N. 73 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 2023

Ordinanza del 28 aprile 2023 del Tribunale di Monza nel  procedimento
penale a carico di D.G. D.. 
 
Reati e pene - Reato di lesioni  personali  stradali  gravi,  di  cui
  all'art. 590-bis, primo comma, del codice penale,  aggravate  dalla
  fuga del conducente -  Previsione  che  la  pena  non  puo'  essere
  inferiore a tre anni. 
- Codice penale, art. 590-ter, introdotto dall'art. 1, comma 2, della
  legge 23 marzo 2016, n. 41. 
(GU n.23 del 7-6-2023 )
 
                        IL TRIBUNALE DI MONZA 
                           Sezione penale 
 
    Il Giudice, 
    Visti gli atti del procedimento n. 11887/19 R.G.N.R. e n. 3500/21
R.G. DIB. a carico di: 
        D. G. D., nato a ... il ... , con domicilio eletto presso  lo
studio del difensore (cfr. verbale di udienza del 27  gennaio  2023);
difeso d'ufficio dall'avv.  Raffaella  Vercesi  del  foro  di  Monza,
imputato del reato p. e p. all'art. 81 cpv, 590-bis comma 1 e 590-ter
codice penale in relazione all'art. 583, comma  1,  n.  1  del  c.p.,
perche', con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno  criminoso,
alla guida del veicolo  VW  Polo  targata  ...,  in  ...,  giunto  in
prossimita' dell'incrocio tra via ... e via  ...,  in  corrispondenza
dell'attraversamento pedonale rialzato, investiva  il  pedone  M.  A.
impegnata  nell'attraversamento  del   predetto   incrocio,   dandosi
successivamente alla fuga senza prestare l'assistenza occorrente alla
p.o., alla  quale  aveva  cagionato  lesioni  personali  gravi  quali
«frattura malleoloperoneale ds +  contusioni  multiple»  dalle  quali
derivava una malattia  giudicata  guaribile  in  un  tempo  superiore
ai quaranta giorni. 
    Con l'aggravante di  aver  cagionato  delle  lesioni  da  cui  e'
derivata un'incapacita' di attendere alle ordinarie  occupazioni  per
un tempo superiore ai quaranta giorni. 
    Con l'aggravante, in qualita' di conducente, di essersi dato alla
fuga. 
    In ... il ... 
Parte civile 
    M. A. , nata a ... il ... , domiciliata ex lege presso lo  studio
dell'avv. Davide Minasoli del Foro di Monza,  che  la  rappresenta  e
difende. 
    Letta  la  memoria  ex  art.  121  codice  di  procedura   penale
depositata della difesa all'esito  della  discussione  finale  svolta
all'udienza del 24 febbraio 2023, con la  quale  e'  stata  sollevata
l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 590-ter  c.p.,
in  relazione  all'art.  590-bis  c.p.,   ove   sono   riportate   le
argomentazioni contenute  nell'ordinanza  di  rimessione  alla  Corte
costituzionale  pronunciata  dal  Tribunale  di  Milano,  sezione  XI
penale, Giudice dott.ssa Lorella Trovato, in data 22  settembre  2022
in relazione agli articoli 590-bis e 590-ter c.p.; 
    Considerato  che  l'art.  590-bis  codice  penale   prevede   che
«chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale» e' punito
«con la reclusione da tre mesi a un anno» per le lesioni gravi e  che
l'art. 590-ter codice penale dispone che «[n]el caso di cui  all'art.
590-bis, se il conducente si da' alla fuga, la pena e'  aumentata  da
un terzo a due terzi e comunque  non  puo'  essere  inferiore  a  tre
anni»; 
    Osservato ancora che l'art. 590-quater codice  penale  impedisce,
nella sua attuale formulazione, il  bilanciamento  delle  circostanze
aggravanti (segnatamente - e per quanto qui  di  interesse  -  quella
prevista dall'art. 590-ter c.p.) con circostanze  attenuanti  diverse
da quelle di cui agli articoli 98 e 114 c.p., atteso  che  le  stesse
«non possono essere ritenute equivalenti  o  prevalenti  [...]  e  le
diminuzioni si operano sulla quantita' di pena determinata  ai  sensi
delle predette circostanze aggravanti»; 
    Ritenuto pertanto che, in considerazione del  combinato  disposto
delle  norme  sopra  citate,  la  sanzione  astrattamente  irrogabile
all'imputato, nel caso di condanna, e'  determinata  dal  legislatore
nella  misura  fissa  di  anni  tre  di  reclusione,   senza   alcuna
possibilita' di dosimetria giudiziale; 
    Considerato che l'eccezione non appare  manifestamente  infondata
in relazione agli articoli 3 e 27, comma I-III  Cost.  e  che  appare
rilevante per la decisione del presente processo; 
 
                               Osserva 
 
1. La non manifesta infondatezza della questione. 
    Il reato di cui all'art. 590-bis, comma 1,  codice  penale  (che,
come anzidetto, prevede per le lesioni gravi la pena della reclusione
da un minimo di tre mesi a un massimo di un anno) e'  qui  contestato
nella sua forma aggravata ex art. 590-ter  c.p.,  norma  che  prevede
l'aumento della pena dell'art. 590-bis, comma 1, codice penale da  un
terzo  a  due  terzi.   Pertanto,   l'applicazione   della   suddetta
circostanza comporterebbe, sul piano  astratto,  l'individuazione  di
una cornice  edittale  per  la  fattispecie  aggravata  compresa  tra
quattro mesi di reclusione nel minimo (aumento di un terzo) a un anno
e otto mesi  di  reclusione  nel  massimo  (aumento  di  due  terzi).
Senonche', l'inciso «e comunque non puo' essere inferiore a tre anni»
previsto dall'art. 590-ter  codice  penale  ha  quale  unico  «sbocco
sanzionatorio» la pena di tre anni di reclusione. La «pena fissa»  di
tre anni prevista dal legislatore e' dunque di molto  superiore  alla
sanzione che dovrebbe irrogarsi in base agli aumenti stabiliti  nella
prima parte della medesima norma e,  per  quanto  qui  interessa,  e'
insuscettibile di modulazione. 
    Orbene,  ritiene  il   decidente   che   nel   caso   di   specie
l'impossibilita' di adeguare la pena tra un minimo e un  massimo,  in
luogo  della  pena  fissa  derivante  dal  combinato  disposto  degli
articoli 590-bis codice penale e 590-ter codice  penale  si  pone  in
aperto contrasto con il principio di uguaglianza ex art.  3  Cost.  e
con  il  principio  di  ragionevolezza  della   pena,   in   funzione
rieducativa, declinato dall'art. 27, comma I - III, Cost. 
    In sintesi  -  e  qui  premettendo  le  censure  del  trattamento
sanzionatorio che ci si accinge nel prosieguo a meglio  articolare  -
vale anzitutto osservare che la pena prevista dal legislatore punisce
in modo identico fatti di disvalore diverso. Ne e' la  prova  che  il
medesimo art. 590-bis codice penale prevede, per le lesioni  stradali
gravissime (giocoforza «piu' gravi di quelle gravi»)  la  pena  della
reclusione da un minimo di un anno a un  massimo  di  tre  anni.  Per
effetto dell'aggravante della fuga del conducente, essa e'  aumentata
«da un terzo a due terzi» (vale a dire da un  minimo  di  un  anno  e
quattro mesi a un massimo di anni cinque di reclusione), ma la  pena,
comunque, «non puo' essere inferiore a tre anni». La pena minima  per
le  lesioni  stradali  aggravate  dalla  fuga,  siano  esse  gravi  o
gravissime, nell'attuale contesto normativo  viene  dunque  sempre  a
coincidere con gli anni tre di reclusione.  Inoltre,  mentre  per  la
fattispecie di maggiore disvalore il legislatore prevede comunque  la
cornice edittale tra un minimo (di tre anni) e un massimo (di  cinque
anni), cosi' consentendo al giudice di  merito  di  differenziare  la
sanzione per fatti diversi, anche solo valorizzando  il  grado  della
colpa o la personalita' del reo,  cio'  non  e'  contemplato  per  la
fattispecie, di minor disvalore, delle lesioni gravi. 
