ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 418 e 419 del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Nicosia con ordinanza del 28 gennaio 2002, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, 1a serie speciale, dell'anno 2002. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2002 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto che il Tribunale di Nicosia, su eccezione della difesa, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli articoli 418 e 419 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevedono che all'imputato sia dato avviso che puo' proporre richiesta di patteggiamento entro i termini di cui all'art. 421, comma 3, cod. proc. pen."; che il rimettente, che procede in dibattimento nei confronti di persona imputata dei reati di truffa ai danni di ente pubblico e di falsa attestazione a pubblico ufficiale, commessi nel dicembre del 1995, premette che per i reati in contestazione e' prevista l'udienza preliminare e che l'imputato in tale fase e' rimasto contumace; che il giudice a quo rileva che, nel disciplinare il decreto di fissazione dell'udienza preliminare e nel prevedere il relativo avviso all'imputato, gli articoli 418 e 419 cod. proc. pen. - a differenza dell'art. 552 cod. proc. pen., relativo al decreto di citazione diretta a giudizio - non prevedono che l'imputato sia avvertito a pena di nullita' che, qualora ne ricorrano i presupposti, puo' presentare le richieste previste dagli articoli 438 e 444 cod. proc. pen. e, in particolare, che la richiesta di applicazione della pena deve essere formulata, a pena di decadenza, entro il termine della presentazione delle conclusioni stabilito dall'art. 421, comma 3, cod. proc. pen; che tale disciplina violerebbe gli articoli 3, 24 e 111 Cost., in quanto l'imputato contumace, che non e' stato reso edotto ne' con il decreto di fissazione dell'udienza preliminare, ne' con il relativo avviso, del termine di decadenza per l'esercizio della facolta' di avanzare richiesta di patteggiamento, e' soggetto a una evidente disparita' di trattamento rispetto all'imputato tratto a giudizio mediante decreto di citazione diretta, per il quale opera l'avviso espressamente previsto dall'art. 552, comma 1, lettera f), cod. proc. pen; che, ad avviso del rimettente, la "questione assume rilevanza sotto il profilo della nullita' che inficia il decreto di citazione a giudizio diretto di cui all'art. 552 cod. proc. pen., nullita' espressamente sanzionata nel medesimo articolo, al comma 2", in quanto "e' del sistema processuale che tali nullita' debbono essere rilevate d'ufficio anche dal giudicante"; che diversamente opinando si precluderebbe all'imputato contumace citato a giudizio previo svolgimento dell'udienza preliminare la possibilita' di far ricorso al rito alternativo, che non puo' piu' essere chiesto nella fase degli atti introduttivi del dibattimento; che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata; che a parere dell'Avvocatura la questione sarebbe prospettata in via astratta, senza alcun riferimento alla fattispecie in giudizio: in particolare, circa la rilevanza, il Tribunale non chiarirebbe se l'imputato ha formulato in dibattimento richiesta, ancorche' tardiva, di applicazione della pena; che, nel merito, la questione sarebbe infondata in relazione sia all'art. 3 Cost., "perche' il parametro di riferimento dell'art. 552 cod. proc. pen. e' il precedente art. 429 cod. proc. pen., rispetto al quale non risulta formulata eccezione di nullita' ne' appare piu' sollevabile con riguardo alla fase processuale del giudizio a quo", sia all'art. 24 Cost., perche' l'esercizio del diritto di difesa e' garantito dalla presenza della difesa tecnica nel giudizio penale. Considerato che il rimettente dubita, nella qualita' di giudice del dibattimento, della legittimita' costituzionale degli articoli 418 e 419 del codice di procedura penale, in relazione agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, in quanto non prevedono che all'imputato sia dato l'avvertimento che puo' presentare richiesta di applicazione della pena entro il termine di cui all'art. 421, comma 3, cod. proc. pen; che nel caso di specie era stato disposto il rinvio a giudizio a seguito di udienza preliminare, celebrata in contumacia dell'imputato; che la questione di legittimita' costituzionale ha ad oggetto le norme che disciplinano il decreto di fissazione dell'udienza preliminare e il relativo avviso da notificare all'imputato, la cui applicazione e' demandata al giudice dell'udienza preliminare; che peraltro, nel sollevare la questione di legittimita' costituzionale in dibattimento, il tribunale si limita ad osservare che "la questione assume rilevanza sotto il profilo della nullita' che inficia il decreto di citazione in giudizio diretto di cui all'art. 552 cod. proc. pen., nullita' espressamente sanzionata nel medesimo articolo al comma 2", e che "e' del sistema processuale penale che tali nullita' debbono essere rilevate d'ufficio anche dal giudicante"; che, in particolare, il rimettente da un lato non precisa nella parte dispositiva dell'ordinanza di rimessione che l'avvertimento all'imputato circa la facolta' di chiedere l'applicazione della pena dovrebbe essere previsto a pena di nullita', dall'altro neppure chiarisce se e per quale ragione sarebbe ricavabile dal sistema una sanzione di nullita' tale da determinare la regressione del procedimento alla fase ormai esaurita dell'udienza preliminare; che, al riguardo, il rimettente omette di considerare che la nullita' per il mancato avvertimento della facolta' di chiedere i riti alternativi, prevista nel comma 2 dell'art. 552 cod. proc. pen., che disciplina la citazione diretta a giudizio dopo le modifiche recate a tale istituto dalla legge 19 dicembre 1999, n. 479, ripropone il contenuto della declaratoria di illegittimita' costituzionale del previgente art. 555, comma 2, cod. proc. pen., pronunciata da questa Corte con la sentenza n. 497 del 1995 in un contesto normativo in cui la vocatio in ius era caratterizzata da una struttura bifasica; che, inoltre, il giudice a quo non chiarisce se, nel rinnovato quadro normativo, le ragioni poste dalla Corte a fondamento della sanzione di nullita' siano riferibili alla disciplina nella quale egli vorrebbe introdurre un avviso analogo a quello previsto dall'attuale art. 552, comma 1, lettera f), cod. proc. pen; che tali carenze determinano un difetto di motivazione circa i requisiti della pregiudizialita' e della rilevanza della questione nel giudizio a quo (per tale conclusione in situazioni sostanzialmente analoghe v. ordinanze n. 346 del 2000, n. 485 del 1995 e n. 156 del 1994); che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.