IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa iscritta al
n. 1084/1998  r.g.a.c., riservata in decisione all'udienza in data 18
aprile  2001,  tra  Gugliotti  Antonio,  elettivamente domiciliato in
Benevento  presso  lo  studio  dell'avv.  Raffaele Lamparelli, che lo
rappresenta  e  difende giusta procura in calce alla copia notificata
del  decreto ingiuntivo, opponente, e il Molisannio Mutua cooperativa
a   r.l.,   in   persona   del  legale  rappresentante  pro  tempore,
elettivamente  domiciliata  in  Benevento  presso lo studio dell'avv.
Leonardo  Paoletti,  che  la  rappresenta  e difende giusta procura a
margine del ricorso per decreto ingiuntivo, opposta.

                      Svolgimento del processo

    Con  atto  di  citazione  del  30  giugno  1998 Gugliotti Antonio
proponeva  opposizione  al  decreto  ingiuntivo n. 298/1998 emesso in
data  29  aprile  1998  dal pretore di Benevento, con la quale veniva
ingiunto  all'opponente di pagare in favore della Molisannio Mutua la
somma  di L. 9.249.424 oltre interessi bancari al soddisfo e spese di
procedura.
    Deduceva  a  motivi,  tra  l'altro,  l'illiceita'  del  tasso  di
interesse  pattuito  e  richiesto dalla banca in base al contratto di
mutuo  chirografaro  a medio termine, stipulato in data 8 aprile 1997
per la somma capitale di L. 7.200.000, da estinguersi in ventiquattro
rate  mensili  di  L.  369.976 ciascuna a far data dall'8 maggio 1997
all'8 aprile 1999, al tasso annuo del 21%.
    Instaurato  il  contraddittorio,  la Molisannio Mutua chiedeva il
rigetto  della  domanda,  affermando, tra l'altro, che gli interessi,
sia  convenzionali  che moratori, erano legittimi ed adeguati al tipo
di finanziamento concesso a suo tempo al Gugliotti Antonio.
    Rigettata  la  richiesta  di  provvisoria  esecuzione del decreto
ingiuntivo,  istituito  il  giudice unico di primo grado e passata la
causa  a  trattazione  del  tribunale  ordinario  di  Benevento, alle
udienze   del   7   febbraio   2001   e   18 aprile  2001  la  difesa
dell'opponente,    alla    luce   dei   piu'   recenti   orientamenti
giurisprudenziali  e  segnatamente  della  sentenza  della  Corte  di
cassazione I sezione civile n. 14899 del 17 novembre 2000, in tema di
interessi   bancari   usurari,   chiedeva,  con  l'opposizione  della
Molisannio Mutua, la nomina di un consulente tecnico contabile per il
calcolo degli interessi effettivamente dovuti.
    Il   giudice,  sulle  richieste  delle  parti,  si  riservava  la
decisione.

                             Motivazione

    Il  tribunale  ritiene sussistenti i presupposti per sollevare di
ufficio  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 1 della
legge  28  febbraio 2001, n. 24, di conversione dell'art. 1, comma 1,
del  decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394, recante "Interpretazione
autentica  della  legge  7  marzo  1996, n. 108" per violazione degli
artt. 3,  24,  35,  41  e  47  della  Costituzione  della  Repubblica
italiana.
    Giova  premettere  che  la  citata  legge  di  conversione  rende
permanente    e    definitiva   la   disposizione   normativa,   solo
provvisoriamente dettata dal predetto decreto-legge, per la quale "Ai
fini  dell'applicazione  dell'art.  664 del codice penale e dell'art.
1815,  secondo  comma,  del  codice  civile, si intendono usurari gli
interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in
cui  essi  sono  promessi  o  comunque convenuti, a qualunque titolo,
indipendentemente dal momento del loro pagamento".
    Pertanto, la legge di conversione, perpetuando gli eventuali vizi
di  costituzionalita'  della  disposizione,  puo'  essere  oggetto di
giudizio  di legittimita' costituzionale anche quando si sia limitata
a  convertire  in legge la disposizione del decreto-legge sospetta di
incostituzionalita'.
    Nel presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale
dell'impugnata normativa e' rilevante in quanto dalla decisione della
stessa  dipende il contenuto della pronuncia che questo giudicante si
e'  riservato di emettere sulle richieste della difesa dell'opponente
e piu' in generale sull'istruzione e decisione finale della causa.
    Infatti,  se  non  fosse  intervenuta  l'impugnata  disposizione,
condividendo e facendo propri questo giudicante i principi di diritto
sanciti   dalla   Corte   di   cassazione  con  la  recente  sentenza
n. 14899/2000,  il tasso degli interessi bancari indicati nel ricorso
e  pedissequo decreto ingiuntivo troverebbe la sua fonte contrattuale
in  una  clausola  nulla  ex  artt.  1418, primo comma, 1419, secondo
comma, e 1815, secondo comma, del codice civile in relazione a quanto
previsto dagli artt. 1, 2 e 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108.
    Tale  legge  n. 108/1996,  risultata  assai  efficace nella lotta
all'usura  in  tutte  le sue forme, ha riscritto il reato di usura di
cui  all'art.  644  c.p.,  prevedendo  che  gli interessi sono sempre
usurari  se  superano di oltre il 50% quelli trimestralmente rilevati
dal Ministero del tesoro.
    Orbene, vuoi considerando l'odierno tasso effettivo globale medio
del   10,96,   vuoi   considerando  quello  ancor  piu'  basso  delle
rilevazioni precedenti, sempre in relazione a finanziamenti bancari a
medio   termine,   ne   deriva   il   carattere  usurario  del  tasso
convenzionale  del  21%  pattuito dalle parti in causa all'art. 2 del
contratto  di  prestito  e  richiesto  ed ottenuto dalla banca con il
decreto   ingiuntivo,   con  la  maggiorazione  ulteriore  del  tasso
moratorio del 2%.
    Passando    al    merito    della   questione   di   legittimita'
costituzionale,  l'art.  3  della  Costituzione  e' violato in quanto
l'impugnata norma contaddittoriamente ed irragionevolmente predispone
un   ingiustificato   trattamento   di   favore   per   i   soggetti,
prevalentemente   banche,   che   abbiano  dato  in  prestito  denaro
contrattando  interessi  gia'  in  origine  usurari o al limite della
soglia   dell'usurarieta'   e   quindi  con  prevedibile  usurarieta'
sopravvenuta,  attesa  la  chiara tendenza verso il ribasso del costo
del  denaro,  che  ha  caratterizzato  gli  ultimi  anni  del secondo
millennio.
    L'introduzione  della  denunciata norma comporta l'impossibilita'
per  i mutuatari, sia di quelli che abbiano contrattato prima, sia di
quelli  che  abbiano contrattato dopo l'entrata in vigore della legge
n. 108/1996,  di  avvalersi delle disposizioni introdotte dagli artt.
1,  2  e  4  di  detta  legge  e  quindi della nullita', originaria o
sopravvenuta,  delle  clausole  con  le  quali  sono  stati convenuti
interessi  usurari  e  consequenzialmente  del  disposto  di cui agli
artt. 1339 e 1815, comma 2, del codice civile.
    Viene,   cioe',  cancellata,  la  piu'  efficace  delle  sanzioni
operanti  a livello civilistico, operando un'irragionevole e di fatto
retroattiva  sanatoria  per il pregresso, senza distinzione alcuna in
base  al  tempo di stipula del contratto, al contenuto del contratto,
tra  vizi  genetici  e  vizi  funzionali  dei  rapporti di mutuo, tra
rapporti  esauriti,  rapporti in corso di esecuzione e rapporti per i
quali  pende  giudizio,  tra  interessi  corrispettivi  ed  interessi
moratori,  tra  interessi propriamente detti ed altre voci e clausole
contrattuali pure incidenti nel tempo sul reale costo del denaro dato
in prestito.
    L'impugnata  disposizione, peraltro, restringe irragionevolmente,
andando  ben  oltre le finalita' del provvedimento, anche in campo di
applicazione   del  delitto  di  usura  di  cui  all'art.  644  c.p.,
riformando dalla legge n. 108/1996 nel senso di far rientrare a pieno
titolo  la  riscossione  degli  interessi  tra le condotte penalmente
rilevanti.
    In  tal  modo,  infatti,  non  solo  si  abbandona  il  principio
generale,  introdotto  dalla  legge  n. 108/1996,  secondo  il  quale
l'ottenimento dei corrispettivi che superano la soglia predeterminata
integra sempre reato; ma si priva anche la collettivita' di uno degli
strumenti di lotta alle forme piu' subdole di usura, quella praticata
per   mezzo   di   apparentemente   innocui   congegni  contrattuali,
all'accettazione  dei  quali i contraenti deboli ovvero i consumatori
possono essere agevolmente indotti.
    La  norma impugnata, tra l'altro, operando sugli artt. 644 c.p. e
1815,  comma  2,  c.c.,  introduce  una  sanatoria di ben definiti ed
individuabili rapporti di mutuo usurari, che, di fatto, contrasta con
il   principio   generale,   sebbene  non  di  rango  costituzionale,
dell'irretroattivita'  delle  norme  di  diritto privato sostanziale,
cosi' violando il principio costituzionale di uguaglianza.
    Legalizza,  infatti, interessi che fino al 30 dicembre 2000 erano
per  legge  definiti  usurari  e  che  attengono  a rapporti di mutuo
intrattenuti  prevalentemente  dalle  non numerose banche che operano
sul  territorio nazionale e quindi ben conosciuti o conoscibili dagli
organi, enti e istituti preposti alla vigilanza sul sistema bancario;
sanatoria  tanto  piu'  costituzionalmente  inammissibile se si tiene
presente  che  il  decreto-legge convertito in legge ha il dichiarato
scopo  di  far  fronte  agli  "effetti che la sentenza della Corte di
cassazione  n. 14899/2000  puo' determinare in ordine alla stabilita'
del sistema creditizio nazionale".
    Ne'  la  sostanziale  retroattivita' si spiega per la particolare
natura  della norma, sicuramente innovativa e solo apparentemente "di
interpretazione autentica".
    Un'interpretazione   proveniente   dal   legislatore   si   rende
necessaria  solo  quando si determinano tra gli operatori del diritto
contrasti   in  ordine  al  significato  di  una  legge  o  alle  sue
conseguenze   giuridiche,   cosa   non   verificatasi  per  la  legge
n. 108/1996. Anzi, la soluzione legislativa contrasta apertamente con
l'interpretazione unanimamente data dai tribunali e dalle Corti della
Repubblica.
    D'altra   parte,  con  la  sentenza  n. 14899/2000  la  Corte  di
cassazione  non  ha  fatto  altro  che  applicare  elementari  quanto
indiscutibili  principi  di  diritto,  quali  quelli  in  materia  di
nullita'   per  contarieta'  a  norme  imperative,  di  rilevabilita'
d'ufficio  della  stessa,  di  integrazione  legale degli effetti del
contratto.
    L'irragionevolezza  della  norma  impugnata  appare  inoltre ictu
oculi  evidente  se  si  considera  che, nella controversia in esame,
applicandola,  consentirebbe  ad  un  tribunale  della Repubblica una
pronuncia  di condanna al pagamento in favore della banca d'interessi
al  tasso  del  23%,  pari  al piu' del doppio del tasso che la nuova
legge  impone  per  i  mutui  a  tasso  fisso  in  essere  alla  data
dell'entrata in vigore del convertito decreto-legge e con rate ancora
da scadere.
    Per   gli   stessi   motivi   risulta  violato  l'art.  24  della
Costituzione,  atteso  che tutti coloro, probabilmente non molti, che
hanno avuto la forza, il coraggio e l'intuito giuridico di opporsi in
un  giudizio  contro le banche si vedono lesi nel diritto alla tutela
giurisdizionale  nella  quale  avevano  confidato  in base al diritto
vigente.
    Viene cosi' negata, infatti, la tutela giurisdizionale di diritti
lesi  dalla  reiterazione  di  condotte  tese  a farsi dare interessi
usurari anche dopo l'introduzione, con la legge 7 marzo 1996, n. 108,
di  un  criterio  oggettivo  per l'individuazione del limite oltre il
quale la riscossione degli interessi integra sempre l'usura.
    La  restrizione  del  delitto di usura, peraltro, mal si concilia
con  la  doverosa  tutela  che la Costituzione repubblicana impone ad
altri beni ed interessi di rango costituzionale.
    Si   ritengono,  infatti,  violati  l'art.  35,  comma  1,  della
Costituzione,  che  "tutela  il  lavoro  in  tutte  le  sue  forme ed
applicazioni",  e l'art. 41, comma 2, della Costituzione, secondo cui
l'iniziativa  economica  privata "non puo' svolgersi in contrasto con
l'utilita'  sociale  o  in  modo da recare danno alla sicurezza, alla
liberta'  e  alla  dignita'  umana";  vale a dire proprio quei valori
fondamentali  alla  cui protezione e' doverosamente ispirata la legge
n. 108/1996,  quando  non  consente  che  il  prestito  del denaro si
trasformi,    attraverso   la   riscossione   di   un   corrispettivo
sproporzionato  al valore del bene dato in godimento, in un'attivita'
economica parassitaria e dannosa, oltre che per il singolo, anche per
lo stesso sistema economico nazionale.
    Riconoscere  al  prestito del denaro una redditivita' eccessiva e
spropositata  rispetto  alla  media  stabilita  dal  libero  mercato,
significa non solo aprire la strada al condizionamento della liberta'
e dignita' di colui che deve ricorrere al prestito per le esigenze di
vita  o  di  lavoro,  ma  significa  anche  mortificare  il  lavoro e
l'iniziativa economica privata, finalizzati alla produzione di beni e
servizi  primari,  a  vantaggio  di  coloro  che,  contando su grosse
disponibilita'  di  denaro,  speculano  smisuratamente sul bisogno di
credito della gente e delle imprese.
    L'art.  47  della Costituzione e' violato perche' con l'impugnata
norma,  con  un deciso mutamento di rotta rispetto alle vigenti leggi
anti  usura  e a tutela del consumatore licenziate dalle Camere negli
ultimi  anni,  non  si  protegge  il  piccolo  risparmiatore  ne'  si
incoraggia  l'accesso  al  credito e alla proprieta' dell'abitazione,
alla  quale  notoriamente  i piu' possono giungere solo contraendo un
mutuo;  viceversa  si  premia  la  condotta di quelle banche che, con
l'entrata  in vigore della legge n. 108/1996, a differenza degli enti
creditizi rispettosi della nuova normativa, i quali hanno rinegoziato
a  tassi  di interessi piu' bassi i vecchi mutui, hanno invece voluto
ignorare,   al  momento  della  stipula  dei  contratti  di  mutuo  e
nell'esecuzione  degli  stessi, la possibile e prevedibile evoluzione
in senso usurario degli effetti delle convenzioni sugli interessi.
    Con  l'impugnata  disposizione,  dunque,  non  si  rende merito a
quelle  banche  che  hanno  osservato  la  legge,  ma  si ratifica la
situazione  di  fatto  voluta da chi ha violato la legge, ratificando
per il pregresso quei mutui che fino al 30 dicembre 2000 erano, anche
per  il  comune  sentire  della  collettivita',  a  tutti gli effetti
usurari.
    Tanto  piu' se si considera che: 1) negli anni precedenti al 1996
le  banche  hanno  tratto  notevoli vantaggi dai c.d. mutui a medio e
lungo termine a tasso fisso stipulati quando, con la crisi degli anni
settanta,  il  costo  del  denaro era massimo per poi calare ai tassi
fisiologici degli anni novanta; 2) le banche hanno ed avevano tutti i
mezzi  e  le professionalita' per prevedere, unitamente alla dinamica
per nulla eccezionale del costo del denaro, la suddetta evoluzione in
senso  usurario  degli  interessi  convenzionali;  tanto  piu' quando
quest'ultimi,  nonostante  la  legge n. 108/1996 e l'iniziale discesa
del  costo  del  denaro,  continuavano  a rasentare la soglia d'usura
prevista  per  legge;  3)  le  stesse banche, anche dopo l'entrata in
vigore della legge n. 108/1996 e il superamento della soglia d'usura,
ben  potevano  rinegoziare  i  contratti  di  mutuo  e riportarne gli
effetti  nei  limite  di  legge,  consentendolo gli enormi margini di
guadagno  derivanti  dal diminuito costo del denaro, di cui le banche
sempre si giovano (anche estinguendo anticipatamente o rinegoziando i
mutui  passivi  da  esse  eventualmente contratti a loro volta con la
Banca  d'Italia);  4)  la  forza  economica  e la sopravvivenza delle
banche  italiane,  nonostante  il grido di dolore ed il catastrofismo
dei  banchieri,  di  certo non puo' dirsi pregiudicata dall'eventuale
obbligo  di  restituzione  di  cio'  che  malamente e' stato tolto in
dispregio  della  normativa  sulla  quale  e' intervenuta l'impugnata
norma.