    A tale rilievo - involgente in  prima  battuta  il  principio  di
uguaglianza - si  somma  l'evidente  irrazionalita'  del  trattamento
sanzionatorio - minimo e massimo sempre pari a tre anni di reclusione
- in quanto la pena fissa prevista dalla legge impedisce  al  giudice
di parametrare la sanzione al caso concreto. Non puo' infatti tacersi
che, sul piano prettamente fenomenico, le lesioni personali sono  una
fattispecie  dogmaticamente  e  naturalisticamente  di  «evento».   A
prescindere dalla durata  della  malattia  che  ne  transustanzia  la
specie, esse possono essere causate dal reo  con  le  modalita'  piu'
disparate: si pensi alla quantita', qualita' o tipologia delle regole
cautelari violate o al grado della  colpa  (sicche',  gia'  solo  per
questo  motivo,  la  pena  fissa  di  tre  anni  non  sarebbe  dunque
«proporzionata   rispetto   all'intera   gamma    di    comportamenti
riconducibili allo specifico tipo di reato»,  cosi'  Corte  cost.,  2
aprile 1980, n. 50). Ma anche le condizioni personali del reo,  quali
l'eta' o i suoi precedenti giudiziari, resterebbero  -  per  le  sole
lesioni gravi (ma  inspiegabilmente  non  per  quelle  gravissime)  -
insuscettibili di qualsivoglia considerazione. 
    Non  ignora  questo  giudice  che,  in  linea  generale,  non  e'
sindacabile dalla Corte il trattamento  sanzionatorio  «astratto»  di
una data fattispecie, essendo la «scelta punitiva» espressione  della
sovranita' popolare esercitata dal Parlamento su mandato  elettorale.
Sindacato  che,  invece,  diventa  doveroso  laddove  esso   miri   a
riconciliare la sanzione con le disposizioni della Carta fondamentale
poste a presidio tanto del principio di  uguaglianza  (fatti  diversi
devono essere trattati in modo diverso; fatti uguali in modo uguale),
tanto  della  funzione  della  pena  (la  quale  deve  tendere   alla
rieducazione del condannato, che e' appunto chiamato a sopportare  un
patimento correttivo purche' proporzionato alle sua responsabilita' e
purche' egli ne abbia sempre a trarre un bene maggiore rispetto  alla
sofferenza  patita  -  nunquam  medicina  subtrahit  maius  bonum  ut
promoveat minus bonum). 
    In  effetti,  come  anche  affermato  da  codesta  Corte  con  la
pronuncia  13  luglio   2017,   n.   179,   «la   traiettoria   della
giurisprudenza costituzionale in materia di pena si dispiega tra  due
poli, in costante tensione fra loro: da un lato, il  dovuto  riguardo
alle scelte politiche, quale componente necessaria del  principio  di
legalita';  dall'altro,  la  indefettibile  tutela  degli   ulteriori
principi e diritti costituzionali, a cui deve  conformarsi  anche  il
legislatore della punizione. Preservare l'armonia tra i  due  livelli
di legalita' - ordinaria e costituzionale - e'  compito  del  giudice
delle leggi in ogni  settore  dell'ordinamento  e  nei  confronti  di
qualsiasi illegittimo esercizio del potere legislativo»,  e  tale  e'
quando   esso   «trasmodi   nella   manifesta   irragionevolezza    o
nell'arbitrio»   o   determini   «un'alterazione   degli    equilibri
costituzionalmente imposti dalla responsabilita' penale» (cosi' anche
Corte costituzionale, 5 novembre 2012, n. 251). 
    E  tornando  al  cuore  della  presente  questione,  ritiene   il
decidente che le forme di automatismo sanzionatorio - per la  ragione
che da una fattispecie-presupposto (la condanna  per  un  determinato
reato) il legislatore ne fa meccanicamente discendere una conseguenza
giuridica insuscettibile di qualsivoglia modulazione  (l'irrogazione,
appunto, di una sanzione invariabile) - impediscano di parametrare la
punizione  all'evento   concreto   e   al   grado   di   colpevolezza
dell'imputato. 
    Affinche',  dunque,  la  funzione  rieducativa   assegnata   alla
sanzione sia perseguita gia' nel costrutto generale e astratto (e non
relegata alla sola fase esecutiva), lo strumento funzionale non  puo'
essere  altro  che  la  «mobilita'»  della  pena,  vale  a  dire   la
(pre)determinazione  fra  una  soglia  minima  e  un  tetto  massimo.
Inoltre,  come  e'  stato  osservato,  il   piu'   ampio   genus   di
individualizzazione della pena ricomprende la species di  adeguamento
della  risposta  punitiva  ai  casi  concreti,  e  tale   trattamento
contribuisce  a  rendere   quanto   piu'   possibile   personale   la
responsabilita' penale nella prospettiva segnata dall'art. 27,  comma
I, Cost., e nello stesso  tempo  si  pone  quale  strumento  per  una
determinazione della pena quanto piu'  possibile  «finalizzata»  agli
scopi perseguiti dall'art. 27, comma III, Cost. 
    Proprio in tema di «pene fisse», la Corte  e'  intervenuta  anche
recentemente con la sentenza additiva del 5 dicembre  2018,  n.  222,
ove ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.  216  del
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (L.F.) nella parte in cui prevede
le pene  accessorie  dell'inabilitazione  all'esercizio  dell'impresa
commerciale e dell'incapacita' a esercitare uffici  direttivi  presso
qualsiasi impresa per la durata di dieci anni anziche' «fino a  dieci
anni». Cio' proprio sul rilievo che la rigida applicazione di  quella
pena accessoria determina «risposte sanzionatorie sproporzionate  per
eccesso [...] e  appaia  comunque  distonica  rispetto  al  principio
dell'individualizzazione del trattamento sanzionatorio». La  sentenza
appena  menzionata   esamina   ampiamente   la   specificita'   della
valutazione di compatibilita' con il divieto di pene  sproporzionate,
allorche' essa abbia a  oggetto  pene  fisse,  ossia  quelle  che  il
giudice sia vincolato ad applicare in una misura  predeterminata  dal
legislatore senza possibilita'  di  discostarsi  da  esse.  Il  fine,
dunque,  e'  restituire  discrezionalita'  al  giudice   di   merito,
affinche' gli sia consentito di modulare la pena  in  relazione  alla
concreta gravita' del caso di specie. 
    E proprio  con  riguardo  alla  proporzionalita'  della  pena  in
concreto (tralasciando il nuovo terreno solcato dalla Corte in merito
al sindacato di «sproporzione in astratto»,  ove  e'  stato  finanche
abbandonato il requisito del c.d. tertium comparationis - cfr.  Corte
cost., 10 novembre 2016, n. 236), la Corte costituzionale  ha  sempre
censurato  i   trattamenti   sanzionatori   «rigidi»,   dichiarandone
l'incompatibilita'  con  la  Carta  fondamentale:  per  tutti,  valga
l'esempio del tormentato art. 69 codice penale circa  il  divieto  di
prevalenza di una  serie  di  circostanze  attenuanti  rispetto  alla
recidiva qualificata ex art. 99, comma 4, c.p.; cio' proprio  perche'
tale divieto impedisce l'adeguamento della risposta sanzionatoria  al
disvalore  concreto  dei  fatti  e,  appare,   in   ultima   analisi,
irragionevole (cfr. tra le tante, sentenza  n.  251  del  5  novembre
2012, con riferimento all'attenuante di cui  all'art.  73,  comma  5,
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309  nella
formulazione previgente; sentenza n.  105  del  18  aprile  2014,  in
relazione all'attenuante di cui all'art. 648, comma 2, c.p.; sentenza
n. 106 del 18 aprile 2014,  con  riferimento  all'attenuante  di  cui
all'art. 609-bis, comma 3, c.p.; sentenza n. 205 del 17 luglio  2017,
in relazione all'attenuante di cui all'art. 219, comma 3, L.F.). 
