N. 10 SENTENZA 6 dicembre 2023- 26 gennaio 2024

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Colloqui  dei  detenuti  non  soggetti  a
  regime speciale o a  sorveglianza  particolare  -  Possibilita'  di
  svolgere colloqui  con  il  coniuge,  parte  dell'unione  civile  o
  persona stabilmente  convivente,  o  legata  da  stabile  relazione
  affettiva,  senza  controllo  visivo,  quando,  tenuto  conto   del
  comportamento del detenuto,  non  ostino  ragioni  di  sicurezza  o
  esigenze di  mantenimento  dell'ordine  e  della  disciplina,  ne',
  riguardo  all'imputato,  ragioni   giudiziarie   -   Esclusione   -
  Irragionevolezza e sproporzionata lesione della dignita' personale,
  disparita'  di  trattamento   rispetto   al   detenuto   minorenne,
  violazione dei principi a  tutela  dei  legami  familiari  e  della
  salute psico-fisica del detenuto  e  dei  suoi  familiari,  nonche'
  della  finalita'   rieducativa   della   pena   e   del   principio
  convenzionale a tutela della affettivita' intramuraria vita privata
  e familiare, incluso l'esercizio della sessualita' - Illegittimita'
  costituzionale, nei sensi di cui in motivazione. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 18. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 13,  primo  e  quarto  comma,  27,  terzo
  comma, 29, 30, 31, 32  e  117,  primo  comma;  Convenzione  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  artt. 3 e 8. 
(GU n.5 del 31-1-2024 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta da: 
Presidente:Augusto Antonio BARBERA; 
Giudici  :Franco  MODUGNO,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni   AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,
  Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN  GIORGIO,  Marco  D'ALBERTI,
  Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  18  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),
promosso dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto  nel  procedimento
sul reclamo proposto da E. R., con ordinanza  del  12  gennaio  2023,
iscritta al n. 5 del  registro  ordinanze  2023  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  6,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2023. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  E.  R.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  5  dicembre  2023  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    uditi gli avvocati Daniela Palma e Alessio Mazzocchi per E. R.  e
l'avvocato dello  Stato  Massimo  Giannuzzi  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 12 gennaio  2023,  iscritta  al  n.  5  del
registro ordinanze 2023, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, primo e quarto  comma,
27,  terzo  comma,  29,  30,  31,  32  e  117,  primo  comma,   della
Costituzione, quest'ultimo in  relazione  agli  artt.  3  e  8  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della  liberta'),  «nella  parte  in  cui  non
prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando  non  ostino
ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a  carattere
sessuale, con la persona  convivente  non  detenuta,  senza  che  sia
imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia». 
    Il rimettente espone di  dover  giudicare  sul  reclamo  ex  art.
35-bis ordin. penit. presentato da E. R., il quale,  detenuto  presso
la Casa circondariale di  Terni,  si  duole  del  divieto  oppostogli
dall'amministrazione  circa  lo  svolgimento  di  colloqui  intimi  e
riservati con la compagna e la figlia in tenera eta'. 
    L'interessato deduce - come riferisce l'ordinanza di rimessione -
che, «anche in assenza di permessi premio previsti in suo favore,  un
colloquio intimo costituisca  l'unico  strumento  per  esercitare  il
proprio diritto, un diritto che considera fondamentale, ad una serena
relazione di coppia e ad assicurargli a pieno un ruolo genitoriale». 
    1.1.- Il giudice a quo informa che E. R. e' detenuto  dal  luglio
2019, in relazione a un cumulo di pene per  tentato  omicidio,  furto
aggravato, evasione e altro, con fine-pena stabilito all'aprile 2026;
aggiunge che il condannato, trasferito nell'istituto di Terni a marzo
2022, non dispone ancora di un programma di trattamento,  ne'  potra'
verosimilmente godere di permessi premio, sia appunto  per  l'assenza
di un programma che li preveda, sia per l'irrogazione, anche recente,
di sanzioni disciplinari. 
    Il rimettente illustra quanto emerso dall'interlocuzione  con  la
direzione della Casa circondariale di Terni, cioe' che,  mentre  sono
state ivi allestite aree dedicate agli incontri dei  detenuti  con  i
figli minori, non vi sono  spazi  riservati  per  i  colloqui  con  i
partner, atteso d'altronde che la  vigilanza  continua  su  di  essi,
tramite controllo a vista del personale di  custodia,  e'  prescritta
dall'art. 18 ordin. penit. 
    1.2.- Il Magistrato di sorveglianza di  Spoleto  ritiene  che  il
controllo a vista  sui  colloqui  con  il  partner  implichi  per  il
detenuto «un vero e proprio divieto di esercitare  l'affettivita'  in
una dimensione riservata, e segnatamente la sessualita'». 
    Il  rimettente  considera   pertanto   rilevanti   le   sollevate
questioni, atteso che, in  base  al  vigente  dato  normativo,  nulla
potrebbe imputarsi all'amministrazione penitenziaria e il reclamo del
detenuto andrebbe quindi respinto. 
    1.3.- L'ordinanza di rimessione evoca il precedente di  cui  alla
sentenza di questa Corte n. 301 del 2012,  indicando  le  ragioni  in
base  alle   quali   le   medesime   questioni,   allora   dichiarate
inammissibili, potrebbero avere oggi un esito di accoglimento. 
    A proposito della salvaguardia dei rapporti del detenuto  con  il
convivente  di  fatto,  il  rimettente  menziona  la   sopravvenienza
dell'art.  1,  comma  38,  della  legge  20  maggio   2016,   n.   76
(Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso  sesso
e disciplina delle convivenze),  che  ha  parificato  i  diritti  del
convivente a quelli del coniuge nei  casi  previsti  dall'ordinamento
penitenziario; il giudice a quo menziona altresi' l'art.  2-quinquies
del decreto-legge 30 aprile  2020,  n.  28  (Misure  urgenti  per  la
funzionalita' dei  sistemi  di  intercettazioni  di  conversazioni  e
comunicazioni, ulteriori misure urgenti  in  materia  di  ordinamento
penitenziario, nonche' disposizioni integrative e di coordinamento in
materia di giustizia civile,  amministrativa  e  contabile  e  misure
urgenti  per  l'introduzione  del  sistema  di   allerta   Covid-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 25  giugno  2020,  n.  70,
sulla corrispondenza telefonica del detenuto con  le  persone  a  lui
legate da stabile relazione affettiva. 
    1.4.- Ad avviso  del  rimettente,  le  questioni  non  potrebbero
essere superate mediante il ricorso ai permessi premio, non potendosi
condizionare l'esercizio di  un  diritto  fondamentale  ai  requisiti
della premialita'. 
    Tantomeno sarebbe invocabile l'istituto del permesso  per  motivi
familiari di particolare gravita', contemplato  dall'art.  30  ordin.
penit. per casi molto stringenti, che non  includono  quanto  attiene
alla sfera della sessualita'. 
    1.5.- Il divieto di colloqui intimi tra il detenuto e il  partner
lederebbe il «diritto  [del  primo]  alla  libera  espressione  della
propria affettivita',  anche  mediante  i  rapporti  sessuali,  quale
diritto inviolabile riconosciuto e  garantito,  secondo  il  disposto
dell'art. 2 Cost.». 
    Sarebbe altresi' violato l'art. 13, primo comma,  Cost.,  perche'
«[l]a forzata astinenza dai rapporti  sessuali  con  i  congiunti  in
liberta'» integrerebbe una  compressione  aggiuntiva  della  liberta'
personale, ingiustificata nel  caso  di  specie,  trattandosi  di  un
condannato ristretto in regime di media sicurezza. 
    L'art. 13 Cost. sarebbe violato anche nel quarto comma,  giacche'
il divieto di assecondare una normale sessualita' si risolverebbe  in
una violenza fisica e morale sulla persona sottoposta  a  restrizione
di liberta', peraltro con negativa incidenza su qualunque progetto di
nuova genitorialita'. 
    Ne deriverebbe inoltre un vulnus alla serenita' e alla stabilita'
della famiglia, protette dagli artt. 29, 30 e 31  Cost.,  nonche'  un
danno alla salute psicofisica del detenuto,  garantita  dall'art.  32
Cost. 
    Ancora, sarebbe contraria al senso di umanita'  e  inidonea  alla
finalita' rieducativa, con  violazione  dunque  dell'art.  27,  terzo
comma, Cost., una pena che conducesse, «attraverso la sottrazione  di
una porzione significativa di libera disponibilita' del proprio corpo
e del proprio esprimere affetto,  ad  una  regressione  del  detenuto
verso una dimensione infantilizzante». 
    1.6.- L'art. 3 Cost.  sarebbe  violato  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza, in quanto  il  divieto  di  incontri  intimi  sarebbe
assoluto e indiscriminato, non riferito  a  particolari  esigenze  di
sicurezza, peraltro in contrasto con l'indirizzo generale di  cui  al
decreto  legislativo  2  ottobre  2018,  n.  123,  recante   «Riforma
dell'ordinamento penitenziario, in attuazione  della  delega  di  cui
all'articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere a), d), i),  l),  m),  o),
r), t) e u), della legge 23 giugno 2017, n. 103»,  il  cui  art.  11,
comma 1, lettera g), numero 3),  intervenendo  proprio  sull'art.  18
ordin. penit., ha stabilito che i locali destinati ai colloqui con  i
familiari  favoriscono,  ove  possibile,  una  dimensione   riservata
dell'incontro. 
    Vi  sarebbe  poi  un'ingiustificata  disparita'  di   trattamento
rispetto agli istituti minorili, per i quali l'art. 19, comma 4,  del
decreto legislativo 2  ottobre  2018,  n.  121,  recante  «Disciplina
dell'esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in
attuazione della delega di cui all'art. 1, commi 82, 83 e 85, lettera
p), della legge 23 giugno 2017, n. 103», ha previsto la  riproduzione
di ambienti di tipo domestico ove possano svolgersi visite prolungate
a tutela dell'affettivita'. 
    1.7.- Attraverso il richiamo dell'art. 117, primo  comma,  Cost.,
il rimettente denuncia infine la violazione degli artt. 3 e  8  CEDU,
poiche' la coattiva privazione  dell'affettivita'  sfocerebbe  in  un
trattamento inumano e  degradante,  nel  medesimo  tempo  ledendo  il
diritto del  detenuto  al  rispetto  della  propria  vita  privata  e
familiare. 
    Cio' accadrebbe anche in casi - come quello di specie - nei quali
non sussistono ragioni di sicurezza tali da giustificare un  divieto,
in applicazione  del  margine  di  discrezionalita'  riconosciuto  al
legislatore nazionale dalla giurisprudenza della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo. 
    1.8.- Il giudice a quo rammenta che la gia'  menzionata  sentenza
n. 301 del 2012 aveva  indicato  il  problema  dell'affettivita'  dei
detenuti come meritevole di ogni attenzione da parte del legislatore,
rimasto inerte al riguardo. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le  questioni  siano  dichiarate  inammissibili,
«per aver ad oggetto una disposizione legislativa vertente in materia
riservata alla discrezionalita' del legislatore». 
    La difesa statale richiama anch'essa la sentenza n. 301 del 2012,
deducendo la permanenza delle ragioni che indussero  questa  Corte  a
dichiarare inammissibili allora questioni analoghe alle odierne. 
    In  particolare,  l'interveniente  rimarca  che  la  specificita'
dell'esecuzione della pena detentiva nei confronti dei  minori  rende
la  relativa  disciplina  inidonea  a  identificare   una   soluzione
costituzionalmente obbligata da estendere ai detenuti adulti. 
    3.- Si e' costituito in giudizio E. R., chiedendo  l'accoglimento
delle questioni. 
    Nel condividere per intero gli argomenti esposti dal  rimettente,
la parte indica a sostegno la sentenza di  questa  Corte  n.  26  del
1999,  sulla  tutela  giurisdizionale  nei   confronti   degli   atti
dell'amministrazione penitenziaria lesivi di diritti fondamentali dei
detenuti, nonche' le raccomandazioni degli  organismi  sovranazionali
che incoraggiano il riconoscimento del diritto dei  ristretti  a  una
completa vita affettiva. 
    L'atto  di  costituzione  segnala  l'adozione  di  alcune  prassi
sperimentali orientate al rispetto dell'intimita' del detenuto,  come
quella  delle  "stanze  dell'affettivita'"  approntate  nel   carcere
milanese di Opera. 
    Anche in ragione della protratta inerzia legislativa seguita alla
piu' volte citata sentenza n. 301 del  2012,  la  parte  auspica  una
pronuncia additiva, la cui attuazione potrebbe essere assicurata  dal
magistrato di sorveglianza, compatibilmente con le  condizioni  della
singola struttura carceraria. 
    4.- Ha presentato un'opinione  scritta,  in  qualita'  di  amicus
curiae, l'associazione Antigone, attiva nella promozione dei  diritti
e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario. 
    L'opinione - ammessa con decreto  presidenziale  del  19  ottobre
2023 - osserva che il diritto alla  sessualita'  del  detenuto  viene
sacrificato in modo indistinto, senza alcun margine di  apprezzamento
concreto da parte del magistrato di sorveglianza. 
    Sottolinea ancora che  l'esercizio  di  un  diritto  fondamentale
della persona non puo'  essere  affidato  alla  logica  premiale  dei
permessi, dei quali  usufruisce  peraltro  una  quota  modesta  della
popolazione carceraria. 
    L'associazione deduce che  il  legislatore  non  ha  raccolto  il
monito della sentenza  n.  301  del  2012,  essendo  intervenuto  con
esclusivo riferimento agli istituti  minorili,  senza  affrontare  il
problema generale, invece regolato da  altri  ordinamenti  europei  e
oggetto di numerose raccomandazioni sovranazionali. 
    5.- In pubblica udienza la difesa statale ha risposto  ad  alcuni
quesiti formulati  ai  sensi  dell'art.  10,  comma  3,  delle  Norme
integrative per i giudizi davanti  alla  Corte  costituzionale  e  ha
quindi  insistito,  al  pari  della  difesa  di  E.  R.,  nelle  gia'
rassegnate conclusioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe  (reg.  ord.  n.  5  del
2023), il Magistrato di sorveglianza  di  Spoleto  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 2, 3, 13, primo  e  quarto  comma,  27,  terzo
comma, 29, 30, 31, 32 e 117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione  agli  artt.  3  e  8  CEDU,  questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 18 ordin. penit., «nella parte  in  cui  non
prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando  non  ostino
ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a  carattere
sessuale, con la persona  convivente  non  detenuta,  senza  che  sia
imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia». 
    1.1.- L'ordinanza espone che il giudizio principale  concerne  il
reclamo presentato dal detenuto E. R. avverso il  diniego  oppostogli
dalla direzione della Casa circondariale di Terni - ove egli si trova
ristretto in esecuzione di pena  fino  all'aprile  2026  -  circa  lo
svolgimento di colloqui intimi e  riservati  con  la  compagna  e  la
figlia in tenera eta'. 
    Premesso che il reclamante non potra'  verosimilmente  fruire  di
permessi premio, sia perche' sprovvisto allo stato di un programma di
trattamento, sia perche' attinto da sanzioni disciplinari, il giudice
a quo denuncia che resterebbe cosi' precluso al detenuto coltivare la
relazione affettiva con  la  compagna  in  condizioni  di  intimita',
ostandovi  la  prescrizione  del  controllo  a  vista  da  parte  del
personale  di  custodia,  inderogabilmente   disposto   dalla   norma
censurata quale modalita' di svolgimento dei colloqui. 
    1.2.- Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ritiene  che  tale
prescrizione implichi  «un  vero  e  proprio  divieto  di  esercitare
l'affettivita'  in  una  dimensione  riservata,  e  segnatamente   la
sessualita'»,  il  che  comporterebbe  la  violazione  degli  evocati
parametri. 
    Sarebbe innanzitutto leso un diritto fondamentale della  persona,
garantito  dall'art.  2  Cost.,  appunto  il  diritto   alla   libera
espressione dell'affettivita', anche nella componente sessuale. 
    Sarebbe inoltre violato l'art. 3 Cost., sotto un duplice profilo,
quello della ragionevolezza, per avere il divieto di intimita'  negli
incontri familiari carattere assoluto,  e  quello  della  parita'  di
trattamento rispetto agli istituti penitenziari minorili, all'interno
dei quali l'art. 19  del  d.lgs.  n.  121  del  2018  ha  ammesso  lo
svolgimento di visite prolungate a tutela dell'affettivita'. 
    La «forzata astinenza dai rapporti sessuali con  i  congiunti  in
liberta'»  determinerebbe  poi  una  compressione  aggiuntiva   della
liberta' personale del detenuto, ingiustificata qualora non ricorrano
particolari esigenze di custodia, oltre che  una  violenza  fisica  e
morale sulla persona del ristretto, emergendo cosi' la violazione dei
commi primo e quarto dell'art. 13 Cost. 
    Una  pena  caratterizzata  dalla  «sottrazione  di  una  porzione
significativa di  libera  disponibilita'  del  proprio  corpo  e  del
proprio esprimere affetto» sarebbe altresi'  contraria  al  senso  di
umanita' e incapace  di  assolvere  alla  funzione  rieducativa,  con
conseguente violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost. 
    L'impossibilita'  di  coltivare  in  modo  pieno   le   relazioni
affettive potrebbe anche negativamente incidere sulla  continuita'  e
sulla saldezza dei legami  familiari  del  detenuto,  protette  dagli
artt.  29,  30  e  31  Cost.,  e  compromettere  altresi'  la  salute
psicofisica del medesimo, garantita dall'art. 32 Cost. 
    Ne scaturirebbe la  distorsione  della  pena  in  un  trattamento
inumano e degradante, lesivo del diritto  del  detenuto  al  rispetto
della propria vita privata e familiare, e quindi risulterebbe  infine
violato l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3 e 8
CEDU. 
    2.- Intervenuto in giudizio tramite l'Avvocatura  generale  dello
Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  chiesto  che  le
questioni siano dichiarate inammissibili, «per aver  ad  oggetto  una
disposizione  legislativa  vertente   in   materia   riservata   alla
discrezionalita' del legislatore». 
    In particolare, la difesa statale ritiene tuttora  insuperate  le
ragioni esposte da questa Corte nella sentenza n. 301 del  2012,  che
dichiaro' inammissibili questioni analoghe alle odierne. 
    Tale sentenza viene evocata anche dal rimettente, dalla  parte  e
dall'amicus  curiae,  nella  differente  prospettiva  della   valenza
monitoria che alla medesima pronuncia essi associano. 
    L'eccezione statale non e' fondata. 
    2.1.-  Con   la   citata   sentenza,   questa   Corte   dichiaro'
inammissibili questioni di legittimita' costituzionale relative  alla
medesima   disposizione   oggi   nuovamente   censurata,   cioe'   la
prescrizione del controllo a vista sui colloqui  ex  art.  18  ordin.
penit. 
    Al netto  di  alcune  differenze  nell'evocazione  dei  parametri
(soprattutto non furono allora dedotti parametri  convenzionali),  le
questioni  avevano  un  oggetto   sostanzialmente   coincidente   con
l'odierno, in quanto anch'esse individuavano nel  controllo  a  vista
del personale di custodia un ostacolo insormontabile per  l'esercizio
dell'affettivita'  del  detenuto  nelle  necessarie   condizioni   di
riservatezza. 
    Oltre che per ragioni attinenti all'incompleta descrizione  della
fattispecie  concreta  (non  avendo  il  rimettente  specificato   il
contenuto del reclamo sottoposto  al  suo  giudizio,  ne'  il  regime
carcerario applicato al reclamante, ne' la  fruibilita'  di  permessi
premio),   l'inammissibilita'   venne   motivata   argomentando   che
«l'eliminazione del controllo visivo non basterebbe comunque, di  per
se', a realizzare  l'obiettivo  perseguito,  dovendo  necessariamente
accedere ad una disciplina che  stabilisca  termini  e  modalita'  di
esplicazione  del  diritto  di  cui  si  discute:   in   particolare,
occorrerebbe individuare i relativi destinatari, interni ed  esterni,
definire i  presupposti  comportamentali  per  la  concessione  delle
"visite intime", fissare il loro numero e la loro durata, determinare
le misure organizzative»; operazioni che - proseguiva la  sentenza  -
«implicano,  all'evidenza,   scelte   discrezionali,   di   esclusiva
spettanza del legislatore: e cio', anche a fronte  della  ineludibile
necessita'  di   bilanciare   il   diritto   evocato   con   esigenze
contrapposte, in particolare con  quelle  legate  all'ordine  e  alla
sicurezza nelle carceri  e,  amplius,  all'ordine  e  alla  sicurezza
pubblica». 
    Questa Corte neppure ritenne possibile pronunciare  una  sentenza
additiva di  principio,  in  quanto  essa  stessa  sarebbe  risultata
«espressiva di una scelta di fondo», sul tema della  selezione  delle
persone legittimate alle visite riservate. 
    «Nella prospettiva del giudice a quo» - affermo' la Corte  -  «il
"diritto alla sessualita'" intra  moenia  dovrebbe  essere  [infatti]
riconosciuto ai soli detenuti coniugati o che intrattengano  rapporti
di convivenza stabile more uxorio, escludendo gli altri (si pensi, ad
esempio,  a  chi,  all'atto  dell'ingresso  in  carcere,  abbia   una
relazione affettiva "consolidata", ma non ancora  accompagnata  dalla
convivenza, o  da  una  convivenza  "stabile")»,  soluzione  che  non
apparve costituzionalmente obbligata. 
    2.2.- Nonostante le ragioni di inammissibilita' delle  questioni,
la sentenza n. 301 del 2012 non  manco'  di  sottolineare  come  esse
evocassero «una esigenza reale e fortemente avvertita,  quale  quella
di permettere alle persone sottoposte a  restrizione  della  liberta'
personale di continuare ad avere relazioni affettive intime, anche  a
carattere sessuale», esigenza che -  si  preciso'  -  non  trova  una
risposta  adeguata  nell'istituto  dei  permessi  premio,   «la   cui
fruizione - stanti i relativi presupposti, soggettivi ed oggettivi  -
resta in fatto preclusa a larga parte della popolazione carceraria». 
    Considerata l'insufficienza degli strumenti di diritto  positivo,
oltre che le linee di tendenza manifestatesi a livello sovranazionale
e  comparatistico,  questa  Corte  ritenne  opportuno  segnalare   al
legislatore che il tema dell'affettivita' intramuraria  del  detenuto
rappresentava «un problema che merita ogni attenzione». 
    2.3.- Nel tempo trascorso dalla pubblicazione della  sentenza  n.
301 del 2012, l'ordinamento penitenziario ha registrato significative
innovazioni, che delineano oggi un quadro normativo ben differente da
quello di allora. 
    In particolare,  e'  emersa  un'indicazione  specifica  circa  le
relazioni qualificate della persona detenuta, meritevoli e  bisognose
di una considerazione differenziata anche "dentro  le  mura",  quindi
proprio sull'aspetto particolare che aveva  indotto  questa  Corte  a
ritenere  impraticabile  l'adozione  di  una  sentenza  additiva   di
principio. 
    In tal senso ha disposto l'art. 1, comma 38, della  legge  n.  76
del 2016, a tenore del quale  «[i]  conviventi  di  fatto  hanno  gli
stessi   diritti   spettanti   al   coniuge   nei    casi    previsti
dall'ordinamento  penitenziario»,  disposizione  che  la   Corte   di
cassazione ha precisato riferirsi «alla  necessita'  di  tutelare  la
diretta relazione interpersonale» (sezione prima penale, sentenza  14
settembre 2021-10 febbraio 2022, n. 4641). 
    In virtu' del comma 20 dell'art. 1 della stessa legge n.  76  del
2016, i diritti del coniuge in tema  di  colloqui  penitenziari  sono
estesi anche alla parte dell'unione civile tra persone  dello  stesso
sesso. 
    D'altro canto, la stessa  disposizione  che  oggi  e'  nuovamente
censurata nella parte riguardante l'inderogabilita' del  controllo  a
vista si e' medio tempore arricchita di un  riferimento  privilegiato
alla riservatezza dei colloqui  tra  detenuto  e  familiari,  tramite
l'inserzione, ad opera dell'art. 11, comma 1, lettera g), numero  3),
del d.lgs. n. 123 del 2018, di  un  periodo  aggiuntivo  nel  secondo
comma (divenuto terzo comma) dell'art. 18 ordin. penit., ai sensi del
quale «[i] locali destinati ai colloqui con i familiari  favoriscono,
ove  possibile,  una  dimensione  riservata  del  colloquio  e   sono
collocati    preferibilmente     in     prossimita'     dell'ingresso
dell'istituto». 
    Anche quanto disposto per gli  istituti  minorili  dall'art.  19,
comma 3, del d.lgs. n. 121  del  2018  («[a]l  fine  di  favorire  le
relazioni affettive, il detenuto puo' usufruire ogni mese di  quattro
visite prolungate della durata non inferiore  a  quattro  ore  e  non
superiore  a  sei  ore»)  e'  comunque  emblematico  di  un  contesto
normativo  fortemente  innovato  rispetto  a  quello  in  cui   venne
pronunciata la sentenza n. 301 del 2012. 
    2.4.- Per i detenuti adulti il legislatore, esercitando la delega
complessiva di cui all'art. 1, comma 82, della legge 23 giugno  2017,
n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura  penale  e
all'ordinamento penitenziario),  non  ha  dato  seguito  al  criterio
direttivo  enunciato  dalla  lettera  n)  del  successivo  comma   85
(«riconoscimento del diritto all'affettivita' delle persone  detenute
e internate  e  disciplina  delle  condizioni  generali  per  il  suo
esercizio»). 
    Questa scelta del legislatore  delegato  ha  lasciato  aperta  la
pregressa lacuna, ma in un contesto generale  che  gia'  era  a  quel
tempo sensibilmente mutato. 
    2.5.- In definitiva, essendo oggi il quadro normativo  differente
da quello che fu a base del  precedente  giudizio  di  questa  Corte,
l'eccezione statale di  inammissibilita'  delle  nuove  questioni  va
disattesa. 
    2.6.- All'ordinanza di rimessione in esame  non  puo'  d'altronde
imputarsi un vizio  di  omessa  descrizione  della  fattispecie  come
quello rilevato all'epoca, considerato che lo stato detentivo  di  E.
R. vi si trova adeguatamente illustrato, anche sotto il profilo della
possibilita' di accesso ai permessi premio. 
    2.6.1.- Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto  assume  che  la
questione dell'affettivita' del detenuto  non  possa  essere  risolta
mediante l'istituto dei permessi premio, in quanto sarebbe  improprio
subordinare  ad  una  logica  premiale  l'esercizio  di  un   diritto
fondamentale. 
    L'amicus curiae sottolinea  d'altronde  che  ai  permessi  premio
accede una quota modesta della platea dei detenuti. 
    Nella piu' volte ricordata sentenza n. 301 del 2012, questa Corte
ha osservato che tale istituto puo' offrire qui  «una  risposta  solo
parziale», giacche' la fruizione del  permesso  premio  -  «stanti  i
relativi presupposti,  soggettivi  ed  oggettivi  -  resta  in  fatto
preclusa a larga parte della popolazione carceraria». 
    2.6.2.- Ai sensi dell'art. 30-ter ordin. penit.,  la  concessione
del permesso  premio  non  e'  subordinata  unicamente  ai  requisiti
soggettivi della regolarita' della condotta in carcere e dell'assenza
di  pericolosita'  sociale  (comma  1),  ma   anche   a   presupposti
quantitativi,  ove  la  pena  inflitta  superi  i  quattro  anni   di
reclusione, occorrendo in tal caso l'espiazione di almeno  un  quarto
della  pena  stessa,  e  di  almeno  dieci  anni  per  i   condannati
all'ergastolo (comma 4, lettere b e d); al permesso premio  non  puo'
inoltre  accedere  il  detenuto  in  attesa  di   giudizio,   perche'
«[l]'esperienza dei permessi premio e' parte integrante del programma
di trattamento» (comma 3). 
    Il permesso premio, che pure e' concedibile anche «per consentire
di coltivare interessi  affettivi»  (art.  30-ter,  comma  1,  ordin.
penit.),  non  elimina  dunque  il  problema  dell'affettivita'   del
detenuto, ma consente solo di  alleggerirlo,  trasferendo  "fuori  le
mura" la realizzazione delle esigenze affettive per chi abbia accesso
al beneficio premiale. 
    L'inadeguatezza   dell'attuale   situazione   normativa   e'   di
particolare evidenza per il detenuto in attesa di giudizio, al  quale
e' preclusa l'affettivita' extra moenia a  causa  dell'impossibilita'
di fruire di permessi premio ed e' altresi'  preclusa  l'affettivita'
intramuraria per effetto dell'art. 18 ordin. penit.,  tutto  ad  onta
della presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva,  di
cui all'art. 27, secondo comma, Cost. 
    E' quindi confermato che la disciplina dei permessi premio non e'
allo stato idonea  a  risolvere  il  problema  dell'affettivita'  del
detenuto  e  che  esso  ha   pertanto   una   necessaria   dimensione
intramuraria, profilo  che  assicura  la  rilevanza  delle  questioni
sollevate dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto. 
    3.- Le questioni sono fondate, nei termini che seguono. 
    3.1.- L'ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive della
persona  nelle  formazioni  sociali  in  cui   esse   si   esprimono,
riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la  liberta'
di vivere pienamente il sentimento  di  affetto  che  ne  costituisce
l'essenza. 
    Lo  stato  di  detenzione  puo'  incidere  sui  termini  e  sulle
modalita' di esercizio di questa liberta', ma non puo' annullarla  in
radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle
condizioni individuali  della  persona  detenuta  e  alle  specifiche
prospettive del suo rientro in societa'. 
    La  questione  dell'affettivita'  intramuraria  concerne   dunque
l'individuazione  del  limite  concreto  entro  il  quale  lo   stato
detentivo e' in grado di giustificare una compressione della liberta'
di esprimere affetto, anche nella dimensione intima; limite oltre  il
quale   il   sacrificio   della    liberta'    stessa    si    rivela
costituzionalmente  ingiustificabile,  risolvendosi  in  una  lesione
della dignita' della persona. 
    La segnalazione all'indirizzo del legislatore rivolta  da  questa
Corte con la sentenza n. 301  del  2012  era  appunto  finalizzata  a
promuovere la ricerca di un  punto  di  equilibrio,  che,  pur  senza
compromettere la sicurezza  e  l'ordine  ineludibili  negli  istituti
penitenziari,   consentisse   tuttavia   l'apertura   di   spazi   di
manifestazione di quella basilare liberta'. 
    3.2.- L'art. 18, terzo comma,  ordin.  penit.  dispone  che  «[i]
colloqui si svolgono in appositi locali sotto il controllo a vista  e
non auditivo del personale di custodia». 
    Il segmento normativo censurato dal giudice a quo, vale a dire la
prescrizione del controllo visivo, e' ribadito dall'art. 37, comma 5,
del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno  2000,  n.  230
(Regolamento recante norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulle
misure privative e limitative della liberta'),  per  cui  «[i]n  ogni
caso, i colloqui si svolgono sotto il controllo a vista del personale
del Corpo di polizia penitenziaria». 
    Tali previsioni non contemplano deroghe, e anche l'art. 61, comma
2, lettera b), dello stesso d.P.R. n. 230 del 2000, laddove  consente
al direttore  dell'istituto,  in  funzione  della  preservazione  dei
rapporti familiari del detenuto, di autorizzare visite di durata piu'
lunga dell'ordinario, fruibili in appositi locali o  all'aperto,  non
devia dal  controllo  a  vista,  tenendo  anzi  ferme  «le  modalita'
previste dal secondo comma [oggi: terzo comma] dell'articolo 18 della
legge». 
    E' dunque corretto il presupposto  interpretativo  da  cui  muove
l'ordinanza di rimessione - peraltro confermato dalla  giurisprudenza
di legittimita' (Corte di cassazione, sezione prima penale,  sentenza
27 settembre 2022-24 gennaio 2023, n.  3035)  -  circa  l'assolutezza
della prescrizione del controllo visivo sui  colloqui  familiari  del
detenuto    e    la    conseguente     preclusione     dell'esercizio
dell'affettivita' intramuraria, anche sessuale. 
    3.3.- L'osservazione  del  colloquio  rappresenta  un  importante
presidio di regolarita', funzionale ad evitare la strumentalizzazione
del colloquio medesimo a fini impropri (ad esempio per  il  passaggio
di oggetti destinati a scambi illeciti o atti ad offendere), cosi' da
permetterne, se del caso, l'immediata sospensione (art. 37, comma  4,
del d.P.R. n. 230 del 2000). 
    A tale ratio corrisponde la limitazione oggettiva del  controllo,
che invero, a norma dello stesso art. 18, terzo comma, ordin. penit.,
e' «a  vista»,  ma  «non  auditivo»,  avendo  il  legislatore  inteso
salvaguardare   -   finche'   non   ricorrano   i   presupposti    di
un'intercettazione tra presenti - la riservatezza della comunicazione
tra il detenuto e il familiare (Corte di  cassazione,  sezione  sesta
penale, sentenza 28 novembre 2008-28 gennaio 2009, n. 3932). 
    Dunque, il controllo auditivo  sul  colloquio  e'  escluso  salvo
eccezioni, mentre il controllo visivo e' prescritto senza  eccezioni,
e proprio questa assolutezza espone la disposizione  censurata  a  un
giudizio di irragionevolezza per difetto di proporzionalita'. 
    3.4.- Nel presidiare la regolarita' dell'incontro, il controllo a
vista sullo svolgimento del  colloquio  obiettivamente  restringe  lo
spazio di espressione dell'affettivita', per  la  naturale  intimita'
che   questa   presuppone,   in   ogni   sua   manifestazione,    non
necessariamente sessuale. 
    E' ben vero che questa  Corte  ha  da  tempo  riconosciuto  nella
sessualita' «uno degli essenziali modi di espressione  della  persona
umana» (sentenza n. 561 del  1987),  ma  non  puo'  ridursi  il  tema
dell'affettivita' del detenuto a quello della sessualita', in  quanto
esso piu' ampiamente coinvolge aspetti della personalita' e modalita'
di relazione che attengono  ai  connotati  indefettibili  dell'essere
umano. 
    4.- Tra i «principi  direttivi»  dell'ordinamento  penitenziario,
declinati dall'art. 1 della legge n. 354 del 1975, vi e'  quello  per
cui «[i]l trattamento penitenziario deve essere conforme a umanita' e
deve assicurare il rispetto della dignita' della persona»  (comma  1,
primo periodo), quello per cui esso «e' attuato secondo  un  criterio
di individualizzazione in rapporto alle specifiche  condizioni  degli
interessati» (comma 2) e altresi' il principio  del  "minimo  mezzo",
per cui «[n]on possono essere adottate restrizioni non giustificabili
con l'esigenza di mantenimento dell'ordine e della disciplina e,  nei
confronti degli  imputati,  non  indispensabili  a  fini  giudiziari»
(comma 5). 
    Detti   principi   corrispondono   a   quelli   enunciati   dalla
giurisprudenza di questa Corte sul «volto costituzionale» della pena,
che e' una sofferenza in tanto legittima in  quanto  inflitta  «nella
misura minima necessaria» (sentenza n. 179  del  2017;  nello  stesso
senso, sentenze n. 28 del 2022 e n. 40 del 2019). 
    Dal canto loro, le Regole penitenziarie europee, adottate in data
11 gennaio 2006 con Raccomandazione Rec(2006)2-rev dal  Comitato  dei
ministri del Consiglio d'Europa, e dallo stesso riviste  ed  emendate
il 1° luglio  2020,  contengono  un'applicazione  del  principio  del
minimo mezzo, laddove e' stabilito che le visite devono essere svolte
con  modalita'  tali  da  consentire  ai  detenuti  di  mantenere   e
sviluppare le relazioni, nello specifico familiari, «in as  normal  a
manner as possible» (regola 24.4). 
    4.1.- La prescrizione del controllo a vista sullo svolgimento del
colloquio del detenuto  con  le  persone  a  lui  legate  da  stabile
relazione  affettiva,  in  quanto  disposta  in  termini  assoluti  e
inderogabili, si risolve in una compressione sproporzionata e  in  un
sacrificio irragionevole della dignita' della persona, quindi in  una
violazione  dell'art.  3  Cost.,  sempre  che,   tenuto   conto   del
comportamento del detenuto in  carcere,  non  ricorrano  in  concreto
ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine  e  della
disciplina,  ne'  sussistano,   rispetto   all'imputato,   specifiche
finalita' giudiziarie. 
    Si rammenta, in proposito, quanto sottolineato  da  questa  Corte
nella sentenza n. 26 del 1999, circa la  tutela  giurisdizionale  dei
diritti dei detenuti, cioe' che «[l]a dignita' della persona (art. 3,
primo comma,  della  Costituzione)  anche  in  questo  caso  -  anzi:
soprattutto in questo caso, il cui dato distintivo e' la  precarieta'
degli individui, derivante dalla mancanza di liberta', in  condizioni
di ambiente per loro  natura  destinate  a  separare  dalla  societa'
civile - e' dalla Costituzione protetta attraverso il bagaglio  degli
inviolabili diritti dell'uomo che anche il  detenuto  porta  con  se'
lungo tutto il corso dell'esecuzione penale». 
    4.2.- Un ulteriore profilo di irragionevolezza delle  restrizioni
imposte   all'espressione   dell'affettivita',    quali    conseguono
all'inderogabilita' del controllo a  vista  sui  colloqui  familiari,
riguarda il loro riverberarsi sulle persone che, legate  al  detenuto
da stabile relazione affettiva, vengono limitate  nella  possibilita'
di coltivare il rapporto, anche per anni. 
    Si tratta di persone estranee  al  reato  e  alla  condanna,  che
subiscono  dalla  descritta  situazione  normativa   un   pregiudizio
indiretto. 
    Per quanto  in  certa  misura  sia  inevitabile  che  le  persone
affettivamente legate al detenuto patiscano le  conseguenze  fattuali
delle restrizioni carcerarie a lui imposte, tale riflesso  soggettivo
diviene incongruo quando la restrizione stessa non sia necessaria,  e
pertanto, nella specie, quando il colloquio possa  essere  svolto  in
condizioni di intimita' senza che abbiano a patirne  le  esigenze  di
sicurezza. 
    Anche tali rilievi sulla lesione della dignita' del terzo valgono
per l'affettivita' in ogni sua manifestazione, e non soltanto per  la
sessualita', pur se quest'ultima,  nella  specifica  prospettiva  del
coniugio, assume una rilevanza peculiare. 
    4.2.1.-  Invero,  la  legge  n.  354  del  1975  ammette  che  il
matrimonio del detenuto sia  celebrato  in  carcere  (art.  44),  ma,
quando  non  siano  fruibili  permessi  premio,  di  fatto  impedisce
l'affettivita' coniugale; nemmeno soccorre il cosiddetto permesso  di
necessita' (art. 30), non essendo considerata detta ragione un  grave
motivo familiare agli effetti  della  concessione  di  tale  speciale
permesso (Corte di cassazione,  sezione  prima  penale,  sentenze  29
settembre 2015-12 gennaio 2016, n. 882,  e  26  novembre-24  dicembre
2008, n. 48165). 
    Si determina in tal modo  il  fenomeno  usualmente  indicato  con
l'immagine dei "matrimoni bianchi", che evidenzia  non  soltanto  una
lesione della dignita'  degli  sposi,  ma  anche  una  contraddizione
interna al quadro normativo, giacche' il fatto che «il matrimonio non
e' stato consumato» - a norma dell'art. 3, primo  comma,  numero  2),
lettera f), della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi
di  scioglimento  del  matrimonio)  -  e'  causa  di  scioglimento  o
cessazione degli effetti civili del matrimonio. 
    4.3.- L'impossibilita' per il detenuto di esprimere  una  normale
affettivita' con il partner si traduce  in  un  vulnus  alla  persona
nell'ambito familiare e, piu' ampiamente, in un  pregiudizio  per  la
stessa nelle relazioni nelle quali si  svolge  la  sua  personalita',
esposte pertanto ad un progressivo  impoverimento,  e  in  ultimo  al
rischio della disgregazione. 
    Da questo punto di vista si evidenzia la violazione dell'art. 27,
terzo comma, Cost., in quanto una pena che impedisce al condannato di
esercitare l'affettivita' nei colloqui con  i  familiari  rischia  di
rivelarsi inidonea alla finalita' rieducativa. 
    L'intimita'   degli   affetti   non   puo'   essere   sacrificata
dall'esecuzione  penale  oltre  la  misura  del  necessario,  venendo
altrimenti percepita la sanzione come esageratamente afflittiva,  si'
da non poter tendere all'obiettivo della risocializzazione. 
    Il perseguimento di  questo  obiettivo  risulta  anzi  gravemente
ostacolato dall'indebolimento delle  relazioni  affettive,  che  puo'
arrivare finanche alla dissoluzione delle stesse, giacche'  frustrate
dalla  protratta  impossibilita'  di  coltivarle  nell'intimita'   di
incontri riservati, con quell'esito di  "desertificazione  affettiva"
che e' l'esatto opposto della risocializzazione. 
    4.4.- La disposizione censurata viola  anche  l'art.  117,  primo
comma, Cost., in relazione all'art. 8 CEDU. 
    4.4.1.- Occorre premettere che ormai  una  larga  maggioranza  di
ordinamenti europei riconosce ai detenuti spazi piu' o meno  ampi  di
espressione dell'affettivita' intramuraria, inclusa la sessualita'. 
    Si ricordano i parlatori  familiari  (parloirs  familiaux)  e  le
unita'  di  vita  familiare  (unites  de   vie   familiale),   locali
appositamente concepiti nei quali il  codice  penitenziario  francese
prevede possano svolgersi visite di familiari adulti, di durata  piu'
o meno estesa, «sans surveillance continue et directe»; con  funzione
analoga si segnalano  le  comunicaciones  intimas,  disciplinate  dal
regolamento penitenziario spagnolo,  e  le  visite  di  lunga  durata
(Langzeitbesuche), ammesse dalla legislazione penitenziaria di  molti
LÄnder tedeschi. 
    In piu' occasioni, la Corte EDU, pur dichiarando  che  gli  Stati
non sono obbligati a riconoscere le conjugal visits,  poiche'  godono
al riguardo di un vasto margine  di  apprezzamento,  ha  ritenuto  il
suddetto orientamento legislativo conforme alla tutela dei diritti  e
delle liberta' previsti dalla Convenzione (Corte EDU, grande  camera,
sentenza 4 dicembre 2007, Dickson contro Regno Unito, poi Corte  EDU,
sentenze 7 luglio 2022, Chocholač  contro  Slovacchia,  e  1°  luglio
2021, Lesław Wojcik contro Polonia). 
    In particolare, la Corte di Strasburgo non esclude che il singolo
ordinamento possa rifiutare l'accesso alle  visite  coniugali  quando
cio' sia giustificato da obiettivi di prevenzione del disordine e del
crimine, ai sensi del paragrafo  2  dell'art.  8  CEDU  (sentenza  29
aprile 2003, Aliev contro Ucraina). Viene pero'  richiesto  un  «fair
balance» tra gli interessi pubblici e  privati  coinvolti  ovvero  un
test  di  proporzionalita'  della  restrizione  carceraria  (sentenza
Dickson contro Regno Unito) e, quand'anche la  visita  coniugale  sia
intesa in senso premiale, si esige un'adeguata valutazione di  taglio
casistico (sentenza Lesław Wojcik contro Polonia). 
    4.4.2.- Il carattere assoluto e  indiscriminato  del  divieto  di
esercizio    dell'affettivita'     intramuraria,     quale     deriva
dall'inderogabilita' della prescrizione del controllo a  vista  sullo
svolgimento dei colloqui, pone l'art. 18 ordin. penit.  in  contrasto
con l'art. 8 CEDU, sotto il profilo del difetto  di  proporzionalita'
tra tale radicale divieto e le sue, pur legittime, finalita'. 
    In particolare, il diritto  al  rispetto  della  vita  privata  e
familiare,  garantito  dal  paragrafo  1  dell'art.  8  CEDU,   viene
compresso senza che sia verificabile in concreto,  agli  effetti  del
successivo paragrafo 2, la necessita' della  misura  restrittiva  per
esigenze di difesa dell'ordine e prevenzione dei reati. 
    5.- Devono essere quindi accolte le censure riferite  agli  artt.
3, 27, terzo comma,  e  117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 8 CEDU. 
    6.-  Questa  Corte  e'  consapevole  dell'impatto  che  l'odierna
sentenza e'  destinata  a  produrre  sulla  gestione  degli  istituti
penitenziari,  come  anche  dello  sforzo  organizzativo  che   sara'
necessario per adeguare ad una nuova esigenza  relazionale  strutture
gia' gravate da persistenti problemi di sovraffollamento. 
    Il lungo tempo trascorso dalla sentenza n. 301 del 2012, e  dalla
segnalazione  che  essa  rivolgeva  all'attenzione  del  legislatore,
impone tuttavia di ricondurre a legittimita' costituzionale una norma
irragionevole nella sua assolutezza e  lesiva  della  dignita'  delle
persone. 
    La  complessita'  dei  problemi  operativi  che  ne  scaturiscono
sollecita ancora una volta la responsabilita'  del  legislatore,  ove
esso intenda approntare in materia un  quadro  normativo  di  livello
primario. 
    Puo' ricordarsi in proposito la gia' menzionata  sentenza  n.  26
del 1999, con la quale  questa  Corte,  dichiarando  l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 35 e 69 ordin. penit. nella parte  in  cui
non prevedevano una tutela giurisdizionale nei confronti  degli  atti
dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti  dei  detenuti,
«chiama[va] il legislatore all'esercizio della funzione normativa che
a esso compete, in attuazione dei principi della Costituzione». 
    6.1.- Al fine di garantire l'effettivita' dei principi di cui  si
e' detto finora e di salvaguardare l'esercizio della discrezionalita'
legislativa,  questa   Corte   intende   rimarcare   alcuni   profili
conseguenti alla sentenza che oggi pronuncia. 
    Si tratta di aspetti gia' messi in luce dalla sentenza n. 301 del
2012, come rammentato poc'anzi (punto 2.1.), e poi regolamentati  per
il detenuto minorenne dall'art. 19 del d.lgs. n. 121 del 2018. 
    Essi segnalano infatti problemi ed esigenze che  si  pongono  per
l'esercizio dell'affettivita' intramuraria di ogni persona detenuta. 
    6.1.1.- La  durata  dei  colloqui  intimi  deve  essere  adeguata
all'obiettivo  di  consentire  al   detenuto   e   al   suo   partner
un'espressione  piena  dell'affettivita',  che  non   necessariamente
implica una declinazione sessuale, ma neppure la esclude. 
    6.1.2.- In quanto finalizzate  alla  conservazione  di  relazioni
affettive stabili, le visite in questione devono potersi svolgere  in
modo non sporadico (ovviamente qualora ne permangano i  presupposti),
e tale da non impedire che gli incontri possano raggiungere lo  scopo
complessivo  di  preservazione  della  stabilita'   della   relazione
affettiva. 
    6.1.3.-   Numerosi   testi    sovranazionali    indicano    nella
predisposizione di luoghi appropriati  una  condizione  basilare  per
l'esercizio dell'affettivita' intramuraria del  detenuto:  cosi',  in
particolare, la raccomandazione n. 1340 (1997), sugli  effetti  della
detenzione sul piano familiare  e  sociale,  adottata  dall'Assemblea
parlamentare del Consiglio  d'Europa  il  22  settembre  1997  (punto
6.6.), e la raccomandazione  n.  2003/2188  (INI),  sui  diritti  dei
detenuti nell'Unione europea, adottata dal Parlamento  europeo  il  9
marzo 2004 (punto 1, lettera c). 
    Puo' ipotizzarsi che le  visite  a  tutela  dell'affettivita'  si
svolgano in unita'  abitative  appositamente  attrezzate  all'interno
degli istituti, organizzate  per  consentire  la  preparazione  e  la
consumazione di pasti e riprodurre, per quanto possibile, un ambiente
di tipo domestico. 
    E' comunque necessario che sia  assicurata  la  riservatezza  del
locale di svolgimento dell'incontro, il  quale,  per  consentire  una
piena manifestazione dell'affettivita',  deve  essere  sottratto  non
solo all'osservazione interna da parte del personale di custodia (che
dunque vigilera' solo all'esterno), ma anche allo sguardo degli altri
detenuti e di chi con loro colloquia. 
    6.1.4.- A differenza di quanto previsto dall'art.  19,  comma  3,
del d.lgs. n. 121 del 2018 per  la  visita  prolungata  del  detenuto
minorenne, per il detenuto adulto non va ammessa  la  compresenza  di
piu' persone, considerata l'eventualita' di una declinazione sessuale
dell'incontro, che deve quindi svolgersi unicamente con  il  coniuge,
la parte dell'unione civile o la persona stabilmente  convivente  con
il detenuto stesso. 
    6.1.5.- Prima di autorizzare il colloquio riservato, il direttore
dell'istituto,   oltre    all'esistenza    di    eventuali    divieti
dell'autorita' giudiziaria che impediscano i  contatti  del  detenuto
con la persona con la quale il colloquio stesso deve avvenire,  avra'
cura di verificare altresi'  la  sussistenza  del  presupposto  dello
stabile  legame  affettivo,  in  particolare   l'effettivita'   della
pregressa convivenza. 
    6.1.6.- Nella fruizione dei locali  predisposti  per  l'esercizio
dell'affettivita' (i quali verosimilmente saranno, almeno all'inizio,
una "risorsa scarsa") «sono  favorite  le  visite  prolungate  per  i
detenuti che non usufruiscono di permessi premio»  (sempre  che  cio'
non dipenda da ragioni ostative anche all'esercizio dell'affettivita'
intramuraria). 
    Prevista dall'art. 19, comma  6,  del  d.lgs.  n.  121  del  2018
riguardo al detenuto minorenne,  la  particolare  considerazione  nei
confronti  di  chi  non  puo'  usufruire  di  permessi  premio   puo'
estendersi alla disciplina del detenuto adulto,  analoga  essendo  la
ratio di sussidiarieta' dell'affettivita'  intra  moenia  rispetto  a
quella piu' fisiologicamente esprimibile "fuori le mura". 
    7.- Nella formulazione del petitum, il Magistrato di sorveglianza
di Spoleto prospetta come  ostative  ai  colloqui  intimi  unicamente
«ragioni di sicurezza». 
    Questa  impostazione  non  attribuisce  il  dovuto   rilievo   al
principio direttivo enunciato dall'art. 1, comma  5,  ordin.  penit.,
laddove,  quale  fondamento  delle   restrizioni   intramurarie,   si
indicano, piu' ampiamente, l'«esigenza di mantenimento dell'ordine  e
della  disciplina»  e,  nei  confronti  degli   imputati,   i   «fini
giudiziari». 
    La rimozione del controllo a vista  del  personale  di  custodia,
funzionale a consentire lo svolgimento del  colloquio  nell'intimita'
necessaria  all'espressione  dell'affettivita',  puo'  dunque  essere
negata  quando,  tenuto  conto  del  comportamento  del  detenuto  in
carcere, ostino ragioni  di  sicurezza  o  esigenze  di  mantenimento
dell'ordine e della disciplina, ovvero anche, riguardo  all'imputato,
motivi di carattere giudiziario. 
    Possono quindi rilevare in  senso  ostativo  -  non  soltanto  la
pericolosita' sociale del  detenuto,  ma  anche  -  irregolarita'  di
condotta e precedenti disciplinari, in  una  valutazione  complessiva
che appartiene in prima  battuta  all'amministrazione  e  in  secondo
luogo al magistrato di sorveglianza, sulla base del modulo  ordinario
di cui agli artt. 35-bis e 69, comma 6, lettera b), ordin. penit. 
    Per  l'imputato,  l'apprezzamento  delle   ragioni   processuali,
innanzitutto la valutazione  delle  esigenze  di  salvaguardia  della
prova, e' di competenza dell'autorita' giudiziaria che procede,  fino
alla  pronuncia  della  sentenza  di  primo  grado,  dopo  la   quale
l'ammissione al colloquio  riservato  rientra  nella  competenza  del
direttore  dell'istituto,  come  stabiliscono,  per  i  permessi   di
colloquio in genere, gli artt. 18, decimo comma, della legge  n.  354
del 1975 e 37, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 230 del 2000. 
    8.- In coerenza con l'oggetto del giudizio principale, instaurato
dal reclamo di un detenuto in regime ordinario  di  media  sicurezza,
deve  precisarsi  che  l'odierna  sentenza  non  concerne  i   regimi
detentivi speciali. 
    8.1.- Essa in particolare non  riguarda  il  regime  speciale  di
detenzione di cui all'art. 41-bis ordin.  penit.,  poiche'  esso,  ai
sensi del comma 2-quater,  lettera  b),  della  stessa  disposizione,
comporta l'applicazione di una disciplina dei  colloqui  radicalmente
derogatoria, quanto  al  controllo  finanche  auditivo  sui  colloqui
medesimi e alla conformazione dei locali in cui si svolgono. 
    8.2.-  La  presente  decisione  neppure   riguarda   i   detenuti
sottoposti  a  sorveglianza  particolare,  in  quanto,   sebbene   le
restrizioni associate a tale regime non possano avere  ad  oggetto  i
colloqui con il coniuge e il convivente  (art.  14-quater,  comma  4,
ordin. penit.), i presupposti della relativa  applicazione,  definiti
dall'art. 14-bis, comma 1, ordin. penit., sono antitetici rispetto  a
quelli dell'ammissione al colloquio intimo,  trattandosi  di  reclusi
che «con i  loro  comportamenti  compromettono  la  sicurezza  ovvero
turbano l'ordine negli istituti» (lettera  a),  «con  la  violenza  o
minaccia impediscono le attivita' degli altri detenuti  o  internati»
(lettera b) o che «nella vita penitenziaria si avvalgono dello  stato
di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti» (lettera c). 
    Peraltro, la temporaneita' del regime di sorveglianza particolare
(di durata non superiore  a  sei  mesi,  prorogabile  in  misura  non
superiore ogni volta a tre mesi)  e  l'immediata  sottoposizione  del
provvedimento applicativo al controllo del magistrato di sorveglianza
- in base alle disposizioni dei commi 1 e 6 del medesimo art.  14-bis
- assicurano  che  le  restrizioni  abbiano  un  continuo  e  attuale
fondamento di necessita'. 
    8.3.- Quanto ai detenuti per reati cosiddetti ostativi, in  linea
di principio non  sussistono  impedimenti  normativi  che  precludano
l'esercizio dell'affettivita' intra moenia, posto  che  l'ostativita'
del  titolo  di  reato  inerisce  alla   concessione   dei   benefici
penitenziari e non riguarda le modalita' dei colloqui. 
    Peraltro, la significativa  riduzione  del  numero  dei  colloqui
autorizzabili, che l'art. 37, comma 8, del d.P.R.  n.  230  del  2000
stabilisce «[q]uando si tratta di detenuti o internati  per  uno  dei
delitti previsti dal primo  periodo  del  primo  comma  dell'articolo
4-bis della legge e per i quali si applichi il  divieto  di  benefici
ivi previsto», indica un chiaro orientamento legislativo nel senso di
un maggiore controllo sugli incontri di queste persone,  e  cio'  non
puo' che tradursi in una piu' stringente verifica dei presupposti  di
ammissione all'esercizio dell'affettivita' intramuraria. 
    9.- Resta ovviamente salva la possibilita' per il legislatore  di
disciplinare la materia stabilendo termini e  condizioni  diversi  da
quelli  sopra  enunciati,  purche'  idonei  a  garantire  l'esercizio
dell'affettivita'  dei  detenuti,  nel  senso  fatto  proprio   dalla
presente pronuncia. 
    E'  altresi'  opportuno  valorizzare  qui  il  contributo  che  a
un'ordinata attuazione dell'odierna  decisione  puo'  dare  -  almeno
nelle more dell'intervento del legislatore - l'amministrazione  della
giustizia, in tutte le sue articolazioni, centrali e periferiche, non
esclusi i direttori dei singoli istituti. 
    Venendo meno con questa decisione l'inderogabilita' del controllo
visivo sugli incontri,  puo'  ipotizzarsi  la  creazione  all'interno
degli istituti penitenziari - laddove le condizioni  materiali  della
singola struttura lo consentano, e con la  gradualita'  eventualmente
necessaria - di appositi spazi riservati ai colloqui  intimi  tra  la
persona detenuta e quella ad essa affettivamente legata. 
    In questa prospettiva, l'azione combinata del legislatore,  della
magistratura di sorveglianza  e  dell'amministrazione  penitenziaria,
ciascuno per le rispettive competenze, potra' accompagnare una  tappa
importante del percorso di inveramento del volto costituzionale della
pena. 
    10.- Per tutto quanto esposto, in riferimento agli artt.  3,  27,
terzo comma, e 117, primo comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione
all'art.   8   CEDU,   deve   essere   dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 18 ordin. penit., nella  parte  in  cui  non
prevede che la persona detenuta possa essere ammessa, nei termini  di
cui sopra, a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell'unione
civile  o  la  persona  con  lei  stabilmente  convivente,  senza  il
controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del
comportamento della persona detenuta in carcere, non  ostino  ragioni
di  sicurezza  o  esigenze  di  mantenimento  dell'ordine   e   della
disciplina, ne', riguardo all'imputato, ragioni giudiziarie. 
    Sono assorbite le questioni  riferite  agli  ulteriori  parametri
evocati nell'ordinanza di rimessione. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18 della legge
26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), nella
parte in cui  non  prevede  che  la  persona  detenuta  possa  essere
ammessa, nei termini di cui in motivazione, a svolgere i colloqui con
il coniuge,  la  parte  dell'unione  civile  o  la  persona  con  lei
stabilmente convivente, senza il controllo a vista del  personale  di
custodia,  quando,  tenuto  conto  del  comportamento  della  persona
detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza  o  esigenze  di
mantenimento  dell'ordine   e   della   disciplina,   ne',   riguardo
all'imputato, ragioni giudiziarie. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2023. 
 
                                F.to: 
                 Augusto Antonio BARBERA, Presidente 
                     Stefano PETITTI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2024 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA