ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi primo
e  quarto  (recte:  primo,  quarto  e quinto), della legge 23 ottobre
1960,  n. 1369  (Divieto  di  intermediazione ed interposizione nelle
prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera
negli  appalti  di opere e di servizi), promosso con ordinanza emessa
il19 febbraio  2001  dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile
Sgobbi  Simone  contro  A.I.F.  Gruppo  Securitas  s.r.l.  ed  altri,
iscritta  al  n. 492  del  registro ordinanze 2001 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 26,  1a  serie  speciale,
dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 13 febbraio 2002 il giudice
relatore Francesco Amirante.
    Ritenuto  che,  nel  corso  di  un  giudizio  avente  ad  oggetto
l'accertamento di un rapporto di lavoro subordinato intercorso tra il
ricorrente  e  la societa' e gli altri soggetti privati convenuti, la
condanna  dei convenuti stessi al pagamento di differenze retributive
e  la  dichiarazione  di nullita' del licenziamento orale intimato al
ricorrente,   il  Tribunale  di  Firenze,  con  ordinanza  emessa  il
19 febbraio  2001,  ha  sollevato,  in  riferimento agli artt. 3 e 97
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 1,  commi  primo  e quarto (recte: primo, quarto e quinto),
della  legge  23 ottobre 1960, n. 1369 (Divieto di intermediazione ed
interposizione   nelle  prestazioni  di  lavoro  e  nuova  disciplina
dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e servizi), nella
parte   relativa   all'esclusione  dell'amministrazione  statale  dal
divieto di intermediazione di manodopera e dalla presunzione circa la
titolarita'  del  rapporto  di  lavoro  in capo al soggetto che abbia
effettivamente utilizzato le prestazioni di lavoro;
        che,  secondo  il Tribunale rimettente, la prova testimoniale
raccolta  dimostrerebbe che il lavoro di movimentazione dei fascicoli
e  incartamenti  della  Conservatoria  dei  registri  immobiliari  di
Firenze, del quale il ricorrente (insieme ad altri giovani) era stato
incaricato dai convenuti che lo retribuivano, in realta' era eseguito
anche   nell'interesse  dell'amministrazione,  in  quanto  concerneva
compiti  propri dei dipendenti di questa, tanto che vi era un accordo
tra  il  Conservatore  e  i  soggetti privati convenuti in giudizio e
interessati alle visure;
        che,  sulla  base  di tali circostanze di fatto, il Tribunale
rimettente  afferma  che  il  contraddittorio  dovrebbe essere esteso
all'amministrazione  finanziaria  nei  cui  confronti  dovrebbe avere
applicazione la normativa impugnata se non ne fosse, appunto, esclusa
l'applicazione nei confronti della amministrazione statale;
        che,  secondo  il  giudice  a  quo  la suddetta esclusione si
porrebbe,   in   primo   luogo,   in  contrasto  con  l'art. 3  della
Costituzione  in quanto essa, del tutto irragionevolmente, renderebbe
possibile    alla   amministrazione   statale   di   ricorrere   alla
intermediazione  di  manodopera  per  sottrarsi alla applicazione dei
principi  di  effettivita'  del rapporto di pubblico impiego da tempo
elaborati   dalla   giurisprudenza  in  riferimento  alla  assunzione
irregolare di personale da parte delle pubbliche amministrazioni;
        che   sarebbe,   altresi',  violato  il  principio  di  buona
amministrazione  di  cui  all'art. 97  della  Costituzione  in quanto
l'immotivato  esonero  della amministrazione statale dalla osservanza
della  legge  n. 1369 del 1960 esporrebbe soggetti privati al rischio
di   essere   condannati  a  corrispondere  importi  retributivi  per
prestazioni  di  lavoro subordinato rese non alle loro dipendenze, ma
alle  dipendenze di una amministrazione statale per lo svolgimento di
un pubblico servizio;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  che  ha  concluso  chiedendo  che la questione sia dichiarata
inammissibile o non fondata.
    Considerato  che  il giudice rimettente motiva la rilevanza della
questione  affermando  che  soltanto l'attribuzione della titolarita'
passiva   del  rapporto  alla  amministrazione  finanziaria  potrebbe
consentire  di  assolvere  i soggetti privati convenuti dalle domande
proposte nei loro confronti;
        che, secondo quanto risulta dall'ordinanza di rimessione, non
soltanto  non  e'  parte  l'amministrazione,  ma  nessuna domanda nei
confronti di questa e' stata proposta;
        che,   conseguentemente,   la   suddetta   motivazione  della
rilevanza  non  e' plausibile in quanto la questione, anziche' essere
proposta  per  la  definizione del giudizio a quo, finisce per essere
sollevata  in riferimento ad un altro eventuale giudizio, diverso per
petitum e causa petendi;
        che, pertanto, la questione e' manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.