    Orbene, sulla scorta di tali coordinate  interpretative,  ritiene
il rimettente che, nel caso di specie, non possa  ritenersi  conforme
ai parametri costituzionali sopra invocati la sanzione fissa  di  tre
anni di  reclusione  prevista  per  le  lesioni  stradali  gravi  con
l'aggravante della fuga, senza alcuna possibilita' di modulazione. E'
agevole  infatti  osservare  che  a   fronte   di   una   fattispecie
omogeneamente   aggravata   dall'elemento   della   fuga   (dovendosi
considerare che si tratta pur sempre di una pena detentiva base,  non
altrimenti modulabile, che ricomprende  tanto  le  lesioni  personali
colpose, quanto la condotta di fuga), residua pur sempre un  elemento
di disomogeneita', dal momento che il  limite  minimo  e  massimo  e'
comunque  pari  a  tre  anni,  a  prescindere  dalle  piu'  disparate
modalita' di manifestazione concreta del reato. 
    La discrezionalita' giurisdizionale nella dosimetria della  pena,
come si vedra' a breve, e' poi pregiudicata nel caso di specie  anche
in sede di  computo  delle  circostanze,  in  considerazione  che  la
fattispecie di cui  all'art.  590-ter  codice  penale  e'  richiamata
dall'art.  590  quater  codice  penale  a  mente  del  quale  non  e'
consentito  il  giudizio  di  equivalenza  o  di  prevalenza  tra  le
circostanze attenuanti  (diverse  dagli  articoli  98  e  114  c.p.),
impedendo cosi' al decidente di paralizzarne  l'effetto  mediante  il
riconoscimento  di   circostanze   attenuanti   diverse   da   quelle
nominativamente indicate dall'art. 590-quater c.p. 
    Sicche', solo l'eventuale  dichiarazione  di  incostituzionalita'
dell'art. 590-ter codice penale nella parte in cui prevede che, anche
per le lesioni stradali colpose  gravi,  la  pena  «non  puo'  essere
inferiore a tre anni», consentirebbe il superamento della  staticita'
della risposta sanzionatoria; dall'altro consentirebbe la modulazione
della pena in relazione alla concreta gravita' del fatto,  secondo  i
parametri discrezionali previsti dall'art. 133 c.p. 
2. La rilevanza della questione nel giudizio di merito. 
    Oltre a non apparire manifestamente infondata,  la  questione  di
legittimita'   costituzionale   cosi'   prospettata   risulta   anche
indubbiamente  rilevante  nella  decisione  del  giudizio  di  merito
demandato alla cognizione di questo Tribunale. 
    Il procedimento incardinato innanzi al  rimettente  vede  infatti
imputato un soggetto accusato di avere cagionato, per colpa,  lesioni
personali gravi con violazione delle  norme  sulla  disciplina  della
circolazione stradale. All'imputato  e'  stato  anche  contestato  di
essersi  dato  immediatamente  alla  fuga,  senza   prestare   alcuna
assistenza alla persona  rimasta  a  terra  ferita.  Dall'istruttoria
dibattimentale, ormai giunta  alla  conclusione,  sono  emersi  gravi
indizi di colpevolezza in merito alla sussistenza del fatto di  reato
- ossia l'evento di lesioni gravi ai danni della persona  offesa  che
si   accingeva   a   percorrere    la    carreggiata    sull'apposito
attraversamento pedonale e la conseguente fuga  dell'automobilista  -
vertendo  unicamente   l'accertamento   giudiziale   sulla   corretta
identificazione del conducente del veicolo che, per certo,  si  diede
alla fuga, segmento dell'imputazione sul quale  sussistono  parimenti
gravi indizi di reita'. Pacifica e' pertanto la coincidenza del fatto
accertato in dibattimento con  la  fattispecie  astratta  punita  dal
combinato disposto degli articoli 590-bis  codice  penale  e  590-ter
c.p. 
    Nel corso del processo non sono poi emerse ipotesi  rilevanti  ai
sensi degli articoli 98 e 114 c.p., sicche', stante  il  disposto  di
cui  all'art.  590-quater   c.p.,   l'eventuale   riconoscimento   di
circostanze  attenuanti  diverse  da  quelle   sopra   indicate   non
consentirebbe comunque di sterilizzare gli  effetti  del  trattamento
sanzionatorio previsto dalla norma  che  qui  si  censura,  dovendosi
infatti le eventuali diminuzioni di pena calcolarsi pur sempre  sulla
«pena base» di anni  tre  di  reclusione,  sanzione  che  si  predica
ipotecata di incostituzionalita'. 
    Non vi sono poi ragioni per ritenere, quantomeno allo stato,  che
il processo non approdi alla fase decisionale: agli  atti  vi  e'  la
querela con espressa richiesta di punizione formulata  dalla  persona
offesa ed e' stato ormai superato il termine previsto dall'art.  555,
comma 4, c.p.p., sicche' e' precluso l'accesso alla  sospensione  del
procedimento con messa alla prova, unico  rito  tale  da  scongiurare
l'applicazione della sanzione. 
    Il rischio, dunque, e' che l'imputato sia  condannato  ovvero  in
ogni caso subisca «effetti penali» in base a una norma incriminatrice
affetta dai plurimi profili di  illegittimita'  costituzionale  sopra
delineati. 
3. I precetti costituzionali violati. 
    Le considerazioni  sin  qui  svolte  consentono,  ad  avviso  del
rimettente, di affermare conclusivamente che  l'art.  590-ter  codice
penale - nella parte in cui  prevede  che  la  pena  per  le  lesioni
personali colpose gravi con violazione delle norme  sulla  disciplina
della circolazione stradale «non puo' essere inferiore a tre anni»  -
si pone irrimediabilmente in contrasto con gli articoli 3 e 27, comma
I - III, Cost. 
    L'invocata pronuncia della Corte costituzionale  -  perfettamente
coerente con i poteri del giudice delle leggi nel quadro dei principi
costituzionali,  risolvendosi  in  intervento  in  bonam  partem,  di
espunzione dal  sistema  di  un  frammento  di  norma  incriminatrice
parzialmente illegittima - si declina quale unico rimedio ai vizi  di
illegittimita' dinanzi esposti, con cio' ripristinando  la  legalita'
costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23, legge n. 87/1953, 
    ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, 
    Sottopone   all'ecc.ma   Corte   costituzionale   questione    di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  590-ter  del  codice  penale
introdotto dall'art. 1 della legge 23 marzo 2016, n. 41, in relazione
agli articoli 3 e 27 della Costituzione, nella parte in  cui  prevede
che per le lesioni colpose gravi con  violazione  delle  norme  sulla
disciplina della circolazione stradale  previste  dall'art.  590-bis,
comma 1, c.p., aggravate dalla fuga del conducente, la pena «non puo'
essere inferiore a tre anni». 
    Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Visto l'art. 159, comma 1, n. 2) del codice penale. 
    Sospende il corso della prescrizione. 
    Dispone che la presente ordinanza sia  notificata  al  Presidente
del Consiglio dei ministri  e  sia  comunicata  ai  presidenti  delle
camere del Parlamento. 
    Ordinanza letta in udienza alla presenza delle parti. 
        Monza, 28 aprile 2023 
 
                        Il Giudice: Polastri