N. 48 SENTENZA 6 - 25 marzo 2024

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Sentenza di non doversi procedere - Possibilita' di
  emissione, nei processi aventi ad oggetto reati colposi,  allorche'
  l'agente,  in  relazione  alla  morte  di  un  prossimo   congiunto
  cagionata con la propria condotta, abbia gia' patito una sofferenza
  proporzionata alla gravita' del reato commesso - Omessa  previsione
  -   Denunciata   violazione    dei    principi    di    necessita',
  proporzionalita' e umanita'  della  pena  -  Non  fondatezza  delle
  questioni. 
- Codice di procedura penale, art. 529. 
- Costituzione, artt. 3, 13 e 27, terzo comma. 
(GU n.13 del 27-3-2024 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta da: 
Presidente:Augusto Antonio BARBERA; 
Giudici  :Franco  MODUGNO,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni   AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,
  Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI
  GRIFFI, Marco D'ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella  SCIARRONE
  ALIBRANDI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  529  del
codice di procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Firenze, sezione  prima  penale,  in  composizione  monocratica,  nel
procedimento penale a carico di D. B., con ordinanza del 20  febbraio
2023, iscritta al n. 37 del  registro  ordinanze  2023  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  14,  prima   serie
speciale, dell'anno 2023, la cui trattazione  e'  stata  fissata  per
l'adunanza in camera di consiglio del 5 marzo 2024. 
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio  del  6  marzo  2024  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 marzo 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 febbraio 2023, iscritta  al  n.  37  del
registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di  Firenze,  sezione
prima penale, in composizione monocratica, ha sollevato questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 529  del  codice  di  procedura
penale, in riferimento agli artt. 3, 13  e  27,  terzo  comma,  della
Costituzione, «nella parte in cui, nei procedimenti relativi a  reati
colposi, non prevede la  possibilita'  per  il  giudice  di  emettere
sentenza di non doversi procedere allorche'  l'agente,  in  relazione
alla  morte  di  un  prossimo  congiunto  cagionata  con  la  propria
condotta,  abbia  gia'  patito  una  sofferenza  proporzionata   alla
gravita' del reato commesso». 
    Il rimettente espone di dover  giudicare  sulle  imputazioni  per
omicidio   colposo    aggravato    da    violazione    delle    norme
antinfortunistiche e pertinenti reati contravvenzionali in materia di
sicurezza sul lavoro, ascritte a D. B. per  avere  questi  cagionato,
quale titolare della ditta esecutrice dei lavori di  riparazione  del
tetto di un capannone, in concorso con B. N., committente dell'opera,
la morte di N. B., dipendente "in nero" dello  stesso  D.  B.  e  suo
nipote ex fratre, precipitato dalla copertura dell'edificio  a  causa
del cedimento del piano di lavoro, ove si era sviluppato un incendio,
in mancanza dei prescritti dispositivi anticaduta. 
    1.1.- A proposito della rilevanza delle questioni di legittimita'
costituzionale, il Tribunale di Firenze assume che  «l'imputato,  per
effetto della propria condotta e piu' precisamente in relazione  alla
morte del nipote che egli  stesso  ha  contribuito  a  cagionare,  ha
certamente gia'  patito  una  sofferenza  morale  proporzionata  alla
gravita' del reato commesso, con la conseguenza che un'ulteriore pena
inflitta con la sentenza di condanna risulterebbe sproporzionata». 
    A  migliore  definizione  della   fattispecie,   l'ordinanza   di
rimessione aggiunge che D. B. «era l'unico membro della  famiglia  di
origine del nipote presente  in  Italia  e  costituiva  un  punto  di
riferimento per lo stesso», tanto che la notte precedente il sinistro
il ragazzo aveva dormito a casa dello  zio;  quest'ultimo  d'altronde
lavorava  nello  stesso  cantiere,  esposto  ai  medesimi  rischi,  e
infatti, al loro arrivo sul posto, i  carabinieri  l'avevano  trovato
«accovacciato vicino al giovane, nel disperato e  vano  tentativo  di
rianimarlo». 
    Secondo il  rimettente,  dunque,  nella  specie,  «qualora  fosse
introdotta  l'auspicata  possibilita'  per  il  giudice  di  emettere
sentenza di non doversi procedere - onde  evitare  l'applicazione  di
una pena che risulterebbe sproporzionata in considerazione del dolore
gia' patito dall'autore del reato -  l'imputato  potrebbe  senz'altro
beneficiarne». 
    1.2.-  A  proposito  della  non  manifesta   infondatezza   delle
questioni,  il  giudice  a  quo  ritiene  che  la  denunciata  lacuna
normativa   violi   i   principi   costituzionali   di    necessita',
proporzionalita' e umanita' della pena. 
    Evocata la teorica della poena naturalis, come recepita da alcuni
ordinamenti stranieri (quello  tedesco  innanzitutto)  e  piu'  volte
trattata nell'elaborazione dei progetti di riforma della legislazione
italiana (in particolare nell'ambito  dei  lavori  delle  Commissioni
"Pagliaro" e "Pisapia"), il rimettente argomenta che la pena potrebbe
risultare «non necessaria ed eccessiva  qualora,  per  effetto  dello
stesso  fatto  illecito,  il  relativo  autore  abbia   gia'   subito
un'afflizione paragonabile a quella che lo  Stato  vorrebbe  produrre
con la propria sanzione o addirittura notevolmente  superiore,  quale
quella normalmente conseguente alla morte di un prossimo  congiunto»,
secondo la definizione che dei «prossimi congiunti»  fornisce  l'art.
307, quarto comma, del codice penale. 
    La sanzione irrogata in aggiunta a una pena naturale di  per  se'
sufficiente sarebbe percepita dai consociati e  dal  condannato  alla
stregua di «un crudele accanimento dello Stato», inidonea  quindi  ad
assolvere  la  funzione  rieducativa,  oltre  che  inefficace   nella
prospettiva di ogni possibile  declinazione  finalistica  della  pena
(generalpreventiva,  specialpreventiva  e   retributiva);   essa   si
risolverebbe in  un  trattamento  contrario  al  senso  di  umanita',
«fredda conseguenza di rigidi automatismi, quasi l'applicazione di un
sillogismo,   noncurante   della   sottostante   vicenda   umana   di
sofferenza». 
    Ad  avviso  del  Tribunale  di  Firenze,  gli  evocati   principi
costituzionali  imporrebbero  dunque  di  «riservare  al  giudice  la
possibilita' -  una  volta  valutate  la  gravita'  della  colpa,  la
relazione tra vittima e autore del reato e le altre  circostanze  del
caso concreto - di astenersi dal condannare l'imputato». 
    I  denunciati  profili  di  illegittimita'   costituzionale   non
sarebbero  esclusi  dall'astratta  possibilita'   della   sospensione
condizionale della pena, della quale  potrebbero  non  sussistere  in
concreto i presupposti e la cui concessione precluderebbe comunque un
ulteriore riconoscimento del beneficio in relazione a fatti diversi. 
    Ritenuta   insussistente   una    soluzione    costituzionalmente
obbligata,   il   rimettente    propone    come    adeguata    quella
dell'integrazione  delle  cause  di  improcedibilita',  sottolineando
d'altronde come, alla luce del tenore  letterale  della  disposizione
censurata, ne risulti impraticabile un'interpretazione adeguatrice. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni  inammissibili  o  non
fondate. 
    2.1.- L'inammissibilita' discenderebbe dai  seguenti  concorrenti
assunti. 
    In primo luogo, la rilevanza della  pena  naturale  non  potrebbe
essere introdotta nell'ordinamento giuridico se non dal  legislatore,
che, tra l'altro, nell'esercizio della sua discrezionalita', dovrebbe
stabilire il grado di parentela significativo a questi fini. 
    Inoltre, la sentenza di non doversi procedere ex  art.  529  cod.
proc. pen. non si attaglierebbe alla fattispecie  in  esame,  perche'
essa e' atto di natura strettamente processuale, mentre la  rilevanza
della pena naturale richiederebbe comunque un accertamento di fatto. 
    Il rimettente non avrebbe poi valutato, e dovrebbe  quindi  farlo
previa  eventuale  restituzione  degli  atti,  se  nella  specie  sia
applicabile una pena sostitutiva della pena detentiva breve, a  norma
degli artt. 20-bis cod. pen. e 545-bis cod.  proc.  pen.,  introdotti
rispettivamente dagli artt. 1, comma 1, lettera a), e  31,  comma  1,
del decreto legislativo 10 ottobre 2022,  n.  150  (Attuazione  della
legge 27 settembre 2021,  n.  134,  recante  delega  al  Governo  per
l'efficienza del processo penale, nonche'  in  materia  di  giustizia
riparativa e disposizioni per la celere definizione dei  procedimenti
giudiziari). 
    Da  ultimo,  il  giudice  avrebbe  comunque  la  possibilita'  di
moderare la pena in relazione al grado della colpa del reo e ai  suoi
rapporti con l'offeso, in applicazione delle  circostanze  soggettive
del reato di cui all'art.  70  cod.  pen.,  a  tal  fine  soccorrendo
altresi' l'istituto delle attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis
cod. pen. e i criteri dosimetrici dell'art. 133 del medesimo codice. 
    2.2.- Nel merito, le questioni  sarebbero  non  fondate,  perche'
inficianti «il fondamento stesso della punibilita' colposa». 
    Infatti,  quale  reato  non  intenzionale,   il   reato   colposo
produrrebbe sempre nell'autore un'«acuta sofferenza»  per  aver  egli
danneggiato qualcuno senza volerlo. 
    Pertanto, ammessa la rilevanza della pena naturale  per  i  reati
tra congiunti, i confini  della  non  punibilita'  verrebbero  poi  a
includere quasi tutte le ipotesi di reato colposo, anche nei rapporti
non familiari, «quali ad esempio quello intercorrente tra  maestro  e
allievo (nell'ipotesi di lesione o morte a seguito  di  omissione  di
sorveglianza) o anche medico-paziente, fino ad estendersi  anche  nei
confronti del pedone sconosciuto». 
    Risulterebbe cosi' vanificato l'intero sistema della  punibilita'
per colpa, nonostante esso protegga i soggetti piu' fragili,  appunto
perche'  «[l]a  posizione  di  garanzia  espone  il  destinatario  al
maggiore onere  di  attenzione  e  di  diligenza  nei  confronti  del
soggetto tutelato, che, a ben vedere, raggiunge naturalmente  il  suo
apice laddove si tratti di un congiunto». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  il  Tribunale  di
Firenze,  sezione  prima  penale,  in  composizione  monocratica,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 529 cod.
proc. pen., «nella parte in cui, nei procedimenti  relativi  a  reati
colposi, non prevede la  possibilita'  per  il  giudice  di  emettere
sentenza di non doversi procedere allorche'  l'agente,  in  relazione
alla  morte  di  un  prossimo  congiunto  cagionata  con  la  propria
condotta,  abbia  gia'  patito  una  sofferenza  proporzionata   alla
gravita' del reato commesso». 
    A causa di tale  omessa  previsione,  la  disposizione  censurata
violerebbe gli artt. 3, 13 e 27, terzo comma, Cost., sotto i  profili
della necessita', proporzionalita' e umanita' della pena,  in  quanto
costringerebbe il giudice a infliggere una sanzione  che,  atteso  il
dolore gia' patito dal reo per la perdita del familiare, risulterebbe
in concreto inutile, eccessiva e crudele. 
    Questo potrebbe accadere nella fattispecie oggetto  del  giudizio
principale, relativa all'omicidio colposo con violazione delle  norme
di prevenzione degli infortuni sul lavoro, imputato a uno zio per  la
morte del nipote, suo dipendente. 
    Occorrerebbe pertanto «riservare al giudice la possibilita' - una
volta valutate la gravita' della colpa, la relazione  tra  vittima  e
autore del reato e le  altre  circostanze  del  caso  concreto  -  di
astenersi dal condannare l'imputato». 
    2.- Intervenuto in giudizio tramite l'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   ha   eccepito
l'inammissibilita' delle questioni per molteplici aspetti. 
    2.1.-  Le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  sarebbero
inammissibili  poiche'  il  rimettente  non  avrebbe  considerato  la
possibilita' di applicare una pena sostitutiva della  pena  detentiva
breve, a norma degli artt. 20-bis cod.  pen.  e  545-bis  cod.  proc.
pen., introdotti rispettivamente dagli artt. 1, comma 1, lettera  a),
e 31, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2022,  ne'  la  possibilita'  di
moderare   l'entita'   della   pena   mediante   l'esercizio    della
discrezionalita' regolata dall'art. 133 cod. pen. e il riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche. 
    2.1.1.- L'eccezione non e' fondata. Giacche' riguarda la qualita'
e la quantita' della pena, essa non risulta, infatti, conferente alle
sollevate questioni,  che  attengono  piu'  in  radice  all'an  della
sanzione, la quale, secondo il petitum additivo, non dovrebbe  essere
irrogata affatto, concludendosi il procedimento con una  sentenza  in
rito. 
    2.2.- La difesa  statale  ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni anche sotto il profilo della discrezionalita' riservata  al
legislatore nella configurazione della sanzione penale e delle  cause
di improcedibilita'. 
    2.2.1.- Anche tale eccezione non e' fondata. 
    Da sempre questa Corte ha riconosciuto  l'ampia  discrezionalita'
del legislatore nella definizione della politica  criminale,  con  il
limite della manifesta irragionevolezza  o  arbitrarieta'  delle  sue
scelte. 
    Orbene, il Tribunale di Firenze assume che l'omessa previsione di
una causa di improcedibilita' per le ipotesi indicate  nell'ordinanza
di rimessione  segnali  appunto  un'irragionevolezza  manifesta,  una
lacuna capace di determinare  la  torsione  della  pena  da  sanzione
rieducativa a «crudele accanimento dello Stato». 
    Dunque, anche da tale punto di vista, la denuncia  puo'  accedere
allo scrutinio di merito. 
    3.- Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    4.- Il rimettente evoca la nozione di "pena  naturale",  sintagma
che rimanda al potere giudiziale - configurato in alcuni  ordinamenti
europei -  di  non  irrogare  la  pena,  o  di  irrogarla  in  misura
attenuata,  quando  l'autore  del  reato  abbia   patito   un   danno
significativo in conseguenza  del  reato  stesso  (paragrafo  60  del
codice penale tedesco, paragrafo  34  del  codice  penale  austriaco,
articolo 29 del codice penale svedese). 
    L'ordinanza di rimessione espone  tuttavia  un  petitum  talmente
ampio da risultare incompatibile con la tesi della sussistenza di  un
corrispondente vincolo costituzionale,  e  questa  valutazione  trova
conferma nelle caratteristiche peculiari  della  fattispecie  oggetto
del giudizio principale. 
    5.- L'eccessiva latitudine della richiesta di pronuncia  additiva
si manifesta sotto tre distinti aspetti, ognuno dei quali sufficiente
ad inficiarne la fondatezza. 
    5.1.-   In   primo   luogo,   riferendosi   indistintamente    ai
«procedimenti relativi a reati colposi», il giudice a quo  chiede  di
introdurre la causa di improcedibilita' con riguardo a ogni  condotta
colposa che abbia causato la morte di un congiunto del reo. 
    L'indicazione della natura colposa del  reato  e'  sufficiente  a
escludere l'omicidio preterintenzionale (art. 584  cod.  pen.)  e  la
morte come conseguenza non voluta di un delitto doloso (art. 586 cod.
pen.), ma, attesa la sua portata generale, non vale a distinguere  in
alcun modo all'interno della nozione di colpa, che pure ha  carattere
ontologicamente multiforme. 
    5.1.1.- Ai sensi dell'art. 43, primo comma, cod. pen., il delitto
«e'  colposo,  o  contro  l'intenzione,  quando  l'evento,  anche  se
preveduto, non e'  voluto  dall'agente  e  si  verifica  a  causa  di
negligenza o imprudenza  o  imperizia,  ovvero  per  inosservanza  di
leggi, regolamenti, ordini o discipline». 
    Le  varie  specie  di  colpa  enucleabili   da   questa   nozione
omnicomprensiva  -  colpa  generica  («negligenza  o   imprudenza   o
imperizia») e colpa specifica («inosservanza di  leggi,  regolamenti,
ordini  o   discipline»),   colpa   incosciente   (senza   previsione
dell'evento) e colpa cosciente (con  previsione  dell'evento),  colpa
comune (fondata su una posizione di garanzia  non  tecnica)  e  colpa
professionale (fondata su una posizione di  garanzia  qualificata)  -
sono considerate dal rimettente in  maniera  ellittica,  senza  alcun
distinguo interno. 
    Esse possono viceversa corrispondere a ipotesi molto diverse  tra
loro sotto il profilo criminologico e della protezione  dei  beni,  e
non soltanto perche' la natura  cosciente  della  colpa  integra  una
circostanza aggravante comune (art. 61, primo comma, numero  3,  cod.
pen.), ma anche per la particolare pregnanza della colpa specifica  e
professionale, nella quale tipicamente incorrono gli agenti  titolari
di  un  obbligo  di  garanzia  regolato  a  protezione  di   soggetti
particolarmente esposti (tra questi il datore di lavoro nei confronti
dei dipendenti, a norma dell'art. 2087 del codice civile). 
    Peraltro, il riferimento del petitum del Tribunale di Firenze  ai
«reati» colposi - e non ai soli delitti -  lascia  intendere  che  la
prospettata causa di improcedibilita'  dovrebbe  investire  anche  le
contravvenzioni, le quali,  per  tali  fini,  andrebbero  considerate
appunto reati colposi, in base all'art. 43, secondo comma, cod. pen.,
cio' che svilirebbe la funzione  preventiva  delle  pertinenti  norme
incriminatrici (nel giudizio a quo  risultano  ascritte  all'imputato
numerose contravvenzioni per inosservanza delle misure  di  sicurezza
dei lavoratori). 
    5.2.- Ad avviso  del  rimettente,  la  sentenza  di  non  doversi
procedere dovrebbe potersi  pronunciare  per  il  reato  colposo  che
cagioni  la  morte  di  un  «prossimo  congiunto»  dell'agente,   sul
presupposto che  la  perdita  di  un  familiare  infligga  all'agente
medesimo una sofferenza intima - una pena naturale appunto - tale che
l'ulteriore pena irrogata nel processo risulterebbe inutile. 
    Cio' postula che tra il reo e la  vittima  sussista  un  rapporto
affettivo  considerato  dall'ordinamento  -  in  base   all'id   quod
plerumque  accidit  -  di  una  tale  intensita'  da  far   presumere
l'equivalenza sostanziale tra pena naturale e pena giuridica. 
    5.2.1.- La nozione penalistica di «prossimo congiunto» e' fornita
dall'art. 307, quarto comma, cod.  pen.,  per  cui,  «[a]gli  effetti
della  legge  penale,  s'intendono   per   prossimi   congiunti   gli
ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di  un'unione  civile
tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le  sorelle,  gli  affini
nello stesso grado, gli zii e i nipoti». 
    Si tratta di un novero soggettivo molto ampio, che si estende ben
oltre la famiglia nucleare, fino a includere rapporti di parentela in
linea collaterale di grado  inferiore  al  secondo  (come  quello  di
specie, tra zio e nipote), e persino vincoli di affinita' (tranne che
sia morto il coniuge e non vi sia prole, come precisa lo stesso  art.
307, quarto comma). 
    Non ha riscontri nei termini di un vincolo costituzionale la tesi
che intende coprire questo esteso spettro di relazioni personali  con
una causa di improcedibilita' fondata sul dolore patito dal  reo  per
la morte del familiare colposamente determinata. 
    5.3.- Censurando l'art. 529 cod.  proc.  pen.,  il  Tribunale  di
Firenze chiede che sia attribuita  al  giudice  la  possibilita'  «di
emettere sentenza di non doversi procedere» in favore dell'agente che
abbia cagionato per colpa la morte del congiunto. 
    Ad  oggetto  dell'additiva  viene  quindi  indicata  la   formula
terminativa di maggior favore per l'autore del reato,  sull'implicito
presupposto che,  negli  ipotizzati  casi  di  rilevanza  della  pena
naturale,  sia   necessario   risparmiargli   anche   la   sofferenza
dell'instaurazione o della prosecuzione del processo. 
    5.3.1.- Come questa Corte ha osservato a proposito della tenuita'
del fatto, configurare un evento quale causa di non procedibilita' ha
effetti ben diversi che  farne  una  causa  di  non  punibilita',  in
particolare, riguardo all'iscrizione della pronuncia  nel  casellario
giudiziario,  all'idoneita'  della  stessa  a  formare  il  giudicato
sull'illiceita' penale della  condotta  e,  di  conseguenza  riguardo
all'impugnabilita' della pronuncia  medesima  (sentenza  n.  120  del
2019). 
    Orbene, non vi sono ragioni costituzionali in base alle quali  la
pena naturale  da  omicidio  colposo  del  prossimo  congiunto  debba
integrare una  causa  di  non  procedibilita',  anziche',  in  thesi,
un'esimente di carattere sostanziale, ovvero ancora  una  circostanza
attenuante soggettiva. 
    6.- Le questioni di  legittimita'  costituzionale  sollevate  dal
Tribunale di Firenze devono quindi essere dichiarate non fondate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art.  529  del  codice  di  procedura  penale,   sollevate,   in
riferimento agli artt. 3, 13 e 27, terzo comma,  della  Costituzione,
dal  Tribunale  ordinario  di  Firenze,  sezione  prima  penale,   in
composizione monocratica, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 marzo 2024. 
 
                                F.to: 
                 Augusto Antonio BARBERA, Presidente 
                     Stefano PETITTI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 25 marzo 2024 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA