IL TRIBUNALE PER I MINORENNI

    Nel  processo  a carico di G. A. D., nato a Siracusa il 24 maggio
1984  (n. 855/01  R.G.N.R. n. 393/02 R.G.U.P) all'udienza preliminare
del  18 marzo  2002, con l'intervento del rappresentante dell'ufficio
del  pubblico  ministero  dott.ssa  Ledda, ha pronunziato la seguente
ordinanza.

                          Rilevato in fatto

    G. A. D.  era  ritualmente  citato  all'udienza  preliminare  per
rispondere  dei  reati  di  getto  pericoloso  di  cose  e rifiuto di
indicazioni sulla propria identita' personale.
    All'udienza,  sentito l'imputato, il p.m. concludeva chiedendo la
condanna  del  minore a 100 euro di multa ex art. 32, comma 2, d.P.R.
n. 448/1988,  invitando  il  giudice a vagliare se sollevare (perche'
rilevante   e   non   manifestamente   infondata)   la  questione  di
legittimita'  costituzionale della norma anzidetta, per contrasto con
gli  artt. 111,  commi quarto e quinto  della Costituzione; la difesa
chiedeva  il  proscioglimento  dell'imputato per non aver commesso il
fatto.

                         Ritenuto in diritto

    E' rilevante ai fini della decisione la questione di legittimita'
costituzionale   della  suddetta  norma,  che,  nel  caso  specifico,
consentirebbe  a  questo  giudice,  data  la  richiesta  del p.m., di
condannare  l'imputato  ad  una  pena  pecuniaria  o  ad una sanzione
sostitutiva,  pur  non avendo quest'ultimo, prestato il consenso alla
definizione del processo allo stato degli atti.
    Ritiene  questo  giudice  che  l'art. 32,  comma  secondo, d.P.R.
n. 448/1988  violi  i  commi  quarto  e  quinto  dell'art. 111  della
Costituzione (introdotto dalla legge costituzionale 23 novembre 1999,
n. 2).
    Rientra,  infatti,  nel  principio  costituzionale  di attuazione
della  giurisdizione  mediante  "giusto  processo",  il diritto della
persona  accusata ad essere giudicata in forza di prove formatesi nel
contraddittorio tra le parti.
    La  natura,  pur  sempre, dispositiva di questo diritto, consente
alla  legge di regolare i casi in cui, per consenso dell'imputato, si
possa derogare al principio anzidetto.
    Le   definizioni   "alternative"  specifiche  del  rito  minorile
(perdono  giudiziale, irrilevanza del fatto) applicabili, prima della
legge 25 febbraio  2000,  n. 35, d'ufficio da parte del g.u.p., hanno
imposto al legislatore di ridisegnare l'udienza preliminare minorile,
adeguandola al nuovo dettato costituzionale.
    Il  giudizio  di  responsabilita', che viene espresso tanto nelle
pronunzie  ex  art. 169  c.p.,  quanto  in  quelle  ex art. 27 d.P.R.
n. 448/1988,  impone che vi sia il consenso della persona accusata di
essere giudicata allo stato degli atti, anziche' al dibattimento.
    Inspiegabilmente,  la  novella  non  ha,  invece,  modificato  il
secondo comma dell'art. 32, d.P.R. cit., che disciplina un'ipotesi di
definibilita'  del  giudizio  in  malam  partem  (pena  pecuniaria  o
sanzione  sostitutiva)  prescindendo dalla volonta' dell'imputato, se
non, addirittura, col dissenso esplicito di quest'ultimo.
    E',  pertanto,  fondato  il dubbio di legittimita' costituzionale
della   fattispecie   di  condanna  disciplinata  dal  secondo  comma
dell'art. 32 cit., ponendosi quest'ultima previsione in contrasto con
i commi quarto e quinto dell'art. 111 della Costituzione.
    Ai  fini  della  decisione  del  caso  in  esame, la decisione e'
rilevante,  dovendo,  questo giudice, in accoglimento della richiesta
del  p.m.,  applicare  la  norma  de  qua ed infliggere all'imputato,
prescindendo  dal  suo consenso, una condanna, fondata su elementi di
prova formatisi senza le garanzie del contraddittorio.