ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 34 del codice di
procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 12 giugno 2001 dal
Giudice  dell'udienza preliminare del Tribunale di Lecce, l'8 gennaio
2002  dal  Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma, il
15 aprile   2002   e   il  6 maggio  2002  dal  Giudice  dell'udienza
preliminare  del  Tribunale  di Modena, il 13 giugno 2002 dal Giudice
dell'udienza  preliminare del Tribunale di Pinerolo e il 27 settembre
2002  dalla Corte di cassazione, rispettivamente iscritte ai nn. 246,
333,  336,  386,  456  e 513 del registro ordinanze 2002 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21, 28, 36, 41 e 47, 1ª
serie speciale, dell'anno 2002.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 aprile 2003 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
    Ritenuto che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Lecce,  con  ordinanza  del 12 giugno 2001 (r.o. n. 246 del 2002), ha
sollevato,  in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 34  (commi 2 e
2-bis) del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede
l'incompatibilita'   alla   funzione   di   trattazione  dell'udienza
preliminare per il giudice che - come nella specie si e' verificato -
all'esito di una precedente udienza preliminare riguardante lo stesso
imputato  e  il medesimo fatto storico abbia disposto la restituzione
degli  atti  al pubblico ministero, avendo ravvisato un fatto diverso
da quello formalmente descritto nell'imputazione contestata;
        che,  dopo  avere preliminarmente argomentato circa il potere
del  Giudice  dell'udienza  preliminare  di  restituire  gli  atti al
pubblico  ministero  qualora, all'esito dell'udienza, abbia ravvisato
un  fatto  diverso  da quello definito nell'imputazione, il giudice a
quo,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione, osserva
- richiamandosi testualmente alla sentenza della Corte costituzionale
n. 455  del 1994 - come tale provvedimento di restituzione degli atti
integri  una  decisione che presuppone una penetrante delibazione nel
merito da parte del giudice, non dissimile da quella che, in mancanza
di   una   valutazione  della  diversita'  del  fatto,  conduce  alla
definizione  con  sentenza  del giudizio di merito e comunque tale da
pregiudicare   l'imparzialita'   ed   obiettivita'  delle  successive
funzioni di giudizio;
        che  tali  rilievi,  formulati  dalla Corte costituzionale in
riferimento al giudizio dibattimentale, ad avviso del rimettente sono
validi  anche  rispetto  al caso in esame, «perche' se e' vero che le
funzioni   esercitate   dal   Giudice  dell'udienza  preliminare  non
riguardano  propriamente  il  merito  della regiudicanda, e cioe' una
valutazione  conclusiva  sulla  responsabilita' dell'imputato, non si
puo'  non  tenere conto degli ampliati poteri decisionali allo stesso
giudice  assegnati  dalla  disciplina  codicistica riguardante quella
udienza,   cosi'   come   recentemente   «ridisegnata»   dalla  legge
16 dicembre 1999, n. 479»;
        che, poste tali premesse, il rimettente ritiene che l'art. 34
cod.  proc.  pen.,  nel suo comma 2, contrasti (a) in primo luogo con
l'art. 3  della  Costituzione,  per  la disparita' di trattamento tra
imputati  che  versano  in  situazioni  sostanzialmente assimilabili,
quali,   da   un   lato,   quella  dell'imputato  tratto  a  giudizio
dibattimentale,  che,  in caso di intervenuta restituzione degli atti
ex  art. 521,  comma 2,  cod.  proc. pen., vedra' tutelato il proprio
diritto a un giudice terzo e imparziale, non potendo essere giudicato
dallo  stesso magistrato in caso di nuovo rinvio a giudizio (sentenza
n. 455   del   1994),   e,   dall'altro  lato,  quella  dell'imputato
destinatario  di  una  richiesta  di  rinvio  a  giudizio, che, nella
corrispondente ipotesi della restituzione degli atti all'esito di una
prima  udienza preliminare, non fruisce di analoga garanzia nel corso
della  successiva  udienza, e (b) con il diritto di difesa, garantito
dall'art. 24  della  Costituzione, nonche' con il correlato principio
di imparzialita' del giudice, di cui all'art. 111 della Costituzione,
perche'  il  giudice  chiamato  a  svolgere le sue funzioni nel corso
della  nuova  udienza  preliminare  sarebbe  «pregiudicato» dall'aver
adottato  il  precedente  provvedimento di restituzione degli atti al
pubblico ministero, essendosi in quella sede formato un convincimento
sul merito dell'azione penale;
        che   il   giudice  a  quo  estende  la  propria  censura  di
illegittimita'  costituzionale  altresi' al comma 2-bis dell'art. 34,
cod. proc. pen., in quanto, nel sancire l'incompatibilita' a svolgere
la funzione di giudice dell'udienza preliminare per il giudice per le
indagini   preliminari   che  abbia  adottato  in  precedenza  taluni
provvedimenti che non presuppongono alcuna «invasiva» valutazione sul
merito  dell'accusa  (ad  esempio,  quello sulla richiesta di proroga
delle  indagini  preliminari), tralascerebbe viceversa di considerare
quale ragione di incompatibilita' quella del magistrato che - come si
e' verificato nel caso concreto - nella veste di Giudice dell'udienza
preliminare  «si  e' trovato ad esprimere un approfondito giudizio di
merito, tanto da riconoscere una diversita' tra il fatto contestato e
quello emergente dalle carte del procedimento»;
        che  il  Giudice  dell'udienza  preliminare  del Tribunale di
Roma,  con  ordinanza  dell'8 gennaio 2002 (r.o. n. 333 del 2002), ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3  e 111 della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 34 (comma 2; «o
comma 1»,  nel solo dispositivo), cod. proc. pen., nella parte in cui
non   prevede   l'incompatibilita'   alla   funzione  di  trattazione
dell'udienza  preliminare  per  il giudice che, per lo stesso fatto e
nei  confronti dello stesso imputato, abbia pronunciato, all'esito di
una  precedente  udienza  preliminare,  il  decreto  che  dispone  il
giudizio;
        che  il  giudice  a quo precisa di essere chiamato a trattare
per  la  seconda  volta l'udienza preliminare dopo che il decreto che
dispone  il  giudizio,  emesso  dallo  stesso  rimettente,  era stato
annullato  in  sede  dibattimentale,  con conseguente regressione del
procedimento alla fase precedente;
        che  il  rimettente  solleva  la  questione  di  legittimita'
costituzionale alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 479
del  1999  alla  disciplina  dell'udienza preliminare, osservando, in
particolare,  che le innovazioni normative che hanno interessato tale
udienza,  con  l'ampliamento  dei  poteri  istruttori  e decisori del
giudice, non rendono piu' giustificabile la disparita' di trattamento
che - ad avviso del giudice a quo - si verifica tra la situazione del
giudice  che,  avendo  emesso  una  sentenza, non puo' partecipare ad
altri  gradi  dello  stesso  giudizio  (art. 34,  comma 1, cod. proc.
pen.),  e quella, analoga, del giudice per l'udienza preliminare che,
pur avendo emesso un decreto che dispone il giudizio (poi annullato),
viceversa  puo'  essere  chiamato  a  tenere  la  successiva  udienza
preliminare nei confronti dello stesso imputato;
        che  il  Giudice  dell'udienza  preliminare  del Tribunale di
Modena,  con  ordinanza del 15 aprile 2002 (r.o. n. 336 del 2002), ha
sollevato,   in   riferimento   all'art. 111,  secondo  comma,  della
Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 34
cod.  proc.  pen.,  nella parte in cui non prevede l'incompatibilita'
alla  funzione  di  trattazione  dell'udienza preliminare del giudice
che, avendo pronunciato decreto che dispone il giudizio, sia chiamato
a celebrare una nuova udienza preliminare nello stesso procedimento a
seguito  della  dichiarazione  di  nullita' dell'avviso di fissazione
dell'udienza  preliminare da parte del giudice dibattimentale e della
conseguente regressione del procedimento alla fase precedente;
        che,  dato conto dell'orientamento della Corte costituzionale
circa   il   carattere   processuale  dell'udienza  preliminare,  con
conseguente      difetto     di     un     presupposto     necessario
dell'incompatibilita',   il   rimettente   ritiene  tuttavia  che  la
trasformazione  subita dall'udienza preliminare a seguito della legge
n. 479 del 1999 giustifichi la proposizione della questione;
        che,  in  particolare,  il rimettente osserva come il marcato
incremento   quantitativo  e  qualitativo  dei  poteri  istruttori  e
decisori  del Giudice dell'udienza preliminare, quali rispettivamente
ridisegnati  dagli artt. 421-bis e 422 cod. proc. pen., da una parte,
e  dall'art. 425 cod. proc. pen., dall'altra, affidi ormai al giudice
di  detta  udienza  una  approfondita  valutazione  circa  il  merito
dell'accusa,   tale   da  radicare  nello  stesso  una  «forza  della
prevenzione»  idonea  a  vulnerare  l'imparzialita'  e  terzieta' del
giudice  (art. 111,  secondo comma, della Costituzione), nell'ipotesi
di  una  nuova  celebrazione  dell'udienza preliminare da parte di un
giudice  che,  nel corso dello stesso procedimento penale, abbia gia'
emesso,  nei  confronti  del  medesimo imputato e per lo stesso fatto
storico, il decreto che dispone il giudizio;
        che  sulla medesima linea, prosegue il rimettente, sarebbe la
piu'  recente  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale (sentenza
n. 224  del  2001),  secondo la quale «l'alternativa decisoria che si
offre al giudice quale epilogo dell'udienza preliminare, riposa [...]
su   una   valutazione   del   merito   dell'accusa  ormai  non  piu'
distinguibile  -  quanto  ad  intensita'  e  completezza del panorama
delibativo  -  da  quella  propria di altri momenti processuali, gia'
ritenuti  non solo "pregiudicanti", ma anche "pregiudicabili" ai fini
della sussistenza dell'incompatibilita»;
        che  nell'ambito  di  altro  procedimento  penale  il Giudice
dell'udienza  preliminare  del Tribunale di Modena, con ordinanza del
6 maggio  2002  (r.o.  n. 386 del 2002), ha sollevato, in riferimento
all'art. 111,   secondo   comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 34  cod.  proc.  pen., «nella
parte in cui non prevede l'incompatibilita' del giudice per l'udienza
preliminare  che  abbia pronunciato decreto che dispone il giudizio a
celebrare  l'udienza  preliminare nello stesso procedimento a seguito
di  regressione  in conseguenza della dichiarazione dibattimentale di
nullita' [del decreto]»;
        che,  chiamato a celebrare una nuova udienza preliminare, nei
confronti dei medesimi imputati e per gli stessi fatti, a causa della
regressione  del  procedimento dovuta alla dichiarazione di nullita',
da  parte  del  giudice  dibattimentale,  del  decreto che dispone il
giudizio,  per genericita' del capo di imputazione, il giudice a quo,
con  argomentazioni  sostanzialmente  identiche  a  quelle  contenute
nell'ordinanza  del  medesimo  ufficio  giudiziario  iscritta al r.o.
n. 336  del  2002,  rimette  analoga  questione  di costituzionalita'
dell'art. 34 cod. proc. pen;
        che  il  Giudice  dell'udienza  preliminare  del Tribunale di
Pinerolo, con ordinanza del 13 giugno 2002 (r.o. n. 456 del 2002), ha
sollevato,  in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 34  cod. proc.
pen.,  «nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del Giudice
dell'udienza  preliminare  che  abbia  pronunciato  nei confronti del
medesimo  imputato  e  per  il  medesimo fatto decreto che dispone il
giudizio»;
        che,   essendo   chiamato  a  trattare  nuovamente  l'udienza
preliminare,   a  seguito  dell'annullamento  da  parte  del  giudice
dibattimentale  del  decreto  che  dispone  il giudizio in precedenza
emesso  dallo  stesso  rimettente,  il  giudice  a  quo  solleva - in
riferimento ai sopra richiamati parametri - questione di legittimita'
costituzionale, basandola essenzialmente sulla considerazione che, in
seguito  alla  regressione  del  procedimento,  lo stesso giudice «e'
chiamato a pronunciarsi sulla medesima questione che egli gia' decise
allorche'  provvide emanando il decreto che dispone il giudizio [...]
dichiarato nullo»;
        che  nel  corso di un procedimento di ricusazione la Corte di
cassazione,  con  ordinanza  del  27 settembre  2002 (r.o. n. 513 del
2002),  ha sollevato, in riferimento all'art. 111 della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 34  cod. proc.
pen.,  «nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del giudice
che  ha  pronunciato decreto che dispone il giudizio, successivamente
annullato,   ad   assumere   le   funzioni  di  Giudice  dell'udienza
preliminare  nei  confronti  degli  stessi  imputati e per i medesimi
fatti»;
        che  la  rimettente  espone  di  essere  chiamata  a decidere
sull'impugnazione  di una decisione della Corte d'appello di Roma che
aveva  dichiarato  inammissibili  due  istanze  di  ricusazione di un
Giudice   dell'udienza  preliminare  presso  il  Tribunale  di  Roma,
proposte  per  il motivo che quest'ultimo aveva nuovamente assunto la
funzione di Giudice dell'udienza preliminare in relazione ai medesimi
fatti  per  i  quali in precedenza egli stesso aveva gia' disposto il
rinvio a giudizio con proprio decreto, poi annullato;
        che,  cio' premesso, il giudice a quo solleva la questione di
legittimita' costituzionale nell'assunto che le trasformazioni subite
dall'udienza  preliminare  per  effetto  della  legge n. 479 del 1999
abbiano  inciso  profondamente  sulla natura delle valutazioni che il
giudice  compie  in tale sede circa la fondatezza dell'accusa, fino a
compiere  apprezzamenti  di  merito  tali  da  fare apparire non solo
«pregiudicante»,   ma   altresi'   «pregiudicabile»   questo  momento
processuale ai fini della disciplina dell'incompatibilita';
        che  in  cinque  dei sei giudizi cosi' promossi (r.o. n. 246,
n. 333,   n. 386,  n. 456  e  n. 513  del  2002)  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  le relative
questioni siano dichiarate infondate.
    Considerato  che  le  sei  ordinanze di rimessione sollevano - in
riferimento a parametri costituzionali e con argomenti in larga parte
coincidenti  tra  loro - questioni di costituzionalita' relative alla
disciplina   dell'incompatibilita'   del  giudice  penale,  sotto  lo
specifico   profilo   della   funzione  di  trattazione  dell'udienza
preliminare, e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti
e decisi con unica pronuncia;
        che  i  rimettenti  dubitano,  in riferimento al principio di
uguaglianza   (art. 3  della  Costituzione),  al  diritto  di  difesa
(art. 24)  e  al  principio  di imparzialita' del giudice (art. 111),
della  legittimita' costituzionale dell'art. 34 cod. proc. pen. [r.o.
n. 336,  n. 386,  n. 456  e  n. 513  del 2002; ovvero dei commi 1 e 2
(r.o.  n. 333  del 2002) o dei commi 2 e 2-bis (r.o. n. 246 del 2002)
del  medesimo art. 34] nella parte in cui non prevede, per il giudice
che   abbia   esercitato  la  funzione  di  trattazione  dell'udienza
preliminare,  l'incompatibilita'  a  svolgere  nuovamente la medesima
funzione  nel  corso  dello stesso procedimento penale, nei confronti
del  medesimo  imputato  e  per lo stesso fatto storico (a) a seguito
della dichiarazione di nullita' del decreto che dispone il giudizio o
dell'avviso  di  fissazione  dell'udienza  preliminare  da  parte del
giudice  dibattimentale (r.o. n. 333, n. 336, n. 386, n. 456 e n. 513
del  2002),  ovvero  (b) a seguito di una nuova richiesta di rinvio a
giudizio  da  parte  del pubblico ministero dopo che, all'esito della
precedente  udienza  preliminare, lo stesso giudice abbia disposto la
restituzione  degli  atti  al pubblico ministero, avendo ravvisato un
fatto  diverso da quello contestato nell'imputazione (r.o. n. 246 del
2002);
        che,  chiamata  a decidere una questione di costituzionalita'
dell'art. 34   cod.   proc.   pen.,  sollevata  in  quanto  esso  non
considerava  quale  ipotesi  di  incompatibilita'  del giudice quella
della ripetizione della trattazione dell'udienza preliminare da parte
dello  stesso magistrato (nella specie: a seguito di dichiarazione di
nullita'  del  decreto  che dispone il giudizio), questa Corte, nella
sentenza   n. 335  del  2002,  ha  rilevato  come,  a  seguito  delle
innovazioni  legislative  ricordate  dai rimettenti (legge n. 479 del
1999),   l'incremento   quantitativo   e   qualitativo   dei   poteri
riconosciuti   al   giudice  e  alle  parti  e,  corrispondentemente,
l'ampiezza  delle  valutazioni e del contenuto delle decisioni che lo
stesso   giudice   e'  chiamato  a  prendere  all'esito  dell'udienza
preliminare,  abbiano  determinato il venir meno di quei caratteri di
sommarieta',  propri  di  una decisione orientata esclusivamente allo
svolgimento del processo, che in precedenza connotavano detta sede;
        che, alla stregua di tali rilievi, la menzionata pronuncia ha
concluso  nel  senso che l'udienza preliminare e' divenuta un momento
di  «giudizio»  e  che  pertanto,  ove  ne  sussistano  gli ulteriori
presupposti,  essa  rientra  nelle previsioni dell'art. 34 cod. proc.
pen.  che  dispongono  l'incompatibilita'  del giudice che abbia gia'
giudicato sulla medesima res iudicanda;
        che  la  conclusione  che  precede  (v.  altresi', in termini
sostanzialmente  corrispondenti,  la  sentenza  n. 224  del 2001 e le
ordinanze  n. 367 e n. 490 del 2002) e' dunque idonea a ricomprendere
nel  raggio  d'azione dell'istituto dell'incompatibilita' la funzione
di  trattazione  dell'udienza  preliminare,  indipendentemente  dalla
specifica   causa   che  di  volta  in  volta  abbia  determinato  la
reiterazione  di  detta  funzione in capo allo stesso giudice-persona
fisica,  nell'ambito  dello  stesso  procedimento e in relazione alla
medesima res iudicanda;
        che di conseguenza, spettando ai giudici rimettenti trarre le
conseguenze del principio sopra richiamato in rapporto alle singole e
specifiche  situazioni processuali che essi prospettano, le questioni
sollevate devono essere dichiarate manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.