IL TRIBUNALE

    Premesso  che  all'udienza  preliminare  dell'8  giugno 2000 ed a
quella  successiva  del 10 ottobre 2000, nel procedimento n. 191/1999
R.G.  N.R.,  gli  imputati Quarto Gioampiero, Dellagaren Carla, Caire
Gaspare  e  Guercio  Lorenzo  hanno  richiesto,  personalmente ovvero
tramite  il  difensore  munito di procura speciale, che il processo a
loro  carico venisse definito nelle forme del giudizio abbreviato, ai
sensi   degli  artt. 438  e  seguenti  del  c.p.p.,  subordinando  la
richiesta  - a norma del comma 5 dell'art. 438 cit. - all'esperimento
degli  interrogatori  degli  imputati  stessi  (escluso  il Caire), a
titolo di integrazione probatoria;
    Considerato  che  il  pubblico  ministero,  si  e'  opposto  alle
richieste  suddette,  assumendo  essere  irrilevanti,  ai  fini della
decisione,  gli  incombenti  istruttori  richiesti,  ed  ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 438 c.p.p., nel
testo  sostituito  dall'art. 27  della legge 16 dicembre 1999 n. 479,
per contrasto con gli artt. 101 e 111 della Costituzione;
    Sentiti,  all'udienza  preliminare  odierna,  i  difensori  degli
imputati  i quali hanno aderito all'eccezione suddetta, limitatamente
ad  una  parte  dei  profili  di  incostituzionalita'  segnalati  dal
pubblico ministero e, segnatamente, a quelli relativi alla violazione
dell'art. 101 Costituzione;
    Ritenuto  che  l'attivita'  di  integrazione probatoria richiesta
dagli  imputati  appare  rilevante  e compatibile col rito abbreviato
(quale  disciplinato  dalla disposizione di cui sopra), sicche' sulla
base della normativa vigente non potrebbe essere esclusa;

                            O s s e r v a

    Le  richieste  formulate dai predetti imputati trovano fondamento
nel  vigente assetto del giudizio abbreviato, dovendosi tenere conto,
al  riguardo,  che  vanno  applicate  in  questa sede le disposizioni
previste  per  l'udienza preliminare, tra le quali e' dunque compresa
quella  dell'art. 421 c.p.p. che consente, in ogni caso, all'imputato
di rendere spontanee dichiarazioni e di chiedere di essere sottoposto
all'interrogatorio. Nel contempo, e' innegabile che la disciplina del
giudizio  abbreviato,  quale  risulta  dal  complesso delle modifiche
introdotte  per  effetto della recente legge 16 dicembre 1999 n. 479,
appare completamente stravolta rispetto a quella originaria, ispirata
come  e'  noto  ad  una  logica  "premiale",  in forza della quale si
riconosceva  all'imputato  una  consistente  riduzione  della pena da
irrogarsi  in  caso  di  condanna, in cambio della accettazione di un
giudizio  allo  stato  degli atti, ossia della rinuncia a "difendersi
provando"   e,  pertanto,  con  evidenti  vantaggi,  per  il  sistema
processuale,  in  termini di snellimento dei tempi. Il che, in fondo,
e'  l'obiettivo  prioritario  per  qualsiasi  legislatore  che voglia
intervenire  in materia di giustizia penale, dal momento che la prima
funzione  del  processo  e' quella di dare una risposta accettabile -
nei tempi e nei contenuti - alla domanda sociale di giustizia.
    Per contro, con l'entrata in vigore della citata legge n. 479 del
1999  sono  state  introdotte  molte  e  significative modifiche alla
disciplina  dell'istituto, al punto da renderne dubbia la complessiva
corrispondenza  ai  principi  costituzionali  stabiliti in materia di
esercizio della giurisdizione e di ordinamento processuale. Infatti:
      e' venuto meno il consenso del pubblico ministero;
      e'  venuto  meno  il  requisito  della definibilita' allo stato
degli  atti,  poiche'  l'adozione  del  giudizio  abbreviato consegue
automaticamente  alla mera richiesta formulata dall'imputato, essendo
tenuto  il  giudice - quando ritenga di non poter decidere allo stato
degli  atti  -  ad assumere anche d'ufficio gli elementi necessari ai
fini della decisione;
      e'  stata  prevista,  infine, la possibilita' per l'imputato di
subordinare la richiesta all'assunzione di nuove prove.
    Cio' premesso, ritiene lo scrivente che l'assetto normativo cosi'
delineato risulti in contrasto con alcuni dei principi costituzionali
in materia.
    La principale norma della Costituzione cui deve farsi riferimento
e'  quella  di  cui  all'art. 111, secondo la quale "ogni processo si
svolge  nel  contraddittorio  tra le parti, in condizioni di parita',
davanti ad un giudice terzo ed imparziale".
    Tale   disposizione   va  indubbiamente  riferita  ad  ogni  fase
processuale,  e  dunque  non  solo  alla  fase  dibattimentale vera e
propria,  posto  che  il legislatore, quando ha inteso restringere la
portata del precetto ad un momento ben circostanziato, quale quello -
disciplinato  dal  quarto  e dal quinto comma dello stesso art. 111 -
della   formazione   della   prova,  lo  ha  fatto  espressamente,  e
considerato   altresi'   che   l'espressione   "processo"   non  puo'
cheindicare,   in   senso   tecnico,  qualsiasi  fase  successiva  al
promovimento dell'azione penale da parte del pubblico ministero.
    Dovendo,  dunque,  trovare  integrale  applicazione  nel giudizio
abbreviato  i  principi  sanciti  dall'art. 111 Cost., si evidenziano
evidenti  profili  di contrasto con tali principi laddove, nonostante
il   principio   per   il   quale  il  processo  deve  svolgersi  nel
contraddittorio  tra  le  parti, la disposizione dell'art. 438 c.p.p.
consente  ad  una  sola parte, e segnatamente all'imputato, di potere
decidere,  inaudita  altera parte, sulle modalita' di definizione del
giudizio   e,   conseguentemente,   sulla   possibilita'   di  fruire
automaticamente dello sconto di un terzo della pena.
    E'  palese,  dunque,  la  discriminazione che una delle parti del
processo,  la  parte  pubblica,  viene  a  subire  per  effetto della
disposizione di cui all'art. 438 c.p.p., attesa l'impossibilita', per
il  pubblico  ministero,  di  contraddire su un piano di parita' alla
richiesta  dell'imputato.  Va  inoltre  sottolineato  come  l'attuale
disciplina  crei  evidenti  disarmonie  nel sistema processuale anche
laddove,  a  fronte  della  perdita,  per  il pubblico ministero, del
diritto  di  contraddire  alla  richiesta  di rito abbreviato, non si
accompagna  neppure  una maggiore estensione del diritto alla prova -
essendo  solamente  consentito  al  pubblico  ministero  di  chiedere
l'ammissione  di  prova  contraria  -  ne',  soprattutto,  una  nuova
disciplina  che  superi  le  attuali  limitazioni  alla  facolta'  di
proporre impugnazioni.
    In  secondo  luogo  la  disposizione  normativa in oggetto appare
altresi'  in  contrasti con l'art. 101, secondo comma, Cost., laddove
la  soggezione  del  giudice alla legge finisce per risolversi in una
soggezione alla mera volonta' di una delle parti del processo: quando
l'imputato  si limiti - come nel caso di specie il Caire - a chiedere
che il processo sia definito allo stato degli atti, il giudice puo' e
deve  valutare  soltanto la tempestivita' e la ammissibilita' formale
della richiesta.
    L'attuale  assetto  normativo,  pertanto,  introduce un singolare
diritto  soggettivo  assoluto  dell'imputato, non solo in ordine alla
scelta del rito ma altresi' al conseguimento automatico di uno sconto
di  pena:  infatti,  la  mancata previsione della possibilita' per il
pubblico  ministero  di  esprimere  il  proprio dissenso e la mancata
previsione  del  potere,  per  il giudice, di respingere la richiesta
medesima  (salvo  il  limitato  caso  di  cui  all'art. 438, comma 5,
c.p.p.),  unitamente  alla  impossibilita', per il giudice stesso, di
sanzionare  in  qualche modo la mancanza dei naturali presupposti del
rito  speciale, trasformano il diritto processuale dell'imputato alla
scelta del rito in un sostanziale diritto al conseguimento automatico
e irragionevole del beneficio della riduzione di pena.
    Tale  automatismo  comporta,  di fatto, che vengano vanificate le
finalita'  di  snellimento  e di accelerazione dei giudizi perseguite
dal  legislatore  attraverso  l'introduzione del giudizio abbreviato,
allorquando si renda necessaria un'integrazione probatoria che, da un
lato,   non  consente  al  giudice  di  respingere  la  richiesta  e,
dall'altro, gli impone di praticare all'imputato quel medesimo sconto
di  pena  originariamente  riconosciuto  solo  a  chi,  attraverso il
ricorso  al giudizio abbreviato, contribuiva alla riduzione dei tempi
(e  dei  costi) del processo. Sotto tale profilo la norma in oggetto,
dunque,   viola   il  principio  di  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione  ed appare, percio', in contrasto anche con l'art. 97
Cost.
    Ne' varrebbe osservare che il giudice deve pur sempre valutare, a
norma  dell'art. 438,  comma  5  c.p.p., se l'integrazione probatoria
richiesta  risulti  necessaria  ai fini della decisione e compatibile
con le finalita' di economia processuale proprie del procedimento. In
realta',  la  mancata  predeterminazione dei criteri in base ai quali
valutare  se  sussista  tale  compatibilita' finisce per rimettere la
relativa  decisione al mero arbitrio del giudice, risolvendosi in tal
modo  in  una  ulteriore  lesione  dei principi costituzionali di cui
all'art. 101 da un lato, e di cui all'art. 97dall'altro.
    Alla  luce  delle  considerazioni  che  precedono  le prospettate
questioni  di legittimita' costituzionale appaiono non manifestamente
infondate  e  la  loro  definizione  risulta  rilevante  rispetto  al
giudizio  in  corso il quale, per effetto delle richieste di giudizio
abbreviato  formulate dagli imputati dovrebbe appunto essere definito
mediante  l'applicazione  della  disposizione  censurata:  sicche' il
giudizio  va  sospeso  con  conseguente  trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale.