ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 500, secondo
comma-bis  e  quarto, e 512 del codice di procedura penale, promosso,
in  un  procedimento  penale,  con  ordinanza emessa il 22 marzo 2000
dalla  Corte  di  assise  di  Nuoro,  iscritta al n. 286 del registro
ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del giorno 11 ottobre 2000 il
giudice relatore Guido Neppi Modona.

                          Ritenuto in fatto


    1.  -  La  Corte  di assise di Nuoro ha sollevato, in riferimento
all'art. 111    della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 512  del  codice di procedura penale, nella
parte   in   cui  consente  che  sia  data  lettura,  nel  corso  del
dibattimento,  dei  verbali  relativi  alle  dichiarazioni  rese alla
polizia  giudiziaria o al pubblico ministero da persone informate sui
fatti  che non abbiano inteso avvalersi della facolta' di non deporre
ai  sensi dell'art. 199 cod. proc. pen., esercitando invece tale loro
diritto  nel dibattimento, nonche' dell'art. 500, secondo comma-bis e
quarto,  dello  stesso  codice, nella parte in cui, "ove si ritenesse
applicabile   al   caso   in  esame  l'ingresso  delle  dichiarazioni
attraverso  il  meccanismo  della contestazione", consente al giudice
del   dibattimento   di  procedere  all'acquisizione,  a  seguito  di
contestazione,  dei  verbali  di  informazioni rese dalle persone che
versano nelle condizioni prima indicate.
    Osserva   in   fatto  la  Corte  rimettente  che  nel  corso  del
dibattimento  la  madre  ed  il  fratello di due imputati, di cui era
stata  disposta  l'assunzione  come  testimoni ai sensi dell'art. 507
cod.  proc.  pen.,  avevano dichiarato di avvalersi della facolta' di
astenersi  dal  deporre  prevista  dall'art. 199  cod.  proc. pen. Il
pubblico  ministero  aveva quindi chiesto l'acquisizione e la lettura
dei  verbali  delle  informazioni  rese  dai medesimi nel corso delle
indagini  preliminari,  facendo rilevare che prima dell'assunzione di
dette  informazioni  i  predetti soggetti, avvisati della facolta' di
astenersi, avevano dichiarato che non intendevano avvalersene.
    Al  riguardo, il giudice a quo rileva che con sentenza n. 179 del
1994  la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata, nei sensi di
cui  in  motivazione,  la  questione  di  legittimita' costituzionale
dell'art. 512  cod.  proc. pen., ritenendo che tale norma consentisse
la  lettura  delle  dichiarazioni  rese alla polizia giudiziaria o al
pubblico  ministero nel corso delle indagini preliminari dai prossimi
congiunti  dell'imputato  che  si  avvalgono  in  dibattimento  della
facolta' di non deporre.
    Peraltro  -  prosegue  il  rimettente  -  successivamente  a tale
decisione   la  legge  costituzionale  23  novembre  1999,  n. 2,  ha
modificato     l'art. 111     della     Costituzione,    introducendo
nell'ordinamento  il  principio  del contraddittorio nella formazione
della  prova,  "con  la ulteriore specificazione che "la colpevolezza
dell'imputato  non  puo'  essere  provata sulla base di dichiarazioni
rese  da  chi,  per  libera  scelta,  si  e'  sempre  volontariamente
sottratto all'interrogatorio dell'imputato o del suo difensore ".
    Il  rimettente  ritiene  pertanto che l'art. 512 cod. proc. pen.,
nella  parte in cui consente - secondo l'interpretazione datane dalla
Corte  costituzionale - la lettura delle dichiarazioni rese nel corso
delle  indagini  preliminari  da  persone  che,  in  dibattimento, si
avvalgono  della  facolta' di non testimoniare, benche' in precedenza
avessero  rinunciato  a  tale  facolta',  sia  in  contrasto  con  il
principio  del  contraddittorio nella formazione della prova, perche'
"non  consentirebbe  alle  parti  diverse  dal  p.m.  di procedere al
controesame dei testi".
    D'altro  canto,  "ove  si ritenesse applicabile nel caso in esame
l'ingresso   delle   dichiarazioni  attraverso  il  meccanismo  della
contestazione",  ad  avviso  del  giudice  rimettente la disposizione
dell'art. 500, secondo comma-bis e quarto, cod. proc. pen. sarebbe in
contrasto  con  il  principio  costituzionale del contraddittorio, in
quanto   tale   disciplina   verrebbe   applicata  a  soggetti  "che,
nell'esercizio  di  una loro legittima facolta', rifiutano di rendere
testimonianza"   e  non  gia'  a  "testi  che  nel  corso  dell'esame
dibattimentale rendano dichiarazioni difformi da quelle in precedenza
rese nel corso delle indagini preliminari".

    2.  - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato. A parere dell'Avvocatura la giurisprudenza di legittimita' non
ha accolto l'interpretazione dell'art. 512 cod. proc. pen. data dalla
Corte  costituzionale con la sentenza n. 179 del 1994, ma ha ribadito
anche  di  recente  che  l'esercizio  della facolta' di astenersi dal
deporre  da  parte  del prossimo congiunto impedisce la lettura delle
dichiarazioni dallo stesso rese nel corso delle indagini preliminari:
da  un  lato,  infatti,  ai  sensi dell'art. 500, secondo comma, cod.
proc.  pen.,  le  dichiarazioni rese nel corso delle indagini possono
essere inserite nel fascicolo del dibattimento mediante contestazione
solo  se il soggetto deponga come teste sui fatti e sulle circostanze
oggetto  di  contestazione;  dall'altro,  ai sensi dell'art. 512 cod.
proc.  pen.,  la  lettura degli atti assunti nel corso delle indagini
preliminari   e'  consentita  solo  nel  caso  che  ne  sia  divenuta
impossibile la ripetizione per fatti o circostanze imprevedibili.
    L'Avvocatura  ritiene  quindi che le censure di costituzionalita'
prospettate  dal  rimettente  si  fondano  su  un erroneo presupposto
interpretativo  e  conclude chiedendo che la questione sia dichiarata
non fondata.

                       Considerato in diritto


    1.  -  La  questione di legittimita' costituzionale sottoposta al
giudizio  di  questa  Corte  ha  per oggetto l'art. 512 del codice di
procedura   penale,   nella   parte   in   cui,  alla  stregua  della
interpretazione  indicata dalla sentenza n. 179 del 1994, consente di
dare  lettura  dei  verbali  delle  dichiarazioni  rese  alla polizia
giudiziaria   o  al  pubblico  ministero  nel  corso  delle  indagini
preliminari  da  prossimi congiunti dell'imputato che in dibattimento
si  avvalgano  della  facolta'  di non deporre ai sensi dell'art. 199
cod.  proc.  pen.;  nonche', "ove si ritenesse applicabile al caso in
esame  l'ingresso  delle dichiarazioni attraverso il meccanismo della
contestazione",  l'art. 500, secondo comma-bis e quarto, dello stesso
codice,  nella  parte  in cui consente al giudice del dibattimento di
procedere   all'acquisizione,   a  seguito  di  contestazione,  delle
dichiarazioni  rese  dalle persone che versano nelle condizioni prima
indicate.
    Ad  avviso  del  rimettente, da un lato la lettura dei verbali di
tali    dichiarazioni    in    forza    dell'art. 512    cod.   proc.
pen. contrasterebbe con il quarto comma dell'art. 111 Cost., inserito
dall'art. 1   della  legge  costituzionale  n. 2  del  1999,  ove  e'
stabilito  che  il  "processo  penale  e'  regolato dal principio del
contraddittorio  nella formazione della prova" e che "la colpevolezza
dell'imputato  non  puo'  essere  provata sulla base di dichiarazioni
rese  da  chi,  per  libera  scelta,  si  e'  sempre  volontariamente
sottratto   all'interrogatorio  da  parte  dell'imputato  o  del  suo
difensore",  in  quanto  la lettura impedisce alle parti di procedere
all'esame   e  al  controesame  del  testimone;  dall'altro,  ove  si
ritenesse  che  le  dichiarazioni  rese  in precedenza possano essere
acquisite   mediante   il   meccanismo  delle  contestazioni  di  cui
all'art. 500,   secondo   comma-bis   e   quarto,  cod.  proc.  pen.,
risulterebbe   parimenti  violato  il  principio  costituzionale  del
contraddittorio, in quanto la disciplina censurata verrebbe applicata
a  soggetti  che  rifiutano  di rendere testimonianza esercitando una
loro  legittima  facolta',  e  non  a  testimoni  che abbiano reso in
dibattimento   dichiarazioni  difformi  rispetto  a  quelle  rese  in
precedenza.

    2.  - I rilievi di illegittimita' costituzionale sono prospettati
dal  rimettente  con riferimento all'interpretazione che questa Corte
ha dato all'art. 512 cod. proc. pen. con la sentenza n. 179 del 1994.
    La  questione  era  stata allora sollevata in base al presupposto
che  gli  artt. 500,  secondo  comma-bis  e  512  cod. proc. pen. non
consentissero,   rispettivamente,  di  contestare  e  di  leggere  le
dichiarazioni  rese  alla polizia giudiziaria e al pubblico ministero
nel   corso   delle   indagini   preliminari  da  prossimi  congiunti
dell'imputato  che  al dibattimento si fossero avvalsi della facolta'
di  non deporre, e che pertanto non potesse essere evitata la perdita
di tali dichiarazioni ai fini della decisione.
    Con  la menzionata sentenza la Corte ha ritenuto, da un lato, che
al  caso  in  esame  non e' applicabile l'art. 500, secondo comma-bis
cod.  proc.  pen.,  in quanto norma "che e' chiaramente rivolta verso
coloro  i  quali,  in  ragione dell'obbligo di rendere testimonianza,
assumono nel giudizio la qualita' formale di testi, ma non puo' certo
essere  estesa a chi tale qualita' non assume nemmeno ove eserciti il
proprio  diritto di astensione"; dall'altro ha dichiarato non fondata
la questione relativa all'art. 512 cod. proc. pen., affermando in via
interpretativa  che, una volta che il prossimo congiunto, ritualmente
avvisato  della facolta' di astenersi dal deporre, abbia rinunciato a
tale  facolta'  e  reso  dichiarazioni  alla polizia giudiziaria o al
pubblico  ministero, le dichiarazioni stesse risultano legittimamente
assunte e, ove il dichiarante decida di astenersi dalla testimonianza
dibattimentale,  "pur  se  in seguito all'esercizio di un diritto, si
determina  comunque quella oggettiva e non prevedibile impossibilita'
di  ripetizione  dell'atto  dichiarativo che, ai sensi dell'art. 512,
consente   di  dare  lettura  degli  atti  assunti  anteriormente  al
dibattimento". La soluzione - rileva la sentenza n. 179 del 1994 - si
pone  "in  linea  con il criterio tendente a contemperare il rispetto
del  principio dell'oralita' con l'esigenza di evitare la perdita, ai
fini  della  decisione,  di quanto acquisito prima del dibattimento e
che sia irripetibile in tale sede".
    Il  giudice  che  ha  sollevato la questione oggetto del presente
giudizio  di  costituzionalita' richiama appunto tale interpretazione
per   sostenere   la   sopravvenuta   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 512  cod.  proc.  pen.  a  seguito  dell'introduzione nella
Costituzione del principio del contraddittorio nella formazione della
prova.
    3. - La questione non e' fondata, nei sensi di seguito precisati.
    4.  -  Il  quadro  normativo  in base al quale questa Corte aveva
pronunciato  la sentenza interpretativa n. 179 del 1994 e' in effetti
radicalmente    mutato   a   seguito   delle   modifiche   introdotte
nell'art. 111  della Costituzione dalla legge costituzionale n. 2 del
1999.
    Il principio del contraddittorio nella formazione della prova nel
processo  penale  e' ora espressamente enunciato nella sua dimensione
oggettiva,  cioe'  quale metodo di accertamento giudiziale dei fatti,
nella  prima  parte  del  quarto  comma, mediante la formulazione "Il
processo   penale  e'  regolato  dal  principio  del  contraddittorio
nellaformazione  della  prova",  ed  e'  richiamato  anche  nella sua
dimensione   soggettiva,   cioe'   quale   diritto  dell'imputato  di
confrontarsi  con  il  suo accusatore, in particolare nel terzo comma
del  medesimo  art. 111  Cost.,  ove  viene riconosciuta alla persona
accusata  "la  facolta',  davanti al giudice, di interrogare o di far
interrogare  le  persone  che rendono dichiarazioni a suo carico". Il
principio  trova  poi  una  specifica  puntualizzazione nella regola,
dettata  dalla  seconda  parte  del  quarto  comma,  secondo  cui  la
"colpevolezza  dell'imputato  non  puo'  essere provata sulla base di
dichiarazioni   rese   da  chi,  per  libera  scelta,  si  e'  sempre
volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o
del  suo  difensore".  Contestualmente, l'art. 111 della Costituzione
prevede nel quinto comma che eccezionalmente, nei casi regolati dalla
legge, "la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per
consenso  dell'imputato  o  per  accertata  impossibilita'  di natura
oggettiva o per effetto di provata condotta illecita".
    I  contenuti  della  disciplina  costituzionale del principio del
contraddittorio   e   delle   relative  deroghe  sono  sufficienti  a
dimostrare  che  l'interpretazione  riservata all'art. 512 cod. proc.
pen. dalla  sentenza  n. 179  del 1994 non e' piu' compatibile con il
nuovo quadro normativo.
    La  Corte aveva allora ritenuto costituzionalmente imposta, anche
alla  luce  delle  sentenze nn. 254 e 255 del 1992 e del principio di
non   dispersione   dei   mezzi  di  prova  in  esse  affermato,  una
interpretazione  estensiva  dell'art. 512  cod.  proc.  pen., tale da
qualificare   l'esercizio   della  facolta'  del  prossimo  congiunto
dell'imputato di astenersi dal deporre come una causa di "oggettiva e
non    prevedibile    impossibilita'    di    ripetizione   dell'atto
dichiarativo",  che  consente  di  dare  lettura  degli  atti assunti
anteriormente  al  dibattimento.  Per  la  sua generica formulazione,
l'art. 512 cod. proc. pen. fu cosi' ritenuto idoneo a comprendere tra
i  fatti  (o le circostanze) imprevedibili che rendono impossibile la
ripetizione  dell'atto  anche  quelli  che,  pur  se dipendenti dalla
volonta'  del  dichiarante  (come nel caso disciplinato dall'art. 199
cod.  proc.  pen.), di fatto determinano comunque l'impossibilita' di
procedere all'esame dibattimentale.
    Tale  conclusione  non e' peraltro piu' consentita dal tenore del
quarto   e   del   quinto   comma  dell'art. 111  Cost.:  i  precetti
costituzionali  si  pongono infatti rispetto alla legge ordinaria non
solo   come   parametri  di  legittimita',  ma,  prima  ancora,  come
essenziali  punti  di  riferimento  dell'interpretazione  conforme  a
Costituzione    della    disciplina   sottoposta   a   scrutinio   di
costituzionalita'.
    In  particolare,  l'interpretazione  estensiva dell'art. 512 cod.
proc.  pen. e' chiaramente incompatibile con la sfera di applicazione
della  specifica  ipotesi di deroga al contraddittorio "per accertata
impossibilita'   di  natura  oggettiva"  prevista  dal  quinto  comma
dell'art. 111  della Costituzione. Ove si consideri anche il testuale
riferimento,  contenuto  nell'art. 111,  quarto  comma,  Cost.,  alle
"dichiarazioni   rese  da  chi,  per  libera  scelta,  si  e'  sempre
volontariamente   sottratto  all'interrogatorio",  il  richiamo  alla
"impossibilita'  di  natura oggettiva" non puo' che riferirsi a fatti
indipendenti  dalla  volonta' del dichiarante, che di per se' rendono
non  ripetibili  le  dichiarazioni  rese in precedenza, a prescindere
dall'atteggiamento  soggettivo,  cosi'  come  d'altronde emerge dagli
stessi lavori parlamentari (vedi Senato, sedute del 18 febbraio 1999,
e  Camera,  Commissione  Affari  costituzionali, seduta del 28 aprile
1999  e Relazione presentata il 16 luglio 1999). Ne deriva che tra le
cause di impossibilita' di "natura oggettiva" previste dall'art. 111,
quinto comma, della Costituzione non puo' essere compreso l'esercizio
della  facolta'  legittima  di  astenersi dal deporre, che e' appunto
riconosciuta   al  prossimo  congiunto  dell'imputato,  attribuendosi
rilievo ad una sua manifestazione di volonta'.
    5.  -  Alla  luce  della  nuova formulazione dell'art. 111 Cost.,
l'art. 512  cod.  proc. pen. va quindi interpretato nel senso che non
e' consentito dare lettura delle dichiarazioni in precedenza rese dai
prossimi  congiunti  dell'imputato  che  in dibattimento si avvalgono
della  facolta'  di  astenersi dal deporre a norma dell'art. 199 cod.
proc.  pen.,  in  quanto  tale situazione non rientra tra le cause di
natura  oggettiva  di  impossibilita'  di  formazione  della prova in
contraddittorio.   La  relativa  questione  di  costituzionalita'  va
pertanto  dichiarata  non  fondata,  essendo basata su un presupposto
interpretativo superato dal mutato quadro normativo.

    6.  -  La  questione di legittimita' costituzionale sollevata con
riferimento all'art. 500, secondo comma-bis e quarto, cod. proc. pen.
e'  introdotta dall'inciso, ipotetico e dubitativo, "ove si ritenesse
applicabile   nel   caso  in  esame  l'ingresso  delle  dichiarazioni
attraverso  il meccanismo della contestazione". L'incertezza espressa
dallo  stesso  rimettente  in  ordine  all'applicazione  della  norma
oggetto   di   scrutinio  di  costituzionalita'  rende  la  questione
manifestamente   inammissibile   per  difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza.