N. 45 SENTENZA 21 febbraio - 21 marzo 2024

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo  penale  -  Reati  di  competenza  del  giudice  di  pace  -
  Estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie  -  Termine
  massimo per procedere - Loro realizzazione  prima  dell'udienza  di
  comparizione, anziche' prima della dichiarazione  di  apertura  del
  dibattimento  -  Violazione  del  principio  di  ragionevolezza   -
  Illegittimita' costituzionale parziale. 
- Decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 35. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.13 del 27-3-2024 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta da: 
Presidente:Augusto Antonio BARBERA; 
Giudici :Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',
  Luca  ANTONINI,   Stefano   PETITTI,   Angelo   BUSCEMA,   Emanuela
  NAVARRETTA,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,  Marco  D'ALBERTI,  Giovanni
  PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  35  del
decreto legislativo  28  agosto  2000,  n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468), promosso  dal  Giudice  di  pace  di
Forli' nel procedimento penale a carico di T. T., con  ordinanza  del
12 dicembre 2022, iscritta al n. 8  del  registro  ordinanze  2023  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  7,  prima
serie speciale, dell'anno 2023, la cui trattazione e'  stata  fissata
per l'adunanza in camera di consiglio del 20 febbraio 2024. 
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 12 dicembre 2022,  iscritta  al  n.  8  del
registro ordinanze 2023, il Giudice di pace di Forli'  ha  sollevato,
in  riferimento  all'art.  3   della   Costituzione,   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 35 del decreto  legislativo  28
agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice
di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24  novembre  1999,  n.
468), nella parte in cui prevede che l'imputato possa procedere  alla
riparazione del danno cagionato dal reato solo prima dell'udienza  di
comparizione, anziche' entro il termine massimo  della  dichiarazione
di apertura del dibattimento. 
    1.1.- In  punto  di  fatto,  il  rimettente  riferisce  di  dover
procedere nei confronti di una persona imputata del reato di percosse
(art. 581 del codice penale), attribuito alla competenza del  giudice
di pace (art. 4, comma 1, lettera a, del d.lgs.  n.  274  del  2000),
perche' a seguito di un diverbio scaturito  per  motivi  inerenti  la
circolazione stradale, colpiva con  un  pugno  al  volto  la  persona
offesa, senza che dal fatto derivasse una malattia nel corpo o  nella
mente. 
    In particolare, il Giudice di pace evidenzia che  all'udienza  di
comparizione svoltasi il 21 giugno 2021, le  parti  dichiaravano  che
erano  pendenti  trattative  e  chiedevano  un  rinvio  per  la  loro
definizione; alla successiva udienza  del  25  ottobre  2021,  veniva
confermata  la  pendenza  delle  trattative  e,  contestualmente,  il
difensore dell'imputato formulava istanza di definizione del giudizio
ex art. 35 del d.lgs. n. 274  del  2000,  riservandosi  di  formulare
l'offerta risarcitoria. Dopo un rinvio disposto per impedimento della
difesa,  all'udienza  del  28  febbraio  2022,  prima  della  formale
dichiarazione di  apertura  del  dibattimento,  l'imputato  formulava
banco iudicis  l'offerta  della  somma  di  trecento  euro  a  titolo
risarcitorio, che non veniva ritenuta congrua  dalla  persona  offesa
querelante, mentre il pubblico  ministero  si  dichiarava  favorevole
all'accoglimento. 
    Ma, prima di ogni valutazione sull'adeguatezza di  tale  offerta,
il giudice osservava che la stessa sarebbe comunque  tardiva  perche'
formulata nel corso dell'udienza di comparizione, anziche'  prima;  a
fronte di cio', il difensore dell'imputato eccepiva  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000, per contrasto
con l'art. 3 Cost., nella parte in  cui  non  prevede  che  l'offerta
risarcitoria possa essere effettuata fino  al  momento  dell'apertura
del dibattimento. 
    Alla successiva udienza del 12 dicembre 2022, il Giudice di  pace
di Forli',  in  accoglimento  di  tale  eccezione,  ha  sollevato  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 35 del  d.lgs.  n.
274 del 2000, in riferimento all'art. 3 Cost. 
    1.2.- Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata,  nello
stabilire che l'imputato debba  dimostrare  di  aver  proceduto  alla
condotta   riparatoria   prima    dell'udienza    di    comparizione,
determinerebbe la violazione dell'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo
della disparita' di trattamento tra colui che deve  essere  giudicato
per la commissione  di  un  reato  rientrante  nella  competenza  del
giudice di pace e l'imputato che provveda alla riparazione del  danno
cagionato per effetto di un  reato  attribuito  alla  competenza  del
tribunale. In tale ultimo caso, infatti, l'analogo  istituto  di  cui
all'art. 162-ter cod. pen. (introdotto dall'art. 1,  comma  1,  della
legge 23 giugno 2017, n. 103, recante «Modifiche al codice penale, al
codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario»),  per  i
reati  di  competenza  del  tribunale,  consente  di  accedere   alla
dichiarazione  di  estinzione  del   reato,   se   l'imputato   abbia
interamente  riparato  il  danno  entro  il  termine  massimo   della
dichiarazione di apertura del dibattimento. 
    Per il giudice rimettente, i due istituti - introdotti in momenti
diversi  -  presenterebbero  numerose  similitudini,  in  quanto   si
applicano  a  reati  procedibili  a  querela;  in  entrambi  i   casi
l'imputato  deve  dare  dimostrazione  di  avere  riparato  il  danno
cagionato alla persona offesa e di  avere  eliminato  le  conseguenze
dannose o pericolose del reato;  inoltre,  entrambe  le  disposizioni
prevedono  che  il  giudice  debba   valutare   la   congruita'   del
risarcimento anche se la persona offesa non abbia accettato l'offerta
risarcitoria; infine, in relazione  ad  entrambe  le  fattispecie  il
giudice dichiara l'estinzione del reato, in caso  di  esito  positivo
delle condotte risarcitorie. 
    Cio' nonostante, soltanto l'art. 35 del d.lgs. n.  274  del  2000
richiede  l'anteriorita'  della  riparazione   del   danno   rispetto
all'udienza di comparizione, mentre nei giudizi innanzi al  tribunale
il termine massimo per la condotta riparatoria e'  quello  successivo
della dichiarazione di apertura del dibattimento. 
    Sotto tale profilo, il rimettente richiama la sentenza n. 206 del
2011 di questa Corte secondo  cui  lo  «"sbarramento"  procedimentale
rappresentato dall'udienza di comparizione [...]  risponde  non  solo
alla logica deflattiva, che pure caratterizza la  disciplina  dettata
dall'art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000, ma altresi' alla  necessita'
di  assicurare,  per  riprendere  un'espressione   utilizzata   dalla
giurisprudenza di legittimita' (Cass. pen., Sez. V, n. 41297  del  26
settembre 2008), la  "spontaneita'"  della  condotta  dell'imputato»;
aggiungendo che «[e'] in questa prospettiva, del resto, che la  Corte
di cassazione ha letto l'analogo "sbarramento" previsto dall'art. 62,
numero 6), cod. pen. (che prevede, come  circostanza  attenuante,  la
riparazione del danno prima del giudizio), ritenendo  che  lo  stesso
non dia luogo ad  una  "irragionevole  compressione  del  diritto  di
difesa", ma si ponga "in sintonia con la ratio  dell'attenuante,  che
e' di  dare  rilevanza  solo  a  comportamenti  che,  precedendo  gli
sviluppi del giudizio e i condizionamenti derivanti  dalle  connesse,
contingenti esigenze difensive, possano considerarsi  sintomatici  di
ravvedimento" (Cass. pen., Sez. I, n. 3340 del 13 gennaio 1995)». 
    Tuttavia, afferma il rimettente, con  il  progressivo  affermarsi
dei principi in tema di giustizia  riparativa  e  con  la  previsione
anche per i reati di  competenza  del  tribunale,  attraverso  l'art.
162-ter cod. pen., del medesimo istituto previsto  dall'art.  35  del
d.lgs.  n.  274  del  2000,  il  diverso  termine  non  sarebbe  piu'
giustificabile, dando luogo ad una ingiustificata disparita', potendo
solo nei procedimenti innanzi al tribunale l'imputato beneficiare  di
un termine piu' ampio per evitare  la  celebrazione  del  processo  e
l'inflizione della pena; mentre quello di un reato di competenza  del
giudice di pace per ottenere il beneficio dell'estinzione  del  reato
deve aver provveduto alle riparazioni  ancor  prima  dell'udienza  di
comparizione. 
    A conforto della disparita' segnalata il rimettente rimarca come,
in entrambi i giudizi, la spontaneita' della condotta riparativa e la
valutazione del sincero  ravvedimento  sarebbero  comunque  garantiti
dall'anteriorita'     della     condotta     riparatoria     rispetto
all'espletamento dell'attivita' istruttoria. 
    Inoltre, la previsione dello sbarramento  anticipato  sarebbe  di
per se' irragionevole, in  quanto  in  contrasto  con  la  ratio  del
processo innanzi al  giudice  di  pace,  il  quale  risponde  in  via
prioritaria a logiche conciliative, proprio per  la  minore  gravita'
dei reati trattati. 
    1.3.- Quanto  alla  rilevanza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale, il rimettente evidenzia che «l'imputato ha  formulato
l'offerta risarcitoria astrattamente idonea  ad  eliminare  il  danno
conseguente al reato contestato, dopo la prima udienza,  ma  comunque
prima della  dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento»  con  la
conseguenza che la questione di legittimita' costituzionale  si  pone
come preliminare per la prosecuzione del giudizio, in  rapporto  alla
disciplina di cui all'art.162-ter  cod.  pen.,  concernente  un  caso
sostanzialmente identico. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione  sia  dichiarata  inammissibile  e,
comunque, non fondata. 
    2.1.- In primo luogo, la difesa statale sostiene che  l'ordinanza
di rimessione difetterebbe di motivazione in  ordine  alla  idoneita'
della condotta riparatoria dell'imputato a soddisfare le esigenze  di
riprovazione del reato e quelle  di  prevenzione;  tale  accertamento
sarebbe espressamente richiesto dal comma 2 dell'art. 35  del  d.lgs.
n. 274 del 2000. 
    In punto di merito,  poi,  l'Avvocatura  osserva  come  l'assunto
della piena equiparazione tra la causa di estinzione di cui  all'art.
35 del d.lgs. n. 274 del 2000 e  quella  prevista  dall'art.  162-ter
cod. pen. sia destituito  di  fondamento,  in  quanto  si  tratta  di
istituti con profonde differenze  strutturali:  mentre,  infatti,  ai
sensi del comma 2 dell'art.  35  del  d.lgs.  n.  274  del  2000,  le
condotte riparative devono essere idonee a soddisfare le esigenze  di
prevenzione, l'art. 162-ter cod.  pen.  pretende  l'integralita'  del
risarcimento. 
    Inoltre, la citata sentenza di questa Corte n. 206 del  2011,  ad
avviso   dell'Avvocatura,   avrebbe   giustificato   lo   sbarramento
procedimentale rappresentato dall'udienza di comparizione,  il  quale
oltre a perseguire una finalita' deflattiva, connotante l'istituto in
questione,  risponde  anche  «alla  necessita'  di  assicurare,   per
riprendere  un'espressione   utilizzata   dalla   giurisprudenza   di
legittimita' (Cass. pen., Sez. V, n. 41297 del 26 settembre 2008), la
"spontaneita'" della condotta dell'imputato». 
    Pertanto,  la  disposizione  censurata  -   nel   prevedere   che
l'imputato  debba  procedere  alla  riparazione   del   danno   prima
dell'udienza di comparizione - in quanto tesa a consentire al giudice
di verificare la spontaneita' della  condotta,  non  si  porrebbe  in
contrasto  con  il   parametro   costituzionale   evocato,   vieppiu'
considerando che il giudice puo' disporre la sospensione dell'udienza
per consentire all'imputato di adottare la  condotta  riparativa  ove
non gli sia stato possibile farlo in precedenza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 12 dicembre 2022 (reg. ord. n. 8 del 2023),
il Giudice di pace di Forli' ha sollevato, in riferimento all'art.  3
Cost., questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  35  del
d.lgs. n. 274 del 2000, nella parte  in  cui  prevede,  per  i  reati
rientranti nella competenza del giudice di pace, che l'imputato possa
procedere alla riparazione del danno cagionato dal reato  solo  prima
dell'udienza di comparizione, anziche' entro il termine massimo della
dichiarazione di apertura del dibattimento. 
    Il rimettente, premesso di procedere nei confronti di una persona
imputata del reato di percosse (art. 581 cod.  pen.),  riferisce  che
nel corso dell'udienza di comparizione, svoltasi  in  piu'  date  per
effetto  di  alcuni  rinvii,  il  difensore  dell'imputato  formulava
istanza di definizione del giudizio ex art. 35 del d.lgs. n. 274  del
2000  e,  prima  della  formale   dichiarazione   di   apertura   del
dibattimento, l'imputato effettuava  banco  iudicis  l'offerta  della
somma di trecento euro a titolo risarcitorio, somma  che  non  veniva
ritenuta congrua dalla persona offesa. 
    Il rimettente, riscontrata la non tempestivita'  dell'offerta  in
quanto  formulata  all'udienza  di   comparizione   anziche'   prima,
sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art.  35  del
d.lgs. n. 274 del  2000,  nei  termini  sopra  indicati,  accogliendo
l'eccezione della difesa dell'imputato. 
    In punto di non manifesta infondatezza, la disposizione censurata
si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il  profilo  della
violazione  del  principio  di   uguaglianza,   in   quanto,   stante
l'affinita' tra l'istituto di cui all'art. 35 del d.lgs. n.  274  del
2000  (rubricato  «Estinzione  del  reato  conseguente   a   condotte
riparatorie») e l'art. 162-ter cod. pen. («Estinzione del  reato  per
condotte riparatorie») determinerebbe una disparita'  di  trattamento
tra l'imputato che provveda alla riparazione del danno cagionato  per
la commissione di un reato rientrante nella competenza del giudice di
pace e l'imputato che provveda alla riparazione del  danno  cagionato
per effetto di un reato attribuito alla competenza del tribunale,  in
relazione al quale e' stabilito  che  vi  possa  adempiere  entro  il
termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento. 
    Secondo il rimettente, inoltre, sussisterebbe la  violazione  del
medesimo  parametro  costituzionale   anche   in   riferimento   alla
violazione del principio di ragionevolezza, in quanto  l'anteriorita'
della riparazione del danno rispetto all'udienza di  comparizione  si
porrebbe in contrasto con la ratio del processo innanzi al giudice di
pace che risponde, in via prioritaria, a logiche conciliative per  la
minore gravita' dei reati trattati. 
    Sul piano della rilevanza, il rimettente evidenzia che l'imputato
aveva  formulato  «l'offerta  risarcitoria  astrattamente  idonea  ad
eliminare il danno conseguente al  reato  contestato  dopo  la  prima
udienza, ma  comunque  prima  della  dichiarazione  di  apertura  del
dibattimento», con la conseguenza che la  questione  di  legittimita'
costituzionale si pone  come  preliminare  per  la  prosecuzione  del
giudizio, in rapporto alla disciplina di cui  all'art.  162-ter  cod.
pen. concernente un caso sostanzialmente identico. 
    2.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' della  questione,  per  non  avere  il  rimettente
adeguatamente  motivato  in  ordine  alla  idoneita'  della  condotta
riparatoria a soddisfare le esigenze  di  riprovazione  del  reato  e
quelle  di  prevenzione,  trattandosi  di  valutazione  espressamente
richiesta dal comma 2 dell'art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La disposizione censurata, al comma  1,  richiede  che,  al  fine
della dichiarazione di estinzione del reato  conseguente  a  condotte
riparatorie, l'imputato abbia proceduto «alla riparazione  del  danno
cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il  risarcimento»  ed
abbia «eliminato le conseguenze  dannose  o  pericolose  del  reato»;
tutto cio' «prima dell'udienza di comparizione». 
    Deve rilevarsi,  innanzi  tutto,  che  il  rimettente  muove  dal
corretto presupposto  interpretativo  circa  la  perentorieta'  della
preclusione temporale stabilita dalla disposizione censurata. 
    La formulazione letterale del comma 1 dell'art. 35 del d.lgs.  n.
274 del  2000  e'  chiara  nello  stabilire  la  necessita'  che  gli
adempimenti  riparatori  e   risarcitori   siano   realizzati   prima
dell'udienza di comparizione. 
    Anche nella giurisprudenza di legittimita' e' oramai  consolidato
l'orientamento interpretativo che afferma la natura  non  prorogabile
del termine, con la conseguenza che, in  caso  di  inosservanza,  non
puo' essere dichiarata l'estinzione del reato (Corte  di  cassazione,
sezione quarta penale,  sentenza  8  novembre-13  dicembre  2022,  n.
47007). 
    Quindi,  l'offerta  banco  iudicis,  fatta   dall'imputato   solo
all'udienza  di  comparizione,  pur  se   prima   dell'apertura   del
dibattimento, e' ex se tardiva, a prescindere da (e prima ancora  di)
qualsivoglia valutazione di inidoneita', da parte del  giudice,  alla
dichiarazione  di  estinzione  del  reato  conseguente   a   condotte
riparatorie. 
    La  valutazione  dell'adeguatezza,  o   meno,   dell'offerta   e'
logicamente successiva a quella dell'operativita'  di  tale  termine,
sicche'   la   questione   di   legittimita'   costituzionale   della
disposizione che prevede il termine stesso e' rilevante,  anche  solo
quanto al percorso  argomentativo  della  decisione  che  il  giudice
rimettente e' chiamato ad adottare. 
    Infatti, la rilevanza si configura come «necessita' di  applicare
la disposizione censurata nel percorso argomentativo che conduce alla
decisione» (sentenza n. 254 del 2020);  cio'  che  e'  sufficiente  a
fondare la rilevanza della questione sollevata (ex  multis,  sentenza
n. 59 del 2021). 
    E' costante la  giurisprudenza  di  questa  Corte  (recentemente,
sentenza n. 164 del 2023) nell'affermare che, ai fini della rilevanza
delle questioni, e' sufficiente che  la  disposizione  censurata  sia
applicabile nel giudizio a quo e che  la  pronuncia  di  accoglimento
possa influire sull'esercizio della funzione giurisdizionale (tra  le
altre, sentenze n. 247 e  n.  215  del  2021),  quantomeno  sotto  il
profilo del  percorso  argomentativo  della  decisione  nel  processo
principale (ex plurimis, sentenze n. 25 del 2024, n. 249 e n. 154 del
2021; ordinanza n. 194 del 2022). 
    3.- All'esame del merito della questione sollevata  e'  opportuno
premettere  una  sintetica  ricostruzione  del  quadro  normativo   e
giurisprudenziale   di   riferimento,   cui   e'   riconducibile   la
disposizione oggetto di censura. 
    3.1.- In attuazione dell'art. 17,  comma  1,  lettera  h),  della
legge 24 novembre 1999, n.  468  (Modifiche  alla legge  21  novembre
1991, n. 374, recante istituzione del  giudice  di  pace.  Delega  al
Governo in materia  di  competenza  penale  del  giudice  di  pace  e
modifica dell'articolo 593 del codice di procedura penale), l'art. 35
del d.lgs. n. 274  del  2000,  inserito  nel  Capo  V  dedicato  alle
«[d]efinizioni alternative  del  procedimento»,  ha  introdotto,  nel
giudizio penale innanzi al giudice di pace, la  causa  di  estinzione
del reato conseguente a condotte riparatorie o risarcitorie. 
    Tale disposizione stabilisce al comma 1 che il giudice  di  pace,
«sentite le parti e l'eventuale persona offesa, dichiara con sentenza
estinto il reato,  enunciandone  la  causa  nel  dispositivo,  quando
l'imputato  dimostra  di  aver  proceduto,  prima   dell'udienza   di
comparizione,  alla  riparazione  del  danno  cagionato  dal   reato,
mediante le restituzioni o il risarcimento, e di  aver  eliminato  le
conseguenze dannose o pericolose del reato»; il comma 2  precisa  che
il giudice pronuncia la sentenza di estinzione  del  reato  «solo  se
ritiene le attivita' risarcitorie e riparatorie idonee  a  soddisfare
le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione». 
    Il giudice puo'  pero'  disporre,  ai  sensi  del  comma  3,  «la
sospensione del processo, per un periodo non superiore a tre mesi, se
l'imputato chiede nell'udienza di comparizione di  poter  provvedere»
ai predetti adempimenti, dovendo  pero'  dimostrare  «di  non  averlo
potuto fare in precedenza; in  tal  caso,  il  giudice  puo'  imporre
specifiche prescrizioni» e, nel  caso  in  cui  venga  concessa  tale
sospensione, secondo il disposto del comma 4, deve fissare una  nuova
udienza ad una data successiva al termine del periodo di  sospensione
(durante   il   quale   l'effettivo   svolgimento   delle   attivita'
risarcitorie e riparatorie e'  soggetto  al  controllo  di  personale
incaricato dal medesimo giudice). 
    Infine, se le attivita' risarcitorie o  riparatorie  hanno  avuto
esecuzione, e' previsto, al comma 5,  che  «il  giudice,  sentite  le
parti e l'eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto  il
reato enunciandone la causa nel dispositivo»; in caso  contrario,  ai
sensi del comma 6, deve disporre la prosecuzione del procedimento. 
    La  causa  estintiva  introdotta  dal  legislatore  del  2000  ha
costituito uno strumento di profonda innovazione del sistema  penale,
in quanto alle condotte di tipo riparatorio, fino a quel momento, era
stato attribuito rilievo ai soli fini  dell'attenuazione  della  pena
per avere - «prima del giudizio»  -  riparato  interamente  il  danno
mediante il suo risarcimento (art. 62, numero 6, cod.  pen.)  o  come
presupposto per ottenere alcuni benefici, anche relativi  alla  pena,
quali  la  sospensione  condizionale  (art.  165  cod.  pen.)  e   la
liberazione condizionale (art. 176 cod. pen.), ma non anche  al  fine
del proscioglimento dell'imputato. 
    Successivamente, una speciale causa di estinzione del  reato  per
aver riparato interamente il danno - «prima del giudizio» - e'  stata
prevista dall'art. 341-bis cod. pen., come  introdotto  dall'art.  1,
comma 8, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni  in  materia
di sicurezza pubblica), con  riferimento  al  reato  di  oltraggio  a
pubblico ufficiale. 
    In seguito, l'art. 168-bis cod.  pen.,  introdotto  dall'art.  3,
comma 1, della legge 28 aprile 2014, n. 67  (Deleghe  al  Governo  in
materia di pene detentive non carcerarie e  di  riforma  del  sistema
sanzionatorio.   Disposizioni   in   materia   di   sospensione   del
procedimento  con  messa   alla   prova   e   nei   confronti   degli
irreperibili), nel prevedere  la  sospensione  del  procedimento  con
messa alla prova dell'imputato, l'ha condizionata alla prestazione di
condotte  volte  all'eliminazione   delle   conseguenze   dannose   o
pericolose  derivanti  dal  reato,   nonche',   ove   possibile,   al
risarcimento del danno dallo stesso cagionato. 
    In epoca piu' recente e' stato inserito nella parte generale  del
codice penale il nuovo istituto disciplinato dall'art.  162-ter  cod.
pen. (rubricato «Estinzione del  reato  per  condotte  riparatorie»),
introdotto dall'art. 1,  comma  1,  della  legge  n.  103  del  2017,
modellato proprio sulla fattispecie di cui all'art. 35 del d.lgs.  n.
274 del 2000. 
    3.2.- Non di meno l'istituto previsto  nel  processo  innanzi  al
giudice di pace ha conservato la sua peculiarita'  in  ragione  della
finalita' di favorire la deflazione del carico giudiziario, coniugata
all'esigenza di verifica che la condotta riparatoria sia anche idonea
a soddisfare le «esigenze di riprovazione del  reato»  e  «quelle  di
prevenzione». 
    Il fatto che l'imputato ponga in essere le condotte previste  dal
censurato art. 35, consistenti nella riparazione del  danno  mediante
restituzione o risarcimento  e  nell'eliminazione  delle  conseguenze
dannose o pericolose del reato, non e' di  per  se'  sufficiente,  in
quanto e' necessario, per la  sentenza  di  proscioglimento,  che  il
giudice ne valuti anche l'idoneita'  a  «soddisfare  le  esigenze  di
riprovazione del reato e quelle di prevenzione» (Corte di cassazione,
sezioni unite penali, sentenza 23 aprile-31 luglio 2015, n. 33864). 
    Il potere di sindacare la congruita' e idoneita'  della  condotta
riparatoria rispetto al fatto valutato nella sua  globalita'  e  alla
personalita' dell'imputato e' pertanto attribuito al giudice di pace,
al  quale  spetta  di  valutare  se  gli  adempimenti  risarcitori  e
riparatori soddisfino le esigenze di riprovazione e  prevenzione  del
reato. 
    La scelta del legislatore, compiuta per mezzo del d.lgs.  n.  274
del 2000 e' stata, dunque, quella di strutturare la  causa  estintiva
nel senso di attribuire al giudice di pace un potere valutativo che -
in linea con la ratio  dell'istituto  ispirato,  nel  suo  complesso,
all'obiettivo della composizione non conflittuale della  controversia
spesso sottostante a reati di minore gravita' - non  si  limita  alla
verifica del risarcimento in termini civilistici, ma si estende  alla
valutazione della congruita' della condotta riparatoria  in  rapporto
anche all'interesse pubblico  al  perseguimento  degli  obiettivi  di
prevenzione generale e speciale del sistema penale. 
    Evidente e' anche  la  finalita'  di  alleggerimento  del  carico
giudiziario, posto che la causa estintiva si applica a tutti i  reati
di competenza del giudice di pace, di cui all'art. 4  del  d.lgs.  n.
274 del 2000, tra i quali sono ricompresi oltre i delitti procedibili
a  querela,  anche  quelli  azionabili   di   ufficio   e   i   reati
contravvenzionali. 
    3.3.- Questa generale causa di estinzione del reato puo',  pero',
operare, ai sensi della disposizione censurata, solo se l'adempimento
delle condotte riparatorie e risarcitorie avvenga «prima dell'udienza
di comparizione» innanzi al giudice di pace, di cui all'art.  29  del
d.lgs.  n.  274  del  2000;  udienza  deputata  alla  verifica  della
ritualita' della citazione a  giudizio  e  della  convocazione  delle
parti e, soprattutto, a promuovere  la  conciliazione  tra  le  parti
stesse. 
    All'udienza di  comparizione  l'imputato  puo'  anche  presentare
domanda di oblazione «[p]rima della  dichiarazione  di  apertura  del
dibattimento», come prescrive il comma 6 del citato art. 29, in piena
simmetria con l'analoga previsione,  nel  giudizio  ordinario,  degli
artt. 162 e 162-bis cod. pen.,  quanto  alle  contravvenzioni  punite
rispettivamente con l'ammenda o con pene alternative (in entrambe  le
ipotesi la domanda  di  ammissione  all'oblazione  deve  esser  fatta
«prima dell'apertura del dibattimento»). 
    In questa stessa fase - all'udienza  di  comparizione,  ma  prima
dell'apertura del dibattimento  -  il  giudice  di  pace  accerta  la
avvenuta «riparazione del danno», ove l'imputato dimostri  di  averla
gia' fatta in precedenza, e ne  valuta  l'adeguatezza  e  l'idoneita'
secondo i parametri suddetti. 
    Terminata  questa   fase,   il   giudice   dichiara   aperto   il
dibattimento, ammette le prove richieste e procede oltre. 
    3.4.- Invece nel giudizio ordinario, non solo  gli  artt.  162  e
162-bis cod. pen., quanto  all'oblazione  ordinaria  e  speciale,  ma
anche il successivo art. 162-ter, quanto alle  condotte  riparatorie,
prevedono come termine ultimo per perfezionare queste fattispecie  di
estinzione del reato la dichiarazione di apertura  del  dibattimento.
In  particolare,  l'art.  162-ter,  disposizione  analoga  a   quella
censurata,  stabilisce,  al  primo  comma,   che   «[n]ei   casi   di
procedibilita' a querela soggetta a remissione  il  giudice  dichiara
estinto il reato, sentite  le  parti  e  la  persona  offesa,  quando
l'imputato ha riparato interamente, entro il  termine  massimo  della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado,  il  danno
cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha
eliminato, ove possibile, le conseguenze  dannose  o  pericolose  del
reato», precisando altresi' che l'estinzione del reato ha luogo anche
in presenza di offerta reale ai sensi dell'art. 1208 e  seguenti  del
codice civile, «formulata dall'imputato e non accettata dalla persona
offesa, ove il giudice riconosca la congruita' della somma offerta  a
tale titolo». 
    Peraltro,  il  disallineamento  quanto  al  dies  ad   quem   per
perfezionare le condotte riparatorie tra l'art. 35 del d.lgs. n.  274
del 2000 (innanzi al giudice di pace)  e  l'art.  162-ter  cod.  pen.
(innanzi al giudice ordinario) si ricompone parzialmente quanto  alla
concessione di una sorta di termine di grazia. 
    L'art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 274 del 2000  prevede  che,  in
via  eccezionale,  ove  l'imputato  dimostri  di  non   aver   potuto
provvedere in precedenza alla riparazione del danno,  il  giudice  di
pace possa sospendere il processo per un periodo non superiore a  tre
mesi per consentirgli di provvedere. 
    Analogamente, l'art. 162-ter, secondo comma, cod. pen. stabilisce
che se l'imputato «dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a
lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo  comma,  [...]
puo' chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore  termine,  non
superiore a sei mesi, per provvedere al  pagamento,  anche  in  forma
rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento» e «in tal caso il
giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo
e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine  stabilito  e
comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza,  imponendo
specifiche prescrizioni». 
    4.-  Passando  all'esame   del   merito,   deve   innanzi   tutto
evidenziarsi che, diversamente da  quanto  sostenuto  dall'Avvocatura
generale dello Stato, questa Corte, con la sentenza n. 206 del  2011,
non  ha  gia'  valutato  la   compatibilita'   costituzionale   dello
sbarramento temporale, oggetto dell'odierna censura. 
    La pronuncia ha, infatti, riguardato la questione di legittimita'
costituzionale del combinato disposto dell'art.  516  del  codice  di
procedura penale e dell'art. 35 del d.lgs. n.  274  del  2000,  nella
parte in cui non prevedono che, in  caso  di  modifica  del  capo  di
imputazione nel corso  del  dibattimento  -  anche  quando  la  nuova
contestazione concerna un fatto che  gia'  risultava  dagli  atti  di
indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale  ovvero  quando
l'imputato  abbia   tempestivamente   e   ritualmente   proposto   la
definizione anticipata del procedimento  in  ordine  alle  originarie
imputazioni  -  l'imputato  possa  accedere   all'istituto   previsto
dall'art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000, in quanto tale  disposizione
non consente l'ammissione «oltre l'udienza di comparizione». 
    Nel  dichiarare  inammissibile  la  questione  per  vizi  formali
dell'ordinanza di  rimessione,  questa  Corte  ha  affermato  che  la
definizione del procedimento disciplinata dall'art. 35 del d.lgs.  n.
274 del 2000, non costituisce un rito alternativo attivabile con  una
richiesta dell'imputato, ma  «una  fattispecie  estintiva  complessa,
basata  su  una  condotta  riparatoria,   antecedente,   di   regola,
all'udienza di comparizione (a meno che l'imputato  dimostri  di  non
averla potuta tenere in precedenza) e giudicata idonea  a  soddisfare
le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione». 
    La  pronuncia   non   si   e'   espressa   sulla   compatibilita'
costituzionale del limite temporale, ma  piuttosto  sulla  differente
fattispecie dell'accesso alla causa estintiva  in  caso  di  modifica
dell'imputazione nel corso del dibattimento, prospettata in  analogia
alla possibilita' per  l'imputato,  nel  rito  ordinario,  di  essere
ammesso, in tali casi, ai riti alternativi  e,  in  particolare,  per
effetto della sentenza n. 265 del 1994, al patteggiamento. 
    Deve, in ogni caso, sottolinearsi come del tutto differente fosse
il contesto normativo nel quale la sentenza n. 206 del 2011 e'  stata
adottata,  atteso  che,  come  gia'  rilevato,  soltanto  di  recente
l'ordinamento penale si  e'  arricchito  di  istituti  processuali  e
sostanziali   significativamente   costruiti   attorno    al    ruolo
fondamentale delle condotte risarcitorie e riparatorie, collocando il
limite temporale massimo per il loro espletamento nella dichiarazione
di apertura del dibattimento. 
    5.-  Inquadrata  in  questo   complessivo   contesto   normativo,
evolutosi  nel  tempo,  la  sollevata   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 274 del  2000  e'
fondata in riferimento all'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  della
dedotta violazione del principio di ragionevolezza. 
    6.- La peculiarita' del processo penale  innanzi  al  giudice  di
pace, avente ad oggetto fatti  di  minore  gravita',  risiede  in  un
approccio duttile che non e'  quello  della  necessaria  applicazione
della pena come inesorabile conseguenza del  reato:  i  comportamenti
illeciti addebitati all'imputato chiamano  in  gioco  l'attivita'  di
mediazione del giudice e, ancor prima, possono essere  valutati  alla
luce  degli  specifici  istituti  di   mitigazione   della   risposta
sanzionatoria:  quello  della  esclusione  della  procedibilita'  per
particolare tenuita' del fatto (art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000) e
quello dell'estinzione del reato per condotte riparatorie  (art.  35,
in esame). 
    Costituisce, poi, prescrizione generale quella che  richiede  che
il giudice di pace favorisca, nel corso del procedimento e per quanto
possibile, la conciliazione tra le parti (art. 2, comma 2, del d.lgs.
n. 274 del 2000). 
    Questa  Corte,  in  numerose  occasioni,  ha   evidenziato   tali
peculiari connotazioni del processo  penale  innanzi  al  giudice  di
pace. 
    In particolare, con la sentenza n. 120 del 2019 e con l'ordinanza
n.  224  del  2021,  dando  continuita'  a  precedenti  pronunce,   -
nell'affermare che l'art. 131-bis cod. pen.  non  e'  applicabile  ai
reati rientranti nella competenza del giudice di  pace,  operando  la
fattispecie di cui all'art. 34 del  d.lgs.  n.  274  del  2000  -  ha
evidenziato che le ragioni che giustificano, sul piano  del  rispetto
dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, l'alternativita' tra
i due regimi risiedono nelle  connotazioni  peculiari  dei  reati  di
competenza del giudice di pace - il quale giudica di reati di ridotta
gravita', espressivi di conflitti interpersonali a carattere  privato
- e del procedimento che  innanzi  a  lui  si  svolge,  improntato  a
finalita' di snellezza, semplificazione e rapidita'. 
    Analoghi rilievi sono contenuti nella sentenza n.  47  del  2014,
nella  quale  e'  stato   affermato   che   «[i]   tratti   d'assieme
dell'apparato sanzionatorio dei reati di competenza  del  giudice  di
pace, composto da sanzioni  con  modesto  tasso  di  afflittivita'  e
carenti  di  effetti  desocializzanti,  da  un  lato;  le   peculiari
coordinate del procedimento all'esito del quale dette  sanzioni  sono
applicate, volte a privilegiare soluzioni deflattive e  conciliative,
anziche' repressive, dall'altro: sono questi gli elementi che -  alla
luce della funzione dianzi  evidenziata,  intesa  a  dar  corpo  alla
seconda meta' della direttiva  del  "diritto  mite  ma  effettivo"  -
impediscono di scorgere nella preclusione  denunciata  un  vulnus  al
principio di uguaglianza».  Cio'  perche'  la  funzione  del  divieto
censurato e' quella di evitare  che  le  sanzioni  restino  prive  di
concreta attitudine  dissuasiva  e  della  capacita'  di  fungere  da
stimolo alla collaborazione con l'opera di  mediazione  del  giudice,
sicche' il divieto della sospensione condizionale «si inserisce in un
sistema diversamente strutturato nel suo complesso:  sistema  con  il
quale, per  quanto  detto,  la  scelta  legislativa  di  privilegiare
l'effettivita'  della  pena  -  allorche'  alla  sua  irrogazione  si
pervenga - puo' essere ritenuta ragionevolmente coerente». 
    Anche nella sentenza n. 64 del 2009, questa  Corte  ha  rimarcato
come  proprio  i  tratti  di  semplificazione   e   snellezza   della
giurisdizione innanzi al giudice di  pace  ne  esaltano  la  funzione
conciliativa  tramite  strumenti  processuali  volti  a  favorire  la
riparazione del danno e la conciliazione tra  autore  e  vittima  del
reato, e cio', per la natura  delle  fattispecie  criminose  devolute
alla cognizione di tale giudice, «di ridotta gravita' ed  espressive,
per lo piu', di conflitti a carattere interpersonale». 
    Nell'ordinanza n. 228 del 2005 si e', altresi', affermato che «il
decreto legislativo n. 274 del 2000 contempla  forme  alternative  di
definizione, non previste dal codice  di  procedura  penale,  che  si
innestano in un procedimento che concerne reati di  minore  gravita',
con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo, in cui  il  giudice
deve favorire la conciliazione tra le parti (artt. 2, comma 2, e  29,
commi 4 e 5) e in cui la citazione a giudizio puo' avvenire anche  su
ricorso della persona offesa  (art.  21)»,  sicche'  «l'istituto  del
patteggiamento, cosi' come delineato nel codice di procedura  penale,
mal si concilierebbe con il  costante  coinvolgimento  della  persona
offesa nel  procedimento  davanti  al  giudice  di  pace,  anche  con
riferimento alle forme alternative di definizione  del  procedimento;
[...]  infatti,  il  giudice,  da  un   lato,   puo'   escludere   la
procedibilita' per la particolare tenuita' del  fatto,  ex  art.  34,
comma 2, solo se non risulta un interesse della persona  offesa  alla
prosecuzione  del  procedimento  e,  dall'altro,   puo'   pronunciare
l'estinzione del reato conseguente a condotte  riparatorie,  ex  art.
35, commi 1 e 5, solo dopo aver sentito la persona offesa». 
    7.-  Questa  marcata  esigenza  di  favorire,  per   il   tramite
dell'attivita' di mediazione del giudice,  la  conciliazione  tra  le
parti,  anche  e  soprattutto  mediante   le   condotte   riparatorie
dell'imputato, mostra la  incoerenza  del  termine  finale,  previsto
dalla disposizione censurata, per porre in essere e perfezionare tali
condotte; termine che scade prima che l'imputato compaia  innanzi  al
giudice stesso. 
    Il ruolo di quest'ultimo  come  conciliatore,  il  cui  luogo  di
fisiologica  esplicazione  e'  proprio  l'udienza  di   comparizione,
risulta impedito da un termine perentorio che, previsto prima di tale
udienza, frustra la stessa funzione del giudice non consentendogli di
avviare  le  parti,  imputato  e  persona  offesa,  ad   un   accordo
sull'entita' della riparazione del danno e delle restituzioni e sulle
modalita' di eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose  del
reato. Cio' che, invece, si imporrebbe alla luce del gia'  richiamato
principio generale di cui all'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 274  del
2000, secondo cui «[n]el corso del procedimento, il giudice  di  pace
deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le  parti»,
ma anche per  effetto  della  specifica  disciplina  dell'udienza  di
comparizione che stabilisce  che,  se  il  reato  e'  perseguibile  a
querela, il giudice «promuove la conciliazione tra  le  parti»  anche
avvalendosi «dell'attivita' dei Centri per  la  giustizia  riparativa
presenti sul territorio» (art. 29, comma 4, del  d.lgs.  n.  274  del
2000). 
    La  preclusione,  che  discende  dalla  rigida  applicazione  del
termine recato dalla disposizione censurata, costituisce  un  fattore
di irragionevolezza in  una  sequenza  procedimentale  che  dovrebbe,
invece, favorire, proprio nell'udienza di comparizione, «ove  avviene
il primo contatto tra le parti e il giudice»  (ordinanza  n.  11  del
2004),  la  conciliazione,  della  quale  la   condotta   riparatoria
rappresenta una modalita' di attuazione. L'attivita'  conciliativa  e
di mediazione del giudice di pace e'  irragionevolmente  pregiudicata
dalla previsione di un termine perentorio scaduto «prima dell'udienza
di comparizione». 
    Lo  sbarramento  temporale  censurato  finisce,   altresi',   per
determinare ricadute negative sul  carico  giudiziario,  riducendo  i
casi di definizione anticipata del processo. 
    Al  contrario,  la  fissazione  del   termine   ad   quem   nella
dichiarazione di apertura del  dibattimento,  auspicata  dal  giudice
rimettente, consente di realizzare in modo piu'  ampio  la  finalita'
deflattiva, con evidente risparmio  di  attivita'  istruttorie  e  di
spese processuali, quando - integrata la  fattispecie  estintiva  del
reato conseguente a condotte  riparatorie  -  non  ha  inizio  alcuna
attivita' dibattimentale. 
    8.- Vi  e',  poi,  anche  un  argomento  a  fortiori  che  emerge
dall'esaminato  sviluppo  della  normativa  in  proposito   e   dalla
comparazione del distinto ruolo del giudice di pace  con  quello  del
giudice ordinario nell'applicazione della disposizione censurata. 
    Al fine del riscontro  dei  presupposti  dell'art.  162-ter  cod.
pen., per l'estinzione del reato per condotte riparatorie, il giudice
ordinario deve essenzialmente  valutare  la  congruita'  dell'offerta
fatta dall'imputato, ove  questa  non  sia  accettata  dalla  persona
offesa. 
    Invece, al fine dell'integrazione dei presupposti di cui all'art.
35 del d.lgs. n. 274 del 2000, il  giudice  di  pace  deve  non  solo
apprezzare l'adeguatezza e la completezza della riparazione, ma anche
verificare il soddisfacimento  delle  esigenze  di  riprovazione  del
reato e di quelle di prevenzione. 
    A fronte di questo ruolo piu' esteso, reso ancor  piu'  pregnante
dall'attivita' di  conciliazione  delle  parti  che  in  generale  il
giudice di pace e' tenuto a svolgere, vi e', contraddittoriamente, un
termine piu' stretto - quello  dell'udienza  di  comparizione  -  che
stride se lo si pone a raffronto con il termine piu' esteso -  quello
dell'apertura del dibattimento - che definisce il  tempo  processuale
in cui l'attivita' del giudice  ordinario,  di  verifica  della  sola
adeguatezza delle condotte riparatorie, puo' estrinsecarsi. 
    Nel processo davanti al giudice di pace,  l'imputato,  che  prima
dell'udienza  di  comparizione   non   sia   riuscito   ad   ottenere
l'accettazione della persona offesa della sua offerta di riparazione,
non  puo'  contare   sull'attivita'   di   mediazione   del   giudice
nell'udienza di  comparizione,  perche'  e'  ormai  gia'  spirato  il
termine in esame. In mancanza di un contatto con  il  giudice,  tanto
piu'   necessario   perche'   deve   egli   comunque   valutare    il
soddisfacimento delle esigenze di riprovazione del reato e di  quelle
di prevenzione, pur in presenza di accettazione della persona offesa,
la prospettiva  di  condotte  riparatorie,  perfezionate  gia'  prima
dell'udienza di comparizione, finisce per essere,  quanto  meno,  non
incoraggiata ed anzi resa incerta,  frustrando  cosi'  l'esigenza  di
deflazionare questi processi per reati minori. 
    Invece, l'imputato nel processo  ordinario  ha  un  termine  piu'
ampio che comprende quello che lo vede comparire innanzi al  giudice,
il quale puo' contestualmente valutare la congruita' dell'offerta  di
riparazione.  Il  contatto  e  l'interlocuzione   con   il   giudice,
nell'udienza   di   comparizione,   ma   prima   dell'apertura    del
dibattimento, non puo' che favorire il perfezionamento delle condotte
riparatorie, senza che ne  sia  pregiudicata  la  spontaneita'  nella
misura in cui si tratta pur sempre di una libera scelta dell'imputato
per evitare il processo. 
    La mancanza di  giustificazione  di  questo  disallineamento  dei
termini tra processo innanzi al giudice di pace e processo  ordinario
e' anche indirettamente mostrata dalla convergenza della  disciplina,
che vi e' invece in caso di prova da parte dell'imputato di non  aver
potuto porre in essere in  precedenza  la  condotta  riparatoria.  La
previsione - in entrambe le ipotesi (sia ex art.  35,  comma  3,  del
d.lgs. n. 274 del 2000, sia ex  art.  162-ter,  secondo  comma,  cod.
pen.) - della sospensione del processo  per  consentire  la  condotta
riparatoria mostra in realta' la compatibilita' di uno stesso termine
per perfezionare la condotta riparatoria e da  cio'  si  rinviene  un
argomento ulteriore  della  irragionevolezza  della  differenziazione
recata dalla disposizione censurata. 
    9.- Non e', poi, senza rilievo che la previsione di  un  termine,
che e' gia' scaduto all'udienza  di  comparizione,  e'  eccentrico  e
asistematico se si considera che il diverso termine dell'apertura del
dibattimento si rinviene in numerosi  altri  istituti,  oltre  quello
dell'art. 162-ter cod. pen.: nell'oblazione ordinaria (art. 162  cod.
pen.) e speciale (art. 162-bis  cod.  pen.),  nell'oblazione  innanzi
allo stesso giudice di pace (art. 29, comma 6, del d.lgs. n. 274  del
2000), nella richiesta di sospensione con  messa  alla  prova  (artt.
464-bis,  464-ter  e  464-quater  cod.  proc.  pen.),  nonche'  nella
diminuente del risarcimento del danno (art. 62, numero 6, cod.  pen.)
o del ravvedimento  operoso  (art.  452-decies  cod.  pen.)  e  nella
riparazione del danno ex art. 341-bis cod. pen. 
    Peraltro, con riferimento ai reati a  citazione  diretta,  l'art.
554-bis cod. proc. pen., recentemente introdotto dall'art. 32,  comma
1, lettera d), del  decreto  legislativo  10  ottobre  2022,  n.  150
(Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega  al
Governo per l'efficienza del processo penale, nonche' in  materia  di
giustizia riparativa e disposizioni per  la  celere  definizione  dei
procedimenti giudiziari), ha inserito  una  udienza  di  comparizione
predibattimentale, proprio per favorire il  ricorso  a  strumenti  di
giustizia riparativa; e' risultato infatti ampliato il momento in cui
possono esplicarsi le  attivita'  per  le  quali  e'  previsto,  come
termine, l'apertura del dibattimento e tra queste vi  sono,  appunto,
le condotte riparatorie ex art. 162-ter cod. pen. 
    Cio' conferma che il riallineamento del termine in esame, con  la
sua fissazione nell'apertura del dibattimento, e'  in  linea  con  il
processo  penale  in  generale  ed  e'  pienamente  compatibile,   in
particolare, anche con quello innanzi al giudice di pace. 
    10.-   In   conclusione,   la   previsione   della   inderogabile
anteriorita' delle condotte riparatorie, previste dalla  disposizione
censurata, rispetto  all'udienza  di  comparizione  non  risponde  ad
alcuna logica giustificazione, tenendo conto delle  peculiarita'  che
connotano la giurisdizione penale del giudice di pace. 
    La reductio ad  legitimitatem  della  disposizione  censurata  va
individuata, nel verso  prospettato  dal  rimettente,  collocando  al
momento dell'apertura del  dibattimento  il  termine  finale  perche'
l'imputato possa porre in essere le condotte riparatorie idonee  alla
dichiarazione di estinzione del reato. 
    Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
35, comma 1,  del  d.lgs.  n.  274  del  2000,  nella  parte  in  cui
stabilisce che,  al  fine  dell'estinzione  del  reato,  le  condotte
riparatorie  debbano  essere  realizzate   «prima   dell'udienza   di
comparizione», anziche' «prima della dichiarazione  di  apertura  del
dibattimento», di cui all'art. 29,  comma  7,  del  medesimo  decreto
legislativo. 
    11.-  Rimane  assorbito  l'ulteriore  profilo   della   sollevata
questione di legittimita' costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 35,  comma  1,
del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui  stabilisce  che,
al fine dell'estinzione del reato, le  condotte  riparatorie  debbano
essere realizzate  «prima  dell'udienza  di  comparizione»,  anziche'
«prima della dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento»  di  cui
all'art. 29, comma 7, del medesimo decreto legislativo. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 2024. 
 
                                F.to: 
                 Augusto Antonio BARBERA, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2024 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA