N. 201 SENTENZA 25 ottobre - 9 novembre 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Concorso di circostanze  -  Circostanza  attenuante  a
  favore  di  chi,  nell'associazione  finalizzata  al  traffico   di
  sostanze  stupefacenti,  si   sia   efficacemente   adoperato   per
  assicurare le prove del  reato  o  per  sottrarre  all'associazione
  risorse decisive per la commissione dei delitti (art. 74, comma  7,
  d.P.R. n. 309 del  1990)  -  Possibile  prevalenza  sulla  recidiva
  reiterata (art. 99, quarto comma, cod. pen.) - Divieto - Intrinseca
  ragionevolezza - Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- Codice penale, art. 69, quarto comma. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. 
(GU n.46 del 15-11-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Augusto Antonio BARBERA; 
Giudici  :Franco  MODUGNO,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni   AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,
  Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI
  GRIFFI, Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 69,  quarto
comma,  del  codice  penale,  promosso   dal   Giudice   dell'udienza
preliminare del  Tribunale  ordinario  di  Napoli,  nel  procedimento
penale a carico di E. D'A. e altri, con  ordinanza  del  16  dicembre
2022 iscritta al n. 13 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  7,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2023. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 25 ottobre  2023  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 ottobre 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 dicembre 2022, il  Giudice  dell'udienza
preliminare del  Tribunale  ordinario  di  Napoli  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma,
del codice penale, censurandolo nella parte in cui prevede il divieto
di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 74,  comma
7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309  (Testo  unico  delle  leggi  in
materia di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto  comma,
cod. pen. 
    1.1.-  Il  rimettente  deve  giudicare,  in  sede   di   giudizio
abbreviato, della responsabilita' di E. D'A., G. G., C. N. ed E.  T.,
imputati - unitamente ad altri  soggetti  nei  confronti  dei  quali,
previa separazione dei procedimenti, ha gia' emesso sentenza con rito
abbreviato - del delitto di associazione finalizzata al  traffico  di
sostanze  stupefacenti  di  cui  all'art.  74,  commi  1  e  2,  t.u.
stupefacenti, aggravato ai sensi del comma 3 dello stesso art.  74  e
dell'art. 61, numero 9), cod. pen., per  essersi  associati,  tra  il
2014 e il 2019, in numero superiore a  dieci  persone,  alcune  delle
quali dedite all'uso di stupefacenti, al fine di  compiere  attivita'
di acquisto, detenzione ai fini di spaccio e spaccio di stupefacenti,
all'interno   di   un   reparto   del   Centro    penitenziario    di
Napoli-Secondigliano. G.  G.,  E.  T.  e  C.  N.  sono  accusati,  in
particolare, di essere stati  capi  di  gruppi  di  spaccio  operanti
nell'interno di diverse sezioni di detto reparto, mentre a E. D'A. e'
contestata la mera partecipazione all'associazione, con il  ruolo  di
addetto al trasporto e alla consegna di droga ai detenuti  incaricati
dello spaccio al dettaglio delle singole dosi. 
    E. T., E. D'A. e C. N. sono  altresi'  imputati  di  concorso  in
corruzione ai sensi degli artt. 110, 81, secondo  comma,  319  e  321
cod. pen. per avere, unitamente ad altri soggetti  e  con  piu'  atti
esecutivi di un medesimo  disegno  criminoso,  consegnato  a  diversi
agenti della Polizia penitenziaria somme  di  denaro  per  introdurre
all'interno  dell'istituto   penitenziario   sostanza   stupefacente,
telefoni cellulari e altri oggetti non consentiti, e per ottenere che
gli appartenenti all'associazione fossero  collocati  nelle  medesime
celle. 
    Il giudice a  quo  illustra  come,  alla  luce  delle  risultanze
processuali,  sussista  la  responsabilita'  degli  imputati  per  il
delitto di cui all'art.  74  t.u.  stupefacenti.  Ne'  l'associazione
potrebbe dirsi costituita per commettere i fatti di lieve entita'  di
cui all'art. 73, comma 5,  t.u.  stupefacenti  (art.  74,  comma  6),
atteso che essa operava all'interno  di  un  istituto  penitenziario;
circostanza, quest'ultima, che il  legislatore  considera  aggravante
rispetto ai fatti di cui al medesimo art. 73  (e'  richiamato  l'art.
80, comma 1, lettere c e g, dello stesso testo unico). 
    D'altro canto - prosegue il rimettente - G. G., C. N.  ed  E.  T.
sono divenuti collaboratori di giustizia e hanno  reso  dichiarazioni
etero e autoaccusatorie, di decisiva importanza per lo sviluppo delle
indagini. Quanto a E. D'A., a seguito della notifica di ordinanza  di
custodia  cautelare  per  i  fatti   in   questione,   in   sede   di
interrogatorio ha anch'egli ammesso gli addebiti e reso dichiarazioni
eteroaccusatorie, «arricchendo ulteriormente il materiale  indiziario
raccolto fino a quel momento». 
    Risulterebbe  dunque  applicabile,  nei  confronti  dei   quattro
imputati, la circostanza attenuante di cui all'art. 74, comma 7, t.u.
stupefacenti, che prevede una diminuzione di pena dalla meta'  a  due
terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le  prove
del reato o per sottrarre all'associazione risorse  decisive  per  la
commissione dei delitti. 
    Andrebbero altresi' riconosciute a beneficio  degli  imputati  le
circostanze  attenuanti  generiche,  onde   adeguare   le   pene   di
eccezionale severita' previste dall'art. 74, commi 1 e 2 -  ossia  la
reclusione non inferiore a vent'anni  per  i  capi  dell'associazione
dedita al narcotraffico, e non inferiore a dieci anni per i partecipi
- al concreto disvalore del fatto,  caratterizzato  dal  traffico  di
droga "leggera" (hashish), in quantita' non particolarmente elevate. 
    Dovrebbero per altro  verso  applicarsi,  oltre  alle  contestate
aggravanti di cui agli artt. 74, comma 3,  t.u.  stupefacenti  e  61,
numero  9),  cod.  pen.,   la   recidiva   reiterata,   specifica   e
infraquinquennale a carico di E. D'A., G. G. ed E. T., e la  recidiva
reiterata e infraquinquennale a carico di C. N. (tutte  rilevanti  ex
art. 99,  quarto  comma,  cod.  pen.),  essendo  tutti  gli  imputati
«intranei a sodalizi camorristici e quindi dediti per scelta di  vita
a commettere gravissimi  reati»,  ciascuno  con  numerosi  precedenti
penali espressivi sia di una  accentuata  colpevolezza,  sia  di  una
«tendenza  a  delinquere   davvero   incontenibile».   Ne'   potrebbe
ritenersi, prosegue il giudice a quo,  che  l'avvenuta  dissociazione
sia di per se' espressiva di una minore pericolosita', ben potendo la
stessa  essere  frutto  di  un  «mero  calcolo  utilitaristico,  come
verosimilmente avviene nel caso in esame». 
    Ad avviso del rimettente, l'attenuante di cui all'art. 74,  comma
7, t.u. stupefacenti dovrebbe  essere  considerata  prevalente  sulle
aggravanti contestate, nonche' sulla recidiva  di  cui  all'art.  99,
quarto comma,  cod.  pen.  Cio'  sia  per  valorizzare  i  contributi
dichiarativi degli imputati, sia per evitare «un risultato  incongruo
in termini di pena». 
    La prevalenza di tale attenuante sulla recidiva reiterata sarebbe
pero'  preclusa  dall'art.  69,  quarto   comma,   cod.   pen.   Cio'
comporterebbe la necessita' di applicare agli  imputati  collaboranti
pene  nella  sostanza  corrispondenti  a  quelle  gia'  irrogate   ai
coimputati non dissociatisi dall'associazione,  ai  quali  pure  sono
state riconosciute le attenuanti generiche ex art. 62-bis cod.  pen.,
con giudizio di equivalenza con la recidiva, per adeguare la pena  al
concreto disvalore dei fatti. 
    In  particolare,  gli  imputati  G.  G.,  E.  T.  e  C.  N.,  che
rivestivano  il  ruolo  di  capi  dell'associazione,  si   vedrebbero
applicare  la  pena  base  di  cui  all'art.  74,   comma   1,   t.u.
stupefacenti, non inferiore a vent'anni di reclusione (per E. T. e C.
N. tale pena dovrebbe peraltro essere  aumentata,  ex  art.  81  cod.
pen., per la continuazione con i fatti di  corruzione  di  agenti  di
Polizia penitenziaria da loro stessi ammessi), diminuita di un  terzo
in ragione del rito  speciale  prescelto.  A  questi  ultimi  sarebbe
dunque applicata una pena analoga a quella dei  coimputati  giudicati
in  separato  procedimento,  cui  pure  sono   state   applicate   le
circostanze attenuanti generiche. 
    Quanto infine a E. D'A., mero  partecipe  all'associazione,  egli
dovrebbe essere condannato alla reclusione di durata non inferiore  a
dieci anni, aumentata per la continuazione con i fatti di  corruzione
da lui stesso ammessi e poi ridotta di  un  terzo  per  il  rito.  In
questo caso, la pena risulterebbe dunque superiore a quella applicata
in separato procedimento agli altri partecipi non dissociatisi;  cio'
«in totale spregio del suo apporto dichiarativo; anzi addirittura  "a
causa" di esso», atteso che i fatti  di  corruzione,  originariamente
non contestati a E. D'A., sarebbero  stati  scoperti  in  conseguenza
delle sue dichiarazioni autoaccusatorie. 
    In altre parole, in assenza di una declaratoria di illegittimita'
costituzionale del divieto contenuto nel censurato  art.  69,  quarto
comma, cod. pen. - che impedisce la prevalenza dell'attenuante di cui
all'art. 74,  comma  7,  t.u.  stupefacenti  sulla  recidiva  di  cui
all'art. 99, quarto comma, cod. pen. - gli imputati  dal  giudizio  a
quo «subirebbero un  trattamento  sanzionatorio  pari  o  addirittura
peggiore rispetto ai coimputati che essi hanno contribuito in materia
decisiva a far arrestare e a far condannare». 
    Di qui la rilevanza delle questioni. 
    1.2.- Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
lamenta anzitutto il contrasto  della  disciplina  censurata  con  il
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    1.2.1.- L'«astratto e assoluto automatismo» insito nel divieto di
prevalenza dell'attenuante della collaborazione ex art. 74, comma  7,
t.u. stupefacenti sulla recidiva reiterata produrrebbe  un  risultato
disarmonico rispetto alla  ratio  dell'attenuante  medesima,  che  e'
quella di favorire il piu' possibile la dissociazione da un  contesto
associativo di elevata pericolosita'. 
    Da  un  lato,  infatti,  l'art.  74,  comma  7,  accorderebbe  un
«fortissimo  "sconto"  di  pena  (dalla  meta'  a  due  terzi)   come
"ricompensa"  per  chi,  allontanandosi  dal  sodalizio  e  mettendo,
spesso, anche a rischio l'incolumita' propria e  dei  familiari,  "si
sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato  o  per
sottrarre all'associazione risorse decisive per  la  commissione  dei
delitti"» e costituirebbe «un  importante  tassello  nella  lotta  al
narcotraffico», quale «strumento per tentare di scardinare quel patto
di collaborazione e di omerta', spesso  impenetrabile,  che  e'  alla
base delle organizzazioni criminali, anche di quelle finalizzate allo
spaccio  di  stupefacenti».  Dall'altro  lato,  sarebbe   «piu'   che
verosimile» che soggetti di spessore criminale tale da  rivestire  il
ruolo di capi o promotori di un'associazione dedita al  narcotraffico
siano anche recidivi reiterati. 
    Sicche' l'attenuante in questione, non potendo spiegare tutta  la
sua valenza per  i  recidivi  reiterati  -  in  ragione  del  divieto
contenuto nel censurato art. 69, quarto comma, cod. pen. - perderebbe
«gran parte della sua ragion d'essere, dal momento che tali  soggetti
non avrebbero alcun beneficio a dissociarsi, vedendo al massimo eliso
l'aumento per la recidiva, sempre  che  cio'  non  avvenga  gia'  per
effetto   di   altre    attenuanti»;    con    conseguente    «totale
neutralizzazione della valenza positiva del contributo  dichiarativo»
degli imputati e «sostanziale "tradimento" del  patto  che  lo  Stato
intende  instaurare  con  chi  si  dissocia   onde   pervenire   alla
disarticolazione del sodalizio». 
    Il rimettente richiama diffusamente, sul punto, le argomentazioni
della sentenza n. 74 del 2016 di  questa  Corte,  che  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  69,  quarto  comma,  cod.
pen., nella parte in cui prevedeva il divieto  di  prevalenza,  sulla
recidiva reiterata, della circostanza attenuante  prevista  dall'art.
73, comma 7, t.u. stupefacenti per chi si dissoci, in quel  caso,  da
fatti di traffico di stupefacenti commessi al di fuori di un contesto
associativo. 
    Le considerazioni allora espresse da questa Corte -  secondo  cui
la norma censurata, impedendo alla disposizione premiale di  produrre
pienamente i  suoi  effetti,  ne  frustrava  in  modo  manifestamente
irragionevole la ratio, perche' faceva  venire  meno  quell'incentivo
(la sensibile diminuzione di pena) sul quale  lo  stesso  legislatore
aveva fatto affidamento per  stimolare  l'attivita'  collaborativa  -
varrebbero a fortiori  nel  caso  di  specie.  E  invero,  stante  la
maggiore gravita' del reato  associativo  di  cui  all'art.  74  t.u.
stupefacenti, rispetto al delitto di cui all'art.  73,  «ancora  piu'
impellente  risult[erebbe]   essere   l'esigenza   di   favorire   la
dissociazione di chi fa parte del sodalizio».  Inoltre,  poiche'  «il
reato associativo comporta l'adesione a un pactum sceleris dal  quale
non ci si libera in alcuni ambienti se non a prezzo della vita»,  non
potrebbe  non  riconoscersi  a  colui  che  si  dissoci  un  "premio"
«quantomeno della stessa portata». 
    1.2.2.- Peraltro, la circostanza che, alla luce della sentenza n.
74  del  2016,  sia  possibile  ritenere  prevalente  sulla  recidiva
reiterata  l'attenuante  di  cui   all'art.   73,   comma   7,   t.u.
stupefacenti, ma non quella, «in tutto analoga», di cui all'art.  74,
comma 7, rivelerebbe un ulteriore  profilo  di  irragionevolezza  del
censurato art. 69, quarto comma, cod. pen. 
    1.2.3.- L'irragionevolezza del divieto emergerebbe  altresi'  dal
raffronto con il regime della circostanza attenuante prevista  per  i
delitti di tipo mafioso dall'art. 8 del decreto-legge 13 maggio 1991,
n. 152 (Provvedimenti urgenti in  tema  di  lotta  alla  criminalita'
organizzata  e  di  trasparenza  e  buon   andamento   dell'attivita'
amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio
1991, n. 203, poi trasfuso nell'art.  416-bis.1,  terzo  comma,  cod.
pen. Detta attenuante - caratterizzata, secondo il rimettente,  dalla
medesima ratio di quella che sorregge la disposizione censurata - per
consolidata  giurisprudenza  non   e'   soggetta   al   giudizio   di
bilanciamento  tra  circostanze  eterogenee  ed  e'  di  applicazione
obbligatoria (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza  25
febbraio-18 marzo 2010, n. 10713; sezione sesta penale,  sentenza  13
aprile-4 luglio 2017, n. 31983), laddove  la  circostanza  attenuante
dell'art. 74, comma 7, del  d.P.R.  n.  309  del  1990  non  solo  e'
soggetta al giudizio di bilanciamento, ma non puo' neppure  prevalere
sulla recidiva reiterata. 
    1.2.4.- Osserva ancora il rimettente che  questa  Corte,  con  le
sentenze n. 251 del 2012, n. 105 e n. 106 del 2014, n. 205 del  2017,
n.  73  del  2020,  n.  55  e  n.  143  del   2021,   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  69,  quarto  comma,  cod.
pen., nella parte in cui prevedeva il divieto  di  prevalenza,  sulla
recidiva reiterata, di  una  pluralita'  di  circostanze  attenuanti,
«connesse a ipotesi delittuose di lieve entita' o comunque  di  minor
rimproverabilita'  sotto  il  profilo  dell'elemento  soggettivo,  in
relazione  alle  quali  il  divieto  di  prevalenza  si   tradurrebbe
nell'imposizione di una pena sproporzionata al recidivo reiterato». 
    A fronte di tali declaratorie, sarebbe irragionevole  la  vigente
disciplina che  impedisce  la  prevalenza  della  diminuente  di  cui
all'art. 74, comma 7, t.u. stupefacenti,  ossia  di  un'attenuante  a
effetto speciale, che prevede una riduzione di  pena  di  gran  lunga
piu'  incisiva  (dalla  meta'  ai  due  terzi),  rispetto  ad   altre
circostanze a efficacia comune, il cui divieto di prevalenza e'  gia'
stato ritenuto costituzionalmente illegittimo, quali  quelle  di  cui
agli artt. 89 e  116,  secondo  comma,  cod.  pen.  (rispettivamente,
sentenze n. 73 del 2020 e n. 55 del 2021). 
    L'attenuante di cui all'art. 74, comma 7,  non  potrebbe  d'altra
parte essere paragonata, per ratio e valenza in termini di  riduzione
della pena, alle  circostanze  attenuanti  generiche,  rispetto  alle
quali la Corte di cassazione ha ritenuto manifestamente infondato  il
dubbio  di  illegittimita'  costituzionale  circa   il   divieto   di
prevalenza sulla recidiva reiterata  (e'  citata  la  sentenza  della
sezione sesta penale, 23-31 marzo 2017, n. 16487),  sul  rilievo  che
trattasi  di  circostanze  comuni  rispetto  a  cui  il  divieto  non
determina una manifesta sproporzione del  trattamento  sanzionatorio.
La diminuente di cui  all'art.  74,  comma  7,  a  effetto  speciale,
prevedrebbe una riduzione di pena di gran lunga superiore a un  terzo
(dalla meta' a due terzi) e avrebbe una finalita' del tutto diversa e
peculiare rispetto alle attenuanti generiche. 
    1.3.- Il rimettente ravvisa  infine,  nel  censurato  divieto  di
prevalenza, un vulnus al principio di proporzionalita' della pena  di
cui all'art. 27, terzo comma, Cost., «sia sotto il profilo della  sua
funzione rieducativa che di quella retributiva, in  quanto  una  pena
che non tenga in debito conto della proficua collaborazione  prestata
per effetto di una dissociazione post-delictum,  spesso  sofferta,  e
che puo' esporre a gravissimi rischi personali  e  familiari,  da  un
lato non puo' correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento
della legalita' violata, dall'altro - soprattutto -  non  potra'  mai
essere sentita dal condannato come rieducatrice». 
    Rammenta in proposito il giudice a quo  che  l'impossibilita'  di
prevalenza dell'attenuante ex art. 74, comma 7, comporta l'inflizione
agli imputati di «un trattamento  sanzionatorio  pari  o  addirittura
peggiore rispetto ai coimputati che essi hanno contribuito in maniera
decisiva a far arrestare e a far  condannare  e,  altresi',  peggiore
rispetto all'ipotesi in cui non avessero "collaborato"». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. 
    2.1.- L'ordinanza di  rimessione  sarebbe  anzitutto  affetta  da
un'«intima contraddizione»: in un  contesto  criminoso  di  «inaudita
gravita', se non di natura eversiva», il giudice a  quo  da  un  lato
avrebbe evidenziato  l'«irriducibile  tendenza  a  delinquere»  degli
imputati, e  dall'altro  lato  avrebbe  inopinatamente  applicato  le
circostanze attenuanti generiche agli associati giudicati in separato
procedimento, in tal modo  «paralizzando  l'aumento  di  pena  per  i
recidivi giudicati separatamente con il bilanciamento  d'equivalenza»
e creando «una potenziale disimmetria con gli imputati odierni quanto
(a parita' di posizioni e stante la collaborazione fornita) alla pena
irrogabile che non si discosta da quella  irrogata  ai  consorti  non
collaboranti». L'errore del rimettente nel riconoscere le  attenuanti
generiche - non accordabili  per  la  mera,  generica  necessita'  di
adeguare  la  pena  all'entita'  del  fatto  (sono  citate  Corte  di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 18 maggio-11 ottobre 2017,
n. 46568 e sezione quarta penale,  sentenza  28  ottobre-1°  dicembre
2020, n. 33867) -  non  potrebbe  essere  posto  a  fondamento  della
dedotta illegittimita' costituzionale della norma censurata. 
    2.2.- Le censure del rimettente si  appunterebbero,  in  realta',
sull'eccessiva  asprezza  delle  pene  previste  dall'art.  74   t.u.
stupefacenti, e solo «indirettamente e per ricaduta»  riguarderebbero
il divieto di prevalenza dell'attenuante di cui all'art. 74, comma 7,
t.u. stupefacenti sulla recidiva  reiterata;  divieto,  quest'ultimo,
che sarebbe pero' del  tutto  ragionevole,  «di  fronte  ad  imputati
avvezzi  a  irredimibili  atti  di  delinquenza  secondo   i   canoni
tratteggiati dall'art. 99, quarto comma, c.p.». 
    2.3.- Ne' potrebbe essere  considerato  irragionevole  che  -  in
forza della sentenza n. 74 del 2016 di questa Corte -  sia  possibile
per il giudice ritenere prevalente  l'attenuante  prevista  dall'art.
73,  comma  7,  t.u.  stupefacenti,  ma  non  quella  contenuta   nel
successivo art. 74,  comma  7.  Le  argomentazioni  spese  in  quella
pronuncia non sarebbero infatti trasponibili al caso  di  specie,  in
ragione   della   «gravissima   pericolosita'   dell'associazione   a
delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti in carcere ad  uso
di detenuti» e delle  «qualificate  recidive  tutte  comprovanti  uno
stato di vita nel delitto irredimibile». 
    2.4.- Ne', ancora, produrrebbe  alcun  vulnus  costituzionale  la
circostanza che il recidivo reiterato, per il divieto  di  prevalenza
dell'attenuante di cui all'art. 74, comma 7, t.u.  stupefacenti,  non
possa fruire dello stesso sconto di pena di cui godrebbe chi recidivo
non sia, in quanto  «in  assenza  di  attenuanti  generiche,  il  reo
recidivo qualificato con la collaborazione e  grazie  ad  essa  evita
l'aumento di pena» connesso  alla  recidiva  reiterata.  Sicche'  «la
funzione di incentivo alla collaborazione»  sussisterebbe  «in  ampia
misura  anche  per  il  soggetto  recidivo  qualificato  che   evita,
comunque, un incremento di pena ben importante». Le pene da  irrogare
gli imputati del giudizio a quo, «[a]lla luce dei fatti processuali»,
non  sarebbero  dunque  manifestamente  sproporzionate  e   contrarie
all'art. 27, terzo comma, Cost. 
    2.5.-  Nemmeno,  infine,  si  potrebbero  ricavare   profili   di
irragionevolezza della disciplina  censurata  dal  raffronto  con  il
regime di applicazione dell'attenuante, non soggetta a bilanciamento,
di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., che non costituirebbe un tertium
comparationis omogeneo. E invero, l'ipotesi di dissociazione prevista
in  relazione  a  reati  di   tipo   mafioso,   per   «l'irriducibile
peculiarita' socio-criminale  del  fenomeno  mafioso»,  non  potrebbe
costituire un «valido raffronto ne' interno  (diverso  lo  sconto  di
pena tra essa e la  collaborazione  prevista  dall'art.  74,  settimo
comma, D.P.R.  n.  309/1990)  ne'  esterno  ([...]  la  dissociazione
mafiosa nella  quasi  totalita'  dei  casi  riguarda  affiliati  gia'
pluripregiudicati)». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza di cui in epigrafe, il GUP del  Tribunale  di
Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27,  terzo  comma,
Cost., questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 69,  quarto
comma, cod. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza
della circostanza attenuante  di  cui  all'art.  74,  comma  7,  t.u.
stupefacenti sulla recidiva di cui all'art. 99,  quarto  comma,  cod.
pen. 
    2.- L'Avvocatura generale dello Stato, pur dolendosi dell'«intima
contraddizione» che emergerebbe dalla motivazione del rimettente - il
quale denuncerebbe una irragionevole  equiparazione  del  trattamento
sanzionatorio   tra   imputati   collaboranti   e   condannati    non
collaboranti,   che   egli   stesso   avrebbe   creato   riconoscendo
inopinatamente a questi ultimi le attenuanti generiche -, non solleva
propriamente alcuna  eccezione  di  inammissibilita',  limitandosi  a
sostenere la non fondatezza nel merito delle questioni sollevate. 
    In effetti, le questioni sono ammissibili. 
    Il rimettente  argomenta  in  punto  di  fatto,  con  motivazione
diffusa e certo non implausibile:  a)  che  i  quattro  imputati  nel
giudizio  a  quo  sono  responsabili  del  delitto  di   associazione
finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di cui all'art.  74,
commi 1 e 2, t.u. stupefacenti, tre di essi a titolo  di  capi  e  il
quarto a titolo di partecipe; b)  che  nei  confronti  di  tutti  gli
imputati deve essere altresi' ritenuta sussistente la recidiva di cui
all'art. 99,  quarto  comma,  cod.  pen.  in  relazione  ai  numerosi
precedenti penali di ciascuno,  espressivi  di  una  loro  accentuata
colpevolezza e pericolosita'; c)  che  agli  stessi  devono  altresi'
essere riconosciute le attenuanti generiche e  l'attenuante  speciale
prevista dall'art. 74, comma 7, t.u. stupefacenti, la  quale  prevede
la diminuzione della pena dalla meta' a due terzi  «per  chi  si  sia
efficacemente adoperato per assicurare  le  prove  del  reato  o  per
sottrarre all'associazione risorse decisive per  la  commissione  dei
delitti»;  d)  che  tale  ultima  attenuante  meriterebbe  di  essere
considerata prevalente, per  tutti  gli  imputati,  sulla  contestata
recidiva; e) che tale esito e', tuttavia, precluso dal censurato art.
69, quarto comma, cod. pen. 
    Tanto basta ai fini del vaglio della  rilevanza  delle  questioni
sollevate, che questa Corte e' chiamata a compiere. L'argomento della
sostanziale equivalenza tra le pene che dovrebbero essere irrogate ai
quattro imputati e quelle gia'  inflitte,  in  esito  a  un  separato
procedimento, ai loro ex associati non collaboranti e' utilizzato dal
giudice a quo in chiave meramente  rafforzativa  della  dimostrazione
della rilevanza delle questioni, ma non e' essenziale rispetto a tale
dimostrazione, e appare piuttosto attenere al merito delle questioni,
con le quali si lamenta in via generale - e non solo con  riferimento
al caso concreto, pur  indicato  come  emblematico  -  l'eccessivita'
delle conseguenze sanzionatorie cui condurrebbe l'applicazione  della
disposizione censurata, al duplice metro degli artt. 3  e  27,  terzo
comma, Cost. 
    Nessuna «intima contraddizione» tale da viziare la tenuta  logica
dell'ordinanza e', dunque, ravvisabile in punto di motivazione  sulla
rilevanza o sulla non manifesta infondatezza delle questioni. 
    3.- Nel merito, la questione sollevata in  relazione  all'art.  3
Cost. e' fondata. 
    3.1.- La disposizione di cui  all'art.  69,  quarto  comma,  cod.
pen., introdotta dalla legge 5 dicembre 2005, n.  251  (Modifiche  al
codice penale e alla legge 26 luglio 1975,  n.  354,  in  materia  di
attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione  delle
circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione) - la
cosiddetta legge "ex Cirielli"  -  e'  stata  oggetto  di  molteplici
pronunce di illegittimita' costituzionale parziale, che hanno colpito
il divieto di prevalenza di altrettante circostanze attenuanti  sulla
recidiva reiterata di cui all'art. 99, quarto comma, cod.  pen.  (per
una recente dettagliata  rassegna  di  tali  pronunce  e  delle  loro
diverse linee argomentative, sentenza n. 94 del 2023,  punto  10  del
Considerato in diritto; nonche', in seguito, sentenze n. 141 e n. 188
del 2023). 
    In particolare, la sentenza n. 74 del  2016  ha  gia'  dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 69,  quarto  comma,  cod.  pen.
nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della parallela
circostanza  attenuante  di  cui   all'art.   73,   comma   7,   t.u.
stupefacenti, che - rispetto  al  delitto  di  traffico  di  sostanze
stupefacenti compiuto al  di  fuori  di  un  contesto  associativo  -
prevede la diminuzione della pena dalla meta' a due terzi «per chi si
adopera  per  evitare  che  l'attivita'  delittuosa  sia  portata   a
conseguenze ulteriori, anche aiutando  concretamente  l'autorita'  di
polizia  o  l'autorita'  giudiziaria  nella  sottrazione  di  risorse
rilevanti per la commissione dei delitti». 
    Si e'  in  quell'occasione  osservato  che  l'attenuante  di  cui
all'art. 73, comma 7, t.u. stupefacenti «e' espressione di una scelta
di politica criminale di tipo premiale, volta a incentivare, mediante
una sensibile diminuzione di pena,  il  ravvedimento  post-delittuoso
del reo, rispondendo, sia all'esigenza di tutela del bene  giuridico,
sia a quella di prevenzione e repressione dei  reati  in  materia  di
stupefacenti». E si e' aggiunto che il divieto  assoluto  di  operare
tale diminuzione di pena in presenza di recidiva  reiterata  del  reo
«impedisce alla disposizione premiale di produrre pienamente  i  suoi
effetti e cosi' ne frustra in modo  manifestamente  irragionevole  la
ratio, perche' fa venire meno quell'incentivo  sul  quale  lo  stesso
legislatore  aveva  fatto  affidamento  per   stimolare   l'attivita'
collaborativa». Cio' anche considerando che la scelta di  collaborare
- pur non comportando  necessariamente  la  resipiscenza  del  reo  e
potendo essere il frutto di  mero  calcolo  -  implica  comunque  «il
distacco dell'autore del reato dall'ambiente criminale nel  quale  la
sua attivita' in materia  di  stupefacenti  era  inserita  e  trovava
alimento,  e  lo  espone  non  di  rado  a   pericolose   ritorsioni,
determinando cosi' una situazione di fatto tale da indurre  in  molti
casi un cambiamento di vita» (punto 5 del Considerato in diritto). 
    3.2.- Tali considerazioni non possono non valere  anche  rispetto
alla circostanza  attenuante  di  cui  all'art.  74,  comma  7,  t.u.
stupefacenti, che parimenti prevede la diminuzione della  pena  dalla
meta' a due  terzi  «per  chi  si  sia  efficacemente  adoperato  per
assicurare le  prove  del  reato  o  per  sottrarre  all'associazione
risorse decisive per la commissione dei delitti». 
    Rispetto all'attenuante ora in  esame,  anzi,  le  considerazioni
svolte dalla sentenza n. 74 del 2016 valgono a maggior  ragione,  dal
momento che - come l'esperienza del contrasto alle  differenti  forme
di criminalita' organizzata nel nostro Paese ha ampiamente  mostrato,
dagli anni Ottanta in  poi  -  il  contributo  dei  collaboratori  di
giustizia intranei ai sodalizi criminosi e' di grande  importanza  ai
fini della scoperta dell'organigramma dell'associazione e  delle  sue
attivita' delittuose. Il che e', in effetti, accaduto anche nel  caso
oggetto  del  giudizio   a   quo,   come   puntualmente   evidenziato
dall'ordinanza di rimessione. 
    Di talche' appare contraddittorio che, per effetto  del  generale
divieto introdotto nell'art. 69 cod. pen. dalla legge "ex  Cirielli",
questo sostanzioso incentivo alla collaborazione venga  meno  laddove
il potenziale collaboratore sia - come spesso accade, trattandosi  di
associati a delinquere - gia' stato piu' volte condannato. 
    La particolare gravita' del delitto associativo che viene ora  in
considerazione,  sulla  quale  insiste  l'Avvocatura  generale  dello
Stato, costituisce semmai una ragione in  piu'  per  assicurare  agli
associati che  intendano  collaborare  l'incentivo  promesso  in  via
generale dal legislatore. 
    Ne'  potrebbe  ritenersi,  come  ancora   sostiene   l'Avvocatura
generale dello  Stato,  che  un  incentivo  alla  collaborazione  sia
comunque  rappresentato,  per  il  recidivo,  dalla  prospettiva   di
ottenere il riconoscimento dell'attenuante in parola  come  meramente
equivalente  rispetto  alla   recidiva   reiterata.   Infatti,   tale
prospettiva  comporterebbe   pur   sempre,   per   il   collaborante,
l'applicazione  delle  elevate  pene  previste  dall'art.   74   t.u.
stupefacenti (vent'anni di reclusione nel minimo per i  capi,  appena
al di sotto della pena minima prevista  per  l'omicidio  volontario):
pene che rischiano di scoraggiare qualsiasi scelta  collaborativa,  e
che il legislatore ha invece inteso diminuire - addirittura  sino  ai
due terzi - per favorire simili scelte, ritenute essenziali a fini di
indagini. Tanto piu' a fronte  della  circostanza,  gia'  evidenziata
dalla sentenza n. 74 del  2016,  che  la  collaborazione  processuale
espone sempre  a  gravi  rischi  la  propria  persona  e  la  propria
famiglia. 
    Cio' ridonda in un vizio  di  irragionevolezza  intrinseca  della
disciplina,  che  finisce  per  frustrare  lo  scopo  perseguito  dal
legislatore mediante la previsione della circostanza attenuante. 
    Dal che la violazione - gia' sotto questo  assorbente  profilo  -
dell'art. 3 Cost. 
    4.- Resta  altresi'  assorbita  l'ulteriore  censura  svolta  dal
rimettente in riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  69,  quarto
comma, del codice penale, nella parte in cui prevede  il  divieto  di
prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 74, comma  7,
del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia
di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sulla
recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2023. 
 
                                F.to: 
                 Augusto Antonio BARBERA, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2023 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA