di pensione normale,  si
applica l'art. 52  del  d.P.R.  n.  1092  del  1973,  applicabile  al
personale militare; 2) l'art. 2177 e seguenti del decreto legislativo
15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento  militare),  in  virtu'
dei quali  si  estendono  al  personale  delle  Forze  di  polizia  a
ordinamento civile e al Corpo nazionale dei vigili del  fuoco  alcune
disposizioni in tema di trattamento  previdenziale  previste  per  il
personale militare. 
    1.5.- In conclusione, il rimettente ha riconosciuto con  sentenza
parziale, a decorrere dal rateo di gennaio del 2022, il  diritto  del
ricorrente alla riliquidazione  della  pensione  con  l'applicazione,
sulle quote calcolate con il sistema retributivo, dell'aliquota annua
del 2,44 per cento con conseguente diritto agli arretrati, costituiti
dalla differenza dei ratei pregressi, maggiorati, a  decorrere  dalla
scadenza dei singoli ratei, degli  interessi  legali  e,  nei  limiti
dell'eventuale maggior  importo  differenziale,  della  rivalutazione
monetaria, calcolata anno per anno secondo gli indici ISTAT. 
    Contestualmente,  ha  sollevato  la  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 4, della legge n. 395 del 1990,  in
riferimento all'art. 3 Cost., nei  termini  indicati,  disponendo  la
sospensione  del   giudizio   con   riferimento   alla   domanda   di
riconoscimento  degli  arretrati  a  decorrere   dalla   data   della
cessazione dal servizio. 
    2.- Con atto del 16 maggio 2022, il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e' intervenuto in giudizio, chiedendo  che  la  questione  sia
dichiarata inammissibile e, comunque, nel merito non fondata. 
    In primo luogo, la difesa statale ha eccepito  l'inammissibilita'
della questione per erronea individuazione della norma censurata. 
    A tal riguardo, l'Avvocatura generale osserva che  il  rimettente
ha censurato l'art. 1, comma 4, della legge  n.  395  del  1990,  che
applica alla Polizia penitenziaria, in quanto compatibili,  le  norme
relative  agli  impiegati  civili  dello  Stato,  mentre  la  pretesa
illegittimita' costituzionale e' in realta' riferita al calcolo della
quota retributiva delle pensioni nei confronti di  coloro  che  hanno
maturato un'anzianita' contributiva al 31 dicembre 1995  inferiore  a
18 anni. Il vulnus  costituzionale  sarebbe,  invece,  riconducibile,
unicamente, alla irretroattivita' dell'art. 1, comma 101, della legge
n. 234 del 2021, che estende al personale delle Forze  di  polizia  a
ordinamento civile l'applicazione dell'art. 54 del d.P.R. n. 1092 del
1973. 
    In proposito, osserva che il comma 4 dell'art. 1 della  legge  n.
395 del 1990 si limiterebbe a statuire che al personale  appartenente
ai  ruoli  della  Polizia  penitenziaria  si  applicano,  in   quanto
compatibili, le norme relative agli  impiegati  civili  dello  Stato,
senza nulla disporre in merito al "regime pensionistico"  applicabile
a tali dipendenti e, in particolare,  ai  criteri  di  calcolo  della
quota «retributiva» della pensione a essi spettante. Ed invero,  tali
criteri di calcolo sono previsti agli artt. 44 e  54  del  d.P.R.  n.
1092 del 1973. 
    Ad avviso della difesa  statale,  il  rimettente  avrebbe  dovuto
censurare la norma previdenziale ritenuta  applicabile  (in  ipotesi,
l'art. 1, comma 101, della legge n. 234 del  2021  e  l'art.  54  del
d.P.R. n. 1092 del 1973) e non certamente  il  comma  4  dell'art.  1
della legge n. 395 del 1990. 
    Il giudice a quo sarebbe, dunque, incorso nel vizio di  aberratio
ictus che, secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  determina
l'inammissibilita' della questione per difetto di rilevanza. 
    2.1.- Nel merito, la difesa  statale  osserva  che  la  questione
sarebbe comunque da ritenersi non fondata. 
    Richiamando  alcune  pronunce  di  questa   Corte,   l'Avvocatura
generale afferma che la diversita' del trattamento previdenziale  tra
le Forze di polizia "a ordinamento civile" e  quelle  a  "ordinamento
militare"  appare  del  tutto  ragionevole  in  considerazione  delle
differenze che connotano il rapporto di impiego delle  due  categorie
di personale (sono richiamate anche la sentenza n.  170  del  2019  e
l'ordinanza n. 168 del 1995, nonche' le sentenze n. 96 del 1980 e  n.
3 del 1957). 
    Pertanto, proprio tale specificita' renderebbe non arbitraria  la
scelta del legislatore con riferimento ai criteri  di  calcolo  della
quota retributiva della pensione spettante alle due diverse categorie
di personale. 
    3.- Con atto del 16 maggio 2022, si  e'  costituito  in  giudizio
l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS),  chiedendo  che
la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata. 
    In via preliminare,  l'Istituto  ha  eccepito  l'inammissibilita'
della questione per la contraddittorieta' della impostazione data dal
rimettente alla rilevanza del quadro normativo di riferimento  e,  in
particolare, al rapporto, ai fini del decidere,  fra  l'art.  54  del
d.P.R. n. 1092 del 1973 e l'art. 1, comma 101, della legge n. 234 del
2021. 
    Nel merito, l'Istituto sottolinea che il  giudice  a  quo  -  nel
soffermarsi su aspetti che accomunano l'azione dei militari e  quella
degli agenti di custodia, evidenziando che la  Polizia  penitenziaria
e' un Corpo armato con funzione di tutela della sicurezza pubblica  -
ha pero' trascurato di  considerare  gli  aspetti  che  differenziano
l'attivita' dell'agente penitenziario da quella del militare. 
    In particolare, quanto al raffronto tra Polizia  penitenziaria  e
Vigili del fuoco ed ex Corpo forestale,  l'Istituto  osserva  che  si
tratta di scelte rimesse alla discrezionalita'  del  legislatore  dal
momento che le funzioni, le  mansioni  e  le  prerogative  dei  corpi
deputati ad assicurare i vari aspetti della  sicurezza  pubblica  non
sono affatto uguali;  il  fatto  che  la  Polizia  penitenziaria  sia
compresa nel comparto sicurezza non significa che il suo  ordinamento
debba essere identico a quello dei militari. 
    In tale verso, l'INPS osserva che i profili di  similitudine  tra
la posizione dei militari e quella degli appartenenti alle  Forze  di
polizia a ordinamento civile sono stati considerati e  specificamente
disciplinati  dal  legislatore,  come,  ad  esempio,  l'accesso  alla
pensione privilegiata, istituto che opera tanto per i militari quanto
per gli altri corpi impegnati in compiti di sicurezza. 
    Infine,  nell'atto  di  costituzione  l'Istituto  evidenzia   che
l'aliquota del  2,44  per  cento,  individuata  dalla  giurisprudenza
contabile a ventisette anni dall'entrata in vigore della legge n. 335
del 1995 e successivamente recepita nell'art.  1,  comma  101,  della
legge  n.  234  del  2021,  costituisce  un  trattamento  di  favore,
sicuramente eccezionale, insuscettibile di estensione analogica e  di
applicazione retroattiva. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (r. o. n. 40 del  2022),
la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia, in
composizione monocratica, ha sollevato,  in  riferimento  all'art.  3
Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4,
della legge n. 395 del 1990, nella parte in cui  non  prevede  che  i
criteri di calcolo del trattamento pensionistico, riferito alla quota
retributiva della pensione, previsti dall'art. 54, commi 1 e  2,  del
d.P.R. n. 1092 del 1973, siano estesi in favore del  personale  della
Polizia penitenziaria. 
    1.1.- Il giudizio a quo verte  sulla  domanda  del  ricorrente  -
agente di Polizia penitenziaria, in pensione dal  27  dicembre  2018,
con una anzianita' utile al 31 dicembre 1995 inferiore a  18  anni  e
superiore a 15 anni (17 anni e un mese) - volta al riconoscimento del
diritto  alla  riliquidazione  del  trattamento  pensionistico,   con
riferimento alle  quote  A  e  B,  calcolate  con  il  sistema  misto
retributivo/contributivo di cui all'art. 1, comma 12, della legge  n.
335 del 1995, mediante l'applicazione dell'aliquota di rendimento del
44 per cento, prevista dall'art. 54 del d.P.R. n. 1092 del  1973  per
il personale a ordinamento militare. 
    Il rimettente da' atto che nelle more del procedimento e' entrato
in vigore l'art. 1, comma 101, della legge  di  bilancio  per  l'anno
finanziario 2022, il  quale  testualmente  dispone:  «[a]l  personale
delle Forze di polizia ad ordinamento civile, in possesso, alla  data
del 31 dicembre  1995,  di  un'anzianita'  contributiva  inferiore  a
diciotto anni, effettivamente maturati, si applica, in relazione alla
specificita' riconosciuta ai sensi dell'articolo  19  della  legge  4
novembre 2010, n. 183, l'articolo  54  del  testo  unico  di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, ai
fini del calcolo della quota retributiva della pensione da  liquidare
con il sistema misto, con applicazione  dell'aliquota  del  2,44  per
cento per ogni anno utile». 
    Tale disposizione deve essere interpretata - secondo  il  giudice
rimettente - nel senso che essa stabilisce l'«estensione del  miglior
trattamento previdenziale anche al  personale  de  quibus  andato  in
pensione entro l'anno appena  trascorso,  ma  con  il  riconoscimento
della decorrenza economica solo a far data dal 1.1.2022». 
    In riferimento, invece, alla domanda volta a ottenere il  diritto
al  riconoscimento  dei  ratei  a  decorrere  dal  pensionamento   ed
antecedenti al gennaio 2022, il rimettente afferma di dover applicare
l'art. 44 del d.P.R. n. 1092 del 1973, e cio' per effetto della norma
censurata di cui all'art. 1, comma 4, della legge n.  395  del  1990,
secondo cui «[p]er tutto quanto non espressamente disciplinato  nella
presente  legge,  si  applicano,  in  quanto  compatibili,  le  norme
relative agli impiegati civili dello Stato». 
    Il citato art. 44 prevede che la pensione spettante al  personale
civile con l'anzianita' di quindici anni  di  servizio  effettivo  e'
pari al 35 per cento della base pensionabile e che detta  percentuale
e' aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a
raggiungere il massimo dell'ottanta per cento. 
    Il rimettente evidenzia, dunque, che la  disposizione  censurata,
rinviando alle norme sugli impiegati civili  dello  Stato,  e  quindi
all'art. 44  citato,  impedisce,  nella  fattispecie,  l'applicazione
della disciplina piu' favorevole prevista dall'art. 54 del d.P.R.  n.
1092 del 1973 per il personale a ordinamento militare;  disposizione,
questa, che stabilisce che la  pensione  spettante  al  militare  che
abbia maturato almeno quindici anni e  non  piu'  di  venti  anni  di
servizio utile e' pari al 44 per cento della base pensionabile e tale
percentuale e' aumentata di 1,80 per  cento  ogni  anno  di  servizio
utile oltre il ventesimo. 
    In  riferimento  a  questa  disciplina  differenziata,   per   il
personale a ordinamento civile e quello a  ordinamento  militare,  il
giudice rimettente afferma che la norma censurata contrasterebbe  con
l'art.  3  Cost.,  in  quanto  -  dovendosi  escludere   la   portata
interamente retroattiva dell'art. 1, comma 101, della  legge  n.  234
del 2021 - determina che, per  il  calcolo  della  quota  retributiva
della pensione del personale a ordinamento civile,  quale  e'  quello
appartenente alla polizia penitenziaria, dalla data del pensionamento
fino al 31 dicembre  2021,  trovi  applicazione  il  meno  favorevole
trattamento di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 1092 del 1973. 
    Ad  avviso  del  rimettente,  tale  assetto  normativo   comporta
un'ingiustificata  disparita'  di   trattamento   pensionistico   sia
rispetto alle Forze di polizia a  ordinamento  militare  (Guardia  di
finanza  e  Arma  dei  carabinieri),  sia  rispetto  al  personale  a
ordinamento civile, quale quello del Corpo dei vigili del fuoco e  di
quello  forestale,  appartenenti  al  comparto  rispettivamente   del
soccorso pubblico e della tutela del  patrimonio  agro-forestale,  ai
quali l'art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973 si  applica  per  effetto
della estensione operata  espressamente  dall'art.  61  del  medesimo
decreto. 
    2.- In via preliminare va rilevato che  il  giudice  a  quo,  nel
sollevare   la   questione   di   legittimita'   costituzionale,   ha
contestualmente riconosciuto, con sentenza parziale, il  diritto  del
ricorrente,  a  decorrere  dal  rateo  di  gennaio  del  2022,   alla
riliquidazione  della  pensione  con  l'applicazione,   sulla   quota
calcolata con il sistema retributivo, dell'aliquota  annua  del  2,44
per cento, in applicazione dell'art. 1, comma  101,  della  legge  di
bilancio 2022. 
    Invece, con riferimento al periodo precedente,  a  decorrere  dal
pensionamento del ricorrente (27 dicembre 2018) e  fino  a  tutto  il
2021,  il  rimettente  ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale   della   disposizione   censurata,   stabilendo    la
sospensione del giudizio principale, limitatamente  alla  domanda  di
riconoscimento delle differenze di trattamento pensionistico  secondo
il piu' favorevole criterio di cui all'art. 54 del d.P.R. n. 1092 del
1973. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,  non  inficia
la corretta instaurazione del giudizio di legittimita' la contestuale
adozione di una sentenza parziale (non definitiva)  e  dell'ordinanza
di rimessione della questione, sempre che rimanga ancora da decidere,
nel giudizio principale,  una  parte  dell'originario  oggetto  della
domanda o del thema decidendum e che il giudice rimettente non abbia,
in realta', deciso interamente la controversia (ex plurimis, sentenze
n. 208 del 2019, n. 86 del 2017 e n. 94 del 2009; ordinanza n. 22 del
2023). 
    Nella fattispecie e' ben chiaro  che  e'  ancora  sub  iudice  la
spettanza, o no, della riliquidazione del trattamento  pensionistico,
con applicazione della piu' favorevole aliquota prevista dall'art. 54
citato, nel periodo a decorrere dal pensionamento del ricorrente  (27
dicembre  2018)  e  fino  a  tutto  il  2021;  cio'  che  e'  tuttora
controverso tra le parti. 
    3.- Prima di affrontare il merito delle  censure,  devono  essere
esaminate le eccezioni di inammissibilita' sollevate dalle parti. 
    3.1.- La difesa dello Stato ha eccepito il difetto  di  rilevanza
della  questione  perche'  il  rimettente  sarebbe  incorso  in   una
aberratio ictus. 
    In  primo  luogo,  l'Avvocatura  generale  ha  dedotto   che   la
disposizione denunciata non sarebbe pertinente in quanto  le  censure
formulate  in  riferimento  alla  violazione  dell'art.  3  Cost.  si
riferiscono ai criteri di calcolo della base pensionabile,  i  quali,
invero, sono previsti nelle disposizioni di cui agli artt.  44  e  54
del d.P.R. n. 1092 del 1973, rispettivamente per il personale  civile
e per quello militare. 
    L'eccezione non ha fondamento. 
    E' ben vero che il rimettente, testualmente,  censura  l'art.  1,
comma 4, della legge n. 395 del 1990, che non concerne i  criteri  di
calcolo   della   base   pensionabile.   Tuttavia,   dal    complesso
motivazionale dell'ordinanza di rimessione  risulta,  con  chiarezza,
che le doglianze si indirizzano nei confronti  della  suddetta  norma
solo nella misura in cui - per effetto del  rinvio  da  essa  operato
alla disciplina relativa agli impiegati civili dello  Stato  -  rende
applicabile l'art. 44 del  d.P.R.  n.  1092  del  1973,  quanto  alla
determinazione della  base  pensionabile  al  fine  del  calcolo  del
trattamento pensionistico spettante al personale in quiescenza, e non
invece il successivo art. 54,  recante  piu'  favorevoli  criteri  di
calcolo della pensione per il personale militare. 
    Nel caso di  specie,  gli  argomenti  addotti  dal  rimettente  a
sostegno  delle  censure  sono  idonei  a  illustrarne  il  senso   e
ricostruiscono  il  quadro  normativo  di  riferimento  in  modo   da
consentire a questa Corte  lo  scrutinio  del  merito  (ex  plurimis,
sentenze n. 214 del 2022 e n. 194 del 2021). 
    3.2.-   La   difesa   dello   Stato   ha,   altresi',    eccepito
l'inammissibilita' della questione per aberratio  ictus,  perche'  il
rimettente avrebbe dovuto censurare l'art. 1, comma 101, della  legge
di bilancio 2022, sotto il profilo della portata irretroattiva  della
disposizione, sopravvenuta nel corso del giudizio principale. 
    Parimenti,  l'INPS  ha  dedotto  l'erronea  individuazione  della
disposizione  censurata,  perche'  il  rimettente,  pur  individuando
nell'art.  1,  comma  101,  della  suddetta  legge   finanziaria   la
disposizione regolatrice della fattispecie, ha  invece  censurato  la
norma che ha disposto la cosiddetta smilitarizzazione degli agenti di
custodia. 
    Anche tale eccezione non e' fondata. 
    Il giudice a quo, mostrando  di  aderire  all'orientamento  della
giurisprudenza contabile secondo cui  la  citata  disposizione  della
legge di bilancio 2022 si applica (ex nunc)  ai  ratei  pensionistici
decorrenti  dal  gennaio  del  2022  e  non  anche  per  il   periodo
precedente, consapevolmente non pone alcuna questione  sulla  portata
applicativa  non  retroattiva  dello  ius  superveniens,  della   cui
legittimita' costituzionale non dubita, e censura invece  la  mancata
previsione ab origine - ossia fin dal momento della smilitarizzazione
del  Corpo  di  polizia  penitenziaria  -  della  applicazione  della
disposizione di cui all'art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973 quanto al
criterio di calcolo della base pensionabile e  quindi  dell'ammontare
del trattamento pensionistico. 
    Cio' basta, in termini  di  plausibilita',  a  escludere  che  si
versi, anche sotto questo ulteriore profilo, in ipotesi di  aberratio
ictus. 
    3.3.- Deve essere del pari  disattesa  l'ulteriore  eccezione  di
inammissibilita' sollevata dall'INPS, sul rilievo  che  la  questione
investirebbe un ambito, quello relativo alla regolazione  di  aspetti
previdenziali degli appartenenti alle  Forze  di  polizia,  riservato
alla discrezionalita' del legislatore. 
    Il profilo evidenziato e', in realta', relativo al  merito  della
questione, anziche' alla sua ammissibilita',  poiche'  appartiene  al
confronto tra  la  disposizione  censurata  e  il  parametro  evocato
(sentenze n. 137 del 2020, n. 233 del 2019 e n. 41 del 2018). 
    3.4.- Sussiste, quindi, la rilevanza della  questione  sollevata,
la quale - essendo altresi'  sufficientemente  motivata  la  sua  non
manifesta infondatezza - e' ammissibile in rito. 
    4.- La questione sollevata dal giudice rimettente si colloca  nel
contesto dell'avvenuta smilitarizzazione della Polizia penitenziaria. 
    Sulla scia della gia' operata smilitarizzazione della Polizia  di
Stato  -  con  legge  1°  aprile  1981,  n.  121  (Nuovo  ordinamento
dell'Amministrazione della  pubblica  sicurezza),  il  cui  art.  23,
quinto comma, ha previsto che  al  personale  appartenente  ai  ruoli
dell'amministrazione della pubblica sicurezza si applicano, in quanto
compatibili, le norme relative agli impiegati civili dello Stato - la
successiva legge n. 395 del 1990 ha sciolto il Corpo degli agenti  di
custodia, sopprimendo anche il ruolo delle vigilatrici  penitenziarie
(art. 2) - al quale  si  applicava  la  legge  (e  la  giurisdizione)
militare (art. 2 del decreto legislativo  21  agosto  1945,  n.  508,
recante «Modificazioni all'ordinamento  del  Corpo  degli  agenti  di
custodia delle carceri») -  ed  ha  istituito  il  Corpo  di  polizia
penitenziaria a ordinamento civile (art. 1, comma 1). 
    In parallelismo con quanto gia' previsto per la Polizia di Stato,
il successivo comma 4 ha,  infatti,  stabilito  che  al  neoistituito
Corpo di polizia penitenziaria si applicano, in  quanto  compatibili,
le norme relative agli impiegati civili dello Stato. Il  parallelismo
risulta altresi' dall'espressa previsione che  il  Corpo  di  polizia
penitenziaria fa parte delle Forze di polizia (art. 1, comma 3). 
    Esercitando  la  delega  per   provvedere   alla   determinazione
dell'ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, da
armonizzare     alle     previsioni     dettate     per     l'assetto
retributivo-funzionale del personale  statale  civile  dei  ministeri
(art. 14 della legge n. 395 del 1990), il legislatore delegato -  nel
dettare l'ordinamento del personale di tale Corpo  di  polizia  -  ha
confermato che a esso si applicano, in quanto compatibili,  le  norme
relative agli impiegati civili dello  Stato  (art.  131  del  decreto
legislativo  30  ottobre  1992,  n.  443,  recante  «Ordinamento  del
personale del Corpo di polizia penitenziaria, a norma  dell'art.  14,
comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395»). 
    Istituito, quindi, come Corpo di polizia a ordinamento civile, la
Polizia  penitenziaria  e'   stata   incardinata   nel   Dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia. 
    Benche' la  smilitarizzazione  della  Polizia  penitenziaria  non
abbia implicato anche la contrattualizzazione del rapporto di  lavoro
(Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 24 marzo  2010,
n. 6997), si tratta pur sempre di un rapporto di lavoro a ordinamento
civile, anche se con  marcate  peculiarita'  (quanto  ad  esempio  al
rapporto gerarchico e alle mansioni), che tradiscono  la  derivazione
dal Corpo degli agenti di custodia a ordinamento militare. 
    5.-  Fatta  questa  premessa  sull'appartenenza   della   Polizia
penitenziaria al personale civile dello Stato, va ora  esaminata  nel
merito la questione, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. 
    La questione non e' fondata. 
    6.-  Va  rimarcata  innanzi  tutto  la  distinzione,  quanto   al
trattamento pensionistico, tra il personale a  ordinamento  civile  e
quello a ordinamento militare. 
    Cio'  risulta  chiaramente  dal  testo  unico  delle  norme   sul
trattamento di quiescenza dei  dipendenti  civili  e  militari  dello
Stato (d.P.R. n. 1092 del 1973), che distingue nettamente, salvo  che
nelle disposizioni generali, tra il  personale  civile  (Capo  I  del
Titolo III della Parte I) e quello militare (successivo Capo II). 
    In particolare, focalizzando l'esame  comparato  solo  su  quanto
rileva nella controversia di cui al giudizio a  quo,  diversa  e'  la
misura  del  trattamento  normale  previsto,  per  l'uno  e   l'altro
personale, rispettivamente dall'art. 44 per quello civile e dall'art.
54 per quello militare. 
    L'art. 44, primo comma, stabilisce che la pensione  spettante  al
personale civile  con  l'anzianita'  di  quindici  anni  di  servizio
effettivo e' pari al 35 per  cento  della  base  pensionabile;  detta
percentuale e' aumentata del 1,80 per cento per ogni  ulteriore  anno
di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell'80 per cento. 
    In simmetria, l'art. 54, primo e secondo comma,  prevede  che  la
pensione spettante al militare che  abbia  maturato  almeno  quindici
anni e non piu' di venti anni di servizio utile e'  pari  al  44  per
cento della base pensionabile. Tale percentuale e' aumentata del 1,80
per cento per ogni anno di servizio utile oltre il  ventesimo.  Anche
la pensione cosi' determinata non puo' superare l'80 per cento  della
base pensionabile. 
    Sotto questo profilo, il trattamento pensionistico  risulta  piu'
favorevole  per  il  personale  militare  in   ragione   della   base
pensionabile piu' elevata (44 per cento in luogo di  35  per  cento),
che  il   dipendente   ottiene   al   compimento   dell'eta'   minima
pensionabile. 
    Al personale militare viene riconosciuta, gia' al  raggiungimento
dell'anzianita' di quindici anni di servizio, la medesima percentuale
di base pensionabile che lo stesso  conseguirebbe  a  venti  anni  di
anzianita' con una sorta di fictio operante  nel  quinquennio  tra  i
quindici e i venti anni di anzianita'. 
    Il personale a ordinamento civile, invece, non si giova di cio' e
quindi, partendo da una piu' bassa percentuale di  base  pensionabile
(35 per cento) al  quindicesimo  anno  di  anzianita',  raggiunge  il
livello del 44 per cento solo al ventesimo anno. 
    C'e' poi - quale ulteriore differenziazione  -  che  nell'ipotesi
ancora  piu'  specifica  in  cui  il  militare  cessi  dal   servizio
permanente o continuativo per  raggiungimento  del  limite  di  eta',
senza aver maturato l'anzianita' di almeno quindici anni di  servizio
utile, di cui dodici di servizio effettivo,  allora  la  pensione  e'
pari al 2,20 per cento della  base  pensionabile  per  ogni  anno  di
servizio utile. 
    7.- Su questo  sistema  ha  inciso  la  riforma  dei  trattamenti
pensionistici di cui  alla  legge  n.  335  del  1995,  la  quale  in
particolare, all'art. 1, comma 12, ha previsto che per  i  lavoratori
iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6,  che  alla  data
del 31 dicembre 1995 possono far  valere  un'anzianita'  contributiva
inferiore a diciotto anni, la pensione e' determinata dalla somma: a)
della quota di  pensione  corrispondente  alle  anzianita'  acquisite
anteriormente al 31 dicembre 1995  calcolata,  con  riferimento  alla
data di decorrenza della pensione,  secondo  il  sistema  retributivo
previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta  data;
b)  della   quota   di   pensione   corrispondente   al   trattamento
pensionistico relativo alle ulteriori anzianita',  calcolato  secondo
il sistema contributivo. 
    E'  questo  il  cosiddetto  criterio  misto  che  -   in   regime
transitorio a esaurimento - vede una quota di pensione, calcolata con
il criterio retributivo, concorrere con una quota  calcolata  con  il
sistema contributivo. 
    Invece - stabilisce il comma  13  dell'art.  1  citato  -  per  i
lavoratori  gia'  iscritti  alle  forme  di  previdenza  di  cui   al
precedente comma 6 che alla data del 31  dicembre  1995  possono  far
valere  un'anzianita'  contributiva  di  almeno  diciotto  anni,   la
pensione e' interamente liquidata secondo  la  normativa  vigente  in
base al sistema retributivo. 
    Tale regola del criterio misto, applicabile nella controversia di
cui al giudizio a quo, ha in particolare inciso - stante  l'adozione,
come spartiacque temporale, della durata dell'anzianita' di  servizio
(fino a diciotto anni al 31 dicembre 1995) - proprio  sul  meccanismo
di calcolo della percentuale della base pensionabile del personale  a
ordinamento militare,  perche'  siffatta  linea  di  demarcazione  si
colloca   all'interno   dell'intervallo   (quindici/venti   anni   di
anzianita') in cui opera il  criterio  dell'art.  54.  La  fictio  di
favore per il personale militare - per cui esso,  appena  raggiungeva
l'anzianita'  di   quindici   anni,   maturava   subito   (e   quindi
anticipatamente) la  stessa  percentuale  di  base  pensionabile  che
avrebbe conseguito con venti anni di  anzianita'  (ossia  il  44  per
cento) - doveva misurarsi con la concorrente (ma sopravvenuta) regola
secondo cui il calcolo su base retributiva valeva (ex art.  1,  comma
12, della legge n.  335  del  1995)  solo  per  l'anzianita'  fino  a
diciotto anni alla data del 31 dicembre 1995, ma non anche per quella
maturata successivamente a  tale  data  (cosi'  come  e'  quella  del
ricorrente nel giudizio a quo, rimasto a lungo in servizio fino al 27
dicembre 2018) e  quindi,  in  particolare,  neppure  per  quella  da
diciotto a venti anni per colmare la forbice prevista dall'art. 54. 
    8.- In proposito, varie interpretazioni sono state prospettate in
giurisprudenza, originando  un  contrasto  che  alla  fine  e'  stato
composto dalle sezioni riunite in sede  giurisdizionale  della  Corte
dei conti (sentenza n. 1 del 2021). 
    Secondo  tale  pronuncia,  che  sul  punto  costituisce   diritto
vivente, «la "quota retributiva" della pensione da liquidarsi con  il
sistema "misto", ai sensi dell'articolo 1, comma 12, della  legge  n.
335/1995, in favore del personale militare cessato dal  servizio  con
oltre 20 anni di anzianita' utile ai fini previdenziali e che  al  31
dicembre 1995 vantava un'anzianita' ricompresa tra i 15 ed i 18 anni,
va  calcolata  tenendo  conto  dell'effettivo  numero  di   anni   di
anzianita'  maturati  al  31  dicembre  1995,  con  applicazione  del
relativo coefficiente per ogni anno utile determinato nel 2,44%». 
    In questi termini, quindi, dopo la riforma  del  1995  la  regola
dell'art. 54 del d.P.R. n. 1092  del  1973  ha  assunto  una  portata
calibrata sul concorrente criterio - quello del sistema "misto" -  di
calcolo della quota  retributiva  della  pensione  per  il  personale
militare con un'anzianita' di servizio non inferiore a diciotto anni. 
    Di questa regola, riveniente dall'art. 54 come interpretato dalla
giurisprudenza, il  giudice  rimettente  vorrebbe  fare  applicazione
anche   al   personale   di   Polizia   penitenziaria    fin    dalla
smilitarizzazione del 1990 (legge n. 395 del 1990), ossia fin dal suo
passaggio all'ordinamento civile, e ha quindi chiesto a questa Corte,
come petitum dell'ordinanza di rimessione, di estendere il  beneficio
eliminando questa differenziazione, tra personale civile e  militare,
che ritiene essere ingiustificatamente discriminatoria. 
    In questa prospettiva, il giudice rimettente ha si' registrato la
recente modifica  in  melius  (per  il  ricorrente)  del  trattamento
pensionistico in ragione dello ius superveniens in  corso  di  causa,
costituito dall'art. 1, comma 101,  della  legge  n.  234  del  2021;
disposizione questa  che  -  come  gia'  ricordato  -  ha  esteso  al
personale delle Forze di polizia a ordinamento civile (e quindi anche
a quello della Polizia penitenziaria), in possesso, alla data del  31
dicembre 1995, di un'anzianita'  contributiva  inferiore  a  diciotto
anni, effettivamente maturati, l'applicazione dell'art. 54 citato  ai
fini del calcolo della quota retributiva della pensione da  liquidare
con il sistema misto, con applicazione  dell'aliquota  del  2,44  per
cento per ogni anno utile. 
    Ma giustamente il rimettente ha ritenuto che  tale  disposizione,
entrata  in  vigore  il  1°  gennaio  2022,  trovi  applicazione  non
retroattiva,  nel  senso  che  la  riliquidazione   del   trattamento
pensionistico opera solo a partire dal rateo di gennaio 2022, la  cui
spettanza egli ha gia' riconosciuto al ricorrente  con  sentenza  non
definitiva,  contestuale  all'ordinanza  di   rimessione.   Cio'   il
rimettente  ha  fatto  senza  negare,  ne'  contestare,  che  lo  ius
superveniens non preveda anche il mancato  ricalcolo  ex  tunc  della
pensione, ossia dal giorno della sua  spettanza  (nella  specie,  dal
dicembre 2018). Pertanto, per logica inferenza  secondo  la  corretta
prospettazione  del  giudice  rimettente,  le  censure  sono  rimaste
dirette alla norma  sulla  smilitarizzazione  del  Corpo,  la  quale,
secondo  il  medesimo  rimettente,  avrebbe  dovuto  far  salva,  fin
dall'inizio  (1990),  l'applicazione   dell'art.   54   citato   come
trattamento di miglior favore. 
    9.- Vi e', in vero, una riconosciuta specificita' del ruolo delle
Forze di polizia (art. 19  della  legge  4  novembre  2010,  n.  183,
recante «Deleghe  al  Governo  in  materia  di  lavori  usuranti,  di
riorganizzazione di enti, di  congedi,  aspettative  e  permessi,  di
ammortizzatori  sociali,  di  servizi  per  l'impiego,  di  incentivi
all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'
misure contro il lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro
pubblico e di controversie di lavoro»),  in  ragione  dei  «peculiari
requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in
attivita' usuranti»; e cio' vale anche per la Polizia  penitenziaria,
che, come detto, fa parte delle Forze di polizia (art.  1,  comma  3,
della legge n. 395 del 1990). 
    Questa riconosciuta specialita' ha comportato, ad esempio, che  a
tutto il personale appartenente al comparto sicurezza, difesa, vigili
del fuoco e soccorso pubblico  sono  stati  conservati  gli  istituti
dell'accertamento  della  dipendenza  dell'infermita'  da  causa   di
servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di  servizio,
dell'equo indennizzo  e  della  pensione  privilegiata  (art.  6  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Disposizioni  urgenti
per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei  conti  pubblici»,
convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214).
In tal modo, cosi' delimitata  la  platea  dei  beneficiari  di  tali
trattamenti previdenziali, rispetto  alla  originaria  inclusione  di
dipendenti statali e di quelli militari (articoli  da  64  a  67  del
d.P.R. n. 1092 del 1973), si e' creata una  disciplina  differenziata
di favore, anche per il «comparto sicurezza», senza che  la  generale
esclusione  del  personale  a  ordinamento  civile  ridondasse  -  ha
ritenuto questa Corte (sentenza n. 20 del 2018) - in  violazione  del
principio di eguaglianza. 
    Ma  anche  altri  punti  di  convergenza   di   discipline   sono
rinvenibili nell'ordinamento. 
    Pur maggiormente risalente,  vi  e'  la  speciale  rilevanza  del
personale del servizio antincendi  e  del  Corpo  forestale,  che  ha
giustificato  la  conservazione  di  istituti  del   trattamento   di
quiescenza dei dipendenti militari dello Stato (art. 61 del d.P.R. n.
1092 del 1973). 
    Del resto, per lo stesso personale della  Polizia  penitenziaria,
nella fase di transizione per  effetto  della  smilitarizzazione,  si
sono  previste  disposizioni  speciali  in  materia  di   trattamento
pensionistico (artt. 56 e 73 del d.lgs. n. 443 del 1992). 
    Inoltre, nel codice dell'ordinamento  militare  sono  state  rese
applicabili al personale delle Forze di polizia a ordinamento  civile
specifiche disposizioni previdenziali per le invalidita' di  servizio
(artt. 2177 e seguenti del d.lgs. n. 66 del 2010). 
    Piu' recentemente, come gia' ricordato, la legge di  bilancio  di
previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2022  ha  esteso  al
personale delle Forze di polizia a ordinamento civile, e quindi anche
a quello della Polizia penitenziaria,  la  particolare  modalita'  di
calcolo della quota retributiva riconosciuta, in via transitoria e  a
esaurimento, al  personale  a  ordinamento  militare  che  possa  far
valere, alla data del 31 dicembre  1995,  un'anzianita'  contributiva
inferiore a diciotto anni. 
    In definitiva, il legislatore ha  operato,  nell'esercizio  della
sua ampia discrezionalita' in materia (ex plurimis, sentenza  n.  250
del 2017), mirati ed espliciti allineamenti di disciplina  senza  che
per cio' venga meno la generale non  comparabilita'  del  trattamento
pensionistico  del  personale  a  ordinamento  civile  con  quello  a
ordinamento militare. 
    10.- In un piu' generale contesto in cui compete al  legislatore,
nel   preminente    rispetto    dei    diritti    fondamentali,    la
razionalizzazione dei sistemi previdenziali, operazione  quest'ultima
che postula valutazioni e bilanciamenti di interessi contrapposti (ex
plurimis, sentenza n. 202 del 2008 e, da ultimo, sentenza n. 214  del
2022), le posizioni del personale a ordinamento  civile  e  quello  a
ordinamento militare non  sono  comparabili  quanto  al  criterio  di
calcolo della base pensionabile nel sistema "misto" della  richiamata
riforma del 1995. 
    In particolare, con la recente sentenza n. 270  del  2022  questa
Corte ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimita'
costituzionale - sollevata  peraltro  dallo  stesso  odierno  giudice
rimettente in riferimento alla dedotta violazione dell'art. 3 Cost. -
degli artt. 13 e 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973, nella parte  in  cui
non prevedono, e  dunque  non  consentono,  l'applicazione  anche  ai
funzionari della Polizia  di  Stato  del  computo  gratuito  ai  fini
pensionistici degli  anni  di  durata  legale  del  corso  di  laurea
richiesto per l'accesso alle rispettive carriere; beneficio  previsto
invece per gli ufficiali dei Corpi militari dello  Stato  e,  dunque,
anche per quelli dell'Arma dei carabinieri. 
    Segnatamente, questa Corte ha affermato che, pur in  presenza  di
interventi  legislativi  volti   a   un   allineamento   del   regime
ordinamentale del personale appartenente al comparto  sicurezza,  non
puo'  essere  configurato  nell'ordinamento  un  principio  di  piena
omogeneita' di regolazione fra personale militare e personale  civile
del comparto di pubblica sicurezza e ha evidenziato  che  «persist[e]
la strutturale diversita'  tra  i  rispettivi  status  che  determina
differenti soluzioni sul piano normativo e che e'  all'origine  della
dicotomia nelle discipline previdenziali fra impiego civile e impiego
militare presente nel d.P.R. n. 1092 del 1973». 
    Con tale pronuncia la Corte  ha  dato  continuita'  alla  propria
giurisprudenza, gia' affermata con l'ordinanza n. 168 del 1995, nella
quale «si e' ritenuto che il  legislatore,  nello  stabilire  per  il
personale civile dello Stato, a differenza che per  quello  militare,
l'onerosita'  del  riscatto,  avesse  correttamente  esercitato  tale
discrezionalita', in relazione alle peculiarita' proprie dell'impiego
militare rispetto a quello civile» (in senso conforme, in precedenza,
vedi anche l'ordinanza n. 847 del 1988). 
    La  specificita'  dell'ordinamento  militare  e'  stata  altresi'
sottolineata da questa Corte (sentenza n. 120  del  2018)  anche  con
riferimento  alla  esclusione  di  «forme  associative  ritenute  non
rispondenti alle conseguenti esigenze di compattezza ed unita'  degli
organismi che tale ordinamento compongono», riconoscendo pero' che  i
militari possono costituire associazioni  professionali  a  carattere
sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; ma  non
possono aderire ad altre associazioni sindacali. 
    11.- In conclusione, non vi e', nella fattispecie, una disciplina
discriminatoria, come si assume nell'ordinanza di rimessione. 
    Il piu' favorevole trattamento riservato al personale militare  -
quanto al calcolo della quota retributiva della pensione nel  sistema
cosiddetto  misto  della  riforma  del  1995,  come  risultante   dal
combinato disposto dell'art.  54  del  d.P.R.  n.  1092  del  1973  e
dell'art.   1,   comma   12,   della   legge   n.   335   del   1995,
nell'interpretazione  accolta  dalla  citata   giurisprudenza   delle
sezioni riunite della Corte dei conti - non puo' assurgere a  tertium
comparationis,  idoneo  a  implicare,  sul  piano  della  conformita'
all'art. 3 Cost.,  la  necessaria  estensione  fin  dall'epoca  della
smilitarizzazione (e quindi ex tunc) di tale  normativa  speciale  al
personale della Polizia penitenziaria. 
    Si ha, quindi,  che  questa  differenziazione,  riconducibile  al
generale diverso regime  pensionistico  del  personale  civile  e  di
quello militare, non lede il principio  di  eguaglianza  si'  che  la
sollevata questione di legittimita' costituzionale va dichiarata  non
fondata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art.  1,  comma  4,  della  legge  15  dicembre  1990,  n.   395
(Ordinamento del  Corpo  di  polizia  penitenziaria),  sollevata,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione,  dalla  Corte  dei  conti,
sezione  giurisdizionale  per  la  Regione  Puglia,  in  composizione
monocratica, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2023. 
 
                                F.to: 
                     Daria de PRETIS, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2023. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA