IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Il  giudice,  sulla istanza di dichiarazione di inefficacia della
  misura cautelare in atto a carico di Mancuso Giuseppe, classe 1949,
  per  decorso del termine di cui all'art. 304/6 c.p.p., in relazione
  all'ipotesi di cui all'art. 303/2 c.p.p.;
    Acquisito il parere del p.m.;
                            O s s e r v a
    Il  Mancuso  veniva  catturato  in  data  29 aprile 1997, dopo un
  periodo  di latitanza e dopo l'emissione del decreto che dispone il
  giudizio nel processo nel quale e' imputato.
      La  sentenza  di condanna di primo grado veniva successivamente
  annullata  dalla  Corte di assise di appello di Reggio Calabria, in
  data  19 novembre  1999, a seguito di dichiarazione di nullita' del
  decreto  che dispone il giudizio emesso dal giudice per le indagini
  preliminari.
    Sicche', il procedimento regrediva in fase formalmente riferibile
  alle indagini preliminari, essendo stati gli atti trasmessi al p.m.
  dalla   Corte   distrettuale.  Il  p.m.  dovra'  quindi  richiedere
  nuovamente  il rinvio a giudizio dell'imputato ed il giudice per le
  indagini preliminari dovra' nuovamente pronunciarsi sul punto.

    La  difesa  dell'imputato  deduce  il  superamento del doppio del
  termine  massimo  di  fase previsto le indagini preliminari, atteso
  che dal momento della cattura, avvenuta il 29 aprile 1997, a quello
  della  pronuncia  della sentenza che ha determinato il regresso del
  procedimento,  il  19 novembre  1999,  e'  decorso un tempo pari ad
  oltre  anni  due  e  mesi  sei,  con  la conseguenza che il termine
  massimo  della  fase delle indagini, o comunque che corre sino alla
  pronuncia  del  provvedimento  conclusivo dell'udienza preliminare,
  pari ad anni uno, e' stato abbondantemente superato del suo doppio,
  tenuto  conto di tutta la custodia cautelare pregressa, sin dal suo
  inizio.
    Posto  che i termini in fatto della questione sono esatti, non si
  condivide  l'opinione  della difesa dell'interessato, atteso che il
  doppio   del   termine   massimo  della  fase  relativa  -  di  cui
  all'art. 304/6  c.p.p., applicabile anche al nostro caso in ragione
  di   quanto  argomentato  dalla  sentenza  n. 292  del  7-18 luglio
  1997/1998  della  Corte  costituzionale  -  deve  essere  calcolato
  tenendo  conto esclusivamente dei periodi di custodia cautelare tra
  loro omogenei.
    Vale  a dire che il periodo di custodia cautelare che il soggetto
  sta ora eseguendo, formalmente riferibile alla fase che si conclude
  con  il  provvedimento finale dell'udienza preliminare, deve essere
  sommato  con  quello  sopportato  dal  medesimo nella fase omologa,
  anteriormente  gia'  decorsa  e  conclusa,  ed  alla  quale  ora il
  procedimento e' regredito a causa dell'annullamento del decreto che
  dispone    il    giudizio,    secondo    l'evenienza    contemplata
  dall'art. 303/2 c.p.p.
    L'opinione alternativa che consentirebbe di computare nel periodo
  di  custodia cautelare eseguito, al fine di calcolare il doppio del
  termine  massimo  che  interessa,  tutta la custodia cautelare gia'
  presofferta,  senza  distinzioni  di  fasi,  non  e'  condivisibile
  giacche'   in  un  sol  colpo  determinerebbe  un  duplice  effetto
  confliggente,  da  un lato, con il principio di conservazione delle
  norme  giuridiche  e, dall'altro, con quello della riserva di legge
  in tema di determinazione dei limiti della custodia cautelare.
    Infatti, ritenere che il doppio del termine massimo di fase possa
  essere  conseguito  tenendo  conto  di tutta la custodia cautelare,
  senza  distinguere  tra  fasi  omogenee  e  non, determinerebbe una
  pratica  disapplicazione  della stessa regola di cui all'art. 303/2
  c.p.p., secondo cui i termini massimi debbono decorrere "di nuovo",
  cioe'  dall'inizio,  a  seguito  della  interruzione  dei  medesimi
  avvenuta  per  l'evento  che  ha  determinato  la  regressione  del
  processo.  Nel  caso  di  una lunga custodia cautelare, sarebbe del
  tutto  vano  stabilire  la  decorrenza ex novo del termine massimo,
  giacche' il computo di tutta la custodia presofferta determinerebbe
  senz'altro l'obbligo della scarcerazione, senza alcuna possibilita'
  di  prosecuzione  della custodia medesima, potendo essere il doppio
  del  termine  della  fase relativa agevolmente superato dal periodo
  complessivo della custodia maturata.
    Inoltre,  cosi'  ragionando, verrebbe surrettiziamente introdotto
  un  nuovo  termine di custodia cautelare, corrispondente appunto al
  doppio  del  termine  di  fase,  ma calcolato secondo i criteri del
  computo  del  termine complessivo, tenendo conto di ogni momento di
  custodia cautelare presofferto e non distinguendo tra fasi omogenee
  e  non. Cio'  determinerebbe l'ulteriore vanificazione dello stesso
  istituto   del   termine   complessivo   della  custodia  cautelare
  (art. 303/4  c.p.p.),  che  non  avrebbe  ragione  di  essere nelle
  ipotesi  di  regresso  del  procedimento  a  norma  dell'art. 303/2
  c.p.p., giacche' il nuovo termine complessivo sarebbe rappresentato
  dal doppio del termine di fase, con una maturazione, - all'evidenza
  - di molto anteriore rispetto al termine complessivo ordinario.
     Ne deriverebbe, quindi, una conseguenza premiale all'interessato
  la  cui  vicenda  processuale  sia  incorsa  nell'evenienza  di cui
  all'art. 303/2   c.p.p.  Situazione  certamente  ingiustificata  ed
  ingiustificabile,  posto  che  se colui che subisce il regresso del
  procedimento per errores in procedendo non deve essere pregiudicato
  dall'evento  processuale a lui non "imputabile", non appare neppure
  ragionevole   che   venga   addirittura  premiato,  quantomeno  per
  un'esigenza di paritario trattamento con ogni altro imputato il cui
  procedimento  si  sia svolto regolarmente e, non essendo incorso in
  vicende  che ne abbiano determinato il regresso, debba sopportare i
  limiti   del  termine  complessivo  come  indicati  dall'art. 303/4
  c.p.p., al quale ultimo imputato neppure puo' essere "rimproverato"
  alcunche'  sul regolare decorso della sua procedura, se non che non
  si sia - non per sua colpa - verificata una regressione.
    Da  ultimo,  il  partito  secondo  cui  il calcolo del doppio del
  termine  di  fase  di cui all'art. 304/6 c.p.p. va eseguito tenendo
  conto  soltanto  dei  tempi  trascorsi in fasi omogenee, deriva dal
  contenuto  sistematico  e  letterale  della norma da ultimo citata,
  giacche'  e'  evidente  che  l'istituto  e' relativo al computo del
  tempo che e' decorso in una sola fase di custodia cautelare, in cui
  si  fossero  verificati episodi di sospensione dei termini massimi.
  Istituto  di  cui  si  occupa  appunto  l'art. 304  c.p.p.  Non  si
  comprende,  percio',  la  ragione  per  la  quale,  nei casi di cui
  all'art. 303/2 c.p.p., si dovrebbe prendere in considerazione tutta
  la   custodia   cautelare  maturata  e  non,  invece,  in  aderenza
  all'istituto  matrice,  soltanto  quella maturata nell'ambito della
  medesima  fase,  computata  con la sommatoria dei periodi trascorsi
  nelle  fasi  omologhe:  quella  gia'  conclusa  e  decorsa e quella
  attualmente   pendente   e   corrispondente   alla  prima,  cui  il
  procedimento e' regredito per ragioni processuali.
    Ora,  se  la  regola  di cui all'art. 304/6 c.p.p. e' applicabile
  anche  alle  ipotesi di cui all'art. 303/2 c.p.p., non v'e' ragione
  di  ritenere  che  le  modalita'  di computo del doppio del termine
  massimo  debbano  essere  diverse  rispetto  a quelle da utilizzare
  nell'ipotesi  contenuta  nell'art. 304/6 c.p.p. Identica la regola,
  ma  altrettanto  identico deve essere anche il modo di calcolare il
  limite  in questione. Sarebbe arbitraria la scelta di una modalita'
  di   computo  differente,  in  definitiva,  prescelta  sol  perche'
  risulterebbe,  nel  caso concreto, piu' favorevole all'interessato,
  rispetto all'altra, per tale unico motivo, derogata.
    Che  detto  motivo,  del  favor  libertatis,  non  sia di per se'
  sufficiente  a  giustificare la diversione, e' dimostrato da quanto
  sopra  argomentato,  in ragione dell'incongruita' sistematica della
  scelta,  ma  anche  dalla  necessita'  di  non sacrificare, con una
  scelta  che  in  definitiva  si  rivelerebbe davvero arbitraria, le
  stesse   esigenze   cautelari   che   sono  comunque  sottese  alla
  applicazione  ed al mantenimento della misura cautelare in corso di
  esecuzione, di cui all'art. 274 c.p.p.
    Sicche', nel bilanciamento di tutti gli interessi e gli argomenti
  letterali  e  sistematici  coinvolti, l'opinione avversata, fondata
  esclusivamente  sul  principio del favor libertatis, dovra' cedere,
  non potendo questo spuntare una valenza assoluta e obliterante ogni
  altra ragione concorrente, nel caso di specie prevalenti.
    Detto  cio',  va  comunque  rilevato che il trattamento riservato
  all'imputato  che  sia incorso nell'evenienza di cui all'art. 303/2
  c.p.p. appare irragionevolmente equiparato a quello che si trova in
  una situazione solo apparentemente omologa, cioe' all'evaso.
    Anche  in  tal  caso  la  regola  e'  che  i  termini di custodia
  cautelare  decorrano nuovamente dal momento in cui l'evaso e' stato
  nuovamente  catturato, con il limite del doppio del termine di fase
  non  superabile  comunque  (secondo  la consueta combinazione delle
  regole  di  cui  agli artt. 303/3 e 304/6 c.p.p., evidenziata dalla
  medesima sentenza n. 292 del 1998).
    La  razionalita'  dell'opinione secondo cui il doppio del termine
  di fase debba calcolarsi proprio tenendo conto soltanto dei periodi
  presofferti in fasi omogenee si coglie appunto in tale ipotesi - in
  cui  sarebbe  del  tutto  incongruo computare tale duplo secondo il
  criterio del computo del termine complessivo di custodia cautelare,
  derivandone  una  conseguenza,  anziche' perniciosa per l'evaso, al
  contrario,  per  lui  favorevole  e premiale. Ma il sistema risulta
  equiparare  la  posizione  dell'evaso  a  quella di colui che abbia
  subito un regresso del procedimento a norma dell'art. 303/2 c.p.p.,
  che e' la posizione che piu' davvicino ci interessa.
    In  tutto  cio' si ravvisa una incongruenza sistematica, giacche'
  si determina una omogeneita' di trattamento tra situazioni tra loro
  sostanzialmente  eterogenee. Se e' ben vero che si verte in ipotesi
  tra  loro  apparentemente  omologhe, perche' in entrambi i casi, di
  evasione  e  regresso  del  procedimento,  il  termine massimo deve
  decorrere  nuovamente,  tuttavia,  le  due situazioni sono tra loro
  sostanzialmente differenti.
    Nel caso di evasione il ripristino della custodia cautelare ed il
  suo  decorso  ex  novo  e' attribuibile ad una condotta - oltre che
  processualmente  scorretta,  anche  illecita - dell'interessato, ma
  nel  caso  di  regresso  del  procedimento  per  le  ragioni di cui
  all'art. 303/2  c.p.p.,  il nuovo decorso del termine massimo della
  custodia  cautelare  non  e'  affatto "imputabile" all'interessato,
  giacche'  trova  causa  in  ragioni  obiettive  attinenti ad errori
  verificatisi   nel   corso  del  procedimento,  essendo  del  tutto
  "incolpevole"  l'imputato  che  subisce tal sorte (come evidenziato
  nella  parte conclusiva della motivazione della sentenza n. 292 del
  1998 della Corte costituzionale, laddove si rileva che il limite di
  cui  all'art. 304/6 c.p.p. deve operare anche per le ipotesi di cui
  all'art. 303/2  c.p.p.,  "nei  casi  di  regressione o di rinvio ad
  altro giudice che l'imputato (del tutto incolpevole) e' costretto a
  subire,  derivando  di  regola  la  regressione  od il rinvio da un
  errore in cui e' incorsa la stessa autorita' giudiziaria").
    Sicche', l'equiparazione delle conseguenze tra le due situazioni,
  regresso  ed  evasione,  in  relazione  alla  non superabilita' del
  limite  di  cui  all'art. 304/6  c.p.p.,  calcolando  il doppio del
  termine  di fase con il metodo sopra chiarito - cioe' tenendo conto
  dei  soli tempi trascorsi in fasi omologhe ed omogenee -, determina
  certamente  una  violazione dell'art. 3 Cost., laddove si impone di
  prevedere    trattamenti   identici   per   situazioni   tra   loro
  sostanzialmente omogenee e discipline ragionevolmente differenziate
  per situazioni sostanzialmente eterogenee.
    Non  v'e'  dubbio  che le due ipotesi, del regresso "incolpevole"
  del  procedimento  per errores in procedendo e dell'evasione, siano
  tra   loro   affatto  differenziate,  con  la  conseguenza  che  la
  disciplina   del   caso   che   interessa   non   puo'  che  essere
  correlativamente altrettanto differenziata.
    Pertanto,  la  equiparazione  attualmente  ricavabile dal sistema
  appare  irragionevole  ed  incongrua, in contrasto con il parametro
  costituzionale menzionato.
    Vero  e'  che  il  sistema  e'  abbisognevole di un intervento di
  razionalizzazione  sul  punto,  giacche'  si rileva altresi' che il
  doppio  del  termine  massimo  di una fase non puo' mai verificarsi
  prima  del  compimento del termine massimo semplice. Per quanto sia
  lunga la custodia cautelare subita nelle fasi omogenee, si compira'
  senz'altro  dapprima  il termine massimo ordinario, per la decisiva
  ed  incontrovertibile  ragione  matematica secondo cui il doppio di
  una  grandezza  non  maturera'  mai  prima  della maturazione della
  grandezza medesima singolarmente considerata.
    Sicche',  la estensione della regola di cui all'art. 304/6 c.p.p.
  anche  ai  casi  di  cui all'art. 303/2 c.p.p. - ma anche, e per le
  medesime ragioni, anche alle ipotesi di cui all'art. 303/3 c.p.p. -
  e'  soltanto  apparente, o meglio, monca, giacche' non potrebbe mai
  entrare in funzione se non nelle ipotesi in cui si siano verificate
  piu'  ipotesi  di  regresso  del  procedimento  o  piu'  evasioni e
  conseguenti  catture,  ovvero  un  regresso  od  una  evasione, con
  successiva   cattura,  indefettibilmente  contrappuntati  pero'  da
  vicende  di sospensione del decorso dei termini massimi di custodia
  cautelare,  a  norma dell'art. 304 c.p.p.. Un solo regresso, od una
  sola  evasione  con  ricattura,  non  sono di per se' sufficienti a
  rendere  operativa  la  regola, per la ragione di natura aritmetica
  gia'  richiamata: il termine massimo di fase di custodia cautelare,
  che  decorre  ex  novo dopo il regresso o l'evasione, maturerebbe -
  eventualmente - prima del suo doppio, con assoluta certezza.
    Ne  deriva,  quindi, una irrazionalita' complessiva dell'istituto
  oggetto di disamina.
    La  questione  posta  appare non manifestamente infondata, per le
  ragioni  esposte, nonche' rilevante, atteso che dalla sua soluzione
  potrebbe  dipendere  l'accoglimento  della domanda di scarcerazione
  dell'interessato, che allo stato attuale della disciplina sul punto
  e', invece, da negare.