IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento  penale  a  carico  di  Modugno Mauro e Straneo
Giuseppe,  meglio  generalizzati  in  atti,  imputati  dei  reati  di
"peculato militare continuato in concorso" e "truffa militare a danno
dell'amministrazione  militare  in  concorso" in pubblica udienza, ha
pronunciato  la  seguente  ordinanza  sulla questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 43 c.p.p. sollevata dalla difesa costituita
all'udienza del 21 marzo 2001.

                            O s s e r v a

    Nel  presente procedimento la difesa dell'imputato Mauro Modugno,
solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 43 c.p.p.,
nella  parte  in  cui ammette, in via interpretativa, la sostituzione
del  magistrato  astenutosi  o  ricusato con altro magistrato esterno
designato  e  applicato  per  un  unico  specifico  procedimento  per
contrasto con l'art. 25 Cost.
    La procura militare della Repubblica di Torino si e' associata, a
tale richiesta.
    Il   tribunale  ritenendo  le  motivazioni  esposte  dalle  parti
rilevanti  e  non manifestamente infondate, per le argomentazioni che
ora  si  esporranno,  ha  pero'  ampliato  d'ufficio  i  parametri di
costituzionalita'    cui    sottoporre    la    norma   in   oggetto,
ricomprendendovi anche gli artt. 101/108 Cost.
    Occorre  premettere  che  la  questione  riguarda l'art. 43 primo
comma, nella sua costante interpretazione fornita dalla suprema Corte
di  Cassazione.  Tale  disposizione,  infatti, impone testualmente la
sostituzione  del  giudice  astenuto o ricusato con "altro magistrato
dello  stesso  ufficio  designato  secondo  le  norme  di ordinamento
giudiziario".  Soltanto  nella  ipotesi in cui detta sostituzione non
sia  possibile  il  tribunale  "rimette  il  procedimento  al giudice
ugualmente competente per materia determinato a norma dell'art. 11".
    La  suprema  Corte  ha  chiaramente  e ripetutamente affermato il
principio  per  cui  la  rimessione del processo ad altro giudice, ai
sensi  degli art. 43 comma 2 e 11 c.p.p., puo' essere consentita solo
dopo  l'espletamento  degli istituti di ordinamento giudiziario della
supplenza  e  dell'applicazione.  Solo  dopo  il  compimento  di tale
procedura  e' legittimo procedere al trasferimento della competenza e
allorquando  siano  astenuti o ricusati tanti magistrati dello stesso
ufficio   da   rendere   impossibile  la  composizione  del  Collegio
giudicante  (Cass.  6 maggio 1993; 18 ottobre 1993, 6 ottobre 1994 in
Giust. 1995, n. 700; 14 febbraio 1997).
    Questa  tesi,  condivisa  anche  da questo giudice remittente, e'
stata  ulteriormente confermata dalla sentenza 20 aprile 1999 n. 3106
emessa  nel  procedimento Mancini, per cui e' stata sollevata analoga
questione di legittimita' costituzionale.
    La   difesa   sostiene   che   questa  interpretazione,  ribadita
costantemente  dal giudice di legittimita', e, pertanto, assurta alla
dignita'  di  diritto  vivente  come tale sindacabile dall'Alta Corte
sotto   il   profilo   dell'eventuale   contrasto   con   i  principi
costituzionali   (Corte   cost.   nn. 58/1995;   110/1995;  345/1995;
350/1995,  le quali hanno recepito le acute osservazioni formulate da
G.  Zagrebelsky,  La  dottrina italiana e il diritto vivente in Gius.
Cost. 1986,   1148,   e,   piu'  recentemente,  nella  voce  Processo
costituzionale"  in  Enc.  Diritto,  Milano  vol. XXXVI,  1987, 646),
contrasti con l'art. 25 Cost., in quanto consente la costituzione del
collegio   con   un  giudice  estraneo  all'ufficio  territorialmente
competente, successivamente al momento della fissazione delle udienze
dibattimentali  postcostituendo,  in  questo  modo,  un  collegio non
radicato  naturalmente  in  quella circoscrizione, per un determinato
apposito  procedimento.  Questa  situazione  crea  un  insanabile  ed
evidente  contrasto  con  l'art. 25  della  Costituzione  che  invece
prevede  espressamente  come  l'imputato debba essere giudicato da un
giudice   "precostituito",   e   cioe'   costituito  o  costituibile,
anteriormente    al    momento   della   fissazione   delle   udienze
dibattimentali.
    E'  opportuno  chiarire  come  non  si voglia demandate alla Alta
Corte una questione di interpretazione della norma censurata, compito
che  esula  da  quelli attribuiti dalla Costituzione al giudice delle
leggi, ma soltanto sottoporre l'indirizzo costantemente reiterato dal
giudice  di  legittimita',  cui  questo  giudice  di  merito  intende
normofilatticamente   attenervi   e   aderirvi,  a  un  controllo  di
compatibilita'  con  i  principi  costituzionali ritenuto ammissibile
piu'  volte  dalla  Corte costituzionale (per la legittimita' di tale
controllo, Corte costituzionale nn. 456/1989; 24/1978; 43/1988).
    La  difesa  sostiene  che  l'art. 43  c.p.p.,  prevedendo la sola
sostituzione    con   altro   magistrato   "dello   stesso   ufficio"
consentirebbe  la sola supplenza interna e non la supplenza esterna o
la  applicazione.  Questa interpretazione sarebbe resa necessaria dal
principio  generale  del giudice naturale precostituito per legge, da
doversi interpretare come riferito non al medesimo organo giudiziario
considerato  in  astratto,  bensi' alla sua concreta composizione con
specifico  riferimento  alle  persone  fisiche  come acutamente aveva
evidenziato  G.  Foschini  nella sua celebre nota Giudici in nome del
popolo  non  gia'  commissari  del  Capo  della  corte  (in cui aveva
sostenuto,  con una frase divenuta celeberrima, come "impedire che un
dato  processo possa essere giudicato dal tribunale di Catania invece
che  da  quello di Ragusa non vale niente se non resta impedito anche
che  si  costituisca  il  tribunale  di  Ragusa  applicando ad esso i
giudici del Tribunale di Catania").
    Tale affermazione, invero, non e' pienamente condivisibile.
    Come  ha  sottolineato  piu'  volte  in  passato  la stessa Corte
costituzionale    (Corte    costituzionale   nn. 88/1962;   156/1963;
143-144/1973)  l'art. 25  Cost.,  prevedendo  la  precostituzione del
giudice  deve  garantire  solo  il  fatto  che "la costituzione degli
organi  giudiziari  non  abbia  luogo  ad  opera  degli uffici a cio'
preposti   in  vista  del  singolo  processo"  (Corte  costituzionale
n. 156/1963).
    E'   pertanto   legittima   e  compatibile  con  l'art. 25  della
Costituzione  l'applicazione,  di  un  magistrato designato in base a
criteri  predeterminati, disposta per sopperire a esigenze di ufficio
che  richiedano  un  impegno  di  lavoro  continuativo  per una serie
indefinita  di  processi,  comportante  una stabilita' del magistrato
applicato  nell'ufficio  di destinazione per un tempo consistente con
conseguente inserimento dello stesso nei vari turni di udienza.
    Allo  stesso  modo non puo', invece, essere considerata legittima
una applicazione, o una supplenza esterna, disposta discrezionalmente
dal    Presidente   della   Corte   Militare   d'Appello,   destinata
specificatamente  per  un unico determinato procedimento in quanto si
viene  a  costituire  concretamente  il  giudice  per  un determinato
procedimento,  e quindi, posteriormente alla fissazione del processo,
in contrasto con l'art. 25 Cost.
    Occorre  rilevare,  come,  per  lungo tempo, la supplenza esterna
nell'ordinamento   giudiziario   militare,  a  differenza  di  quello
ordinario,  sia stata disposta discrezionalmente dal Presidente della
corte militare di Appello tra tutti i magistrati militari presenti in
organico e liberi da turni di udienza.
    Tale  sistema, recentemente censurato dalla stessa Alta Corte con
la sentenza interpretativa n. 223/1999 su questione sollevata proprio
da  questo  tribunale  militare,  pur essendo stato indotto dai gravi
problemi di organico congeniti alla giustizia militare (si e' anivati
ad  avere,  a  un  certo punto, solo venticinque magistrati assegnati
alle  funzioni  giurisdizionali in tutta Italia!), ha pregiudicato la
garanzia costituzionale del giudice naturale precostituito per legge,
consistente  in  ultima  analisi,  nel diritto del cittadino a essere
giudicato   da  un  organo  giudiziario  territorialmente  competente
secondo  le norme di procedura, e composto da persone appartenenti al
proprio  ufficio  di  competenza,  e  non  a  un ufficio diverso, per
consentirgli di conoscere preventivamente "chi" sara' il suo giudice.
    L'illegittimita'   costituzionale   di   tale  prassi  operativa,
costante  nell'ordinamento  giudiziario militare, e' stata rilevata e
sottolineata  dallo  stesso  Consiglio della Magistratura Militare il
quale  nella  delibera  13  gennaio  1999,  ha  affermato  la propria
sopravvenuta  indisponibilita'  a ratificare, in sede di controllo di
legittimita',  le applicazioni "quotidiane" affermando la necessita',
invece,  di  adottare provvedimenti di applicazione "in via generale,
prima   che  si  crei  l'esigenza  per  il  singolo  processo,  senza
riferimento  seppure  indiretto  a  processi  gia' individuati ... in
maniera tale da predeterminare nel tempo, in sede di approvazione del
calendario  delle  udienze  o di modifica del medesimo, la formazione
dei  singoli  collegi  ed i criteri di assegnazione ai medesimi degli
affari   e   cio'   per   una   completa   attuazione  del  principio
costituzionale dei giudice naturale".
    Nel caso in questione, il fascicolo doveva necessariamente essere
trasmesso al tribunale militare di La Spezia.
    La  soluzione interpretativa opposta, e cioe' quella di designare
in    supplenza   esterna   un   magistrato   estraneo   all'ufficio,
specificatamente  per questo procedimento, sembra porsi in insanabile
contrasto  con  la  garanzia costituzionale della precostituzione del
giudice.
    Ci  si  permette  di ricordare come, nel procedimento che indusse
questo  tribunale militare, pur in diversa composizione collegiale, a
sollevare questione di legittimita' costituzionale della disposizione
che  non  prevedeva la necessaria predisposizione di apposite tabelle
infradistrettuali  per  la giustizia militare, furono successivamente
interpellati  e  destinati a comporre il Collegio giudicante, a causa
delle  successive  rinunce  e  indisponibilita',  quattro  magistrati
diversi,  con conseguente impossibilita' di conoscere preventivamente
quale fosse il Collegio competente.
    L'art. 43  c.p.p.  come interpretato dalla suprema Corte, viene a
porsi inoltre in contrasto con gli artt. 101-108 Cost.
    L'art. 5-bis  legge  23 dicembre 1996 n. 652 prevede testualmente
che  "se non e' possibile procedere alla sostituzione del giudice del
tribunale  militare nei modi previsti dall'art. 43 comma 1 c.p.p., il
tribunale militare rimette il procedimento al tribunale militare piu'
vicino,   determinato   tenendo  conto  della  distanza  chilometrica
ferroviaria  e,  se  del  caso,  marittima".  Quindi  la legge sembra
prevedere  che, qualora non sia possibile procedere alla sostituzione
del  giudice  mediante l'istituto della supplenza interna, o al piu',
della  applicazione,  il  tribunale deve rimettere il procedimento al
tribunale viciniore.
    La reiterata interpretazione del combinato disposto degli art. 43
c.p.p./5-bis  legge n. 652/1996, viceversa, limita la possibilita' di
rimettere  il  procedimento,  nella ipotesi di assoluta e persistente
impossibilita'   di   composizione   di   un  organo  giurisdizionale
competente.
    In  questo  solo  caso il provvedimento di rimessione deve essere
operato  dal  presidente  del  tribunale  come organo monocratico, in
quanto  sarebbe  assurdo  integrare  l'organo  collegiale  con  altro
magistrato  esterno, al solo fine di pronunciare una valida ordinanza
di rimessione.
    Tale  costante  orientamento, cui il giudice remittente si adegua
pienamente   pone  pero'  l'art. 43  c.p.p.,  cosi'  interpretato  in
contrasto con i principi di cui agli artt. 108-101 della Costituzione
che  prevedono la riserva di legge per quanto attiene alle materie di
ordinamento  giudiziario  e  la soggezione dei giudici di fronte alla
legge.
    Infatti la possibilita' di operare in via preventiva i meccanismi
della  supplenza  e dell'applicazione, anche congiuntamente, comporta
la inattuazione dell'art. 43 c.p.p.
    Occorre  rilevare  infatti che il Collegio giudicante e' composto
sempre  con la presenza di un ufficiale d'arma, cui ben difficilmente
saranno  applicabili  le  varie  cause  di  incompatibilita' previste
dall'art. 34 c.p.p.
    La possibilita' di procedere quindi alla sostituzione di uno o di
entrambi   i   magistrati  togati  facenti  parte  dell'organico  del
tribunale  militare  competente,  e  quindi  costituenti il collegio,
comporta,  come  e'  stato recentemente rilevato, "la disapplicazione
giurisprudenziale  di  una norma di legge", e quindi in contrasto con
l'art. 101 Cost.
    Tale  contrasto  e'  stato  rilevato dallo stesso Consiglio della
Magistratura  Militare  il  quale  nella  delibera  10 giugno 1997 ha
affermato  di  rendersi  conto  che  "i  meccanismi sostitutivi sopra
richiamati"    (cioe'    quelli    della    supplenza    esterna    e
dell'applicazione) "rendono nella pratica pressoche' Cassazione".
    Vi e' infine anche un contrasto con l'art. 108 della Costituzione
che  prevede  la  riserva  di  legge  per  le  norme sull'ordinamento
giudiziario.   Infatti,   l'art. 43   c.p.p.   sembra  consentire  la
rimessione  del  procedimento al presidente del tribunale militare, e
al magistrato con funzioni di presidente pro tempore.
    Come   e'  noto  pero',  l'ordinamento  giudiziario  militare,  a
differenza  di  quello  ordinario, non prevede l'istituto del giudice
monocratico,  non  essendo  applicabile ad esso l'impianto del d.lgs.
n. 51/1998 (cass. sez, I n. 4498/2000 in cass. pen. 2000, 3398).
    Si  avrebbe  pertanto  la  reazione  di  un  giudice monocratico,
nell'ordinamento  giudiziario  militare non ad opera del legislatore,
ma a seguito della interpretazione creativa della suprema Corte.
    La questione quindi appare non manifestamente infondata.
    Per quanto attiene alla rilevanza, l'eventuale accoglimento della
questione di legittimita' costituzionale, produrrebbe la conseguente,
necessaria  rimessione  del presente procedimento presso il tribunale
militare  di  La  Spezia, e' rilevante perche' sarebbe illegittima la
competenza  di  Torino  che,  quindi,  anche  oggi  con  composizione
regolare,   rimarrebbe   carente   di   potere   giurisdizionale,   e
pronuncerebbe, pertanto, una sentenza nulla.