ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 36, comma 1,
del   decreto   legislativo   9 luglio   1997,   n. 241   (Norme   di
semplificazione   degli  adempimenti  dei  contribuenti  in  sede  di
dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonche'
di  modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), nel
testo  risultante  dall'art. 1  del  decreto  legislativo 28 dicembre
1998,  n. 490  (Disposizioni  integrative  del  d.lgs. 9 luglio 1997,
n. 241,  concernenti  la  revisione  della  disciplina  dei centri di
assistenza  fiscale),  promosso  con  ordinanza del 6 giugno 2001 dal
Tribunale  amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da
Fallica  Giuseppina  ed  altri  contro  il  Ministero  delle finanze,
iscritta  al  n. 944  del  registro ordinanze 2001 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica,  n. 49,  1a serie  speciale,
dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  Fallica Giuseppina ed altri,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 23 ottobre 2002 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto  che,  nel  corso  di  un  giudizio  promosso innanzi al
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio  da  alcuni avvocati
tributaristi  per  l'annullamento  del  decreto  del  ministro  delle
finanze   29 dicembre  1999,  recante  "Disposizioni  in  materia  di
certificazione  tributaria",  nella  parte in cui (art.1) individua i
soggetti  certificatori, rinviando al disposto dell'art. 36, comma 1,
del   decreto   legislativo   9 luglio   1997,   n. 241   (Norme   di
semplificazione   degli  adempimenti  dei  contribuenti  in  sede  di
dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonche'
di  modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), nel
testo  risultante  dall'art. 1  del  decreto  legislativo 28 dicembre
1998,  n. 490,  il  Tribunale  adito, con ordinanza del 6 giugno 2001
(r.o.  n. 944  del  2001),  ha  sollevato  questione  di legittimita'
costituzionale  di detto art. 36, nella parte in cui esso attribuisce
solo  a  determinate  categorie  di  professionisti, ivi indicate, la
legittimazione   ad  effettuare  la  certificazione  tributaria,  per
contrasto con gli artt. 35, 76, 3 e 97 della Costituzione;
        che  la  norma  impugnata, ad avviso del collegio rimettente,
opererebbe  di  fatto  una  sorta  di  riserva monopolizzatrice delle
predette  attivita',  laddove  gli  adempimenti  relativi alla tenuta
della   contabilita'  dovrebbero  ritenersi  del  tutto  liberi,  non
richiedendo  specifici  requisiti  professionali.  In  tal modo, essa
determinerebbe  una  ingiustificata  limitazione  alla  scelta  ed al
libero   svolgimento   di   attivita'   lavorative,  con  conseguente
violazione del diritto al lavoro, costituzionalmente garantito;
        che,  per  altro  verso,  il  Tar del Lazio ravvisa un vulnus
all'art. 76   della   Costituzione   con   riferimento   al  ritenuto
superamento,  ad  opera  della  norma  denunciata,  del  limite della
funzione   legislativa   delegata.  Al  riguardo,  si  osserva  nella
ordinanza   di  rimessione  che  l'art. 3,  comma  134,  della  legge
23 dicembre  1996,  n. 662,  che delegava il Governo ad emanare uno o
piu' decreti legislativi contenenti disposizioni volte a semplificare
gli  adempimenti  dei  contribuenti,  a  modernizzare  il  sistema di
gestione  delle  dichiarazioni  ed  a  riorganizzare  il lavoro degli
uffici  finanziari  in  modo da assicurare la gestione unitaria delle
posizioni  dei  singoli  contribuenti,  secondo  principi  e  criteri
direttivi  nella stessa norma contenuti, fissava, alla lettera d), il
criterio    concernente   le   modalita'   di   presentazione   delle
dichiarazioni   e   dei  relativi  allegati  da  parte  dei  soggetti
obbligati,  con particolare riguardo alla "utilizzazione di strutture
intermedie  tra contribuente ed amministrazione finanziaria", nonche'
all'adeguamento  "al nuovo sistema della disciplina degli adempimenti
demandati  ai  predetti  soggetti  e delle relative responsabilita'".
Alla  stregua  di  tale criterio, il legislatore delegato era tenuto,
secondo  il  Tribunale rimettente, a dettare disposizioni riguardanti
le  modalita'  di  presentazione  delle  dichiarazioni  e, quindi, ad
attenersi  ad  aspetti  formali  delle stesse; mentre non gli sarebbe
stato  consentito,  anche  sotto il profilo del principio perequativo
sancito   dall'art. 3   della  Costituzione,  nonche'  di  quelli  di
razionalita'  e di buona amministrazione garantiti dall'art. 97 della
Costituzione,  di affidare il compito di effettuare la certificazione
tributaria  ad una ristretta categoria di revisori contabili iscritti
negli  albi  dei  dottori  commercialisti,  dei  ragionieri  e periti
commerciali  e  dei  consulenti del lavoro che avessero esercitato la
professione  per  almeno  cinque  anni,  escludendo  dal  novero  dei
soggetti  abilitati  tutti  gli  altri  professionisti che offrissero
analoghe garanzie di esperienza e professionalita';
        che  nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti fuori
termine  gli avvocati tributaristi parti del giudizio a quo che hanno
poi presentato una memoria illustrativa;
        che  ha  spiegato  intervento il Presidente del Consiglio dei
ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che
ha  concluso  per  la inammissibilita' per difetto di rilevanza della
questione e, nel merito, per la infondatezza. Ha rilevato al riguardo
l'Avvocatura,  quanto  alla censura relativa alla presunta violazione
dei  limiti  della  delega,  che  il  legislatore aveva dettato anche
criteri  direttivi  intesi  da  un  lato  a  dare  attuazione  ad una
disciplina  dell'attivita'  dei  soggetti  abilitati  a costituire le
strutture  intermedie  tra  il  contribuente  e l'Amministrazione, e,
dall'altro,  a  riorganizzare  l'attivita'  degli  uffici: sotto tale
profilo,  la  norma denunciata avrebbe attuato pienamente la volonta'
del  legislatore  delegante.  Quanto  alla  denunciata  lesione degli
articoli  3,  35  e  97  della  Costituzione, l'Avvocatura esclude la
configurabilita'  di  una  situazione  di monopolio dell'attivita' di
certificazione  tributaria in capo a determinati soggetti, osservando
che  la delicatezza della certificazione ha indotto il legislatore ad
individuare  ed  imporre  il  possesso  di  particolari  requisiti di
capacita' professionale agli appartenenti allecategorie professionali
abilitate al rilascio della stessa, che, peraltro, non costituendo un
obbligo  per  il certificatore, ma una sua scelta discrezionale, deve
essere   rilasciata   soltanto   quando  i  risultati  dei  riscontri
effettuati  evidenzino una corretta osservanza delle norme tributarie
relative   a   tutte  le  componenti  oggetto  della  certificazione.
L'Avvocatura  pone, quindi, in rilievo i benefici che dalla normativa
delegata   trarrebbe   l'interesse   generale   ad   un   piu'  agile
funzionamento degli uffici finanziari e l'esigenza imprescindibile di
potenziare  la  disciplina  degli adempimenti e della responsabilita'
dei soggetti abilitati a fornire l'assistenza fiscale.
    Considerato  che  manca  nella  ordinanza di rimessione qualsiasi
specifico  riferimento  (salva la notazione che i ricorrenti avvocati
tributaristi  sono  revisori contabili) ai profili di rilevanza della
questione  nella  concreta fattispecie all'esame del giudice a quo in
riferimento  al possesso da parte degli stessi ricorrenti degli altri
requisiti  che  devono  accompagnare  quello relativo alla iscrizione
negli  appositi  albi  dei revisori contabili (esercizio da parte dei
revisori   della  professione  per  almeno  cinque  anni;  tenuta  di
scritture  contabili) per poter essere abilitati al rilascio, ai soli
fini  fiscali,  della  certificazione  tributaria,  di cui al comma 2
dell'art. 36 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241;
        che    pertanto   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
avanti alla Corte Costituzionale.