ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera della Commissione parlamentare per
l'indirizzo  generale  e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi del
29 marzo 2000, recante "comunicazione politica, messaggi autogestiti,
informazione    e   tribune   della   concessionaria   del   servizio
radiotelevisivo pubblico per la campagna referendaria 2000", promosso
con ricorso dei signori Daniele Capezzone, Michele De Lucia e Mariano
Giustino,  nella  qualita'  di promotori e presentatori di referendum
abrogativi  indetti  per  il  21 maggio 2000, notificato il 18 maggio
2000, depositato in Cancelleria il 2 giugno 2000 ed iscritto al n. 26
del registro conflitti 2000.
    Visto  l'atto  di costituzione della Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  26 settembre  2000 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
    Uditi  l'avvocato  Nicolo' Zanon per i signori Daniele Capezzone,
Michele  De  Lucia e Mariano Giustino e l'Avvocato dello Stato Danilo
Del  Gaizo per la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e
la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Daniele  Capezzone,  Michele  De Lucia e Mariano Giustino,
nella  qualita'  di promotori e presentatori di referendum abrogativi
indetti  con  d.P.R.  29 marzo  2000 (Gazzetta Ufficiale del 4 aprile
2000,  n. 79)  per  il  21 maggio  2000, hanno sollevato conflitto di
attribuzione   nei   confronti  della  Commissione  parlamentare  per
l'indirizzo  generale  e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (in
seguito,  Commissione  parlamentare) e dell'Autorita' per le garanzie
nelle  comunicazioni  (in  seguito,  Autorita'  per  le garanzie), in
relazione,  rispettivamente,  agli  artt. 1,  comma  2,  2,  comma 1,
lettere  c)  e  d),  7,  comma  2,  della  deliberazione approvata il
29 marzo 2000, recante "comunicazione politica, messaggi autogestiti,
informazione    e   tribune   della   concessionaria   del   servizio
radiotelevisivo  pubblico  per  la  campagna  referendaria  2000"  ed
all'art. 8  della  deliberazione  n. 55/00/CSP, approvata il 29 marzo
2000,  dell'Autorita'  per  le  garanzie,  pubblicate  nella Gazzetta
Ufficiale del 1o aprile 2000, n. 77, in riferimento all'art. 75 della
Costituzione,  chiedendo,  in  linea  preliminare  la  sospensione di
entrambi gli atti.

    2. - Relativamente    alla    deliberazione   della   Commissione
parlamentare,   i   ricorrenti  sostengono  che  l'atto  non  avrebbe
correttamente  attuato  i  principi stabiliti dalla legge 22 febbraio
2000,  n. 28  (Disposizioni  per  la  parita'  di accesso ai mezzi di
informazione  durante  le campagne elettorali e referendarie e per la
comunicazione politica) e, percio', avrebbe influito sulla formazione
della  volonta'  dei  cittadini  chiamati  ad esprimere il loro voto,
vulnerando  le attribuzioni costituzionalmente garantite del comitato
promotore del referendum.
    Essi  premettono  che  la legge n. 28 del 2000 disciplina la c.d.
"comunicazione   politica"  nei  periodi  di  campagna  elettorale  e
referendaria,  disponendo  (artt. 5,  comma  1,  e  9) che i mezzi di
comunicazione  devono  fornire  un'informazione obbiettiva e neutrale
sul  significato e sulle modalita' del voto. In particolare, l'art. 9
di  detta  legge disciplinerebbe la "comunicazione istituzionale" che
identificherebbe  il  servizio  informativo  che  le  amministrazioni
pubbliche  dovrebbero  offrire ai cittadini, allo scopo di permettere
che  i diritti garantiti dalla Costituzione e, in particolare, quello
di  voto  (art. 48  della  Costituzione),  siano esercitati con piena
consapevolezza,   sicche'   le  norme  che  la  riguardano  sarebbero
connotate  da  "profili  di obbligatorieta' costituzionale" in quanto
attuative   degli   artt. 1,   48,  3,  comma  secondo,  e  75  della
Costituzione.
    La   "comunicazione   istituzionale",  proseguono  i  ricorrenti,
avrebbe  "un  ruolo  costituzionale ancora piu' chiaro nel caso delle
campagne  referendarie"  nonostante  la  Corte  abbia  affermato  che
elezioni  e  referendum  possono  essere  disciplinati  con modalita'
identiche (sentenza n. 161 del 1995). Nelle campagne referendarie, la
formazione della libera e consapevole volonta' del cittadino chiamato
alle  urne  e  lo  scopo  di  ottenere che l'eventuale astensione sia
frutto  di  una  scelta  ponderata  richiederebbero  infatti  che sia
offerta  un'adeguata  informazione  sui  contenuti  dei quesiti e sul
significato  del  "si'"  e  del  "no",  anche  in  considerazione del
carattere  abrogativo  del  referendum  e  della  complessita'  delle
materie  oggetto  dei  quesiti.  In  tal  senso, secondo gli istanti,
sarebbero  emblematiche le modalita' con le quali in Svizzera e negli
Stati Uniti d'America e' disciplinata l'informazione in occasione del
referendum  nonche',  in  Italia, l'attribuzione all'Ufficio centrale
per  il  referendum  del  potere  di  stabilire  la denominazione del
referendum.  L'art. 9  della  legge  n. 28  del  2000  costituirebbe,
quindi, una norma costituzionalmente necessaria, in quanto diretta ad
assicurare  che le amministrazioni pubbliche svolgano con neutralita'
ed  obiettivita'  un'informazione  adeguata,  essendo  riservato alla
Commissione  parlamentare il potere di stabilire criteri e regole per
l'applicazione della legge alla campagna referendaria.
    2.1. - Secondo i ricorrenti, le direttive impugnate non avrebbero
correttamente  attuato la legge n. 28 del 2000, in quanto l'art. 4 si
limita a stabilire che, dal giorno della pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale  dei  decreti  di  indizione  dei  referendum  "la Rai cura
l'illustrazione  dei  quesiti referendari, ed informa sulle modalita'
di votazione, sulla data e sugli orari della consultazione".
    Analoghe  carenze  connoterebbero: l'art. 1, comma 2, il quale si
limita a stabilire che gli spazi vanno ripartiti in misura eguale tra
soggetti  favorevoli  e  contrari  ai  quesiti  e detti spazi, "negli
intendimenti della Commissione" dovrebbero esaurire ogni possibilita'
di  comunicazione  in  tema di referendum; l'art. 2, comma 1, lettera
c),  il  quale contiene un generico riferimento ad un'informazione da
assicurare  mediante  notiziari ed approfondimenti e non reca criteri
direttivi in ordine alla responsabilita' della testata giornalistica;
l'art. 2,  comma  1  lettera  d),  che  vieta la possibilita' di fare
riferimento ai referendum al di fuori della tipologia di trasmissioni
da  esso  prevista;  l'art. 7,  comma  2, che reca una mera parafrasi
dell'art. 9, della legge n. 28 del 2000. Ad avviso dei ricorrenti, le
censure  sarebbero  confortate dalla constatazione che nel calendario
delle  tribune  referendarie  approvate  dalla  Rai non sono previste
trasmissioni  di  approfondimento  ed  i  dibattiti sono confinati in
orari che non garantirebbero un'adeguata audience.
    Inoltre,  secondo  i  ricorrenti,  sussisterebbe altresi' il tono
costituzionale  del  conflitto,  in  quanto  l'atto  impugnato  - non
sindacabile  dal  giudice amministrativo - e' diretto a realizzare il
principio    del    pluralismo   e   costituirebbe   espressione   di
un'attribuzione   di   livello   costituzionale,   nella  specie  non
correttamente esercitata.
    2.2. - I ricorrenti, in linea gradata, sostengono che, qualora la
Corte  ritenga che la delibera abbia correttamente applicato la legge
n. 28  del  2000,  "la  lesione  dei principi di cui agli artt. 1, 3,
comma   secondo,   48   e  75,  della  Costituzione  dovrebbe  essere
direttamente   imputata   alla   legge   stessa,  nelle  disposizioni
specificamente    dedicate    alla    comunicazione    di   carattere
istituzionale"  da  ritenersi  viziate  "in quanto non contengono una
disciplina  sufficiente ad assicurare l'esistenza, costituzionalmente
necessaria,  di  una  reale ed efficace comunicazione istituzionale".
Essi  chiedono, quindi, che la Corte, previa sospensione del giudizio
per  conflitto  di attribuzione, sollevi di fronte a se' questione di
legittimita'  costituzionale  degli artt. 5, comma 1, e 9 della legge
n. 28  del  2000,  "nella  parte  in  cui  non  prevedono  le  misure
legislative  minime  atte  ad  assicurare  la presenza e l'efficacia"
della  comunicazione  istituzionale,  in riferimento agli artt. 1, 3,
comma secondo, 21, 48 e 75 della Costituzione.

    3. - Questa  Corte,  con ordinanza del 12 maggio 2000, n. 137, ha
dichiarato   inammissibile   il  conflitto  sollevato  nei  confronti
dell'Autorita' per le garanzie ed ha invece dichiarato ammissibile il
conflitto  sollevato  nei  confronti  della Commissione parlamentare,
ritenendo   insussistenti  i  presupposti  per  l'accoglimento  della
domanda cautelare.
    I   ricorrenti  hanno  notificato  l'ordinanza  alla  Commissione
parlamentare  il  18 maggio 2000, depositandola presso la cancelleria
della Corte il 2 giugno 2000.

    4. - Nel  giudizio  si e' costituita la Commissione parlamentare,
rappresentata   e   difesa   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo  che il conflitto sia dichiarato inammissibile e, comunque,
che sia rigettato.
    La   difesa   erariale,   preliminarmente,  contesta  che  l'atto
impugnato  incida  sulle  attribuzioni  costituzionalmente  garantite
spettanti  ai promotori del referendum ex art. 75 della Costituzione,
perche'   tra   esse   non   rientrerebbe   la   cd.   "comunicazione
istituzionale"  (art. 9,  comma  2,  della  legge n. 28 del 2000), la
quale  riguarda l'attivita' di informazione obiettiva e neutrale che,
evidentemente,  non  puo'  essere  svolta dai predetti. A suo avviso,
siffatta  conclusione  e'  confortata  dalle  decisioni  della  Corte
concernenti  gli  atti  di  disciplina  dell'attivita'  di propaganda
svolta  da  soggetti  portatori  di una visione politica di parte. In
particolare,  dalla  sentenza  n. 161 del 1995 e dalla sentenza n. 49
del  1998, la quale ha affermato che la Commissione parlamentare deve
formulare  indirizzi  rispettosi  del  principio del pluralismo della
propaganda   ed   ha  contrapposto  la  partecipazione  dei  comitati
promotori  e  dei  soggetti  organizzati  al ciclo delle trasmissione
televisive.
    Secondo  la resistente, questa interpretazione sarebbe suffragata
dalla  circostanza  che  l'art. 52 della legge 25 maggio 1970, n. 352
attribuisce  ai  promotori  del referendum la facolta' di partecipare
direttamente   alla   competizione   elettorale   ed   alla  relativa
propaganda,  che  evidentemente  e'  incompatibile  con  lo  scopo di
offrire un'informazione obiettiva ed imparziale.
    4.1.  -  Nel  merito,  la  Commissione  parlamentare premette che
l'art. 9,  comma  2,  della  legge  n. 28  del 2000 non disciplina la
"comunicazione  istituzionale" e contesta che le norme di detta legge
siano   "costituzionalmente   necessarie",   poiche'   tale  tipo  di
comunicazione  non e' prevista dall'art. 75 della Costituzione, ed e'
stata   disciplinata   esclusivamente   da   quando  e'  venuta  meno
l'aspettativa  della  tendenziale  neutralita'  ed  imparzialita' dei
media  televisivi  privati,  in quanto parti direttamente interessate
dalle consultazioni referendarie.
    Ad  avviso  della difesa erariale, e' inesatto che l'informazione
debba  essere  svolta con le modalita' indicate dai ricorrenti, sulla
scorta di considerazioni "del tutto opinabili o arbitrarie" basate su
indimostrate  petizioni  di  principio o su premesse erronee, facendo
peraltro  riferimento  alla  disciplina  stabilita in Paesi nei quali
l'istituto  referendario ha caratteri profondamente diversi da quello
italiano.
    In particolare, la censura riferita all'art. 4 - neppure indicato
nell'intestazione del ricorso e nelle conclusioni - sarebbe frutto di
una  mera  illazione,  dato  che  esso  non e' meramente riproduttivo
dell'art. 9,  comma  2,  della  legge  n. 28 del 2000 e, tra l'altro,
stabilisce  che la Rai "cura l'illustrazione dei quesiti referendari"
ossia   deve   assicurare   proprio   quelle   informazioni  ritenute
indispensabili  dai  ricorrenti.  Peraltro,  il  comma  2 dell'art. 4
disciplina  le  modalita' di attuazione dell'informazione, disponendo
che  i  relativi  programmi  devono essere trasmessi alla Commissione
parlamentare ed assicurando il costante contatto tra il Presidente di
quest'ultima  e  l'Ufficio di presidenza della Rai, sicche' e' chiara
la  congruita'  delle  direttive  rispetto  allo  scopo  di garantire
l'adeguatezza   dell'informazione.   Dalla   documentazione  prodotta
risulta  infatti sia che l'informazione della Rai ha avuto ad oggetto
anche  l'illustrazione  dei  quesiti e degli effetti del voto e della
scelta  di astenersi, sia che la Commissione parlamentare ha vigilato
sulla idoneita' degli spot ad informare i cittadini.
    4.2.  - Relativamente alle censure concernenti l'art. 7, comma 2,
la  resistente osserva che esso riguarda i "programmi di informazione
nei  mezzi radiotelevisivi" (art. 5 della legge n. 28 del 2000) e che
la   liberta'   di  informazione  (art. 21  della  Costituzione)  non
permetterebbe   di   predeterminare   rigidamente  il  contenuto  dei
programmi,  avendo  comunque  la  Commissione parlamentare verificato
costantemente  l'attivita'  della  Rai.  Inoltre,  secondo  la difesa
erariale,   dette   argomentazioni   dimostrerebbero  la  correttezza
dell'art. 2,  comma  1,  lettera  c),  anche  perche' "la Commissione
parlamentare  non  poteva  non  ricondurre  i notiziari ed i relativi
approfondimenti    alla   responsabilita'   di   specifiche   testate
giornalistiche registrate".
    Le  censure riferite all'art. 1, comma 2, sarebbero infondate sia
in  quanto  esso riguarda la comunicazione politica, sia in quanto la
documentazione  prodotta  dimostra che lo spazio concesso ai soggetti
favorevoli  ed  a  quelli  contrari  all'abrogazione  non ha esaurito
l'informazione  in  materia  referendaria. L'art. 2, comma 1, lettera
d),  non  contrasterebbe  con  l'auspicio  contenuto nella lettera o)
della   premessa,   poiche'  l'art. 4,  comma  2,  a  sua  volta,  ha
espressamente   stabilito   l'obbligo   di  realizzare  programmi  di
informazione  con  caratteristiche  di  spot  autonomo. Il calendario
delle  tribune  referendarie approvato dalla Rai non conforterebbe le
censure,  tenuto  conto che esso riguarda la comunicazione politica e
che  l'inadeguatezza  dell'informazione realizzata nelle fasce orarie
da   esso   previste   costituisce  una  affermazione  apodittica  ed
indimostrata. Siffatte argomentazioni, conclude infine la Commissione
parlamentare,   dimostrerebbero   altresi'   che   la   questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 5,  commi  1 e 9, della legge
n. 28  del  2000,  sollevata  in  via subordinata, e' inammissibile e
comunque infondata.

    5. - I   ricorrenti,  nella  memoria  depositata  in  prossimita'
dell'udienza pubblica, insistono per l'accoglimento delle conclusioni
rassegnate  nell'atto introduttivo, sostenendo preliminarmente che lo
svolgimento dei referendum non escluderebbe l'interesse a ricorrere.
    A   loro   avviso,   sarebbe  inoltre  infondata  l'eccezione  di
inammissibilita'  del conflitto sotto il profilo oggettivo, dato che,
secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,  il  comitato  promotore
sarebbe legittimato ad agire a tutela della corretta formazione della
volonta'  dei  cittadini,  che  costituirebbe un "interesse obiettivo
dell'ordinamento tutelato implicitamente dall'art. 75 Cost.".
    I   ricorrenti   sostengono,   quindi,   che   la  "comunicazione
istituzionale"  costituirebbe  proiezione  degli  artt. 3  e 97 della
Costituzione  e  sarebbe  preordinata  a  prevenire il rischio di una
distorsione  della  relativa consultazione ed a realizzare la parita'
delle  chances  tra  i  partecipanti  alla  competizione  elettorale.
Peraltro,  l'espletamento  di  un'attivita' di informazione neutrale,
obiettiva   ed  imparziale  sarebbe  costituzionalmente  obbligatoria
(artt. 1,  3,  comma  secondo,  21, 48 e 75 della Costituzione) e non
potrebbe  essere  lasciata  al  comitato  promotore,  il quale non e'
organo   dello   Stato-persona   e  non  puo'  sostituirsi  a  questo
nell'espletamento  del  compito  di  assicurare il corretto esercizio
della sovranita' popolare nella forma del referendum abrogativo.
    A  loro  avviso,  siffatti  principi  costituirebbero  il  nucleo
costituzionale irrinunciabile di un obbligo positivo di fare a carico
delle   amministrazioni   pubbliche,   in  particolare  del  servizio
radiotelevisivo,  che  "lascia  ampio  spazio  alla  discrezionalita'
legislativa  in  materia"  potendo  tradursi in modalita' informative
anche  molto  diverse  tra  loro, la cui scelta e' rimessa appunto al
legislatore,   e  che  pero'  non  puo'  essere  leso  da  "decisioni
legislative  insufficienti"  o  da  un'insufficiente attuazione della
legge,  mentre  l'identificazione  in dettaglio del contenuto e delle
modalita' dell'informazione non puo' essere attribuita ad occasionali
contatti tra la Presidenza della Commissione parlamentare e la Rai.

    6. - La  Commissione  parlamentare,  nella  memoria depositata in
prossimita'    dell'udienza    pubblica,   insiste   nel   contestare
l'ammissibilita' del conflitto sotto il profilo oggettivo, sostenendo
che  i  ricorrenti si dolgono di comportamenti che non incidono sulle
attribuzioni costituzionalmente garantite del comitato promotore.
    Nel  merito, ad avviso dell'Avvocatura, il ricorso sarebbe basato
su  premesse,  "per  molti  versi,  contraddittorie  con le censure".
Infatti,  i  ricorrenti,  nonostante abbiano precisato che le censure
riguardano  le  modalita'  di  esercizio dei poteri della Commissione
parlamentare  in  materia di "comunicazione istituzionale", formulano
doglianze  concernenti  il  contenuto e le fasce orarie delle tribune
referendarie  della  Rai, ossia relative a trasmissioni riconducibili
alla  "comunicazione  politica". Secondo la Commissione parlamentare,
il  contenuto  e  l'orario di svolgimento delle tribune referendarie,
poiche'  hanno  lo  scopo  di  permettere  di illustrare le ragioni a
favore o contro il quesito, non potrebbero affatto essere confuse con
l'informazione  obiettiva  e  neutrale  sul significato oggettivo del
voto.
    L'eccezione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata in linea
gradata,  conclude  infine  la  difesa erariale, e' inammissibile, in
quanto,  secondo  la  giurisprudenza  costituzionale, la pronunzia di
sentenze  cosiddette additive di principio e' essenzialmente limitata
ai  casi  nei  quali  l'incostituzionalita' di una norma deriva dalla
violazione del principio di eguaglianza ed e' altresi' identificabile
nell'ordinamento  una  disposizione  dalla  quale  e'  ricavabile  la
disciplina  idonea  a  riempire  il vuoto normativo determinato dalla
sentenza,  ovvero  che  permette  di offrire al legislatore opportune
indicazioni per rimediarvi. La generica formulazione della questione,
in   quanto   caratterizzata   dalla  mancata  indicazione  di  detti
parametri, sarebbe quindi inammissibile e comunque infondata.

    7. - All'udienza   pubblica   le   parti   hanno   insistito  per
l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

                       Considerato in diritto


    1. - Il  conflitto  di  attribuzione  tra poteri proposto, con il
ricorso  in  epigrafe,  dai  promotori  e presentatori dei referendum
abrogativi   del  21 maggio  2000  nei  confronti  della  Commissione
parlamentare  per  l'indirizzo  generale  e  la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi,  ha  ad  oggetto  gli  artt. 1, comma 2, 2, comma 1,
lettere  c)  e  d), 7, comma 2, della deliberazione del 29 marzo 2000
recante "comunicazione politica, messaggi autogestiti, informazione e
tribune  della  concessionaria  del servizio radiotelevisivo pubblico
per  la  campagna referendaria 2000" in riferimento all'art. 75 della
Costituzione.
    Secondo  i  ricorrenti, la deliberazione predetta, dato che nelle
parti  impugnate  "non  contiene la effettiva attuazione dei principi
previsti  nella  legge"  n. 28  del 2000, "determina restrizioni allo
svolgimento  della  campagna  referendaria  tali  da  incidere  sulla
formazione  della  volonta'  di coloro che esprimono il loro voto nel
referendum" e conseguentemente nella sfera di attribuzioni garantita,
ai  sensi  dell'art. 75  della Costituzione, al Comitato promotore. A
loro  avviso,  infatti,  sarebbe  configurabile  il "cattivo uso" dei
poteri  spettanti  alla  Commissione  parlamentare  per la disciplina
della  c.d.  "comunicazione  istituzionale",  prevista in particolare
dall'art. 9   della   legge   n. 28   e   connotata   da  profili  di
obbligatorieta' costituzionale, in riferimento agli artt. 1, 3, comma
secondo,  48  e  75  della  Costituzione,  in  quanto  finalizzata ad
assicurare,    nelle    campagne    referendarie,    l'esistenza   di
un'informazione  neutrale  ed  obiettiva  e  con  modalita'  tali  da
garantire   la   formazione   della  libera  e  consapevole  volonta'
dell'elettore.
    In via gradata i ricorrenti chiedono che la Corte costituzionale,
qualora  ritenga  che  le  direttive  impugnate abbiano correttamente
applicato  la  legge  n. 28  del 2000, sollevi innanzi a se' medesima
questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 1, e 9
della  citata  legge  n. 28,  in  riferimento  agli  artt. 1, 3 comma
secondo, 21, 48 e 75 della Costituzione "in quanto non contengono una
disciplina  sufficiente ad assicurare l'esistenza, costituzionalmente
necessaria, di una reale ed efficace comunicazione istituzionale".

    2. - Preliminarmente  va  confermata  la ammissibilita', ai sensi
dell'art. 37  della  legge  11 marzo  1953,  n. 87,  del conflitto di
attribuzione in esame, gia' ritenuta, in via di sommaria delibazione,
nell'ordinanza n. 137 del 2000.
    Sussistono  invero,  alla  stregua  della costante giurisprudenza
della  Corte, i requisiti soggettivi del conflitto d'attribuzione tra
poteri,  giacche'  e'  pacifica  sia  la legittimazione dei promotori
della  richiesta  di  referendum  abrogativo, competenti a dichiarare
definitivamente,   nell'ambito   della   procedura  referendaria,  la
volonta'  della  frazione del corpo elettorale titolare del potere di
iniziativa   previsto   dall'art. 75   della   Costituzione,  sia  la
legittimazione   della   Commissione   parlamentare  per  l'indirizzo
generale  e  la  vigilanza  dei servizi radiotelevisivi, competente a
dichiarare   definitivamente,   nell'ambito   della  materia  di  sua
spettanza,  la  volonta' delle due Camere (ex plurimis sentenza n. 49
del 1998).
    Sussiste   anche   il   requisito   oggettivo  del  conflitto  di
attribuzione  tra  poteri,  poiche'  non  e'  accoglibile l'eccezione
dell'Avvocatura  dello Stato, secondo cui gli atti ed i comportamenti
dei quali i ricorrenti si dolgono "non incidono sulle attribuzioni di
rilievo costituzionale spettanti ai promotori nello svolgimento della
campagna   referendaria,  in  tale  ambito  non  rientrando  la  c.d.
"comunicazione  istituzionale"".  Va invece osservato che, secondo la
prospettazione  del  ricorso,  gli  atti ed i comportamenti impugnati
possono configurare una ipotesi di "cattivo uso" dei poteri spettanti
alla   Commissione  parlamentare  per  l'indirizzo  e  la  vigilanza;
"cattivo  uso"  che  appare  astrattamente  suscettibile di influire,
nell'ambito  della campagna elettorale referendaria, sulla formazione
della  volonta'  degli  elettori,  cosi'  da ridondare in una lesione
della sfera di attribuzione dei ricorrenti (sentenza n.161 del 1995).
    Non  si puo' infine ritenere che sia venuto meno, a seguito dello
svolgimento   delle   procedure   referendarie   e  del  loro  esito,
l'interesse  dei ricorrenti ad ottenere una decisione di merito sulla
spettanza   delle   attribuzioni   costituzionali  in  contestazione,
giacche'  non  sono  state  prospettate  argomentazioni  che  possano
indurre un mutamento dell'orientamento favorevole fino ad ora seguito
sul punto dalla Corte (cfr. sentenze n. 49 del 1998).

    3. - Nel merito, il ricorso e' infondato.
    I  ricorrenti  censurano,  con  riferimento  alle parti impugnate
della  deliberazione  del  29 marzo 2000, il "cattivo uso" dei poteri
spettanti   alla   Commissione  parlamentare  per  l'indirizzo  e  la
vigilanza,  in quanto essa non avrebbe adeguatamente attuato la legge
n. 28    del    2000,   che,   secondo   la   loro   interpretazione,
disciplinerebbe, accanto alla c.d. "comunicazione politica", cioe' la
diffusione di "programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche"
(art. 2, comma 2), anche la c.d. "comunicazione istituzionale", cioe'
l'informazione  "imparziale, neutra ed obiettiva circa il significato
e  la  portata dei quesiti referendari". In particolare, i ricorrenti
sostengono  che la formazione della libera e consapevole volonta' del
cittadino    impone   alle   amministrazioni   pubbliche   l'obbligo,
costituzionalmente  rilevante, di fornire, nell'ambito della campagna
referendaria,  una  informazione  "neutrale, obiettiva ed imparziale"
sui  contenuti  dei quesiti e sul significato del "si" e del "no", in
considerazione  del  tecnicismo delle materie, della complessita' dei
quesiti ed anche al fine di consentire che l'eventuale astensione dal
voto  sia  frutto  di  una scelta consapevole e ragionata. Gli stessi
ricorrenti ammettono pero' che tale obbligo informativo "lascia ampio
spazio   alla   discrezionalita'  legislativa  in  materia",  potendo
esplicarsi secondo modalita' anche molto diverse tra loro.
    In questa prospettiva, premesso che la Corte costituzionale ha da
tempo  affermato  che  "il diritto all'informazione" va determinato e
qualificato  in riferimento ai principi fondanti della forma di Stato
delineata   dalla  Costituzione,  i  quali  esigono  che  "la  nostra
democrazia  sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado
di   svilupparsi   attraverso  la  pari  concorrenza  di  tutti  alla
formazione  della  volonta'  generale" (sentenza n. 112 del 1993), va
sottolineata,   in   relazione  alla  necessaria  democraticita'  del
processo  politico  referendario,  l'esigenza  che  "sia  offerta dal
servizio  pubblico  radiotelevisivo  la  possibilita'  che i soggetti
interessati  (...)  partecipino  alla informazione ed alla formazione
dell'opinione  pubblica"  in  modi  e forme idonei e congrui rispetto
alla  finalita'  da perseguire (sentenza n. 49 del 1998). Al riguardo
deve  essere  tenuto  altresi' presente "l'imperativo costituzionale"
secondo cui il diritto all'informazione, garantito dall'art. 21 della
Costituzione,  e'  qualificato  e  caratterizzato, innanzi tutto, dal
pluralismo  delle fonti cui attingere conoscenze e notizie, cosicche'
il  cittadino  possa  essere  messo  in condizione di compiere le sue
valutazioni  avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti
culturali e politici contrastanti (cfr. sentenza n. 112 del 1993).
    In  questa  ottica,  proprio  per  evitare che da un'informazione
unilaterale   possano  derivare  effetti  distorsivi  sulla  pubblica
opinione,  tali  da  ledere il fondamentale principio di garantire il
"voto  libero"  nelle  competizioni  elettorali,  non  appare affatto
irragionevole  la  scelta  che  l'informazione  sul merito, cioe' sul
significato  e  la  portata  dei  quesiti referendari - e non su dati
meramente  estrinseci:  denominazione  del  referendum e modalita' di
voto  -  si svolga attraverso la partecipazione dialettica di tutti i
soggetti interessati, anziche' essere affidata ad un'unica fonte, per
quanto  impersonale,  obiettiva  e neutrale possa essere. Ed infatti,
sebbene   i  ricorrenti  sottolineino  l'importanza  concettuale  del
mutamento  dell'espressione "propaganda istituzionale", propria della
previgente    legislazione,    con    l'espressione    "comunicazione
istituzionale",  usata  dalla  legge  n. 28,  rimane tuttavia alto il
rischio  che,  nella  prassi operativa, la distinzione tra queste due
tipologie  informative  possa  finire  con  il perdersi. Ed in questo
senso  e' significativo che il comma 2 dell'art. 9 della citata legge
n. 28  del  2000  assegni  alle emittenti radiotelevisive pubbliche e
private  il  compito  di  informare direttamente i cittadini soltanto
sulle  modalita'  di voto e sugli orari dei seggi elettorali, proprio
per evitare, stabilendo tale contenuto minimo di comunicazione, forme
improprie  di  svolgimento  di  attivita' propagandistica, tanto piu'
grave in considerazione dell'incidenza sul momento elettorale.
    D'altronde,   proprio   la   rilevata  complessita'  dei  quesiti
elettorali  induce  a  ritenere  che  ragionevolmente  non  sia stato
affidato  -  come invece vorrebbero i ricorrenti - alla comunicazione
"istituzionale"   delle   amministrazioni  pubbliche  il  compito  di
chiarire  "il  significato  e la portata dei quesiti referendari". La
tecnicita'  dei  quesiti stessi e l'individuazione precisa della c.d.
normativa  di  risulta possono infatti porre questioni interpretative
cosi'  complesse  e  controverse,  che appare incongruo pretendere al
riguardo  da soggetti "istituzionali" una comunicazione imparziale ed
esauriente  su questi delicatissimi profili di merito, i quali invece
possono  essere piu' adeguatamente chiariti e approfonditi attraverso
una  informazione equilibrata che si sviluppi nel contraddittorio tra
i  diversi  soggetti  interessati,  secondo modalita' rimesse appunto
alla  discrezionalita'  del  legislatore.  Il  valore  del pluralismo
dell'informazione,  sotto  il  profilo passivo oltre che attivo, deve
infatti  trovare  la  massima  espansione  proprio  nell'ambito delle
competizioni  elettorali,  dominate  dal  principio  della parita' di
opportunita' tra i concorrenti.
    D'altra  parte,  la stessa disposizione invocata dai ricorrenti a
sostegno   della   assoluta   necessita'   della  c.d.  comunicazione
"istituzionale" sul significato e la portata dei quesiti referendari,
e  cioe' l'art. 9 della citata legge n. 28 del 2000, va interpretata,
nel  comma 1, nel senso che il divieto alle amministrazioni pubbliche
di   "svolgere   attivita'  di  comunicazione"  durante  la  campagna
elettorale e' proprio finalizzato ad evitare il rischio che le stesse
possano  fornire,  attraverso  modalita'  e contenuti informativi non
neutrali  sulla portata dei quesiti, una rappresentazione suggestiva,
a fini elettorali, dell'amministrazione e dei suoi organi titolari.

    4. - La  scelta  legislativa  di limitare la diretta informazione
radiotelevisiva  alla  denominazione  dei quesiti e alle modalita' di
voto  e di riservare invece precipuamente al confronto dialettico tra
i   soggetti  interessati  il  chiarimento  e  l'approfondimento  del
significato  e  della  portata dei quesiti referendari non e' dunque,
per   le   considerazioni   proposte,   irragionevole.  Appare  cosi'
destituita  di  fondamento l'interpretazione dei ricorrenti in ordine
alla  qualificazione  della legge n. 28 del 2000 come attuativa di un
principio  in  base  al  quale sarebbe costituzionalmente necessaria,
durante    le    campagne    referendarie,   la   c.d.   informazione
"istituzionale", vertente proprio sul merito, cioe' sul significato e
la portata dei quesiti. Ed appare, di conseguenza, infondata anche la
censura  di  "cattivo  uso"  dei  poteri  spettanti  alla Commissione
parlamentare   per   l'indirizzo   e  la  vigilanza,  per  non  avere
adeguatamente   attuato,   in  relazione  ai  diversi  profili  della
deliberazione impugnata, i principi della medesima legge.
    In  effetti,  la  deliberazione in oggetto e' conforme alla ratio
della  citata  legge  n. 28,  modulando  la disciplina concreta della
comunicazione   radiotelevisiva  nella  campagna  referendaria  2000,
secondo    criteri    rispettosi    del    valore    del   pluralismo
nell'informazione.  In  questo  senso, va respinta la censura che gli
artt. 4, comma 1, e 7, comma 2, della stessa delibera siano meramente
ripetitivi  dell'art. 9 della legge n. 28 e comunque insufficienti in
ordine  all'informazione  che la concessionaria pubblica del servizio
radiotelevisivo   doveva  fornire,  in  particolare,  sulla  facolta'
dell'astensione   dal  voto  e  sulle  relative  conseguenze.  Va  in
proposito ricordato, innanzi tutto, che i predetti articoli prevedono
espressamente,  integrando  cosi' il disposto dell'art. 9, che la Rai
illustri  imparzialmente,  con  diverse tipologie di trasmissione, il
contenuto dei quesiti referendari, oltre ad informare sulle modalita'
di  votazione,  sulla data e sugli orari della consultazione. Risulta
poi  dalla  documentazione  presentata dalla difesa della Commissione
parlamentare non solo che l'identificazione in dettaglio di contenuti
e  modalita'  dell'informazione  avveniva  sotto  la  vigilanza della
Commissione  stessa,  ma anche che vi era una costante sottolineatura
delle  condizioni  necessarie  per  la  validita' delle consultazioni
referendarie.
    Cosi'  pure va respinta la censura, relativa all'art. 1, comma 2,
di  mancata  concessione  di  spazi  radiotelevisivi  ai  sostenitori
dell'astensione, poiche' risulta dalla documentazione prodotta che la
disposizione  in  questione,  la  quale  riguarda espressamente, come
riconoscono  gli  stessi  ricorrenti, la comunicazione "politica", e'
stata  attuata  in  modo  tale  che  lo  spazio  concesso ai soggetti
favorevoli ed a quelli contrari all'abrogazione non esaurisse affatto
tutta l'informazione sui singoli quesiti referendari.
    Sono infondate altresi' le censure, relative all'art. 2, comma 1,
lett.   c)   e   d),  sia  di  carenza  di  criteri  in  ordine  alla
responsabilita'  delle  testate  giornalistiche, sia di insufficiente
programmazione  di trasmissioni di approfondimento e di dibattito, in
quanto   tutte   queste  doglianze  sono  riferibili  all'ambito  dei
"programmi  di  informazione" nei mezzi radiotelevisivi, disciplinati
dall'art. 5,  comma  1, della legge n. 28, che non prevede una rigida
predeterminazione  di  criteri  e  contenuti  informativi, risultando
comunque   dalla   documentazione   presentata  in  giudizio  che  la
Commissione   parlamentare   aveva   stabilito  i  necessari  criteri
procedurali  e  costantemente  verificato che l'attivita' informativa
della   concessionaria   pubblica  si  svolgesse  secondo  canoni  di
comportamento e modalita' operative corrispondenti.

    5. - E' da rilevare infine che, in base alle motivazioni adottate
nella  presente decisione, risultano manifestamente infondati i dubbi
di   legittimita'  costituzionale  prospettati  in  via  gradata  dai
ricorrenti  in  ordine  agli artt. 5, comma 1, e 9 della citata legge
n. 28  del  2000, cosicche' viene meno uno dei presupposti perche' la
Corte  possa  accogliere  la proposta istanza di autoremissione della
relativa questione di costituzionalita'.