ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei Deputati del 13 febbraio 2001 relativa alla insindacabilita' delle opinioni espresse dall'onorevole Giancarlo Cito nei confronti di Liborio Domina, promosso dal Tribunale di Taranto - sez. prima penale, con ricorso depositato l'8 ottobre 2002 ed iscritto al n. 229 del registro ammissibilita' conflitti. Udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2003 il giudice relatore Giovanni Maria Flick. Ritenuto che, con ricorso del 3 luglio 2002, depositato nella Cancelleria della Corte l'8 ottobre 2002, il Tribunale di Taranto, I sezione penale - nel corso di un procedimento penale instaurato nei confronti dell'onorevole Giancarlo Cito, per il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa in danno di Liborio Domina - ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione, adottata dalla Assemblea il 13 febbraio 2001 (documento IV-quater, n. 166), con la quale e' stato dichiarato, in conformita' alla proposta della Giunta delle autorizzazioni a procedere, che i fatti per i quali e' in corso il processo a carico dell'onorevole Cito, concernendo opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, rientrano nell'ambito di immunita' ai sensi dell'art. 68 primo comma, della Costituzione; che il Tribunale ricorrente - dopo aver esposto i fatti che hanno dato luogo alla vicenda processuale ed analizzato, in particolare, le dichiarazioni espresse dall'onorevole Cito nel corso di una conferenza stampa trasmessa il 22 agosto 1998 da alcune emittenti televisive: dichiarazioni indicate, nell'imputazione, come diffamatorie nei confronti del consigliere comunale Liborio Domina - ritiene che, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, la deliberazione di insindacabilita' abbia illegittimamente menomato la propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita ai sensi dell'art. 101 della Costituzione; che infatti, ad avviso del Tribunale, le dichiarazioni asseritamente diffamatorie riguarderebbero, comunque, una «polemica politica» «attinente ai rapporti tra il sindaco di Taranto e un consigliere comunale e dunque a vicende circoscritte all'ambito del comune di Taranto, che nulla hanno a che fare con la funzione di parlamentare all'epoca esercitata dal Cito»: con conseguente insussistenza del nesso funzionale tra le opinioni espresse e le funzioni svolte dal parlamentare, richiesto quale presupposto dall'art. 68, comma 1, della Costituzione; Considerato che occorre, in questa fase, delibare esclusivamente se il ricorso sia ammissibile, valutando, senza contraddittorio tra le parti, se sussistano i requisiti soggettivo ed oggettivo di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, impregiudicata ogni definitiva decisione anche in ordine all'ammissibilita' (art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87); che, quanto al requisito soggettivo, il Tribunale di Taranto e' legittimato a sollevare conflitto, essendo competente a dichiarare definitivamente, per il procedimento del quale e' investito, la volonta' del potere cui appartiene, in ragione dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali svolte in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita; che, parimenti, la Camera dei deputati, che ha deliberato la dichiarazione di insindacabilita' delle opinioni espresse da un proprio membro, e' legittimata ad essere parte del conflitto, essendo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere che rappresenta; che, per quanto attiene al profilo oggettivo del conflitto, il Tribunale ricorrente denuncia la lesione della propria sfera di attribuzioni, garantita da norme costituzionali, in conseguenza della deliberazione, ritenuta illegittima, con la quale la Camera dei deputati ha qualificato le dichiarazioni del parlamentare, per le quali era in corso il processo, come insindacabili in quanto comprese nell'esercizio delle funzioni parlamentari (art. 68, primo comma, della Costituzione); che, pertanto, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza della Corte.