Il  giudice  dell'udienza  preliminare Mariella Roberti, letta la
  richiesta  di rinvio a giudizio formulata dal sostituto procuratore
  dr.  Paolo  D'Ovidio  nei  confronti  -  tra gli altri - di Mancuso
  Filippo  nato  a Palermo l'11 luglio 1922 elettivamente domiciliato
  presso  lo  studio  del  difensore avv. Franco Luberti in Roma, via
  Flaminia  n. 354;  imputato  del  delitto  previsto dagli artt. 595
  c.p.,  13 e 21 legge n. 47 luglio 1948 per aver offeso l'onore e il
  prestigio  del  dr.  Giancarlo  Caselli e del dr. Francesco Saverio
  Borrelli,   procuratori   della   Repubblica  presso  i  tribunali,
  rispettivamente,  di Palermo e Milano, rilasciando dichiarazioni ai
  giornalisti   in   occasione   di  un  convegno  organizzato  dalla
  formazione  politica  "Forza  Italia"  a Benevento nel giugno 1997,
  dichiarazioni riprese dall'ANSA e quindi pubblicate, fra gli altri,
  dai quotidiani Il Manifesto, Il Giornale, Il Giornale di Sicilia, e
  condensate negli articoli intitolati, rispettivamente: "Giustizia -
  Mancuso  attacca  i  p.m.  di Palermo e Milano", "Mancuso contro il
  pool:  non  ha  il  senso  dello  Stato",  "Le  procure di Milano e
  Palermo?  -  Mancuso:  sono  tribune eversive", tutti pubblicati il
  10 giugno  1997, il cui contenuto deve qui intendersi integralmente
  riportato  e  in cui si affermava fra l'altro: "la continua pioggia
  di dichiarazioni rilasciate dai p.m. di Milano e Palermo, di queste
  due  tribune  eversive,  e'  un  atto  che  considerato  nella  sua
  gravita',  rappresenta un dato del costume negativo del paese... si
  tratta  di  delitti  morali,  politici  da parte di una congrega di
  personaggi  la quale, priva di cultura del diritto e di senso dello
  Stato,   da'   fuori  con  attivita'  che  si  possono  considerare
  autenticamente terroristiche".

                            O s s e r v a

    Con  querela  depositata  il  18 luglio 1997 Gian Carlo Caselli -
  procuratore  della  Repubblica  di  Palermo  - chiedeva promuoversi
  l'azione   penale  nei  confronti  dell'onorevole  Filippo  Mancuso
  nonche'  dei  direttori responsabili e dei giornalisti appartenenti
  all'agenzia  Ansa, al Giornale di Sicilia, a "Il Manifesto" e a "Il
  Giornale"  in relazione alle espressioni pronunciate dall'onorevole
  in occasione di un convegno svoltosi a Benevento il 9 giugno 1997 e
  riportate dai giornalisti.
    Precisava il querelante di aver appreso da un comunicato ANSA del
  9 giugno  1997 e da servizi giornalistici non firmati del 10 giugno
  1997   che   il   dr.  Mancuso,  vicepresidente  della  Commissione
  antimafia,  a  margine  del  convegno indicato, avrebbe pronunciato
  giudizi  -  definiti "incredibili" - nei confronti delle procure di
  Milano  e  di  Palermo  affermando,  secondo  quanto  riportato nel
  comunicato  ANSA,  che  "la  continua  pioggia di dichiarazioni dei
  pubblici  ministeri  di  Milano e di Palermo, di queste due tribune
  eversive,   e'  un  fatto  che,  considerato  nella  sua  gravita',
  rappresenta  un dato del costume negativo del paese... Si tratta di
  delitti  morali, politici da parte di una congrega di personaggi la
  quale,  priva  di  cultura  del diritto e di senso dello stato, da'
  fuori  con  attivita'  che  si  possono  considerare autenticamente
  terroristiche...  La  reazione (del Ministro di grazia e giustizia)
  dovrebbe  essere immediata, congrua, tempestiva, sicura, cosi' come
  sarebbe   necessaria   una   pubblica  riprovazione  da  parte  del
  Presidente  della Repubblica... Flick media nel senso della propria
  convenienza  che  e'  quella  di  tacere per servire come stalliere
  della magistratura deviata".
    Le frasi indicate, precisava il querelante, erano state riportate
  in  parte (integralmente le prime due) dal Giornale di Sicilia, con
  il  titolo  "Le  procure di Milano e Palermo? Mancuso: sono tribune
  eversive",  integralmente dal Manifesto sotto il titolo "Giustizia.
  Mancuso  attacca  i p.m. di Palermo e Milano" e quasi integralmente
  con  esclusione  dell'accenno al Presidente della Repubblica da "Il
  Giornale"  sotto il titolo "Mancuso contro il pool: non ha il senso
  dello Stato".
    Le  espressioni  riportate  -  lamentava il querelante - erano da
  ritenersi  gravemente  lesive  della  sua  reputazione  personale e
  professionale  trovandosi  egli a capo della procura di Palermo dal
  1993  e  identificandosi,  in  ragione  di tale titolarita' e delle
  iniziative  e  responsabilita'  ad  essa  connesse,  con  l'ufficio
  indicato. Le frasi utilizzate - proseguiva il procuratore Caselli -
  erano  da  ritenersi di particolare gravita' e valenza diffamatoria
  alla  luce dell'assoluta ineccepibilita' del curriculum personale e
  professionale   dello   stesso   querelante,  che  aveva  ricoperto
  incarichi  di varia e crescente responsabilita' a Torino, al C.s.m.
  e quindi a Palermo.
    In  data  19 luglio  1997 Francesco Saverio Borrelli, procuratore
  della  Repubblica  di  Milano,  proponeva querela in relazione alle
  stesse    dichiarazioni,    ritenute    diffamatorie,   pronunciate
  dall'onorevole  Filippo  Mancuso  nel  convegno  prima  indicato  e
  riportate dai quotidiani "Giornale di Sicilia", "Il Manifesto", "Il
  Giornale".  Lamentava  il  querelante che le parole del dr. Mancuso
  erano  "pesantemente  lesive" della propria reputazione personale e
  professionale essendo egli a capo della procura della Repubblica di
  Milano  dal maggio 1988 e identificandosi - agli occhi del pubblico
  -   con   l'ufficio   ricoperto,  in  ragione  dei  ruolo  di  capo
  dell'ufficio  nonche'  delle  iniziative  e responsabilita' ad esso
  connesse.
    Le  espressioni  utilizzate,  proseguiva  il  querelante, laddove
  l'on. Mancuso  aveva  qualificato un ufficio del pubblico ministero
  come  "tribuna  eversiva",  esemplare  del  "costume  negativo  del
  paese",  aveva  definito  la  compagine  di  una  procura  come una
  "congrega  di  personaggi  priva  di cultura del diritto e di senso
  dello  Stato"  tale  da commettere "delitti morali e politici" e da
  compiere  "attivita' terroristiche" invocando immediate repressioni
  da  parte  delle  autorita'  si  ponevano al di fuori del legittimo
  esercizio del diritto di critica assumendo piuttosto il significato
  degli  "insulti  piu'  sanguinosi  che contro servitori dello Stato
  possono  immaginarsi  e  massime contro chi e' preposto alla tutela
  dell'ordine delle istituzioni civili, della legalita'".
    Nel  procedimento  aperto  presso la procura della Repubblica del
  tribunale di Benevento a seguito delle querele indicate (risultante
  dalla  riunione dei due procedimenti originari) previa acquisizione
  di  informazione  sul  luogo  di  "lancio"  del comunicato Ansa, il
  pubblico  ministero,  rilevando  che gli addebiti diffamatori erano
  stati pubblicati sul "Giornale di Sicilia" stampato in Palermo, sul
  "Manifesto"  stampato  in  Roma, sul "Giornale" stampato in Milano,
  disponeva  lo  stralcio degli atti riguardanti i reati commessi con
  le  distinte  pubblicazioni  indicate trasmettendo conseguentemente
  alla  procura  di  Caltanissetta  - competente ex art. 11 c.p.p. in
  relazione al luogo di esercizio delle funzioni di una delle persone
  offese  -  gli  atti  riguardanti  la  diffamazione compiuta con la
  pubblicazione  sul  Giornale  di  Sicilia, alla procura di Roma gli
  atti   relativi   al  reato  consumato  con  la  pubblicazione  sul
  quotidiano  "Il  Manifesto", alla procura di Brescia, competente ex
  art. 11  c.p.p.  ancora  in  ragione  del  luogo di esercizio delle
  funzioni  di  una delle persone offese, per il reato ipotizzato con
  la pubblicazione su "Il Giornale".
    Il  procedimento originario veniva' quindi trasmesso dallo stesso
  pubblico  ministero alla procura della Repubblica presso la pretura
  circondariale   della   stessa   sede  ritenendo  ipotizzabile  nei
  confronti  dell'onorevole  Filippo  Mancuso  - per le dichiarazioni
  rese  e  le  espressioni  utilizzate - il reato di diffamazione non
  aggravato dall'utilizzazione del mezzo della stampa.
    Il  pubblico  ministero presso il tribunale di Roma, destinatario
  del  procedimento  (che  assumeva  il n. 12630/1997 r.g. notizie di
  reato)  in  relazione  al luogo di diffusione del comunicato Ansa e
  del   giornale  "Il  Manifesto"  aveva  nel  contempo  iscritto  il
  procedimento  anche  nei  confronti  di  Sandro  Medici,  direttore
  responsabile del quotidiano "Il Manifesto", (l'articolo incriminato
  dal  titolo  "Giustizia.  Mancuso  attacca  i  p.m. di Palermo e di
  Milano"  risultava  di  elaborazione  redazionale),  Giulio Anselmi
  direttore  dell'agenzia  Ansa e Angelo Cerulo, autore della notizia
  depositando,  in  data  12 gennaio  1998,  richiesta  di  rinvio  a
  giudizio nei confronti dei predetti.
    Nel  contempo  la  procura circondariale di Benevento, originaria
  destinataria  del procedimento in relazioni alle dichiarazioni rese
  dall'onorevole  Mancuso nel convegno indicato, trasmetteva gli atti
  per  competenza  a  Roma  con  missiva  del 16 marzo 1998. A questo
  procedimento  (che  aveva  assunto  in n. 4841/1998 r.g. notizie di
  reato)  venivano  quindi  riuniti  altri due procedimenti, il primo
  (che  assumeva  il  n. 6812/1998)  trasmesso  per connessione dalla
  procura  di  Brescia  che  gia'  procedeva nei confronti di Filippo
  Mancuso e Vittorio Feltri - in qualita' di direttore del quotidiano
  "Il Giornale" - il secondo (che assumeva il n. 11122/1998 trasmesso
  dalla   procura   di  Caltanissetta  che  rilevava  come  la  prima
  diffusione  delle dichiarazioni dell'indagato Filippo Mancuso fosse
  avvenuta  con  il  comunicato Ansa del 9 giugno 1998, trasmesso per
  via telematica.
    La procura di Roma depositava quindi in data 19 novembre 1998 una
  seconda richiesta di rinvio a giudizio per il reato di diffamazione
  a  mezzo  stampa  nei  confronti  di Filippo Mancuso, Cerulo Angelo
  (giornalista   dell'Ansa   autore  del  comunicato)  nonche'  -  in
  relazione   all'omissione   dell'obbligo   di   vigilanza  previsto
  all'art. 57  c.p.  -  nei  confronti  di  Sandro  Medici (direttore
  responsabile   de   "Il   Manifesto")   Giulio  Anselmi  (direttore
  dell'agenzia  Ansa), Vittorio Feltri (direttore responsabile de "Il
  Giornale"),   Giuseppe   Ardizzone   (individuato  quale  direttore
  responsabile de "Il Giornale di Sicilia").
    Questo  procedimento,  all'udienza preliminare del 12 marzo 1999,
  previa costituzione di parte civile di Francesco Saverio Borrelli e
  Giancarlo  Caselli,  veniva  riunito  al  precedente.  Peraltro,  a
  seguito della dichiarazione di nullita' della richiesta di rinvio a
  giudizio,  per  omesso  interrogatorio  dell'imputato  Feltri, e di
  conseguente  regressione  del procedimento alla fase delle indagini
  preliminari  per  l'incombente indicato, all'esito di quest'ultimo,
  la  procura di Roma depositava - in data 15 aprile 1999 - una nuova
  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  identica  alla  precedente,  ad
  eccezione   di   quanto  riguardante  la  posizione  del  direttore
  responsabile  del Giornale di Sicilia per il quale veniva richiesto
  il  rinvio a giudizio di Giovanni Pepi in luogo di Antonio Giuseppe
  Ardizzone per il quale veniva invece richiesta l'archiviazione.
    All'udienza  del  20 gennaio  2000 l'onorevole Filippo Mancuso ha
  depositato  copia  del  resoconto  della  seduta  della  Camera  di
  appartenenza in data 18 gennaio 2000 dove l'assemblea, pronunciando
  con  l'astensione  dell'interessato  (come risultante dal resoconto
  della  seduta  del  giorno  successivo)  -  in  accoglimento  della
  proposta della giunta per le autorizzazioni a procedere - ritenendo
  indubitabile   che   le   affermazioni   oggetto   dell'accusa   di
  diffamazione  fossero  state  pronunciate  in  un contesto politico
  parlamentare   e   affermandone   la  connessione  con  l'attivita'
  parlamentare  dell'on. Mancuso,  avendo  egli "criticato" in quella
  come  in  altre  occasioni "l'eccessiva tendenza ad esternazioni di
  carattere  lato  sensu politico degli organi della pubblica accusa"
  dichiarava  l'insindacabilita' delle espressioni utilizzate e delle
  opinioni espresse.
    Alla  stessa udienza la parte civile Giancarlo Caselli richiedeva
  che  il  giudicante  volesse  proporre  conflitto  di  attribuzioni
  dinanzi  alla  Corte  costituzionale,  ritenendo  insussistente  il
  presupposto   necessario  a  ritenere  l'insindacabilita'  prevista
  all'art. 68  della  Costituzione,  per  l'assenza  di  collegamento
  funzionale  tra  le  affermazioni svolte dall'onorevole Mancuso nel
  corso  del  convegno  indicato  e  l'esercizio  delle  funzioni  di
  parlamentare.
    Alla  richiesta  si  sono associati - alla successiva udienza del
  16 marzo  2000  -  la  parte civile Francesco Saverio Borrelli e il
  pubblico  ministero  mentre  le difese di Medici, Anselmi, Cerulo e
  Pepi  si  rimettevano  al  giudice. I difensori di Feltri e Mancuso
  hanno  invece richiesto il rigetto dell'istanza. Il giudice ritiene
  di  promuovere  il  giudizio  di  codesta  Corte  sulla  base delle
  seguenti motivazioni.
    E'  noto  che  in  tema  di  reati commessi da parlamentari si fa
  riferimento  agli atti di c.d. funzione per qualificare quegli atti
  che vengono compiuti dai parlamentari in relazione a tale specifica
  qualita'  e che divengono pertanto insindacabili in quanto relativi
  all'esercizio delle funzioni proprie di un membro del parlamento.
    Peraltro  al giudice ordinario e' consentito valutare se il fatto
  sia  o  meno  scriminato  ai  sensi dell'art. 68, primo comma della
  Costituzione   solo   in  assenza  di  pronuncia  della  Camera  di
  appartenenza  del parlamentare stesso. Ove invece, come nel caso in
  esame,  la  Camera si sia gia' espressa per l'insindacabilita', per
  le  affermazioni  asseritamente  diffamatorie, come affermato dalla
  Corte  di  cassazione  (cfr. sent. 16 novembre 1998, n. 1826, Della
  Valle  R.),  "il giudice ordinario non puo' che prendere atto della
  valutazione   espressa   dal  Parlamento,  adeguandovisi  e  quindi
  dichiarando   la   non   punibilita'  del  fatto  perche'  commesso
  nell'esercizio   delle   funzioni  parlamentari,  ovvero  sollevare
  conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale".
    Il conflitto peraltro potra' essere sollevato solo ove il giudice
  ritenga  contestabili le concrete modalita' di esercizio del potere
  del  Parlamento  per  vizi  del  procedimento  ovvero  per omessa o
  erronea  valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti ai
  fini della validita' del suddetto esercizio (attenzione).
    Nel  caso  in  esame  appare  al  giudicante  che la pronuncia di
  insindacabilita'  adottata  dalla  Camera dei deputati nella seduta
  del 18 gennaio 2000 - con l'astensione dell'onorevole Mancuso - sia
  contestabile  non  sussistendo i presupposti richiesti dall'art. 68
  della   Costituzione   e   che,   conseguentemente,  vi  sia  stata
  un'illegittima   interferenza   nelle  attribuzioni  dell'autorita'
  giudiziaria.
    Deve  ritenersi pacifico (come peraltro da ultimo affermato dalla
  Corte  costituzionale nella sentenza n. 56, 9-15 febbraio 2000) che
  sono  ricomprese  tra  le  opinioni  formulate nell'esercizio della
  funzione  "quelle  espresse nel corso dei lavori della Camera e dei
  suoi  organi,  in  occasione  dell'espletamento  di  una  qualsiasi
  funzione di cui la Camera e' titolare, o manifestate in atti, anche
  individuali,  che  siano  estrinsecazione delle facolta' proprie di
  deputati  e  senatori".  Laddove  le  opinioni siano espresse al di
  fuori  dei  lavori parlamentari la sussistenza del nesso funzionale
  deve  essere  concretamente riscontrato. Non puo' infatti ritenersi
  rientrante  nell'esercizio  delle  funzioni  di  parlamentare  ogni
  manifestazione  dell'attivita'  politica  di  deputati  e  senatori
  dovendo  essere  piuttosto  riscontrato un collegamento in concreto
  con l'attivita' parlamentare.
    In  proposito evidenzia questo giudice i principi affermati nelle
  sentenze della Corte costituzionale nn. 10 e 11 del 2000 laddove la
  prima afferma che il nesso funzionale tra le dichiarazioni rese dal
  parlamentare  e  l'attivita'  dello  stesso si riscontra non in una
  semplice  forma  di  collegamento  di  argomento  o  di contesto ma
  richiede  "l'identificabilita'  delle  dichiarazione  stessa  quale
  espressione di attivita' parlamentare", mentre la seconda specifica
  che  il  predetto nesso funzionale, ove si richiami la riproduzione
  all'esterno  delle Camere di dichiarazioni gia' espresse in un atto
  parlamentare   e'   insindacabile   "solo   ove  sia  riscontrabile
  corrispondenza  sostanziale  di  contenuti con l'atto parlamentare,
  non   essendo   al  riguardo  sufficiente  una  mera  comunanza  di
  tematiche".
    Esaminando, per valutare la corretta individuazione dell'indicato
  nesso funzionale, le motivazioni in base alle quali l'assemblea dei
  deputati  ha espresso l'indicato giudizio di insindacabilita' viene
  in  evidenza  la  relazione  della  giunta  per le autorizzazioni a
  procedere  riferita  nella seduta della Camera del 18 gennaio 2000.
  In  essa  si  afferma  "il  contesto  politico-parlamentare"  delle
  dichiarazioni  pronunciate  e  la  connessione tra le dichiarazioni
  dell'onorevole   Mancuso   e  la  sua  attivita'  di  parlamentare,
  ritenendo,   in   cio'   valorizzando  quanto  riferito  nel  corso
  dell'audizione   dinanzi   alla   giunta   dallo   stesso   collega
  interessato,   che  la  critica  dell'onorevole  avesse  riguardato
  "l'eccessiva  tendenza  ad  esternazioni  di  carattere  lato sensu
  politico  degli organi della pubblica accusa", richiamando numerosi
  interventi  svolti,  nello  stesso  senso,  dall'onorevole  Mancuso
  nell'ambito   dei   lavori   parlamentari  e,  specificamente,  gli
  interventi   nelle   sedute   dell'assemblea   dell'11 marzo,   del
  15 aprile,  del  10 giugno  e  del  9 luglio  del  1998 e ancora in
  interrogazioni  presentate  nelle  sedute  del 23 e del 30 novembre
  1999,  oltre  a numerose altre prese di posizione in assemblea e in
  Commissione  antimafia aventi ad oggetto comunque l'attivita' delle
  suddette procure".
    A   ulteriore  conferma  dell'affermato  nesso  funzionale  delle
  dichiarazioni  dell'onorevole  Mancuso con l'attivita' parlamentare
  dallo  stesso esercitata, la difesa dell'imputato - all'udienza del
  16 marzo  2000  -  ha  depositato  memoria  con  allegata imponente
  documentazione. Nella memoria, con il conforto della documentazione
  che  attesta  gli  interventi  svolti,  si  afferma  che  il  nesso
  funzionale  tra  le dichiarazioni rese dal parlamentare al di fuori
  degli  atti tipici e l'attivita' di parlamentare va individuato "in
  quella  sorta  di continuita' logica e di coerenza, ravvisabile tra
  l'atto incriminato e le scelte politiche del parlamentare, tradotte
  anche  in  puntuali atti funzionali tipici, pregressi o contestuali
  che siano".
    In  tale  ottica,  si prosegue nell'indicata memoria, va rilevato
  che,  nel corso della XIII legislatura - ambito temporale nel quale
  si  e'  verificato  il fatto oggetto dell'imputazione - l'onorevole
  Mancuso   rivestiva  anche  la  carica  di  vice  Presidente  della
  Commissione  interparlamentare antimafia e in tale qualita' - oltre
  che  in  quella  di  deputato  - si "e' sempre occupato con impegno
  serio  e costante del delicato tema della giustizia, delle tare che
  ne viziano e ne ostacolano la corretta amministrazione" denunciando
  eccessi,   abusi,   sconfinamenti   di  taluni  uffici  giudiziari,
  stigmatizzandone  il  diffuso  attivismo  ritenuto  di matrice piu'
  segnatamente   politica   "nei   confronti   delle   scelte,  degli
  interventi, dell'operato degli organi parlamentari e governativi".
    Ritiene al contrario questo giudice che le affermazioni contenute
  nella  relazione  della  giunta  per le autorizzazioni a procedere,
  fatte  proprie  dall'assemblea  dei deputati con il voto favorevole
  per  l'insindacabilita',  non  risultano avere concreto riferimento
  alle frasi oggetto di incriminazione. Occorre a tale proposito aver
  riguardo  a  quella  parte  di  dichiarazione  ripresa  dall'Ansa e
  riportata  nell'imputazione  che  recita:  "La  continua pioggia di
  dichiarazioni  rilasciate  dai  p.m. di Milano e Palermo, di queste
  due tribune eversive, e' un atto che considerato nella sua gravita'
  rappresenta  un dato del costume negativo del paese... si tratta di
  delitti morali e politici da parte di una congrega di personaggi la
  quale,  priva  di  cultura  del diritto e di senso dello Stato, da'
  fuori  con  attivita'  che  si  possono  considerare autenticamente
  terroristiche".
    Nell'ambito  di  tali affermazioni, se la valutazione di "costume
  negativo  del paese" attribuita alle dichiarazioni delle procure di
  Milano  e  Palermo, puo' essere intesa quale critica funzionalmente
  connessa  all'attivita'  di  parlamentare  dell'on. Mancuso  -  che
  peraltro, per larga parte, dalla lettura degli atti parlamentari su
  tale  tema  si pone in epoca successiva - al di fuori di tale nesso
  si pongono invece la qualificazione di "tribune eversive", riferita
  alle  due  procure,  l'attribuzione  sostanziale  alle stesse della
  commissione di "delitti morali e politici", la qualificazione di un
  organo  che esercita la funzione giurisdizionale quale "congrega di
  personaggi",  l'attribuzione  a tale organo oltre che dell'"assenza
  di  cultura  del  diritto  e  di  senso  dello  Stato"  anche dello
  svolgimento di attivita' "autenticamente terroristiche".
    Le affermazioni e i giudizi da ultimo riportati, solo formalmente
  appaiono  collegati al soggetto della frase "la continua pioggia di
  dichiarazioni",  ma  da  esso  si  allontanano  per sfociare in una
  polemica  diretta  con  tutte  le  attivita'  svolte dalle suddette
  procure,   di   cui   i   querelanti  al  contempo  fanno  parte  e
  costituiscono  i  soggetti  esponenziali, finendo per attribuire ad
  organi investiti della potesta' repressivo-punitiva dello Stato, la
  commissione di delitti contro la collettivita'.
    Per il profilo indicato le espressioni dell'onorevole Mancuso non
  risultano   collegate   funzionalmente   alla   sua   attivita'  di
  parlamentare  e  il  diverso  giudizio  espresso dall'assemblea dei
  deputati  a  cui  appartiene costituisce un'erronea valutazione dei
  presupposti  richiesti  per  il giudizio di insindacabilita' di cui
  all'art. 68   della   Costituzione,   con  conseguente  illegittima
  interferenza nelle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria.