Il giudice dell'udienza preliminare Mariella Roberti, letta la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal sostituto procuratore dr. Paolo D'Ovidio nei confronti - tra gli altri - di Mancuso Filippo nato a Palermo l'11 luglio 1922 elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore avv. Franco Luberti in Roma, via Flaminia n. 354; imputato del delitto previsto dagli artt. 595 c.p., 13 e 21 legge n. 47 luglio 1948 per aver offeso l'onore e il prestigio del dr. Giancarlo Caselli e del dr. Francesco Saverio Borrelli, procuratori della Repubblica presso i tribunali, rispettivamente, di Palermo e Milano, rilasciando dichiarazioni ai giornalisti in occasione di un convegno organizzato dalla formazione politica "Forza Italia" a Benevento nel giugno 1997, dichiarazioni riprese dall'ANSA e quindi pubblicate, fra gli altri, dai quotidiani Il Manifesto, Il Giornale, Il Giornale di Sicilia, e condensate negli articoli intitolati, rispettivamente: "Giustizia - Mancuso attacca i p.m. di Palermo e Milano", "Mancuso contro il pool: non ha il senso dello Stato", "Le procure di Milano e Palermo? - Mancuso: sono tribune eversive", tutti pubblicati il 10 giugno 1997, il cui contenuto deve qui intendersi integralmente riportato e in cui si affermava fra l'altro: "la continua pioggia di dichiarazioni rilasciate dai p.m. di Milano e Palermo, di queste due tribune eversive, e' un atto che considerato nella sua gravita', rappresenta un dato del costume negativo del paese... si tratta di delitti morali, politici da parte di una congrega di personaggi la quale, priva di cultura del diritto e di senso dello Stato, da' fuori con attivita' che si possono considerare autenticamente terroristiche". O s s e r v a Con querela depositata il 18 luglio 1997 Gian Carlo Caselli - procuratore della Repubblica di Palermo - chiedeva promuoversi l'azione penale nei confronti dell'onorevole Filippo Mancuso nonche' dei direttori responsabili e dei giornalisti appartenenti all'agenzia Ansa, al Giornale di Sicilia, a "Il Manifesto" e a "Il Giornale" in relazione alle espressioni pronunciate dall'onorevole in occasione di un convegno svoltosi a Benevento il 9 giugno 1997 e riportate dai giornalisti. Precisava il querelante di aver appreso da un comunicato ANSA del 9 giugno 1997 e da servizi giornalistici non firmati del 10 giugno 1997 che il dr. Mancuso, vicepresidente della Commissione antimafia, a margine del convegno indicato, avrebbe pronunciato giudizi - definiti "incredibili" - nei confronti delle procure di Milano e di Palermo affermando, secondo quanto riportato nel comunicato ANSA, che "la continua pioggia di dichiarazioni dei pubblici ministeri di Milano e di Palermo, di queste due tribune eversive, e' un fatto che, considerato nella sua gravita', rappresenta un dato del costume negativo del paese... Si tratta di delitti morali, politici da parte di una congrega di personaggi la quale, priva di cultura del diritto e di senso dello stato, da' fuori con attivita' che si possono considerare autenticamente terroristiche... La reazione (del Ministro di grazia e giustizia) dovrebbe essere immediata, congrua, tempestiva, sicura, cosi' come sarebbe necessaria una pubblica riprovazione da parte del Presidente della Repubblica... Flick media nel senso della propria convenienza che e' quella di tacere per servire come stalliere della magistratura deviata". Le frasi indicate, precisava il querelante, erano state riportate in parte (integralmente le prime due) dal Giornale di Sicilia, con il titolo "Le procure di Milano e Palermo? Mancuso: sono tribune eversive", integralmente dal Manifesto sotto il titolo "Giustizia. Mancuso attacca i p.m. di Palermo e Milano" e quasi integralmente con esclusione dell'accenno al Presidente della Repubblica da "Il Giornale" sotto il titolo "Mancuso contro il pool: non ha il senso dello Stato". Le espressioni riportate - lamentava il querelante - erano da ritenersi gravemente lesive della sua reputazione personale e professionale trovandosi egli a capo della procura di Palermo dal 1993 e identificandosi, in ragione di tale titolarita' e delle iniziative e responsabilita' ad essa connesse, con l'ufficio indicato. Le frasi utilizzate - proseguiva il procuratore Caselli - erano da ritenersi di particolare gravita' e valenza diffamatoria alla luce dell'assoluta ineccepibilita' del curriculum personale e professionale dello stesso querelante, che aveva ricoperto incarichi di varia e crescente responsabilita' a Torino, al C.s.m. e quindi a Palermo. In data 19 luglio 1997 Francesco Saverio Borrelli, procuratore della Repubblica di Milano, proponeva querela in relazione alle stesse dichiarazioni, ritenute diffamatorie, pronunciate dall'onorevole Filippo Mancuso nel convegno prima indicato e riportate dai quotidiani "Giornale di Sicilia", "Il Manifesto", "Il Giornale". Lamentava il querelante che le parole del dr. Mancuso erano "pesantemente lesive" della propria reputazione personale e professionale essendo egli a capo della procura della Repubblica di Milano dal maggio 1988 e identificandosi - agli occhi del pubblico - con l'ufficio ricoperto, in ragione dei ruolo di capo dell'ufficio nonche' delle iniziative e responsabilita' ad esso connesse. Le espressioni utilizzate, proseguiva il querelante, laddove l'on. Mancuso aveva qualificato un ufficio del pubblico ministero come "tribuna eversiva", esemplare del "costume negativo del paese", aveva definito la compagine di una procura come una "congrega di personaggi priva di cultura del diritto e di senso dello Stato" tale da commettere "delitti morali e politici" e da compiere "attivita' terroristiche" invocando immediate repressioni da parte delle autorita' si ponevano al di fuori del legittimo esercizio del diritto di critica assumendo piuttosto il significato degli "insulti piu' sanguinosi che contro servitori dello Stato possono immaginarsi e massime contro chi e' preposto alla tutela dell'ordine delle istituzioni civili, della legalita'". Nel procedimento aperto presso la procura della Repubblica del tribunale di Benevento a seguito delle querele indicate (risultante dalla riunione dei due procedimenti originari) previa acquisizione di informazione sul luogo di "lancio" del comunicato Ansa, il pubblico ministero, rilevando che gli addebiti diffamatori erano stati pubblicati sul "Giornale di Sicilia" stampato in Palermo, sul "Manifesto" stampato in Roma, sul "Giornale" stampato in Milano, disponeva lo stralcio degli atti riguardanti i reati commessi con le distinte pubblicazioni indicate trasmettendo conseguentemente alla procura di Caltanissetta - competente ex art. 11 c.p.p. in relazione al luogo di esercizio delle funzioni di una delle persone offese - gli atti riguardanti la diffamazione compiuta con la pubblicazione sul Giornale di Sicilia, alla procura di Roma gli atti relativi al reato consumato con la pubblicazione sul quotidiano "Il Manifesto", alla procura di Brescia, competente ex art. 11 c.p.p. ancora in ragione del luogo di esercizio delle funzioni di una delle persone offese, per il reato ipotizzato con la pubblicazione su "Il Giornale". Il procedimento originario veniva' quindi trasmesso dallo stesso pubblico ministero alla procura della Repubblica presso la pretura circondariale della stessa sede ritenendo ipotizzabile nei confronti dell'onorevole Filippo Mancuso - per le dichiarazioni rese e le espressioni utilizzate - il reato di diffamazione non aggravato dall'utilizzazione del mezzo della stampa. Il pubblico ministero presso il tribunale di Roma, destinatario del procedimento (che assumeva il n. 12630/1997 r.g. notizie di reato) in relazione al luogo di diffusione del comunicato Ansa e del giornale "Il Manifesto" aveva nel contempo iscritto il procedimento anche nei confronti di Sandro Medici, direttore responsabile del quotidiano "Il Manifesto", (l'articolo incriminato dal titolo "Giustizia. Mancuso attacca i p.m. di Palermo e di Milano" risultava di elaborazione redazionale), Giulio Anselmi direttore dell'agenzia Ansa e Angelo Cerulo, autore della notizia depositando, in data 12 gennaio 1998, richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dei predetti. Nel contempo la procura circondariale di Benevento, originaria destinataria del procedimento in relazioni alle dichiarazioni rese dall'onorevole Mancuso nel convegno indicato, trasmetteva gli atti per competenza a Roma con missiva del 16 marzo 1998. A questo procedimento (che aveva assunto in n. 4841/1998 r.g. notizie di reato) venivano quindi riuniti altri due procedimenti, il primo (che assumeva il n. 6812/1998) trasmesso per connessione dalla procura di Brescia che gia' procedeva nei confronti di Filippo Mancuso e Vittorio Feltri - in qualita' di direttore del quotidiano "Il Giornale" - il secondo (che assumeva il n. 11122/1998 trasmesso dalla procura di Caltanissetta che rilevava come la prima diffusione delle dichiarazioni dell'indagato Filippo Mancuso fosse avvenuta con il comunicato Ansa del 9 giugno 1998, trasmesso per via telematica. La procura di Roma depositava quindi in data 19 novembre 1998 una seconda richiesta di rinvio a giudizio per il reato di diffamazione a mezzo stampa nei confronti di Filippo Mancuso, Cerulo Angelo (giornalista dell'Ansa autore del comunicato) nonche' - in relazione all'omissione dell'obbligo di vigilanza previsto all'art. 57 c.p. - nei confronti di Sandro Medici (direttore responsabile de "Il Manifesto") Giulio Anselmi (direttore dell'agenzia Ansa), Vittorio Feltri (direttore responsabile de "Il Giornale"), Giuseppe Ardizzone (individuato quale direttore responsabile de "Il Giornale di Sicilia"). Questo procedimento, all'udienza preliminare del 12 marzo 1999, previa costituzione di parte civile di Francesco Saverio Borrelli e Giancarlo Caselli, veniva riunito al precedente. Peraltro, a seguito della dichiarazione di nullita' della richiesta di rinvio a giudizio, per omesso interrogatorio dell'imputato Feltri, e di conseguente regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari per l'incombente indicato, all'esito di quest'ultimo, la procura di Roma depositava - in data 15 aprile 1999 - una nuova richiesta di rinvio a giudizio identica alla precedente, ad eccezione di quanto riguardante la posizione del direttore responsabile del Giornale di Sicilia per il quale veniva richiesto il rinvio a giudizio di Giovanni Pepi in luogo di Antonio Giuseppe Ardizzone per il quale veniva invece richiesta l'archiviazione. All'udienza del 20 gennaio 2000 l'onorevole Filippo Mancuso ha depositato copia del resoconto della seduta della Camera di appartenenza in data 18 gennaio 2000 dove l'assemblea, pronunciando con l'astensione dell'interessato (come risultante dal resoconto della seduta del giorno successivo) - in accoglimento della proposta della giunta per le autorizzazioni a procedere - ritenendo indubitabile che le affermazioni oggetto dell'accusa di diffamazione fossero state pronunciate in un contesto politico parlamentare e affermandone la connessione con l'attivita' parlamentare dell'on. Mancuso, avendo egli "criticato" in quella come in altre occasioni "l'eccessiva tendenza ad esternazioni di carattere lato sensu politico degli organi della pubblica accusa" dichiarava l'insindacabilita' delle espressioni utilizzate e delle opinioni espresse. Alla stessa udienza la parte civile Giancarlo Caselli richiedeva che il giudicante volesse proporre conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale, ritenendo insussistente il presupposto necessario a ritenere l'insindacabilita' prevista all'art. 68 della Costituzione, per l'assenza di collegamento funzionale tra le affermazioni svolte dall'onorevole Mancuso nel corso del convegno indicato e l'esercizio delle funzioni di parlamentare. Alla richiesta si sono associati - alla successiva udienza del 16 marzo 2000 - la parte civile Francesco Saverio Borrelli e il pubblico ministero mentre le difese di Medici, Anselmi, Cerulo e Pepi si rimettevano al giudice. I difensori di Feltri e Mancuso hanno invece richiesto il rigetto dell'istanza. Il giudice ritiene di promuovere il giudizio di codesta Corte sulla base delle seguenti motivazioni. E' noto che in tema di reati commessi da parlamentari si fa riferimento agli atti di c.d. funzione per qualificare quegli atti che vengono compiuti dai parlamentari in relazione a tale specifica qualita' e che divengono pertanto insindacabili in quanto relativi all'esercizio delle funzioni proprie di un membro del parlamento. Peraltro al giudice ordinario e' consentito valutare se il fatto sia o meno scriminato ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione solo in assenza di pronuncia della Camera di appartenenza del parlamentare stesso. Ove invece, come nel caso in esame, la Camera si sia gia' espressa per l'insindacabilita', per le affermazioni asseritamente diffamatorie, come affermato dalla Corte di cassazione (cfr. sent. 16 novembre 1998, n. 1826, Della Valle R.), "il giudice ordinario non puo' che prendere atto della valutazione espressa dal Parlamento, adeguandovisi e quindi dichiarando la non punibilita' del fatto perche' commesso nell'esercizio delle funzioni parlamentari, ovvero sollevare conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale". Il conflitto peraltro potra' essere sollevato solo ove il giudice ritenga contestabili le concrete modalita' di esercizio del potere del Parlamento per vizi del procedimento ovvero per omessa o erronea valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti ai fini della validita' del suddetto esercizio (attenzione). Nel caso in esame appare al giudicante che la pronuncia di insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 18 gennaio 2000 - con l'astensione dell'onorevole Mancuso - sia contestabile non sussistendo i presupposti richiesti dall'art. 68 della Costituzione e che, conseguentemente, vi sia stata un'illegittima interferenza nelle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria. Deve ritenersi pacifico (come peraltro da ultimo affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 56, 9-15 febbraio 2000) che sono ricomprese tra le opinioni formulate nell'esercizio della funzione "quelle espresse nel corso dei lavori della Camera e dei suoi organi, in occasione dell'espletamento di una qualsiasi funzione di cui la Camera e' titolare, o manifestate in atti, anche individuali, che siano estrinsecazione delle facolta' proprie di deputati e senatori". Laddove le opinioni siano espresse al di fuori dei lavori parlamentari la sussistenza del nesso funzionale deve essere concretamente riscontrato. Non puo' infatti ritenersi rientrante nell'esercizio delle funzioni di parlamentare ogni manifestazione dell'attivita' politica di deputati e senatori dovendo essere piuttosto riscontrato un collegamento in concreto con l'attivita' parlamentare. In proposito evidenzia questo giudice i principi affermati nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 10 e 11 del 2000 laddove la prima afferma che il nesso funzionale tra le dichiarazioni rese dal parlamentare e l'attivita' dello stesso si riscontra non in una semplice forma di collegamento di argomento o di contesto ma richiede "l'identificabilita' delle dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare", mentre la seconda specifica che il predetto nesso funzionale, ove si richiami la riproduzione all'esterno delle Camere di dichiarazioni gia' espresse in un atto parlamentare e' insindacabile "solo ove sia riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l'atto parlamentare, non essendo al riguardo sufficiente una mera comunanza di tematiche". Esaminando, per valutare la corretta individuazione dell'indicato nesso funzionale, le motivazioni in base alle quali l'assemblea dei deputati ha espresso l'indicato giudizio di insindacabilita' viene in evidenza la relazione della giunta per le autorizzazioni a procedere riferita nella seduta della Camera del 18 gennaio 2000. In essa si afferma "il contesto politico-parlamentare" delle dichiarazioni pronunciate e la connessione tra le dichiarazioni dell'onorevole Mancuso e la sua attivita' di parlamentare, ritenendo, in cio' valorizzando quanto riferito nel corso dell'audizione dinanzi alla giunta dallo stesso collega interessato, che la critica dell'onorevole avesse riguardato "l'eccessiva tendenza ad esternazioni di carattere lato sensu politico degli organi della pubblica accusa", richiamando numerosi interventi svolti, nello stesso senso, dall'onorevole Mancuso nell'ambito dei lavori parlamentari e, specificamente, gli interventi nelle sedute dell'assemblea dell'11 marzo, del 15 aprile, del 10 giugno e del 9 luglio del 1998 e ancora in interrogazioni presentate nelle sedute del 23 e del 30 novembre 1999, oltre a numerose altre prese di posizione in assemblea e in Commissione antimafia aventi ad oggetto comunque l'attivita' delle suddette procure". A ulteriore conferma dell'affermato nesso funzionale delle dichiarazioni dell'onorevole Mancuso con l'attivita' parlamentare dallo stesso esercitata, la difesa dell'imputato - all'udienza del 16 marzo 2000 - ha depositato memoria con allegata imponente documentazione. Nella memoria, con il conforto della documentazione che attesta gli interventi svolti, si afferma che il nesso funzionale tra le dichiarazioni rese dal parlamentare al di fuori degli atti tipici e l'attivita' di parlamentare va individuato "in quella sorta di continuita' logica e di coerenza, ravvisabile tra l'atto incriminato e le scelte politiche del parlamentare, tradotte anche in puntuali atti funzionali tipici, pregressi o contestuali che siano". In tale ottica, si prosegue nell'indicata memoria, va rilevato che, nel corso della XIII legislatura - ambito temporale nel quale si e' verificato il fatto oggetto dell'imputazione - l'onorevole Mancuso rivestiva anche la carica di vice Presidente della Commissione interparlamentare antimafia e in tale qualita' - oltre che in quella di deputato - si "e' sempre occupato con impegno serio e costante del delicato tema della giustizia, delle tare che ne viziano e ne ostacolano la corretta amministrazione" denunciando eccessi, abusi, sconfinamenti di taluni uffici giudiziari, stigmatizzandone il diffuso attivismo ritenuto di matrice piu' segnatamente politica "nei confronti delle scelte, degli interventi, dell'operato degli organi parlamentari e governativi". Ritiene al contrario questo giudice che le affermazioni contenute nella relazione della giunta per le autorizzazioni a procedere, fatte proprie dall'assemblea dei deputati con il voto favorevole per l'insindacabilita', non risultano avere concreto riferimento alle frasi oggetto di incriminazione. Occorre a tale proposito aver riguardo a quella parte di dichiarazione ripresa dall'Ansa e riportata nell'imputazione che recita: "La continua pioggia di dichiarazioni rilasciate dai p.m. di Milano e Palermo, di queste due tribune eversive, e' un atto che considerato nella sua gravita' rappresenta un dato del costume negativo del paese... si tratta di delitti morali e politici da parte di una congrega di personaggi la quale, priva di cultura del diritto e di senso dello Stato, da' fuori con attivita' che si possono considerare autenticamente terroristiche". Nell'ambito di tali affermazioni, se la valutazione di "costume negativo del paese" attribuita alle dichiarazioni delle procure di Milano e Palermo, puo' essere intesa quale critica funzionalmente connessa all'attivita' di parlamentare dell'on. Mancuso - che peraltro, per larga parte, dalla lettura degli atti parlamentari su tale tema si pone in epoca successiva - al di fuori di tale nesso si pongono invece la qualificazione di "tribune eversive", riferita alle due procure, l'attribuzione sostanziale alle stesse della commissione di "delitti morali e politici", la qualificazione di un organo che esercita la funzione giurisdizionale quale "congrega di personaggi", l'attribuzione a tale organo oltre che dell'"assenza di cultura del diritto e di senso dello Stato" anche dello svolgimento di attivita' "autenticamente terroristiche". Le affermazioni e i giudizi da ultimo riportati, solo formalmente appaiono collegati al soggetto della frase "la continua pioggia di dichiarazioni", ma da esso si allontanano per sfociare in una polemica diretta con tutte le attivita' svolte dalle suddette procure, di cui i querelanti al contempo fanno parte e costituiscono i soggetti esponenziali, finendo per attribuire ad organi investiti della potesta' repressivo-punitiva dello Stato, la commissione di delitti contro la collettivita'. Per il profilo indicato le espressioni dell'onorevole Mancuso non risultano collegate funzionalmente alla sua attivita' di parlamentare e il diverso giudizio espresso dall'assemblea dei deputati a cui appartiene costituisce un'erronea valutazione dei presupposti richiesti per il giudizio di insindacabilita' di cui all'art. 68 della Costituzione, con conseguente illegittima interferenza nelle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria.