N. 53 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 novembre 2023
Ordinanza del 2 novembre 2023 della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Udine sul ricorso proposto da Luciana Di Croce contro Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Udine. Tributi - Imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) - Previsione che attribuisce i redditi della societa' in accomandita semplice ai soci accomandanti indipendentemente dalla percezione. - Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), art. 5, comma 1.(GU n.15 del 10-4-2024 )
La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Udine, Sezione 3, riunita in udienza il 15 maggio 2023, alle ore 9,30, con la seguente composizione collegiale: Zuliani Andrea, Presidente e relatore; Romano Federica, giudice; Savino Mario, giudice; Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo avviato sul ricorso n. 64/2023 depositato il 10 febbraio 2023 proposto da Luciana Di Croce - DCRLCN43B46I777W difesa da Andrea Ghidina - GHDNDR69M04L483W ed elettivamente domiciliato presso andrea.ghidina@avvocatiudine.it Contro Agenzia delle entrate Direzione Provinciale Udine elettivamente domiciliata presso dp.udine@pce.agenziaentrate.it avente ad oggetto l'impugnazione di: avviso di accertamento n. TI9010602708/2022 IRPEF-addizionale regionale 2016; avviso di accertamento n. TI9010602708/2022 IRPEF-addizionale comunale 2016; avviso di accertamento n. TI9010602708/2022 IRPEF-altro 2016, a seguito di discussione in pubblica udienza. Elementi in fatto e diritto Il caso e le questioni. La ricorrente, persona fisica e socia accomandante della «Immobiliare Elsa di Ugo Fea & C. S.a.s.», ha impugnato l'avviso di accertamento di maggiori imposte dirette dovute per l'anno 2016 notificatole dall'Agenzie delle entrate - Direzione provinciale di Udine. Il maggior reddito accertato e' stato prodotto, secondo l'avviso di accertamento, dalla societa' in accomandita, di cui socio accomandatario e' il marito separato della ricorrente. Quest'ultima evidenzia di avere rotto da molti anni ogni rapporto con il marito e di essere da allora del tutto estranea alla sua attivita' economica. Su queste premesse, nega di avere mai percepito alcun reddito eventualmente prodotto dalla societa'. L'Agenzia delle entrate resiste al ricorso rilevando, in diritto, che il reddito delle societa' di persone viene imputato a ciascun socio, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, «indipendentemente dalla percezione», in forza del c.d. principio di trasparenza chiaramente posto dall'art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi). Pertanto, osserva correttamente l'Agenzia delle entrate, la mancata percezione del reddito da parte del socio di societa' di persone e' del tutto irrilevante ai fini della decisione sul ricorso da lui proposto per contestare l'accertamento del reddito della societa'. Si pone, tuttavia, una questione di legittimita' costituzionale del citato art. 5, comma 1, del TUIR, rilevante e non manifestamente infondata, riconducibile alla violazione degli articoli 3, comma 1, 24, comma 2, e 53, comma 1, della Costituzione, avuto riguardo: a) alla doppia disparita' di trattamento che subisce il socio accomandante, in quanto la sua posizione ai fini fiscali: da un lato, e' equiparata a quella dei soci illimitatamente responsabili, mentre la sua responsabilita' dovrebbe essere limitata alla quota conferita (art. 2313, comma 1, c.c.); dall'altro lato, e' differenziata rispetto alla posizione dei soci di societa' a responsabilita' limitata, i quali si trovano in una situazione analoga anche dal punto di vista dei diritti di controllo sulla gestione della societa' che non sia da loro amministrata (articoli 2320, comma 3, e 2476, comma 2, c.c.); b) alla irrilevanza del reddito prodotto dalla societa' ai fini della capacita' contributiva di un socio che, estraneo ex lege sia all'amministrazione che alla responsabilita' della societa', non abbia percepito la quota a lui spettante di quel reddito; c) alle concrete difficolta' in cui si viene a trovare il socio accomandante - in quanto estraneo all'amministrazione sociale e alla fase istruttoria dell'accertamento a carico della societa' - nell'esercitare il proprio diritto di difesa, che viene limitato alla possibilita' di contestare l'esistenza del reddito in capo alla societa'. La non manifesta infondatezza delle questioni. Il tema non e' nuovo e anche la Corte costituzionale se ne e' gia' occupata, da ultimo con la sentenza n. 201 del 2020, che ha dichiarato «non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, secondo comma, 53, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione». Tuttavia, tale decisione, come altre precedenti (numeri 181 del 2017, 53 del 2001, 5 del 1998 e 410 del 1995), pur originando da un caso che riguardava un socio accomandante, ha affrontato la questione, non da questo specifico angolo visuale, bensi' indistintamente dal punto di vista del trattamento dei soci delle societa' di persone, con particolare, ma indifferenziato, riguardo ai soci «non amministratori». Nessuna attenzione specifica e' stata data alla particolare situazione del socio accomandante, contraddistinta dal fatto che egli non puo' ingerirsi nella gestione sociale (art. 2320, commi 1 e 2, c.c.) e non risponde dei debiti della societa', se non nei limiti della quota conferita (art. 2313, comma 1, c.c.). Rispetto a tale responsabilita' limitata del socio accomandante, la responsabilita' fiscale per i redditi della societa' «indipendentemente dalla percezione» rappresenta un'eccezione, giustificata dalla constatazione che - per volonta' del legislatore - i redditi prodotti dalle societa' di persone non sono «redditi delle societa'» (come pure si esprime anche l'incipit dell'art. 5, comma 1, TUIR), ma sono redditi dei soci. Pertanto, il conseguente debito d'imposta non e' un debito della societa' (per il quale il socio accomandante risponderebbe «limitatamente alla quota conferita»), ma un debito del socio (che ne risponde «con tutti i suoi beni, presenti e futuri»: art. 2740, comma 1, c.c.). La scelta del legislatore in tal senso e' evidente, sicche' sarebbe errato porre la questione nei termini di una imposizione a carico di un soggetto (il socio) su un imponibile (reddito) riferibile ad altro soggetto (la societa'). E' tuttavia possibile e doveroso verificare se la scelta del legislatore per cui il reddito prodotto dalla societa' in accomandita semplice e' reddito del socio accomandante, «indipendentemente dalla percezione», sia una scelta razionale e giustificata alla luce del principio di uguaglianza (art. 3, comma 1, della Costituzione), del principio di capacita' contributiva (art. 53, comma 1, della Costituzione) ed, eventualmente, del diritto di difesa (art. 24, comma 2, della Costituzione). 1) Il principio di uguaglianza. 1.1. Il trattamento indifferenziato, ai fini dell'imposta sul reddito, di tutti i soci delle societa' di persone (indipendentemente dal fatto che si tratti di soci a responsabilita' illimitata o di soci a responsabilita' limitata) e diverso rispetto al trattamento riservato ai soci delle societa' di capitali (anche dei soci di s.r.l. a ristretta base sociale) dovrebbe trovare il suo fondamento nella diversita' strutturale tra i due generi di societa', essendo attribuita solo alle societa' di capitali la personalita' giuridica, con autonomia patrimoniale perfetta, mentre per le societa' di persone non sarebbe «configurabile una soggettivita' distinta, separata o disgiunta della societa' rispetto ai soci», i quali «esercitano collettivamente un'attivita' economica» dietro lo «schermo» della societa' (cosi' Corte costituzionale n. 201/2020). Tale essendo il dichiarato presupposto della razionalita' della normativa fiscale, occorre domandarsi se quel presupposto corrisponda effettivamente alla realta' della sottostante normativa civilistica oppure se esso sia solo il frutto di una semplificazione che distorce la realta', accomunando situazioni giuridiche ben differenziate e tenendo distinte situazioni, invece, del tutto analoghe. E' ormai passato gran tempo da quando la dottrina piu' accorta ha cominciato a parlare di «evaporazione del concetto di personalita' giuridica», per sottolineare che la distinzione tra persona giuridica ed enti collettivi comunque riconosciuti come autonomi soggetti di diritto va ricercata nella concreta disciplina positiva dei singoli istituti e non nell'applicazione automatica di una definizione astratta. Anche la giurisprudenza di legittimita', pur continuando a dichiarare un formale ossequio alla classificazione tradizionale, ha poi di fatto risolto i problemi concreti sottoposti alla sua attenzione prescindendo dal presupposto della sussistenza o meno della personalita' giuridica. Cosi', per fare solo qualche esempio, ha ritenuto valida la fideiussione prestata dal socio illimitatamente responsabile per un debito della societa' di persone, debito considerato, pertanto, ex art. 1936, comma 1, c.c., alla stregua di «un'obbligazione altrui» (v., ex multis, Cass. n. 7139/2018). Analogamente, la societa' di persone e' stata ritenuta l'unico soggetto legittimato passivo della domanda di liquidazione della quota del socio receduto, che non va proposta nei confronti degli altri soci come persone fisiche (v., inter alia, Cassazione n. 816/2009). Ancora, e' stata esclusa la legittimazione del socio a impugnare, in proprio, una sentenza pronunciata nei confronti della societa' di persone (v., ex multis, Cassazione n. 442/2002). Una volta ammesso che la distinzione tra societa' di capitali e societa' di persone non descrive una decisiva linea di confine tra precise, compiute e contrapposte discipline normative, occorre riconoscere che esistono sostanziali differenze di disciplina nell'ambito delle societa' di persone, tali per cui affermare genericamente che in esse i soci «esercitano collettivamente un'attivita' economica» ed «esplicano i loro poteri in modo diretto» (cosi' sempre Corte costituzionale n. 201/2020) non rispecchia correttamente tale diversificata realta' normativa. Lo stesso vale per l'affermazione secondo cui i soci di societa' di persone «hanno un onere e un potere di controllo (articoli 2261 e 2320 del codice civile) che, da un lato, li pone giuridicamente in grado di avere piena conoscenza dell'incremento patrimoniale e, dall'altro lato, rende irrilevante, a questi fini, la distinzione tra soci amministratori e non amministratori». L'esercizio collettivo di un'attivita' economica e' affermazione generica che, come tale, potrebbe essere fatta anche per le societa' di capitali a ristretta base sociale. E lo stesso vale per la definizione della societa' come «schermo» dietro il quale operano i soci. Per quanto riguarda, poi, i poteri di controllo attribuiti ai soci non amministratori, la disciplina delle societa' semplici e delle societa' in nome collettivo e' sensibilmente diversa da quella dettata per la societa' in accomandita semplice, perche' solo i soci delle prime hanno diritto di avere notizia in qualsiasi momento dello svolgimento degli affari sociali (art. 2261 c.c.), mentre i secondi «hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite, e di controllarne l'esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della societa'» (art. 2320, comma 3, c.c.). Inoltre, solo per i soci accomandanti vale il divieto legale di ingerirsi nell'amministrazione della societa', divieto al quale e' strettamente collegato il beneficio della responsabilita' limitata per le obbligazioni sociali (art. 2320, comma 1, c.c.), beneficio che infatti non compete ai soci della societa' in nome collettivo che non partecipano all'amministrazione (art. 2291 c.c.; mentre puo' competere, alle condizioni indicate nell'art. 2267 c.c., ai soci non amministratori delle societa' semplici, alle quali e' pero' inibito l'esercizio di un'impresa commerciale: art. 2249, comma 1, c.c.). In definitiva, a fronte di una normativa civilistica che vieta (solo) al socio accomandante di ingerirsi nell'amministrazione della societa', che limita i suoi poteri di controllo sull'amministrazione rispetto a quelli riconosciuti al socio non amministratore degli altri tipi di societa' di persone e che, coerentemente, limita la responsabilita' patrimoniale del socio accomandante al rischio di perdita della quota conferita, non puo' essere ritenuta esente da un sospetto di incostituzionalita' una normativa fiscale che - ignorando tutte queste differenze sostanziali - equipara, ai fini dell'imposta sul reddito, il socio accomandante agli altri soci delle societa' di persone. 1.2. Sotto altro profilo, nemmeno pare giustificata la differenziata disciplina fiscale, ai fini dell'imposta sul reddito, tra socio accomandante di societa' in accomandita semplice e socio di societa' a responsabilita' limitata. A quest'ultimo infatti, anche qualora sia socio amministratore, non viene attribuito per trasparenza il reddito della societa', a meno che non ci sia, a determinate condizioni, un'opzione in tal senso dello stesso contribuente (articoli 115 e 116 TUIR). Ebbene, dopo la riforma del diritto societario del 2003 (decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6), la societa' a responsabilita' limitata e' divenuta uno strumento flessibile in cui l'autonomia privata dei soci puo' regolamentare il rapporto societario in modo molto distante dal modello della societa' per azioni (prototipo della societa' di capitali) e molto piu' simile a quello di una societa' di persone. Si tratta del fenomeno descritto in dottrina come «ibridazione dei tipi». Ma anche restando alla (novellata) disciplina legale della societa' a responsabilita' limitata, i poteri di controllo ivi attribuiti ai soci che non partecipano all'amministrazione sociale sono addirittura piu' invasivi di quelli attribuiti ai soci accomandanti della s.a.s. e simili a quelli attribuiti ai soci non amministratori della s.n.c. (art. 2476, comma 2: «I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione»). Diviene in tal modo ancora piu' arduo giustificare con i poteri di controllo attribuiti al socio accomandante l'affermazione secondo cui tutti i soci delle societa' di persone «esercitano collettivamente un'attivita' economica» e sostenere, ad un tempo, che cio' non avviene, invece, nelle societa' a responsabilita' limitata e, in particolare, in quelle a ristretta base sociale. E' noto che la giurisprudenza di legittimita' avalla una presunzione semplice (praesumptio hominis) di distribuzione ai soci, in proporzione alle quote di ciascuno, del reddito prodotto dalla societa' di capitali a ristretta base sociale, con onere della prova contraria a carico del socio, ammesso a dimostrare di non avere percepito gli utili (da ultimo, Cass. n. 10679/2022). Il «limite della non arbitrarieta'» delle scelte del legislatore fiscale ben potrebbe essere rispettato estendendo lo stesso «diritto vivente» anche al socio accomandante della societa' in accomandita semplice, che si trova, sotto questo profilo, in una posizione del tutto analoga (se non addirittura deteriore) rispetto a quella del socio della s.r.l. a ristretta base sociale. Il che conforta ulteriormente il prospettato sospetto di illegittimita' dell'art. 5, comma 1, TUIR con riferimento al parametro costituzionale del principio di uguaglianza. 2) La capacita' contributiva. Una volta descritta in modo appropriato e realistico la situazione giuridica del socio accomandante nella societa' in accomandita semplice, l'attribuzione diretta a quel socio (della quota parte) del reddito della societa' si espone al sospetto di incostituzionalita' anche sotto il parametro della «capacita' contributiva» di cui all'art. 53, comma 1, della Costituzione. Infatti, ad un esame piu' attento della normativa civilistica, viene a mancare il fondamento giuridico della «immedesimazione ... fra societa' partecipata e socio» che e' il necessario presupposto per attribuire al secondo la capacita' contributiva connessa al reddito prodotto dalla prima. Ne' pare che la norma di legge censurata possa trovare giustificazione in «esigenze di cautela fiscale in presenza di una possibilita' di elusione d'imposta nel contesto delle societa' considerate dall'art. 5 del TUIR, stante il loro minore livello di formalizzazione e quindi l'assenza dei piu' rigorosi obblighi di natura contabile e procedimentale previsti per la societa' di capitali, anche quanto all'individuazione degli utili non distribuiti» (Corte costituzionale n. 201/2020). Infatti, la minore formalizzazione contabile e procedimentale delle societa' di persone potrebbe essere una difficolta' nell'accertamento del reddito d'impresa della societa', non anche nell'accertamento della distribuzione ai soci degli utili, una volta accertato il reddito prodotto dalla societa'. Tanto piu' che, come si e' appena ricordato, anche per le s.r.l. a ristretta base sociale la giurisprudenza di merito e di legittimita' prescinde da prove formali e documentali per la dimostrazione della distribuzione degli utili ai soci. In conclusione, dopo un piu' accurato esame della disciplina civilistica, viene messa in dubbio la legittimita' del meccanismo per cui il legislatore tributario individua nel reddito prodotto dalla societa' in accomandita semplice, senza alcun'altra mediazione, una dimostrazione di capacita' contributiva del socio accomandante «indipendentemente dalla percezione». 3) Il diritto di difesa. Infine, dalla necessaria estraneita' del socio accomandante alla gestione (e alla rappresentanza) della societa' in accomandita semplice discende anche un potenziale vulnus al diritto di difesa del socio di fronte alla pretesa tributaria dall'amministrazione finanziaria. Cio', non tanto sul piano formale, potendo il diritto di difesa del socio accomandante «pienamente esplicarsi contestando nel merito l'accertamento del reddito societario» in sede di impugnazione dell'avviso di accertamento, il quale, proprio in quanto accerta un reddito e un'imposta direttamente in capo ai soci, deve essere notificato anche a ciascuno di loro, a prescindere dal ruolo svolto all'interno della societa'; quanto piuttosto sul piano sostanziale, non essendo previsto il coinvolgimento del socio accomandante nel contraddittorio procedimentale che precede l'emissione dell'avviso di accertamento e non potendo egli, per contestare l'accertamento, accedere direttamente alle carte sociali, dovendosi affidare alla collaborazione - non necessariamente attiva - dei soci accomandatari. Pertanto, la possibilita' in astratto di contestare il reddito accertato in capo alla societa' puo' risultare, in concreto, menomata per il socio accomandante, per l'assenza di contraddittorio con lui nella fase che precede l'emissione dell'accertamento e per la mancanza di conoscenza diretta delle vicende societarie. Menomazione che diviene sensibile, ai fini di una effettiva tutela del diritto di difesa, proprio se messa in relazione con l'impossibilita', per il socio accomandante, di contestare la mancata percezione degli utili. La rilevanza delle questioni. Al netto delle altre difese delle parti, nel caso di specie non e' in discussione che la ricorrente non ha percepito il reddito accertato in capo alla societa' e l'Agenzia delle entrate ha eccepito l'ininfluenza di tale fatto, alla luce dell'art. 5, comma 1, TUIR, sicche' e' evidente il requisito della rilevanza delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale nel presente processo.
P.Q.M. Visto l'art. 134 della Costituzione; Visti gli articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale - con riferimento agli articoli 3, comma 1, 53, comma 1, e 24 comma 2, della Costituzione - dell'art. 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte dirette), nella parte in cui attribuisce i redditi della societa' in accomandita semplice ai soci accomandanti «indipendentemente dalla percezione»; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il presente giudizio fino all'esito del giudizio incidentale di costituzionalita'; Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Udine, 15 maggio 2023 Il Presidente e relatore: Zuliani